NOTE: i personaggi sono di nostra invenzione. Idrio e Pirecrate sono di Kalahari. Pherio e Astre sono di Dhely. Gli altri ce li dividiamo felicemente a giorni alterni

 


Di odio e di amore

parte V

di Dhely e Kalahari


Il sole batteva, inclemente, a picco sui muri spessi delle case e il frastuono lontano delle esercitazioni al Campo si era affievolito, oppresso com'era dal torrido vento che spazzava la piana, correndo su fino all'acropoli, circondando le dimore spoglie e antiche dei nobili spartiati, facendo ardere le gole e bruciare gli occhi.


Astre camminava rapido e silente come un gatto, fiancheggiando costantemente un muro, la mente preoccupata e fissa in un unico pensiero. Dov'era Pherio? Le ferite non erano ancora chiuse, non era passato ancora un' intera una giornata da quando l'avevano disteso, senza coscienza, su quel giacilio in cui l'aveva vegliato per tutta la notte . . dove poteva essere andato? Strinse appena gli occhi mentre, con passo deciso e senza tremiti, seguiva la voce che sentiva alzarsi chiara e furente nell'aria.

Nella corte interna della dimora dei Panfili, ecco Pherio, in piedi sotto il sole. Astre si strinse nella poca ombra che riuscì a trovare, rimanendo in disparte. Davanti a lui quel giovane aveva il capo chino, i capelli strettamente legati li aveva appoggiati su una spalla, facendoli scivolare sul petto in una foggia che non gli era usuale, perché non infastidissero le ferite che aveva sulla schiena. Le bende bianche ora, sotto il sole, mostravano aloni rosati; non avrebbe dovuto abbandonare il letto così presto! Si morse un labbro.

Pherio era immobile, le braccia lungo i fianchi, le mani strette in un pugno e gli occhi socchiusi a fissare la terra rossa che si muoveva appena sotto il tocco del vento bollente. E sotto le frecce luminose di Febo egli stava immobile come fosse stato una statua, con i capelli che scintillavano, parendo quasi un'immagine volatile di fronte alla scura e pesante presenza del suo anziano zio.

"Appena duecento, Pherio! - la sua voce era aspra, dura, da essa trasudavano disprezzo e orgoglio - Duecento e ti sei accasciato al suolo come una vergine terrorizzata! E' questo il modo in cui intendi onorare la famiglia e il nome dei tuoi antenati?"

Astre sospirò in silenzio appoggiandosi al muro con una spalla, udendo il respiro leggero e ininterrotto di Pherio che mai avrebbe osato proferir una parola che avrebbe potuto dispiacere a suo zio. Lo vide chiudere gli occhi con forza, poi scuotere appena il capo.

"Zio, chiedo perdono e clemenza. So bene che . . - la sua voce si ruppe un poco, Astre spalancò istintivamente gli occhi a vedere una chiazza carminia allargarglisi sulla spalla destra mentre il fiato di Pherio pareva graffiargli i polmoni - che . . per l'onore dei Panfili e di Sparta dovevo sopportarne almeno duecento . . e che quando mi si fanno certe richieste il minimo stabilito non è mai sufficiente, ma . . "

"Ascoltati Pherio! Balbetti come un coniglio tremante di fronte a un lupo! E' questo il tuo coraggio? E' questa la forza che vuoi donare a Sparta? Anche un ilota mostra più coraggio di te! Sei la vergogna della famiglia!"

Pherio abbassò ancor di più il capo, impallidendo. "Hai ragione, zio .. "

"Zio?!- ora il tono di Kakeo era divenuto davvero terribile, pareva non accorgersi di quanta fatica stesse facendo suo nipote semplicemente per stare in piedi davanti a lui, in un atteggiamento degno, e respirare senza rantolare - Non osare, tu, chiamarmi zio! Fu un atto di clemenza, il mio, quello che compii nei tuoi confronti, solo per riguardo a mia sorella, tua madre, eppure ora mi accorgo che avrei dovuto permettere che tu facessi la fine che ti spettava: figlio della violenza di un barbaro a una donna spartana! Ho sperato fino all'ultimo che la metà di sangue spartano che ti scorre nelle vene sarebbe bastato per renderti un guerriero almeno *accettabile* agli occhi della città e invece . . e invece!" terminò urlando come una iena nella notte.

Scosse una mano con forza nell'aria, Astre si ritrasse ancor di più. In quell'istante vide Aspasia, trafelata, correre verso di lui lungo lo stretto passaggio che portava diretto al cuore della casa. Le intimò silenzio di non fare un suono e, vistala con gli occhi pieni di preoccupazione, scosse il capo posandole una mano sulle labbra.

"Sei una vergogna, sei un indegno, sei un parto abominevole della natura! Il tuo aspetto non è altro che segno tangibile della tua debolezza! Ho aperto la mia casa a te e tu non hai fatto nulla, in tutti questi anni, per non farmene pentire! Degno figlio di quel barbaro di tuo padre . . un vigliacco che assale e violenta una nobile donna di notte, col favore del buio come fosse un ladro, non un uomo! Questa è la schiatta da cui discendi, di cui hai tutto e pensare che tua madre era una grande donna: bella e forte, t'ha partorito senza fare un suono e tu, tu, cosa sei? Come è potuto accadere che il sangue di un barbaro abbia potuto corrompere quello di una nobilissima e antichissima famiglia spartana?"

Aspasia gli si strinse al fianco, Astre si sentì passarle un braccio intorno alle spalle e trovar conforto, almeno un minimo, in quel contatto silente e tremante. Entrambi, ad occhi spalancati, assistevano alla scena senza osare aprir bocca. Pherio aveva il volto pallido e tirato, pareva sul punto di perdere i sensi . .

"Indegno di Sparta! Indegno della nostra famiglia! Indegno di me! Otto figli mi sono periti in battaglia eppure non compiango nessuno di loro perché hanno dato lustro al nome della nostra città in tutta la Grecia, di te, invece, mi cruccio! Sei la mia vergogna di fronte agli Anziani, di fronte a Sparta e alla Grecia tutta! Sei solo un bastardo mezzosangue, ecco quel che sei!"

Astre si accorse del movimento un attimo prima che si compisse, riuscì a prendere il viso della ragazza e obbligarlo a voltarsi, affondandolo sulla sua spalla. Lei udì solo lo schiocco, secco, forte, che increspò l'aria, di quello schiaffo. Astre invece vide bene quella mano pesante colpire il viso di Pherio e lui, senza opporre resistenza, attenderlo in silenzio. Ciocche bionde danzarono per un attimo nell'aria poi, con sgomento, da sotto la fasciatura, sulla schiena, il ragazzo vide spuntare un sottile rivolo di sangue. Pherio ondeggiò un attimo sulle gambe, un ginocchio cedette facendolo accasciare nella polvere rossa mentre il sangue si spandeva a macchie sempre più ampie, impregnando le bende di lino.

Le ferite si erano riaperte! Anche Aspasia se ne era ovviamente accorta e si scosse da quell'abbraccio consolante, raccogliendo tutto il coraggio della sua coraggiosa stirpe, mosse passi decisi e rapidi, volando al fianco di Pherio.

"Zio! Che fai? Pherio è ferito! - pose una mano sulla sua schiena e sollevò le dita rosse di sangue - Guarda! E poi che discorsi sono questi? Pherio non è indegno dei Panfili, lo sai anche tu!"

Kakeo sorrise appena e voltò gli occhi terribili, inchiodandoli in quelli di Pherio.

"Ecco il tuo posto, accasciato nella polvere sorretto da una fanciulla! - scosse il capo con forza. - Io non verrò meno all'impegno preso anni fa nei tuoi confronti, Pherio, quando ti accolsi nella mia casa. Rimani qui, secondo la legge, finchè non riterrai opportuno ritornare ai tuoi allenamenti, ma non chiedermi altro che non sia disprezzo!"

Astre sgusciò fuori dall'ombra e riuscì a notare lo sguardo chiaro di Pherio iniettato di luce e furia. Forse le sue guance sarebbero diventate rosa per la vergogna, ma ora era troppo debole e il sangue, al posto di salirgli al volto, gli stava scivolando fuori dalla schiena. Aspasia era corrucciata ma l'aiutò ad alzarsi.

"Perché ti sei mosso dal tuo giaciglio, Pherio! Non sei ancora in grado di andartene in giro in questo modo, lo sai!"

Lo spartano scosse il capo in silenzio, passandosi una mano a scostare una ciocca di capelli che gli si era appiccicata sulla fronte per il sudore. Astre però non aveva bisogno di toccarlo per sapere che quello era il sudore ghiacciato che accompagna il fuoco che brucia le carni e la mente nella febbre.

"Non preoccuparti Aspasia. - incredibilmente il suo tono riusciva ad essere calmo e pacato, come quello di sempre. Solo il sorriso gli si incrinò sulle labbra. Quando quegli occhi azzurri si posarono su Astre tremarono appena, poi sospirò - Sto bene, non sono forse libero di camminare nella dimora della mia famiglia?"

Astre sorrise amaro.

"Libero, sei libero spartano. Ma non stai bene, le ferite ti si stanno infettando e si sono riaperte. Devi assolutamente rimetterti a letto."

Null'altro. Pherio annuì in silenzio col capo poi si diresse, da solo e senza sostegno, nella stanza che gli era stata assegnata. Alle sue spalle, Aspasia sospirò di nuovo, affranta.

__

Idrio fece appena in tempo a spostarsi evitando per un soffio che un indemoniato folle su un destriero lo prendesse in pieno mentre correva, sfrenato, proprio al centro della strada. Strano, pensò, non ne ho mai visto di prima qui . .

Ma non ci pensò più di tanto perchè quel cavaliere scomparve in una piccola polvere verso l'acropolis. Si diede un'occhiata intorno e poi continuò a vagabondare, passando davanti alle terme ed ebbe la tentazione di entrare e vedere com'erano ma pensò che forse non sarebbe stata una buona idea: gli Spartani erano 'gelosi' delle loro abitudini quindi era meglio starne alla

larga.

Non che Idrio non fosse mai entrato in una terma però, più il tempo passava e più veramente si incuriosiva di quella città, più sentiva il desiderio di conoscerla in ogni suo angolo e di poterne osservare il carattere e poterne ancora baciare le labbra . . Si bloccò, arrossì tutto quanto e poggiò la spiga di grano che aveva preso dai campi tornando dal fiume, quella mattina, sulla fronte come se fosse stata una della pergamene di Timoteo. Bè forse ciò che gli interessava 'veramente' non era la polis, piuttosto . . bhè . .

Fu distratto appena in tempo da pensieri che lo avrebbero portato in cose che di fronte a quella gente forse gli avrebbero causato un 'problemino', da uno schiamazzare di voci e di esclamazioni.

Qualcosa gli arrivò sul petto e d'istinto vi portò le braccia per scoprire che non era altro che un tenero uccellino che lo guardò con i suoi occhietti neri e un beccuccio giallo con cui fece un pigolio, sbattendo le piccole ali. Mise la spiga in un ripiego dei suoi vestiti.

"E tu da dove vieni? - gli domandò poi avvicinando la propria bocca al beccuccio che si protese come se fosse stata la mamma - Dove è il tuo nido?" aveva tutta le piume marroni ma erano così tenere da lasciargli comprendere che era un uccellino non ancora pronto per il 'grande salto'.

"Tu!- qualcuno esclamò ed Idrio alzò gli occhi trovandosi davanti un ragazzo dai capelli castani, una fascia rossa tra le ciocche e un sorriso cattivo sulle labbra; ne aveva altri due proprio vicinissimi ai fianchi. Idrio fece un passo indietro stringendo istintivamente l'uccellino a sè abbastanza da farlo sentire al sicuro ma non troppo da soffocarlo.- Dacci quella stroppiatura che non sa fare quello che deve fare!" disse quello con la fascia avanzando e cercando di strapparglielo dalle braccia.

"E che vorreste fargli?" chiese rifiutando che potessero arrivare a fare del male ad una creatura così piccola, adorabile ed indifesa.

"Tu limitati a darcelo, ateniese!" intimò un altro mettendogli una mano sulla spalla; Idrio si strappò via da quella presa cercando una qualsiasi via di fuga.

"Questo te lo puoi scordare!" affermò con decisione ed approfittando di uno spazio libero che i tre gli lasciarono saettò via e iniziò a correre, seguito ai calcagni dagli altri ragazzi Spartani. L'uccellino, come se avesse compreso, iniziò a tremare ma non si mosse, mentre Idrio tentava di infilarsi in tutte le vie che avessero più ostacoli possibile: nonostante quei giovani fossero dei segugi le gambe dell'ateniese erano lunghe e agili per i salti. Ma uscito da una di quelle viottole, mentre quelli ancora erano a metà strada . .

"Pirecrate! Tienilo fermo!" uno che finora non aveva aperto bocca strillò da lontano, ma Idrio aveva l'attenzione completamente incentrata sul ragazzo dalla pelle bruna, bende sul petto, che lo guardava con un'espressione impassibile, in piedi proprio davanti a lui come se fosse stata una statua di bronzo.

"Lasciami passare!" domandò l'Ateniese con occhi imploranti e tremanti, mentre quelli di Pirecrate rimasero di quel fuoco che pare ghiaccio. Sorrise, ma non era un sorriso che piacque ad Idrio.

"Preso!" lo afferrarono da dietro e lo fecero cadere a terra e tossì la polvere che gli era entrata in gola, ma non allentò la presa protettiva su quella cratura che non aveva nessuno all'infuori di lui.

"Allora che vuoi fare?" non si alzò perchè se si fosse messo in ginocchio per loro sarebbe stato facile sopraffarlo mentre così . . così se avrebbe resistito . . forse . .

. . sembravano ancora più indiavolati da quando avevano visto Pirecrate . .

Un calcio gli fu dato tra le costole, un colpo fortissimo, e gli venne da rigettare su quel suolo infiammato ma stringendo gli occhi e serrando di denti non si mosse.

"Avanti. ." sentì la voce di Pirecrate, profonda e calda, quasi dolce, ed alzò lentamente lo sguardo per incontrare il suo, mettendosi sulle ginocchia ma col petto orizzontale al terreno.

"Non potete fargli del male! - e si perse nella bellezza di quegli occhi, in quel loro essere azzurri fino all'infinito sotto quelle ciglia scure incastonati in un taglio meraviglioso - E' indifeso!"

"Daglielo!" l'espressione cambiò di colpo divenendo dura.

"Mai." avrebbero dovuto ammazzarlo prima che avesse abbandonato quella creatura . .

"Allora dallo a me." gli altri tre erano in silenzio. Idrio fu un attimo indeciso e allentò leggermente la presa quando ricevette un altro calcio dietro la schiena; istintivamente sciolse le braccia per raggiungere il punto che avevano colpito facendogli perdere tutto il fiato in corpo. S'accorse troppo tardi che l'uccellino era scappato in avanti e Pirecrate lo aveva afferrato. Quando stava per saltargli addosso, gli altri lo presero per le braccia e le spalle: per quanto fossero disperati i suoi tentativi non riuscì a liberarsi, mentre quelle dita stringevano forte.

"Pirecrate! No! Per Zeus lasciatemi! Lasciatemi lasciatemi!!! Pirecrate torna qui, non puoi farlo!!" urlò scalciando e dando un morso furioso al primo braccio che riuscì a raggiungere, facendo sfuggire un'esclamazione di dolore e furia da chi aveva colpito. Un calcio nelle reni fu così forte da impedirgli di muovere qualsiasi altra cosa, nonostante questo riuscì a vedere bene, con orrore, Pirecrate avvicinarsi ad un recipiente vicino ad una casa, aprirlo, toccando l'acqua che arrivava proprio all'orlo, ed infilarvi il pugno chiuso per poi richiudere immediatamente. Dapprima la bocca gli rimase paralizzata poi, quando quegli odiosi Spartani lo lasciarono, andandosene via, schiamazzanti e ridenti, commentanti quanto fosse stato 'magnifico quello spettacolo', fu un ringhio ciò che produssero le sottili corde vocali, un ringhio profondo. Abbassò gli occhi al terreno e vide le proprie lacrime cadere in piccole ed instabili gocce rotonde su quella terra *arida*, in tutti i sensi, che era capace solo di produrre sangue . .

"Tu!" sentì benissimo la voce ferma di Pirecrate, ne vide l'ombra proiettarsi sulla sabbia, ma non rispose nè alzò il capo.

"Tì pathòn (per quale motivo)?"

"Ei eg' où tòde poièsamen, on apotànoien àn (se non avessi fatto questo, lo avrebbero ucciso)." sussurrò e si chinò alla sua altezza posando un ginocchio per terra e porgendogli le mani, chiuse, l'una sopra l'altra, come se contenessero qualcosa. Sì udì un piccolo pigolio ed Idrio allungò le proprie per sfiorare quella di Pirecrate che si aprirono delicatamente come la corolla di un loto selvatico.

Rimasero entrambi immobili, solo quel piccolo animaletto si mosse saltellando via da quelle dita scure e un pò ruvidi eppure gentili verso quelle morbide eppure leggermente callose, per il molto maneggiar le corde. Una volta tornato nelle mani dell'Ateniese si voltò verso il volto dello spartano e con quei piccoli bagarozzi neri che erano i suoi occhietti e qualche nota parve proprio ringraziarlo. Risero, sinceramente, tutti e due e gli occhi di uno incontrarono quelli

dell'altro.

"Grazie anche da parte mia." sospirò sorridendo contento Idrio mentre sentiva il cuore bruciargli sempre di più.

Pirecrate si limitò a dargli un bracio sulla fronte, i lineamenti distesi e gli occhi brillanti sotto quel cielo che pareva farlo veramente Ares, potente e grande anche nella sua dolcezza e nella sua magnaminità. Ma nessun dio, nessun eroe, nessun semidio avrebbero mai potuto eguagliare quel sorriso . .


____


Il fuoco gli bruciava non solo il corpo ma anche la mente. Il cuore gli sobbalzava in petto e il respiro gli pareva sempre più faticoso ad ogni passo, incastrato com'era nei polmoni, ma non erano queste le ferite che gli dolevano davvero, come non era nulla il bruciore diffuso che gli proveniva dalla pelle della schiena, lacerata e sanguinante.

Se almeno Febo il saettatore avesse avuto pietà di lui e lo avesse colpito a morte con una delle sue frecce mortali! Ecco, queste erano le preghiere che elevava al cielo e non riusciva a pensare a nulla di più adatto in quel momento. Il passo di Astre gli giungeva da lontano, ed era veloce e leggero come un gatto, come sempre. Nessuna domanda gli giunse da lui, sapeva già cosa stava accadendo.

"Pherio, non dovresti tornare al Campo. La febbre ti sta divorando e le ferite non sono ancora rimarginate. Un giorno di riposo è troppo poco per chiunque, lo sarebbre anche per il divino Eracle!"

Gli donò solo uno sguardo rapido rallentando il passo nel mezzo della strada che portava all'alloggiamento dei giovani. Le sue labbra si dischiusero come per parlare poi lasciò perdere, voltandogli di nuovo la schiena.

"Non sei obbligato ad accompagnarmi, lo sai. Puoi restare nella dimora di mio zio, visto che sei un suo ospite."

Il silenzio si schiantò fra di loro come un masso che rovinasse dall'Olimpo. Il dolore che sentiva dentro, ora, pareva riuscire a comprendere tutto l'universo ed era l'unico che, in intensità, poteva rivaleggiare con la ferita del disonore. Riprese a camminare lentamente, perché ogni passo era una fitta. Si domandò stancamente dove fosse Pirecrate, poi si diede dello sciocco. Poteva essere solo agli alloggi, probabilmente c'era quel ragazzo che si prendeva sempre cura di lui . . Antinoo? Sì, gli pareva quello il nome di quel giovane gentile con gli occhi sempre fissi sulla salda figura indomita del Dimano. Non gli doveva importare, comunque. Non aveva già forse troppi problemi propri per preoccuparsi anche di quel caparbio? Astre, in più, non pareva intenzionato a lasciare il suo fianco e si chiese per la millesima volta il perché.

Ma la sua mente era troppo piena di onde instabili di calore e dolore, tutto il suo corpo bruciava e sentiva lingue di fiamma e lava lambirgli l'anima e sconvolgergli i pensieri. Si fermò a prendere fiato appoggiandosi con una mano a un muro. Si passò un palmo sulla fronte sudata scostandosi i capelli che rischiavano di andargli negli occhi e la polvere che gli rendeva la vista appannata. Si trovò a sbattere le palpebre un paio di volte cercando di capire cosa stava accadendo.

Da lì riusciva a intravedere bene l'ingresso del palazzo in cui erano ospiti gli invitati ateniesi: un carro pronto li stava aspettando, sentì voci rincorrersi nell'aria bollente, saluti rapidi, un messaggero volò via a cavallo. Li avevano richiamati di gran fretta, pareva. Cosa poteva essere successo? Astre, al suo fianco gli rispose con una stretta alle spalle, scuotendo il capo. Poi sollevò il volto e sorrise al giovane dai capelli color miele che, saltato sul carro, era in piedi e si guardava intorno come a cercar qualcuno. Incrociato lo sguardo con Astre, Idrio sollevò una mano in cenno di saluto.

Pherio socchiuse di nuovo gli occhi. Gli doleva anche il capo, ora. Era stanco e aveva sete. Un sospiro poi voltò le spalle a quella scena e si diresse al Campo. Astre riprese a seguirlo in silenzio, un'ombra tremolante di un dio dorato.


"Allora ragazzo, pronti?" chiese Timoteo guardandosi intorno: uno sguardo strano, come se all'improvviso fossero circondati da nemici.

"Sì sì, pronto." disse Idrio, senza notare niente oltre alla propria malinconia, a voce bassa e accasciandosi al suo posto, al suo fianco una veste di lino era ripiegata su se stessa per rendere caldo e morbido il giaciglio di un piccolo uccellino, che si guardava intorno con occhietti vivaci ed intelligenti, pigolando allegro . .

"Dispiaciuto di lasciare la città?" domandò Aristide mettendosi vicino a Timoteo e prendendo le redini dei cavalli che già da un po' avevano iniziato a sbattere gli zoccoli per terra, facendo sollevare un gran polverone nel pomeriggio umido di Sparta. Idrio ebbe sul viso un'espressione amara e fece un gesto col capo, come volendo scostare qualche mosca fastidiosa, poi si strinse più che potè all'angolo del legno, sotto gli occhi dispiaciuti di Aristide.

"Non c'è tempo, vero?" il giovane ateniese strinse a sè la sacca con la cedra, incurante ormai di essere scoperto o meno.

"No, andiamo di corsa." rispose secco Timoteo anticipando una risposta che sarebbe potuta essere più clemente di Aristide. Idrio sentì le lacrime sorgergli dagli occhi ma li strinse forte per evitare che cadessero, come se chiuderli l'avesse potuto rendere cieco al dolore che aveva dentro.

Mentre era ancora così, Aristide schioccò la frusta in aria, i cavalli mossero le zampe in avanti e iniziarono a lasciare impronte sul terreno sotto lo sguardo degli Spartani che vedevano tutto, ma facevano finta di niente.

"Più svelto Aristide!" Timoteo dava proprio l'impressione di voler scappare.

"Faccio quello che posso . . ma non posso correre: ci può essere qualcuno a quest'ora nei campi, che potrebbe attraversare di corsa . . o magari . . che ne so . . giusto stamattina ho visto quel ragazzo andarci e mica è tornato ancora . . come si chiama . . - fece una piccola pausa, Idrio giocava con l'uccellino - ah sì, Pirecrate!" finì scandendo bene le parole.

Il musico si voltò di scatto verso di lui, che finse totale indifferenza, lo ringraziò mentalmente e si promise che avrebbe saputo ricambiare l'immenso favore e scese giù dal legno al volo, ignorando gli ammonimenti di Aristide di risalire immediatamente e, facendogli una linguaccia, schizzò via veloce come un tifone del deserto, in cerca di una chioma nera tra quella spighe di grano.

Forse sarebbe riuscito a salutarlo, forse sarebbe riuscito a parlargli ma doveva andare veloce, veloce e ancora più veloce di quanto mai fosse andato; supplicò Eolo, dio dei venti, di spingerlo col suo soffio e pregò Hermes di prestargli i suoi sandali alati in modo che sul pelago dorato di Gea potesse scivolare fino a che non avesse trovato quello che cercava. Attraversò il ponte e i suoi sandali fecero pochissimo rumore tanto la sua corsa era leggera, tagliò per i campi più piccoli appena fuori la città, calpestando le spighe che incontrava, e fu accarezzato dai venti che sembrarono davvero sospingerlo, saltò, deviò e si perse. Si ritrovò in quell'immensa distesa e cercò qualcosa di familiare, gridando.

"Pirecrate!"

Ma solo l'aria e il suo far frusciare le spighe gli risposero. Poi sentì lo scrosciare delle acque dell'Eurota e seguì il suono fino a che non arrivò alla riva e si guardò intorno; doveva riuscire a rivederlo . . anche se fosse stata l'ultima volta. . Il pensiero gli provocò un singhiozzo ma la sua anima era troppo preoccupata nel cercare per badarci e gridò ancora una volta.

"Pirecrate . . rispondi! - doveva essere lì, da qualche parte, che Aristide si fosse sbagliato? No . . non avrebbe lasciato la Laconia se prima non . . calma . . doveva calmarsi . . - Pirecrate!!"

Ma di nuovo fu solamente la leggera brezza del tramonto a rispondergli. Afflitto, riprese a camminare, con passo spedito e veloce, di nuovo verso la strada che lo avrebbe portato in contrade disabitate e sconosciute alle mani dei contadini e poi di nuovo Atene. La sua città che ora sembrava così meno invitante, così meno 'calda'. . Un passo, un altro, un altro ancora, nuovamente uno, e si ricomincia, uno e due, uno e due, uno due e tre, quattro, salto, giù

dalla grande pietra e . .

Il fiume gli si aprì davanti e mille piccole cascatelle rallegravano l'atmosfera ma non l'animo del ragazzo, che, pesante, indugiava quasi su ogni roccia cercando, insieme, di essere più veloce per non perdere i carri . . anche se, in fondo, l'idea di rimanere non gli sembrava poi tanto tremenda. E pensare che, fino a pochi giorni prima, non vedeva l'ora di andarsene . .Pirecrate . .

"Pirecrate."

Era sdraiato su una roccia, lì, sì, proprio lì poco distante, a prendere gli ultimi raggi rossi del sole che stava per incontrare la terra all'orizzonte, ad occhi chiusi.

"Pirecrate!" ripetè più forte Idrio, accorgendosi che il suo era stato solo un sospiro. Quelle palpebre scoprirono le splendide pupille, il capo reclinato all'indietro verso di lui e scattò seduto scendendo subito dalla roccia.

"Che ci fai qui?" chiese, sistemandosi, senza aver bisogno di guardare la spada al fianco e raccogliendo una freccia conficcata nel terreno lì accanto, arco in spalla: i capelli lunghi erano sciolti e, come la spuma del mare, alcune ciocche più ribelli si arricciavano intorno a quelle più docili, una mezza tunica rossa scarlatta, come il sangue, lo vestiva come se fosse stato un Ares guerriero e furioso che stesse riposando le membra prima di una caccia, lo osservò.

"S-sto partendo . ." ritrovò la voce.

Pirecrate si limitò a guardarlo dall'alto in basso con un'espressione indifferente e tagliente.

"E allora?"

Idrio divenne più rigido delle rocce che tutt'intorno incorniciavano il fiume, e con uno spostamento veloce del braccio mise dietro l'orecchio alcune ciocche che gli venivano davanti gli occhi.

"Volevo salutarti, tutto qui" guardava per terra mentre lo diceva.

"Bè allora fallo e lasciami in pace!" esclamò secco quell'altro.

Idrio aprì bocca ma all'ultimo istante decise di non dire nulla, si diresse verso Pirecrate, gli passò vicino come se fosse stato aria e si riavviò verso la strada che non era poi così distante . . I carri anche più lontani si potevano ancora scorrere alla luce che iniziava a divenire crepuscolare e poi notturna. Solo quando il vociare del fiume era divenuto abbastanza indistinto, permise alle lacrime di scendere: che si era aspettato? Che voleva aspettarsi? Perchè sentiva così tanto dolore . . in fondo non lo conosceva, ci aveva parlato un paio di volte, anche se si erano baciati, era un *estraneo* . . eppure . . Eppure gli veniva tanto da piangere: una lacrima di dolore, l'altra di rabbia

Si asciugò gli occhi con forza prima di arrivare in prossimità dei carri, ricevendo da Aristide solo un'occhiata rapida; Timoteo non era seduto accanto a lui e l'uomo anziano gli fece cenno di sedersi lui al suo posto.

"Non ne ho voglia." e si accostò al legno preparandosi a salire al volo.

"Sì che ne hai voglia! - replicò Aristide con un sorriso bonario, quello che solo gli uomini anziani che la sanno lunga possono avere dipinto su lineamenti vetusti solcati da profonde rughe - Allora, come è andata?" domandò conoscendo già la risposta.

"Benissimo." rispose acido Idrio.

"Ti ha detto di 'stargli alla larga'?" chiese ancora.

"Più o meno . . comunque grazie, anche se non ne valeva la pena." disse amareggiato Idrio poggiando un braccio sul legno dello schienale e guardando il fiume.

"Forse non hai visto bene." sentenziò Aristide, ricevendo un'occhiata interrogativa da quel ragazzo ancora troppo giovane per capire alcune cose ed ancora troppo inesperto di Sparta per saperne altre. Affidando le redini ad una sola mano sollevò il braccio putando il dito verso un albero che, alto, si stagliava su una collina, accanto alle ultime lingue di fuoco solari.

"Cosa?" Idrio cercò di vedere ma tutto quello che scorgeva era un'ombra che spuntava fuori dal terreno aggrovigliandosi e aprendosi in una chioma . . ma poi ne vide un'altra, più piccola e dai contorni più sfumati . . dovette distogliere gli occhi.

"Lo hai visto?"

"Insomma, Aristide, chi dovrei vedere?"

"Quello." e la parola fu accompagnata da un qualcosa che colpì un lato del carro; Idrio si spaventò e prese un braccio ad Aristide, guardandosi intorno.

"Bel tiro!" fu tutto quello che disse l'anziano, iniziando a fischiettare qualche strana aria e non scomponendosi di pezzo, guadagnandosi un'occhiata storta del giovane, che preso coraggio e curioso, si avvicinò alla parte, che era proprio vicinissima a dove stava lui, insomma . . avrebbe potuto *prenderlo*!

Vide una freccia conficcata nel vecchio legno, una freccia lunga e qualcosa attorcigliato attorno; la prese tra le mani ed esaminò quei lunghi filamenti . . neri e ribelli. Una ciocca di capelli.

Di Pirecrate.

"Io non sarei così sicuro che non gliene importi niente di te: per gli Spartani i capelli sono un dono che la natura ha offerto e non amano affatto *tagliarli*." disse Aristide tra il giocoso e il serio, ma sempre con un sorriso scolpito sul volto. Idrio non disse niente ma sciolse dal legno sottile della freccia quei filamenti che avevano il colore della roccia vulcanica, belli,

lucenti, e sospirò avvicinandoseli al volto per poi sentirne l'odore, cercando di catturarlo per non dimenticarlo più.

Per non dimenticarlo più.

Con gli occhi un po' lucidi guardò di nuovo verso la collina ma la luce era così poca che già l'albero diveniva un'ombra che poteva essere immaginaria, eppure con occhi che non erano quelli fisici, se occhi del cuore esistono - anzi, da quel momento in poi Idrio ne fu veramente convinto per esperienza - con quegli occhi che tutto riescono a vedere, vide la bella figura di Pirecrate alzare un braccio e lentamente spostarlo nell'aria, un po' a sinistra, un po' a destra, per ritrarlo, le dita mezze schiuse, e rimettere l'arco in spalla.

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