NOTE: i personaggi sono nostri! Idrio e Pirecrate sono di Kalahari e Pherio e Astre di Dhely. In compenso, però, non ci guadagnamo nulla da nessuno di loro!



Di odio e di amore

di Dhely e Kalahari

Parte 2/?


"Quella - disse il ragazzo al suo fianco mentre indicava un'ampia radura imbrunita dal sole, che si intravedeva appena digradare da un lato dell'Acropoli - è la piana di Otona. Lì in autunno e in inverno è pieno di guerrieri e spartiati schierati in fila per dieci, con scudi e lance piantate per terra, lì, lo vedi? Poi da est arrivano le truppe d'assalto in fila per otto, correndo come dei pazzi. E' uno spettacolo, amico mio, uno spettacolo spaventoso! Tutta la valle risuona della violenza dell'urto, sembrano dei o titani che ingaggino battaglia . . una cosa indicibile . . "
Idrio osservò Astre scuotere il capo in silenzio, come perso dietro a memorie lontane mentre con la mano indicava, elegante, il movimento delle masse umane che vedeva chiare con gli occhi della mente.
"Tu hai combattuto?" gli chiese, incuriosito di sapere un po' di più su di lui . . c'era qualcosa che continuava a sospiragli nella mente, come a volte fa Hermes suggerendo cose vantaggiose.
Lo sentì ridere, un suono gentile e gradevole che spesso gli arricciava le labbra e gli illuminava gli occhi ancora di più, anche se in quel momento passò veloce una nuvola, che parve offuscare qualcosa . . ma a sua volte fu bandita, rapidamente. Ancora la figura di Hermes rapido gli sfumò di fronte agli occhi. Hermes...
"Io? No no, io non sono spartano! L'agogè, l'addestramento spietato di questa gente, non è per chi è figlio di un amico di famiglia venuto per imparare gli usi e i costumi di qui. - Astre lo guardò appena con la coda dell'occhio, riprendendo a camminare lentamente - Ma vieni, andiamo. La città non è grande però ho ancora parecchio da dirti; con questa gente non capita spesso di farsi una bella chiacchierata, sai?"
Idrio sorrise, curioso.
"Io credevo che tu fossi lo . . mhm . . scudiero di . . di Pherio."
Il suo sguardo lampeggiò un attimo, poi si quietò, gentilmente.
"Un ilota segue un guerriero ma a me, no, non è consentito neppure questo. Anche se è vero che le sue ferite sono io a curarle. Sono abbastanza bravo con le erbe, sai?"
Quando i suoi capelli si mossero sotto la gentile brezza fresca scivolata giù dal cielo per portare un poco di refrigerio in quel pomeriggio bollente, Idrio notò per l'ennesima volta la sfumatura inusuale che assumevano: tanto neri, di un colore così cupo da avere riflessi bluastri quasi, da fargli pensare che se fossero stati in un'altra città sarebbe stato merito di uno di quei capricci da ricchi. Ma lì era certo non si sapesse neppure cosa fosse, o per lo meno, non fosse ossibile pensare una simile civetteria.
Per cui dovevano essere naturali, nella loro estrema singolarità.
"Di dove sei? Sei greco?"
"Della Ionia. Sono di Mileto - un sorriso sghembo scuotendo il capo - Un mezzo persiano, come non esitano ad appellarmi qui."
Idrio s'illuminò. Parlare di Mileto e delle Colonie gli faceva ritornare in mente la sua bianca Atene e la meravigliosa Acropoli che si vedeva fin dall'ingresso del porto al Pireo. Adesso ce l'aveva davanti: navi dalle candide vele e gabbiani a narrare le sorti dei mille marinai che affidavano la vita al dio Poseidone, pallide dita d'aurora a scolorare sui muri bianchi delle case eleganti e i giardini curati, l'ombra fresca a sorgere dall'incontro del sole con la brezza che sapeva di salsedine. E lì in una angolo dell'agorà Polinice, il vecchio e ricco mercante a passare ore nei pomeriggi assolati narrando ai ragazzini che lo stavano a sentire delle sue strepitose avventure per mare, che potevano essere vere come assurde ma erano sempre belle e che importava se veritiere o no! Per dei bambini ciò non conta perchè sono i sogni che vogliono, racconti di tempeste e di bufere, di gorghi paurosi, di mostri terribili che fanno a pezzi le navi solo aprendo le fauci, di meravigliose sirene che con la loro voce traditrice non esitano a sedurre gli uomini sui legni, e poi delle Colonne che segnavano la fine del mondo...
Idrio era stato uno di quei fanciulli: incantato e affascinato da tante meraviglie ed avventure che potevano incontrarsi per mare. E s'era ripromesso che un giorno sarebbe salpato per vedere tutte quelle meraviglie per poi farne poemi e poesie, avrebbe suonato la sua cetra in tutti gli angoli del mondo e avrebbe cantato ciò che aveva visto! Ma ora, la prima volta che metteva un piede fuori dalle candide mura della sua Atene, non vedeva l'ora di ritornarvi.
I suoi sogni erano le illusioni di chi spera in altro ma non è pronto a lasciare ciò che ha, perchè chi viaggia viene rapito dal richiamo di ciò che è dopo l'orizzonte, oltre le montagne e oltre il mare e vuole seguire il vento... Gli mancava immensamente l'odore del Pelago, e il Urano profondo in cui spiccava quell'Acropoli troppo bianca per sembrare vera, tanto eterea da poter sembrare un Olimpo scosso dalle stagioni e dalle vicende corruttibili.
Non gli piaceva quella terra aspra e bruciata, spigoli aguzzi contro il cielo, non amava quello sconfinato altopiano troppo luminoso eppure così bruno e, soprattutto, quella città senza mura gli sembrava quasi un'empietà. 
Fustigavano i ragazzi e vivevano combattendo, addestrandosi per una guerra sarebbe potuta non venire . . ad Atene c'erano le tracce della guerra: c'erano mendicanti, soldati sbandati, c'erano i relitti che le battaglie lasciavano dietro di sé ma non si respirava quell'aria. Non c'era quella tensione continua, quell'assoluta aspettativa, quell'immobile guardare al futuro senza perdere mai un solo attimo di vista il passato. Dicevano di non volere la guerra ma non sapevano fare altro che uccidere ed era per questo che la terra sotto i suoi sandali sapeva di sangue e dolore e fatica.
Però, era vero, a Sparta non c'erano mendicanti: venivano rifiutati; non c'erano sbandati: non venivano tollerati; non c'erano bambini fragili e malati: venivano strappati dalla culla e gettati giù da una rupe in sacrificio alla loro perfezione. Sangue e morte . . e nessuna lacrima per lavare l'anima, ecco l'odore che sentiva intorno e di cui aveva paura d'essere impregnato, come chi troppo a lungo dorma in terra tra lupi feroci, pronti a mordere se gli si passa troppo accanto. Ma non c'era neppure crudeltà, non gratuita almeno, perchè non c'era gioia nel dare una punizione, non si assiepavano festanti intorno ad un patibolo per le esecuzioni, non sollevavano il braccio per colpire qualcuno che non fosse nemico.
Idrio scosse il capo: quella città suscitava in lui sentimenti forti e troppo contrastanti, non sapeva cosa pensare e non riusciva a capire quel che sentiva.
Era troppo confuso e si sentì spaventato. Terrorizzato quasi.
Ma da cosa?
Guardò Astre direttamente negli occhi. Era incuriosito da quel bizzarro straniero, singolare invitato in una città come Sparta, ma era stupito anche da quell'altro ragazzo, Pherio, e dai suoi occhi che parevano sfere di luce e cielo, i capelli così chiari da non poter essere paragonati a nessuna chioma che avesse mai visto in un greco. Era incredulo e confuso dal legame che sentiva forte fra due persone così diverse ed era annichilito, quasi, degli assurdi precetti che gli spartani tramandavano ai loro figli. 
Ma tutto questo non era sufficiente, la spina più grande era un'altra.
Gli bastava socchiudere appena gli occhi per vedere lo scintillare dell'arma, l'arco argenteo che fendeva l'aria e la macchia di sangue allargarsi sulla sabbia. Quell'odore che non poteva negare a se stesso di continuare a sentire nel naso, quella vischiosa consistenza sulla mano . .
"E Pirecrate?"
La domanda gli era sfuggita dalle labbra senza che la sua volontà l'avesse chiesto; Astre si strinse nelle spalle passandosi elegantemente una mano fra i capelli per scostarli dagli occhi, ma naturalmente tornarono a loro posto scivolando lentamente. 
"A Sparta tre sono le famiglie gentilizie più influenti, Pirecrate è il primogenito di una di queste, tutto qui. - gli sorrise e lo fece arrossire.
Idrio riuscì a convincersi che avesse solo caldo e che . . che! - E' un ottimo guerriero, estremamente ammirato. Ma, da quel che ne so, hai potuto assistere a un suo combattimento e avrai potuto accorgerti da solo della sua abilità."
Astre si era fermato schermandosi gli occhi dal sole troppo diretto che gli picchiava addosso, le iridi grigie gli scintillavano di pagliuzze argentee sembrando più chiare di quanto fossero solitamente -due pozzi melanii di fine inesistente- Idrio si morse la lingua evitando di fare ulteriori domande, rendendosi conto che era sciocca tutta quella agitazione assieme a tutto quel trambusto che aveva dentro. Con un respiro profondo si impedì di lasciar tremare le mani 
"Che succede?"
Astre agitò la mano libera nell'aria, sorridendo. "Aspasia!"
Una ragazza stava arrivando con passo spedito lungo una stradina in salita: le gambe abbronzate e ben tornite di gazzella si vedevano chiaramente dal vestito corto, il volto fine era incorniciato da riccioli scuri insistenti sulla fronte per il sudore e il  sorriso ampio e luminoso le scintillava negli occhi profondi e fermi.
"Astre! Come va? Ma non sei con mio cugino?"
"Era al Campo fino a poche ore fa e visto che nessuno aveva bisogno dei miei servigi mi hanno chiesto di illustrare la nobile Sparta a questo giovane ateniese - si voltò verso Idrio - Ti presento Aspasia, nipote del saggio Kakeo e cugina di Pherio, della famiglia dei Panfili. "
Idrio la fissò arrossendo: ad Atene non era solito incrociare fanciulle in abiti così .. discinti. Era una voce ricorrente che le donne di Sparta fossero senza pudore eppure questo non escludeva che fosse una cosa sconvolgente; un luogo così severo e rigoroso come poteva permettere che succedessero certe cose? Eppure Astre non sembrava stupito da vederla abbigliata in quel modo e Aspasia camminava a suo agio, nessun altro la degnava di un secondo sguardo. La vide sorridere e si convinse a chinare un poco il capo. 
"Mi chiamo Idrio."
Lei sorrise, i suoi capelli scuri le si appoggiavano sulle spalle acconciate in una treccia pesante, le guance accaldate brillavano di sudore e giovinezza.
"Un amico di Astre è anche un mio amico. - sorrise di nuovo, poi si voltò verso Astre - Ho sentito della sfida di oggi, Pherio è sempre il solito! Ma si è fatto male?"
Una lieve sfumatura di preoccupazione, Astre scosse il capo.
"Non sarebbe stato accettabile se si fosse tirato indietro e avesse rifiutato la sfida con Pirecrate, lo sai. Non l'avrebbe fatto neppure se avesse dovuto combattere su una gamba sola, conosci com'è fatto tuo cugino."
Aspasia sospirò.
"Ahimè sì. - rise - Ma sentimi! Sembro una madre troppo apprensiva! Solo che è il mio cuginetto preferito . . "
Idrio li fissò stupefatto ma si lasciò trascinare dai loro discorsi, anche se i suoi pensieri indugiavano sempre sulla stessa persona . .

"Per poco, dannazione per poco!" sbraitò Pirecrate tirando per aria il rotolo di bende che andò a urtare il muro, sciogliendosi quasi completamente, e strappandosi quelle che aveva indosso.
"Rimettiti le bende incosciente!" gli disse uno della camerata, rimasto a prendere le armi.
"Fatti gli affari tuoi!" intimidì con occhi arroganti e voce di leone, premendosi con una mano contro la ferita: dannazione, che *vergogna*! E ogni volta che veniva battuto da 'quello' niente cambiava, aveva addosso sempre la stessa identica sensazione di . . neanche voleva dirla quella parole! Che era inferiore a qualcuno? NO! Pirecrate era un Dimano, primogenito maschio di una nobilissima famiglia e non poteva perdere contro nessuno, specie contro uno che tutte aveva le fattezze tranne che dello spartano!
Eppure quel giorno era terminato nella polvere, e per di più ferito, lui, *ferito* dalla medesima spada che strideva contro la sua suonando la fatale armonia; adesso la ferita s'era riaperta. Si premeva le mani contro di essa, che iniziava a diventare sempre, sempre più calda, come il resto del suo corpo. Eppure la sentiva appena perchè le vere fiamme a bruciargli gli occhi erano dell'ira rovente, che in colate di lava percorreva tutto il suo essere.
Scansò l'altra mano che teneva sulla fronte, per fissare il cielo che la finestra davanti al suo letto lasciava scorgere e, su Ares vincitore, giurò che il giorno in cui Pherio avrebbe saggiato la lama della sua spada sarebbe stato per lui l'ultimo.
"Pirecrate io devo andare . . ti consiglio di non far infettare quella ferita se vuoi arrivare in perfetta forma alla fustigazione." disse quel compagno dalla porta, spada e lancia nelle mani.
"Potrei battere quel figlio d'un cane illegittimo alla fustigazione anche se avessi la lancia di Minerva infilata tra le costole e le arpie ad insediarmi le carni! Vattene pure: non ho bisogno dei tuoi consigli!" rispose alzandosi in piedi e dando un calcio alle fasce insanguinate.
L'altro lo guardò un attimo e prima di andarsene disse "Il tuo brutto carattere non ti porterà da nessuna parte".
Pirecrate si voltò di scatto cercando prima con gli occhi colui che aveva osato proferire tali parole, a *lui*, e quando lo inquadrò, come una fiera che s'appresta ad inseguire di scatto e a sorpresa la preda, si lanciò in avanti ma un piede gli fallì. La sua mente impiegò qualche secondo a registrare ciò che gli era accaduto ma dopo che riuscì a rialzarsi in piedi e la vista gli tornò normale l'altro se n'era già andato, per sua fortuna. Quello scocciatore era l'unico a possedere l'ardire per rivolgergli la parola oltre gli allenamenti, mentre tutti gli altri più lo evitavano meglio era, visto che lui era il migliore di tutti e *nessuno* era degno di parlargli o soltanto di guardarlo!

Lui era il migliore . . lui era l'unico maschio della famiglia e doveva essere il migliore, per suo padre e per i suoi antenati. Il migliore, il combattente più forte, nobile e fiero che la Grecia avesse mai conosciuto . . questo era il pensiero che la notte infestava il suo sonno, questo era quello che vedeva in ogni avversario che scendeva contro di lui nell'arena: l'obiettivo. E niente poteva togliergli ciò che si era prefissato, ciò che doveva raggiungere ma .. ma c'era qualcun altro che non voleva lasciare la sua strada. Qualcuno, che, giurò, avrebbe pagato cara la sua sfrontatezza, il suo non arretrare, il suo non cedere! L'avrebbe fatto a brandelli e avrebbe offerto le sue viscere su un altare!
Guardò le bende sul pavimento e sentendo il bruciore del taglio sempre più insistente allungò leggermente la mano per prenderle ma la bloccò immediatamente a mezz'aria. Che stava facendo? Stava *cedendo*? Poteva stare benissimo anche con la ferita lavata e non c'era bisogno di niente altro! Si mise sulle gambe per andare a cercare un po' d'acqua per sciacquarsi il viso, improvvisamente caldo, e per lavare via tutto ciò che poteva esserci di impuro nella sua ferita; ma prima prese la sua spada e portata sulla lama la mano traditrice, stringendola, con un gesto secco e senza esitazione strattonò lasciando correre il ferro lungo il palmo da tagliare la pelle senza danneggiare i tendini.
Alzò gli occhi verso il soffitto e fu l'Olimpo degli eroi ciò che vide e il suo trono al di sopra di tutti quanti: mai più ci sarebbe dovuto essere un anello debole nella sua volontà . .

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Pherio era in piedi e fissava in silenzio la valle piatta e ampia che si stendeva sotto di lui. Due settimane dopo la fustigazione del giorno successivo, l'esercito sarebbe partito per un addestramento in campo aperto. Otto giorni e nove notti di esercitazioni estreme, continue, snervanti. Una unica, lunghissima marcia senza dormire, in equipaggiamento completo; poi le guardie, i turni brevissimi, il rigore estenuante, gli assalti notturni contro i pendii ripidi, su un terreno irto di massi e punteggiato di querce, perfetto per rompere il ritmo, per infastidire il passo, per intralciare lo slancio. Negli ultimi due giorni non sarebbero state più distribuite neppure le razioni d'acqua per non parlare di quelle di cibo, ma non era quello l'importante. Pherio si ritrovò lì da solo, in quel momento come sospeso tra la promessa di un tramonto e lo spettro di un torrido pomeriggio, ad affrontare qualcosa che improvvisamente sentiva essere piu grave e grande di lui. Troppo pesante per le sue sole spalle.
Era stato addestrato a sopportare il dolore, a sopportare la fatica, la fame, la sete, a prendersi la responsabilità che comportava il comando, a sopravvivere in uno stadio assurdo di stanchezza e tensione. L'anno precedente era stato lui ad accompagnare al Campo il loro compagno, Ermione, spezzato dalla fatica e dalla disidratazione. Aveva portato lui, ai suoi genitori, lo scudo e la lancia. Era stato lui a rendergli omaggio. Mai aveva pensato che fossero stati colpevoli i loro capitani, i loro insegnanti, e quando aveva sentito Astre scivolare in certi discorsi l'aveva redarguito con astio.
Quella era stata una perdita per l'intera polis, un giovane che periva nell'addestramento era un avvenimento da evitare a tutti i costi, ma l'addestramento era più importante che eliminare qualsiasi possibilità di una disgrazia simile. 
Se non avessero più insegnato ai ragazzi a combattere, a sopportare e temprare la propria forza rendendola usufruibile nel mezzo di qualsiasi difficoltà, cosa sarebbe rimasto di Sparta?
Ma, d'altra parte, cosa poteva saperne Astre? Lui che parlava di navi e sognava il mare, che raccontava di palazzi ampli come tutto il Campo e di volte che toccavano il cielo, incrostate d'oro e pietre preziose e colonne a tenerle su, grandissime, che poteva sapere cosa significasse svegliarsi ogni mattina della propria vita e vedere quella terra brulla e aspra? E imparare ad amarla più che se stessi ed essere pronti a morire per la propria città? No, lui veniva da oltre il mare, lui veniva da . .
"Pherio, sei ferito?"
Si concesse appena un sorriso prima di voltarsi leggermente, incrociando quegli occhi scuri e luminosi insieme, di un grigio scurissimo, quasi abbacinante sotto i raggi di quel sole morente, agghindati con la solita espressione curiosa, impenetrabile. Quella espressione lontana, estrema dimostrazione che quel ragazzo proveniva da oltre il confine del mondo conosciuto. Un barbaro, o poco meno.
Parlava in greco, vestiva come un greco, si comportava come loro, ma . . 
Scosse il capo.
"No, stavo solo pensando. Fra poco l'esercito sarà in partenza per l'addestramento."
La sua voce era pacata, il tono basso. Non gli serviva fissarlo per sapere che non gli stava prestando orecchio. I suoi occhi erano fissi sui suoi lunghi capelli che gli solcavano la schiena, un'unica, incredibile colata dorata e scintillante, incantato come se avessero avuto il potere di cantare con voce suadente un canto avvolgente di sirena, pericoloso e mortifero.
Pherio sentì le proprie labbra piegarsi appena in un gesto amaro distogliendo lo sguardo. Non avrebbe dovuto pensare ad Astre come 'barbaro', non lui, almeno. Non con il suo aspetto. Non con il suo passato. 
La natura aspra intorno a lui era brulla, la terra rossa rendeva quel panorama quasi alieno, sotto un cielo carminio, infiammato, come se fosse di lava . . eppure era più tranquillizzante quella vista che non continuare ad osservare quel volto sottile, elegante, dotato di un fascino curioso, naturalmente ricercato; quel corpo sinuoso, attraente . . perché mai avrebbe dovuto trovare attraente un corpo maschile? Un corpo come quello di Astre, poi! Un corpo sottile e flessuoso, più simile a quello di un danzatore che non a quello perfetto d'un guerriero. Lui era cresciuto in mezzo a piccoli giovani adoni, ragazzi e uomini dall'aspetto scolpito di una statua di bronzo forgiata da ore trascorse tra allenamenti e sfide, dal sole che baciava la loro pelle, dal seme generoso e forte e bello da cui nascevano . .
"Ti ho visto, oggi, combattere."
Pherio abbassò lo sguardo, una strana sensazione a strisciargli lungo la schiena come le dita viscide e gelide di Fobos, il terrore. Il tono di Astre non era il solito, piatto, tranquillo, ma sfumato, con una iridescenza splendida.
Pherio sentì il cuore tremargli appena, come non aveva mai fatto durante i combattimenti, come non s'era mai ghiacciato di fronte a una sfida. Si morse un labbro.
Quella era una mancanza, una debolezza ed Astre lo sapeva: aveva imparato a conoscerlo. Probabilmente ora, voltandosi, non avrebbe visto un sorriso di scherno su quel volto sottile e arguto ma Pherio era cosciente che si trattava solo di un'ulteriore dimostrazione della sua abilità a camuffarsi e a nascondere in sé i suoi segreti. A prendersi gioco di lui. Strinse i denti.
"Allora avrai visto anche che non mi sono fatto nulla."
Si voltò di nuovo. Fronteggiarlo era difficile, enigmatico come una sfinge con quei suoi occhi di levigata e lucida pietra. Si ritrovò a sussurrare nel vederlo avvicinarsi di un passo mentre si stringeva nelle spalle. E di nuovo sorse quello sguardo incredibile, quella sfumatura remota che danzava sotto le ciglia troppo lunghe e troppo scure e le sue labbra piegate in un gesto di scherno misto a passione, misto a . .
"Mi preoccupo di ben altre cose che non la tua incolumità in battaglia . ."
La sua naturalezza era disarmante. Pherio sentì la consistenza di quelle parole sfiorargli la guancia in un alito tiepido e ancora quel movimento elegante, flessuoso come quella di un serpente marino, il corpo lambirgli dolcemente un fianco con grazia e quel nuovo sorriso pallido, invitante . .
Se non fosse stato per suo zio l'avrebbe ucciso già da tempo. Nello suo sguardo lesse lo stesso ricordo che era sorto anche a lui, rasentandogli la superficie della mente. Quanto tempo era passato?
Mesi. Al ritorno di una ronda, al rientro dalla dimora dei suoi parenti, con l'incarico di portare al proprio capitano un rotolo di papiro contenente nuove indicazioni per la suddivisione dei compiti dei ragazzi, l'aria immota e fredda dell'attimo che precede una tempesta, il passo leggero e veloce di Astre al suo fianco. E lo stupore a squarciare il cielo come la saetta di Zeus tonante rimbalzò fra le nubi, quella mano sottile a stringersi con una forza inaudita contro il proprio polso inflessibile, lo strattone simile al sorgere improvviso del vento dal niente. Aria che con sè portava pioggia a cadere di sbieco lungo i muri, infinite stilettate a colpire l'intonaco delle case e facendo guardare curiosi i bambini più coraggiosi fuor dalla finestra, il suono dello scroscio d'acqua piovente dal cielo annullato in un unico gesto, con un unico atto. Le labbra di Astre sulle sue. 
Premute con forza. Con desiderio.
Fuoco e gelo.
Immobilizzato contro quel corpo, la schiena stretta contro un muro, immobile e silente, reso succube da un corpo a cui avrebbe potuto spezzare il collo con un gesto delle mani. E il suo sguardo pieno di stelle e vento quando il volto era molle di pioggia e le parole strappate via dalle labbra non appena lasciavano la bocca. La sua maschera scostata dal suo volto, ora la sua vera facciata: l'arroganza.
'Io non chiedo, prendo. Io non dico, faccio. Voglio te e ti avrò.' 
Null'altro, il tono gelido lievemente ammorbidito solo dall'ansia, dal fiato che si faceva pesante.
Rabbia. Furia. Odio. Cosa aveva provato? Tutto questo . . tutto ciò che non aveva mai provato prima. Lui che era un guerriero, lui che sarebbe stato il migliore degli Spartani. Lui che non aveva mai paura. Lui che non arretrava mai. Lui che era sempre superiore, irraggiungibile. Lui era crollato su quelle labbra e tra quelle braccia. Se non ci fosse stato la scintilla di disprezzo nello sguardo di Astre a farlo ritornare consapevole della propria posizione, se non fosse stato per l'arroganza, per quel suo non considerarlo degno, non completamente alla sua altezza, Pherio sapeva che non si sarebbe fermato. Non l'avrebbe fermato. Non si sarebbe staccato da lui.
Non avrebbe articolato quella sillaba: 'No.'. Non avrebbe mai pensato che no, lui, lui no: aveva un onore da mantenere e non sarebbe stato quel vanesio straniero a farlo capitolare, non sarebbe stato lui a conquistarlo . . e soprattutto non così, come una città senza difensori sugli spalti che si piegava al primo blando assalto.
No. A quella risposta aveva visto l'odio, aveva visto il disprezzo, aveva visto stupore rabbioso. Astre s'era riscosso, si era corrucciato, il volto piegato in un'espressione disgustata. Un rifiuto . . il nobile Astre non era avvezzo ai rifiuti, pareva. La vittoria di Pherio, però, sapeva comunque di cenere.
La pioggia gli aveva ghiacciato anche l'anima, non solo il cuore. Era un errore, era tutto un errore, lo sapeva. Avrebbe dovuto chiedere a suo zio di affidarlo a qualcun altro e non a lui, avrebbe potuto fare in modo di incontrarlo sul suo cammino molto più di rado di quanto accadeva ora, eppure non fece nulla del genere. Era ancora al suo fianco, non riusciva ad allontanarlo, e Astre non riusciva a stargli lontano. Vedeva ogni tanto scoppi muti di rabbia diretti contro di lui disegnarsi in quegli occhi, vedeva certi gesti, l'atteggiamento scostante imporsi sopra il suo solitamente impeccabile portamento, eppure Astre mai s'era tirato indietro, mai aveva avanzato la richiesta di essere adibito a qualche altro compito, mai era riuscito a separarsi da lui . .
Lo sguardo chiarissimo di Pherio si posò sull'altro ragazzo con una delicatezza estrema, come se fosse una carezza, quel contatto che sempre s'era imposto di evitare veniva ricreato ad ogni occhiata, in quel modo. 
"E' mio compito preoccuparmi di te, non il contrario."
Un passo di lato, i loro corpi che si staccarono, il calore di Astre allontanato dal vento leggero che precedeva la notte. Pherio ebbe improvvisamente freddo.
Se esistevano gli dei, quello era davvero un modo per punirlo . . una punizione, sì, per una qualche sua mancanza di cui mai s'era accorto. Perché fra tutti i ragazzi e gli uomini di Sparta, fra tutti gli iloti, i soldati, gli stranieri
di passaggio, fra tutte le statue di dei e i racconti d'eroi, perché lui? 
Perchè non perdersi fra le braccia semplici d'un suo compagno? Non era che una banalità neppure degna d'interesse, quella, ormai: ne aveva visti e avrebbe continuato a vederne tanti, nel silenzio sussurrato delle notti passate negli accampamenti, corpi che si premevano ai corpi, sotto un'unica coperta, oppure figure scure che si allontanavano appena dal cerchio di luce gettata dal falò. Sorrisi lievi scambiati durante gli allenamenti, le mani che si intrecciavano durante le abluzioni, labbra che si allacciavano appena scovato un angolo di precaria tranquillità. Non ne avrebbe ricevuto disonore, né punizioni.
Perché non seguire l'esempio di molti e accettare le profferte di un qualche capitano? Sapeva gli sguardi degli uomini per i ragazzi più giovani. Sapeva dell'eforo che non aveva occhi che per lui. C'erano voci leggere che narravano che perfino suo zio, l'incorruttibile, avesse un fanciullo.
Perché non, nell'estremo della follia, addirittura Pirecrate stesso? Il suo nemico? Quell'incarnazione dell'Ares più spietato? Quel furente figlio della più nobile città di tutta la Grecia . . avrebbe almeno potuto provare, non era certo che avrebbe accettato, ma almeno lui, almeno il forte, focoso Pirecrate sarebbe stato una scelta migliore. Più ragionevole.
Già: trovava della sensatezza in quella scelta che sarebbe stata solamente assurda, paragonata ad Astre. Eppure lui non l'aveva scelto. L'aveva rifiutato.
Aveva evitato di sfiorarlo di nuovo, anche solo per sbaglio. Si era imposto di non pensarci, di non ricordare, di non provare nulla, ma era tutto più complesso quando erano da soli, un corpo accanto all'altro, gli occhi che si perdevano negli occhi . .
Sospirò, rigido nel suo portamento perennemente impeccabile, con Astre che distoglieva lo sguardo. Il suo capitano lo stava attendendo, giù agli alloggiamenti, era lui l'incaricato delle ultime incombenze per la cerimonia del giorno successivo, non poteva farlo attendere.
"Domani ci sarai anche tu alla fustigazione?"
Voltò leggermente il capo.
"Sono stato scelto, insieme a Pirecrate."
"Come tutti gli anni."
Pherio sorrise appena e gli ultimi raggi del sole parvero ad Astre scintillargli addosso.

__

Idrio camminava lungo le vie dell'Acropoli, ma il suo pensiero vagava oltre ciò che gli occhi vedevano; l'aria era ferma, immobile, mentre quel pomeriggio un sottile soffio d'Eolo aveva scosso la polvere della strada, lasciando che i raggi obliqui del carro di Apollo illuminassero l'aria come una nube di granelli d'oro nell'acqua. 
Acqua . .
Sospirò leggermente guardando il ponte che usciva dalla città, non molto lontano, ma ciò che tentava di vedere era il fiume, che risplendeva come uno specchio di rame alle ultime carezze di luce. Avrebbe voluto andare lì e toccarlo ma agli Spartani non piaceva che nella loro città s'andasse in giro di notte perchè dicevano che solo i ladri muovevano i loro passi strisciando dietro le case. Naturalmente glielo aveva spiegato Astre, come quasi tutto il resto: Timoteo sarebbe riuscito ad annoiare persino Socrate, che avrebbe rinunciato a qualsiasi tentativo maieutico nei suoi confronti . . senza speranza.
Il fiume . .
Rimase incantato di fronte alla vista della notte che iniziava ad allungare il suo manto sopra le colline ed Artemide s'accendeva ancor di più mentre i primi astri, come Venere, erano i nei del volto del cielo senza Sole; ne vide sorgere molti, incurante che tra non molto tempo ci sarebbe stata l'adunata per la cena.
"Che fai qui?" la voce di Astre lo fece sussultare, non solo perchè inaspettata, ma perchè sembrava incredibilmente alterata. 
"A-Astre . . stavo guardando la notte." si girò verso la direzione cui pensava si trovasse l'altro.
"Ho chiesto che facevi non che guardavi."
Astre arrivò alla fine della strada che usciva dalla zona dei ragazzi spartani e, anche se la sua espressione era velate dall'ombra dell'oscurità appena rischiarata da una pallida Luna, non potè non vedere la piccola ruga tra le sopracciglia sottili, oltre a quel tono così aspro. Per lui non era mai difficile comprendere quando qualcosa non andasse e in quel momento era tutto assolutamente palese: non aveva mai immaginato che Astre potesse irritarsi in qualche modo, lui che era sempre così padrone di sé e dei propri sentimenti . .
"E' successo qualcosa?" chiese Idrio avvicinandoglisi.
"Niente, sono solo un po' nervoso." rispose l'altro distogliendo per un attimo lo sguardo come a cercare di ritrovare un poco della sua solita calma, infatti quando tornò a posarlo su di lui era tornato normalissimo. 
"Litigato con Pherio?" continuò Idrio non cogliendo la sfumatura d'irritazione che solcò per un attimo le labbra dell'altro, increspandogliele come l'acqua d'un laghetto disturbata dalla brezza.
"No. - una risposta un po' secca. Idrio comprese che forse era il caso di non insistere. Gli dispiacque comprendere di non poter essere d'aiuto a quella persona che con tanta gentilezza e disponibilità l'aveva accompagnato nelle lunghe ore in cui era stato ospite di quella città, ma l'altro gli aveva posto di fronte un secco rifiuto e lui non poteva far altro che lasciarlo in pace, se questo era ciò che desiderava. Astre guardò per un attimo la volta celeste e sorrise, di uno di quei sorriso di Sfinge cui ormai anche Idrio s'era abituato. - Ma non è niente di importante . ."
"Va bene. Dove stavi andando?" iniziarono a camminare.
"Tra poco è ora di cena ma prima devo andare a mettere al fresco questo" e fece vedere a Idrio una ciotola di creta ricoperta da foglie, stuzzicando la curiosità dell'ateniese.
"Cos'è?"
"Un unguento medicinale, ma è efficace soltanto finchè non si riscalda. Oggi avevo portato tutti gli altri in una stanza che sta sempre all'ombra, in un edificio qui vicino, però visto che qualche erba era avanzata sono riuscito a ricavarne un altro poco." porse la ciotola ad Idrio che con grande delicatezza la prese tra le mani, osservandola.
"Te lo lasciano fare?" chiese Idrio con un'espressione fresca e semplice, come era lui.
Astre lo osservò per qualche secondo e poi schioccando prima con la lingua e alzando le braccia disse "Servono anche a loro" fu la risposta e dopo non ci furono più domande da parte del ragazzo.
"Ha un buon odore" affermò però restituendoglielo.
"Tienilo se vuoi." disse Astre riporgendogli la creta.
"Ma non ci faccio niente . . non devo curare ferite!" replicò Idrio arrossendo.
"Tienilo lo stesso, ne ho tanti . . e poi non si sa mai."
"Sicuro?" lo sguardo che gli lanciò fece sorridere ancora una volta Astre.
"Sicuro" la gente cominciava ad affollarsi davanti agli edifici attendendo il momento in cui, molto presto, tutti sarebbero stati presenti e quindi entrare per mangiare. Idrio si scusò con Astre dicendogli che andava a mettere al sicuro il regalo e l'altro rimase solo e rialzò gli occhi al cielo. 
Il giorno dopo sarebbe stato molto, molto lungo . .



 
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