NOTE: i personaggi sono nostri! Pherio e
Astre di Dhely. Pirecrate e Idrio di Kalahari. Anche se la divisione non
è così netta ci siamo suddivise i diritti d'autore in questo modo.
L'ambientazione è in una Sparta ideale (non cercate troppe coincidenze
spazio temporali, non ce ne sono troppe!) ma tutto ciò che siamo riuscite
a recuperare dei veri usi e costumi dell'antica Sparta è stato utilizzato.
Di odio. Di
amore parte
I
di Dhely &
Kalahari
La ruota inciampò su una pietra della strada e il carro sobbalzando destò
il giovane che s'era addormentato. Si chiamava Idrio, ed era un ateniese.
Sbuffò e lanciò un'occhiata lasciando indugiare gli occhi fin dove
poteva arrivare, ma tutto ciò che gli si mostrava davanti era una grande
spianata, divisa da una strada dritta e, purtroppo, poco curata. Avevano
lasciato da ore i bei rilievi dell'Attica, dove almeno cresceva erba verde
e profumata, e si erano addentrati in quella zona sempre uguale, facendo
una sola sosta; ma in realtà Idrio sapeva di non essere empatico col
luogo perchè era un pò troppo lontano da casa.
"Timoteo quando arriviamo?" prima si arriva prima si ritorna
"Pazienza ragazzo . . pazienza."
"E' da quando il sole era allo zenith che porto pazienza! Ma sicuro
che c'è un fiume qui intorno?" e alla domanda Timoteo, prendendo un
fascio di papiri, glielo diede sulla testa.
"Ahia!" esclamò Idrio ritraendosi fisicamente dalla sua
postazione vicina al luogo di guida, e infatti lì Timoteo sedeva accanto
al conducente del carro.
"Questo è per non essere stato attento alle mie lezioni!" lo
rimproverò rimettendo i papiri al loro posto e riprendendo a parlare con
Aristide, il conducente.
Idrio allungò il braccio verso una corda lasciata infunzionale lì
accanto e iniziò a giocarci vedendo quanti tipi di intrecci poteva farne
con una soltanto ma, ben presto, si stancò, non riuscendo a mantenere la
concentrazione sotto il sole che, benchè stesse ormai quasi per toccare i
colli ad ovest, sua destra, continuava a scaldare la pelle sudata; il
vento era talmente debole da riuscire a smuovere appena i suoi capelli.
"Allora Idrio sei impaziente di vedere il fiume?" chiese
Aristide sorridendo al giovane e distraendosi un attimo dalla strada che
avevano davanti, destinata presto a prendere un aspetto serpeggiante per
passare tra le catene dei monti.
"Sì!" rispose il ragazzo sdraiandosi e fissando il cielo che
cominciava a prendere delle screziature rosse ed arancioni. Ma perchè
perchè sua madre era così *testarda*?
"Bè siamo quasi arrivati alla fonte, se vorrai rinfrescarti . .
"
In quel momento Idrio sentì, impellente, l'urgenza quasi fisica di poter
tenere tra le braccia la sua cetra, nascosta sotto una pesante stoffa tra
gli oggetti di viaggio, dato che sua sorella lo aveva guardato come Hera
avrebbe potuto guardare uno Zeus in fallo, quando le aveva chiesto se
poteva portarsi dietro il suo adorato strumento. Un'occhiataccia così
severa e un divieto tanto irremovibile perchè volevano che divenisse un
ambasciatore importante e riconosciuto nella polis ateniese, invece che un
musicista vagante; e suo padre? Bè suo padre gli avrebbe detto di
prendere la via che avrebbe più desiderato e non quello che gli avrebbe
fatto più comodo . . già, se solo fosse stato ancora in vita. Quindi per
assecondare la madre e la sorella era partito sotto la custodia d'un amico
di famiglia, Timoteo, verso la città ai confini del mondo civilizzato per
apprendere l'arte della diplomazia. Una città che tutto aveva a che fare
tranne che con dialettica ed oratoria!
"Timoteo ma è vero quello che mi dicevi prima?" chiese
all'improvviso tra gli intercalari dei passi dei cavalli che, aggiogati,
trascinavano il carro.
"Che è gente di poche parole? Sicuro . . lo vedrai! - rispose il
custode del ragazzo ammiccando ad Aristide che rise di cuore - Pensa che
mangiano una brodaglia terribile, osandola chiamar pasto! E i giovanetti
come te li fanno stare sempre con i brontolii nello stomaco con lo scopo
di farli divenire più forti oltre che a stremarli dalla mattina alla
sera!"
"Io non sono un mangione" affermò Idrio sdraiandosi sullo
stomaco e guardando i due uomini più anziani.
Aristeo aveva ormai superato i cinquant'anni ma aveva ancora molti capelli
neri e folti, sempre perfettamente pettinati, rispecchiando la personalità
sempre vigile alla cura di sè dell'uomo; Aristide di anni ne avrebbe
potuti avere il doppio di Timoteo oppure dieci di meno . . a dire la verità
Idrio non aveva idea da quanto tempo l'animo fosse entrato nella spoglia
mortale di quell'uomo, ma era sicurissimo che la permanenza sul mondo dei
vivi non ne avesse invecchiato lo spirito.
"Ah ragazzo mio! L'inesperienza e l'ignoranza han voce in te-"
"-io ho tentato di insegnargli però!"
"Nessuno ha detto che tu, Timoteo, non abbia tentato! Evidentemente
il ragazzo non aveva interesse nella cosa - intervenne Aristide in difesa
di Idrio, lanciandogli un'occhiata comprensiva e il giovane ateniese
sorrise in risposta. - Stavo dicendo . . è gente un pò strana, con i
suoi costumi bizzarri, ma ti farà bene conoscerli"
"Io non ne ho voglia: e poi a che mi serve conoscere persone di una
città così lontana da Atene! Sono giorni - si alzò in piedi e andò a
sedere tra i due - che viaggiamo e io non ce la faccio più, insomma!
Anche l'attesa di Demetra mi sembra più dolce della mia: sotto il sole,
da giorni, con poca acqua e *senza la mia cetra*" dentro la sua testa
quest'ultima affermazione suonò come 'senza poter *suonare* la mia cetra'.
"Piccolo insolente d'un musicista, guarda prima tutte le altre
opportunità che ti si aprono davanti gli occhi e poi decidi di divenir
poeta!"
"Ma che avete contro i poeti?" chiese Idrio piantando gli occhi
in viso a Timoteo.
"Niente. Che hai tu contro i diplomatici?"
"Lavoro noioso."
"Avanti voi due smettete di attaccarvi ai calcagni: Timoteo lascia
che il ragazzo veda e decida mentre tu, Idrio, non fissarti troppo su una
cosa: fare il musicista è un lavoro molto bello e nobile, dà ascolto a
me, però ai giorni d'oggi Atene guarda molto di più chi sa parlare il
Secondo Discorso, chi tratta con gli altri popoli assicurando le
trattative, che un musicista . . persino Omero non sarebbe stato ben visto
nell'Atene di oggi" ed era vero, questo Idrio lo sapeva, però . .
che c'era di male nel sognare? E i suoi sogni non portavano in una città
nel cuore del Peloponneso, oltre Corinto, Argo e Mantinea, verso l'unica
polis che ancora viveva la perfezione dei tempi di Omero . . sì, lì
sarebbe stato bello poter respirare la vera aria antica, però Timoteo gli
aveva parlato di quanto fosse difficilissimo avvicinare quella gente.
Tra i tre calò silenzio.
Poco dopo, proprio mentre le prime stelle venivano svelate, cadendo il
manto del carro divino di Apollo splendente, quelli umani messi in fila
uno dietro l'altro, in testa quello di Idrio, avrebbero visto nascere da
una stessa valle due catene di monti e, praticata la strada che passava
proprio in quella concava zona, sarebbero arrivati alla fonte dell'Eurota,
il quale continuando a percorrere il Peloponneso verso Sud sboccava nel
mare cretico.
Ma, prima che le azzurre e placide acque eurotee giungessero nel regno di
Poseidone, il fiume partorito da Gea vedeva sorgere ad Occidente la città
più dura e pura della Grecia.
Come la delicata Venere sorse dalle sacre spume, dalla terra brulla si
innalzava la possente Sparta.
"Dormi ragazzo, stasera non ci fermiamo e domani saremo a Sparta .
.*LA* città dei guerrieri!" esclamò Aristide con una luce negli
occhi.
A Idrio piaceva quell'uomo anche se sembrava molto legato alla città che
tanto spesso aveva sentito nominare ad Atene come una polis di ignoranti e
di rozzi . .
"Ma è vero che gli spartani sanno a malapena leggere e
scrivere?" chiese adagiandosi su una coperta per non far soffrire
alla pelle della schiena il legno.
"Quanto basta" gli rispose Aristide continuando a spronare i
cavalli.
"Che già a sette anni i ragazzi vengono presi dalle loro famiglie e
che a venti possono andare in guerra?" il sonno cominciò a
diffondersi nei muscoli del suo corpo.
"Certo, anche prima."
"Che hanno tanta disciplina da adombrare la gerarchia dei
leoni?"
"Vero: prima gli anziani, poi gli Spartiati e le donne, anche se
quest'ultime non hanno diritti politici. Ohh speriamo che Zeus Olimpico ti
dia la possibilità di vedere una donna spartana. figliolo . . sono molto
fiere ed orgogliose! Uniche, in tutta la Grecia."
"Aristide non mettere idee strane in testa ad un ateniese!" li
interruppe Timoteo con voce piana, ma ferma.
Idrio rimase un attimo seccato per l'interruzione ma ben presto il dolce
frutto di Morfeo vinse la sua mente.
Timoteo osservò la figura immobile del ragazzo per poi riportare
l'attenzione sulla strada che iniziava a farsi più piana e più regolare;
non aveva intenzione di addormentarsi anche se l'indomani lo attendeva una
giornata abbastanza dura.
"Non volevo mettere strane idee in testa a nessuno, Timoteo"
"Lo so ma quel ragazzo è giovane, ingenuo ed inesperto. Queste tre
caratteristiche sono già pericolose ad Atene, figuriamoci in una città
come Sparta. Non sarebbe mai in grado di viverci, non perchè gli manchi
il coraggio ma perchè ama la musica"
"Anche a Sparta apprezzano i musicisti, quando cantano le loro
musiche doriche"
"Ricominciamo?"
"Va bene, va bene. Niente più uscite del genere" affermò,
quasi tristemente, Aristide e tirò leggermente le redini per rallentare
il passo.
"Sparta è un posto pericoloso - ripetè Timoteo - specie per un
ateniese."
"Io sono solo un povero vecchio, non sono un diplomatico, ma gli dei
mi hanno dato tanta fortuna di conoscere i molti fatti della vita: questa
missione diplomatica è più di quello che fai apparire davanti a
lui" e indicò il ragazzo con un gesto del capo.
Timoteo alzò gli occhi al cielo, cosa che non faceva quasi mai, e sospirò:
tra Atene e Sparta, sia lui che Aristide ne erano fin troppo coscienti,
non ci sarebbe mai potuta essere accettazione, ma solo forzata tolleranza,
e anche questo solo con un'enorme sforzo di volontà da parte degli
uomini, e una gran dose di fortuna da parte degli dei.
Era un periodo infausto, quello che vivevano, i persiani premevano ad
Oriente, gente incapace di parlare, 'barbari' venivano definiti, ma
pericolosi e mortali. Echi strani scivolavano lungo le mura più interne,
oscure e segrete dell'oracolo di Delphi, dove Apollo parla con gli uomini,
fino alle colonne che reggono il frontone, su cui v'è scritto 'Gnoti
seauton', conosci te stesso . . anche i sacerdoti di Olimpia scotevano il
capo davanti alle richieste dei greci di sapere cosa sarebbe accaduto.
Ma Timoteo non aveva bisogno di un oracolo per sapere che la Grecia o
sarebbe stata travolta dai Persiani o si sarebbe autodistrutta a causa dei
conflitti interni, ed era dell'opinione che fosse meglio combattere fino
alla fine per la patria che offrire ai nemici voraci tutte le ricchezze
dell'Ellade su un piatto d'argento.
Per questo andava a Sparta.
Per questo consigliava al giovane datogli in custodia di lasciar perdere
la musica: la lira soggioga gli animi ma non le spade.
Così l'ambasciata proseguì il viaggio e, poco prima che l'aria
cominciasse ad attendere l'arrivo del carro d'Apollo e l'Aurora dalle dita
rosate sovraggiungesse, già si iniziava a vedere l'acropoli della città.
Nonostante non vedesse di buon occhio gli spartani, non poteva nascondere
che vedere la parte più alta della città innalzarsi sulla collina in
quella maniera gli facesse un certo effetto. Quella città che, unica, si
innalzasse contro il cielo senza mostrare traccia di mura di protezione,
non orgogliosa delle pietre poste a difesa ma solo dei propri soldati, dei
suoi figli, era altera e salda, e appariva invincibile nella sua spoglia
sicurezza.
Aristide chiamò Idrio per far sì che non si perdesse quei due soli
sorgere.
Il giovane si lasciò scappare uno sbadiglio e si stropicciò gli occhi
prima di alzare il capo.
"Arrivati?"
"Quasi . . dai ragazzo vieni a vedere Sparta. La prima impressione è
quella che conta" disse l'uomo più anziano senza però non ricevere
un'occhiata torva da Timeteo, a cui diede risposta con un sorriso bonario.
L'ambasciatore non diede tempo al giovane di perdersi nella contemplazione
che iniziò subito a ricordargli tutte le norme che doveva seguire.
"Apri bocca il meno possibile, anzi evita contatti diretti anche se
l'altra persona fosse più piccola di te."
"Ma sono dei mostri questi spartani?" domandò Idrio incrociando
le braccia e guardando le prime case. Timoteo gli fece cenno di
avvicinarsi.
"Hanno uno stile di vita molto diverso dal tuo, sono sottoposti ad
una disciplina rigidissima e ad esempio non si permetterebbero di
ribattere qualcosa detta da una persona più anziana."
Idrio lo guardò un pò corrucciato per poi riprendere l'osservazione
della città. Un ponte permetteva l'accesso dalla riva opposta e i carri
vi passarono sopra, trovandovi alla fine delle guardie, che notificarono
l'identità degli estranei. Idrio notò subito l'espressione seria e dura
di quei visi che non denotavano poi molti anni in più dei suoi. C'era un
certo silenzio ma l'aria pareva ugualmente mossa da palpiti di vita, come
se nelle case non si facesse rumore ma tutti fossero già usciti dal mondo
dei sogni.
Rigida disciplina, costumi semplici, gente di poche parole . . non ne
conosceva il motivo, ma una sensazione strana si faceva sempre più strada
nel suo petto, un qualcosa di molto vicino alla curiosità mista però
anche ad un certo timore, alla paura di doversi incontrare con persone così
lontane dal proprio punto di vista.
Adesso che il sole era più alto in cielo la gente aveva iniziato ad
uscire di casa e Idrio fu preso da una voglia di esplorare come mai in
vita sua e chiese il permesso a Timoteo, il quale naturalmente glielo
sconsigliò caldamente.
"Se vai dritto per quella strada a destra, Idrio, giungi vicino agli
alloggi dei ragazzi . . anche se dovrai camminare un pò"
"Aristide!!"
"Dai, Timoteo, al ragazzo farà bene vedere un pò come vivono i suoi
coetanei qui!" e non appena finì di dire così Idreo lo abbracciò e
saltò giù dal carro.
Era tutto un nuovo mondo davanti a lui, così bello eppure così 'terrificante',
così estraneo. Quando si ritrovò a dover camminare da solo tra le
costuzioni di quella città sconosciuta non seppe se stesse nutrendo più
paura o curiosità, ma ormai era troppo tardi per tornare sui propri
passi. In più Timoteo si sarebbe fatto beffe di lui se fosse tornato con
la coda tra le gambe, quindi si fece coraggio e iniziò a salire verso la
zona che, se aveva seguito bene le indicazioni, doveva corrispondere al
luogo in cui vivevano gli altri ragazzi. La strada era ben curata anche se
completamente rocciosa e dunque non fece alcuna fatica ad avvicinarsi al
posto.
Ad un certo punto, all'improvviso, da un vicoletto strettissimo e
affollato di ombre, saltò fuori un ragazzo dalla carnagione scura, molto
più scura di quella di Idrio, che voltatosi verso la vietta da cui era
arrivato urlò
"Neocle, lumaca, muovi quei piedini d'Achille!" ridendo. Quando
si girò per continuare a correre sulla strada principale vide Idrio e gli
si rivolse.
"E tu che fai qui! - dicendo così. L'ateniese ebbe paura nel cuore
pensando chissà che cosa: ne aveva sentite così tante! - Non lo sai che
Pirecrate ha sfidato Pherio? Neocle avanti! - gridò ancora verso il
vicoletto - A proposito, tu! Non t'avevo mai notato, sei del gruppo di
Pherio o di quello di Arcadio?" continuò e intanto dalla via interna
saltò fuori un altro ragazzo che lo rimproverò.
"Paride! La prossima volta che mi butti l'olio per terra per farmi
inciampare ti stacco un braccio!" e si asciugava intanto i piedi resi
scivolosi dall'olio.
"Vince chi è più furbo caro mio. Dai andiamo altrimenti ci perdiamo
tutto il bello! E tu non stare imbambolato come una ragazza,
muoviamoci!" esclamò e ricominciò a correre seguito da Neocle.
La stradina stretta si tuffò serpeggiando in una fitta trama di intrecci
e incroci, finchè non sboccò in una piazza di terra battuta, che
spiccava stranamente ampia e luminosa sotto i raggi obliqui di quel
vociante mattino.
Ragazzi nervosi ed eccitati si stavano accalcando seguendo un ordine
logico, lasciando una ampio spiazzo vuoto intorno a due persone. Idrio non
dovette protendersi troppo per riuscire a vederli: ritti, armati, uno di
fronte all'altro, alti e saldi, diversi come il giorno e la notte eppure
identici come due gemelli nati dallo stesso grembo.
Uno dei due era scuro, la pelle brunita dal sole come se fosse stato una
statua di lucido bronzo, i muscoli tesi, gonfi, i nervi frementi come una
pantera in agguato. I capelli scuri si piegavano in morbidi ricci intorno
al laccetto di cuoio che li teneva indietro, mostrando un volto risoluto,
virilmente attraente nella sua concentrata attenzione e quegli occhi
bruciavano mostrando il riverbero di lampi e lingue di fiamme guizzanti
come se fossero squarci aperti sulla fucina di Efesto nel cuore del mondo.
Un Ares giovinetto, o la reincarnazione di quell'Eracle da cui
discendevano tutti gli spartiati, stava di fronte a un suo coetaneo, che
pareva un dio suo pari. Chiaro, come quelle giovani che per preservare il
proprio incarnato non uscivano mai di casa, eppure a suo modo abbronzato,
una sfumatura fredda che si riverberava dalla sua pelle ai suoi capelli,
di un deciso color oro, e all'assurda, limpida trasparenza di un terribile
paio d'occhi che sembravano strappati ad Apollo Echebolo. Il suo corpo era
reso lucido dall'olio, sembrava reduce da un allenamento di lotta.
Nell'insieme, le membra sottili e allungate, i suoi colori, il volto, non
dava l'idea di uno spartano.
"Bastardo!"
L'Ares brunito ringhiò la sua furia e la sua voce s'impose chiara sui
loro capi, avendo come risposta un semplice movimento di muscoli e occhi,
scintillanti tanto quanto il filo delle loro lame.
"Sei uno stupido caparbio! Quante volte ancora devo sconfiggerti
perché tu rinunci alla tua folle fissazione?"
"Fatti sotto! Vedremo se almeno le tue budella sono simili a quelle
dei nostri fratelli!"
Uno scatto. Entrambi si stavano studiando come se fossero nemici mortali.
Le spade erano affilate e la luce che brillava dentro di loro era
allarmante . . e seria. Idrio si guardò un attimo intorno ma
nessun'altro, all'infuori di lui, sembrava preoccupato. Decine e decine di
paia d'occhi erano fissi su quei due corpi inondati dal sudore, circondati
da urla di incoraggiamento e derisione, il sole li baciava, bagnandoli di
eternità, facendoli apparire davvero come semidei. Quando la prima
stoccata fu lanciata e parata, un brivido percorse al folla, le urla si
mischiarono alle urla, contrappuntandosi al fragore delle lame.
Idrio ebbe la netta sensazione che, se fosse bastata l'animosità per
distruggersi, quei due si sarebbero inceneriti con un solo sguardo,
annientandosi a vicenda. Distolse un poco gli occhi, cercando qualcuno che
gli fosse al fianco per chiedere spiegazioni. Un ragazzo accanto a lui gli
aveva scoccato un'occhiata appena stupita e aveva scosso il capo notando i
suoi capelli corti, i suoi abiti, il suo atteggiamento, che lo indicavano
evidentemente come straniero.
"Ma chi sono?"
Lo spartano lo fissò con un'espressione venata di compatimento.
"Guardali bene, tu che vieni da fuori. Quei due sono i migliori fra i
giovani spartani, saranno i migliori fra gli spartiati di tutti i tempi. -
niente enfasi, solo un'immenso orgoglio, e la certezza incrollabile di chi
stesse enunciando una verità incontrovertibile. Sollevò appena una mano.
- Vedi quello?"
Un nuovo scambio di battute, i due si scambiarono di posto, rapidissimi,
come due serpenti che stessero attaccando, un fascio unico di nervi e
muscoli. Troppo veloci entrambi, uno troppo rapido perché l'altro
riuscisse a fargli uno sgambetto, l'altro troppo scaltro per farsi
accecare da una manciata di polvere. Idrio sbattè un paio di volte le
palpebre, confuso. "Quello che sembra un barbaro?"
Sì pentì immediatamente di aver detto una cosa simile ancor prima che si
trovasse puntato addosso una trentina di sguardi, disgustati, arrabbiati e
increduli insieme. Il suo interlocutore si guardò bene dal fissare di
nuovo gli occhi nei suoi.
"No, l'altro. Quello è Pirecrate della famiglia dei Dimani. Nessuno
di noi è mai riuscito a batterlo, nessuno di noi è più abile e rapido
di lui. Guardalo, straniero, di certo la tua capacità di tenere in mano
un arma ne uscirà decisamente migliorata."
Un altro ragazzo rise alle sue spalle ma Idrio finse di non aver sentito
l'irrisione; quello che gli aveva raccontato Timoteo riguardo quella gente
era abbastanza per fargli rimpiangere, ora, di essere arrivato lì da
solo, senza avere qualcuno a cui poter chiedere spiegazione o consiglio.
"E l'altro?"
"L'altro è Pherio dei Panfili. Appartenente a una delle famiglie più
antiche e potenti di Sparta. E' l'unico che Pirecrate non sia mai riuscito
a sconfiggere, e Pirecrate è il solo che abbia il coraggio di
sfidarlo."
Un sospiro, i suoi occhi si voltarono di nuovo come se volessero bere
quella battaglia, assorbirla da ogni poro per sentirla vibrare all'interno
del suo petto. Idrio si sentì acutamente a disagio ma si schermò gli
occhi per seguire con più attenzione il combattimento, rapito. Non aveva
mai assistito a uno spettacolo simile, non avrebbe mai creduto che potesse
essere così affascinato da una simile danza mortale . . perché quei due
facevano sul serio! Nessuno sembrava preoccuparsene, si sentì i muscoli
tesi dal nervosismo solo quando il guerriero di bronzo, Pirecrate, si
schiantò al suolo. L'altro aveva del sangue sulla lama.
Idrio tremò, quell'oscenità gli pareva assurda, insopportabile, quel
ragazzo non poteva . . fu solo l'altissimo righio, il boato che uscì
dalle labbra di tutti coloro che lo circondavano, a bloccarlo. Come se
fossero un sol'uomo si gettarono in avanti, ma non per soccorrere. I
ragazzi si stringevano intorno al guerriero vincitore, risate, battute;
alcuni aiutarono l'altro a mettersi in piedi, tamponarono la ferita,
nessuno si curò di chiamare un cerusico, troppo eccitati, troppo
impegnati a commentare il combattimento, oppure, cosa ancor peggiore,
semplicemente perché non lo ritenevano necessario.
Presto sorse da una strada laterale la voce decisa e matura di un uomo,
che chiamava i ragazzi a ritornare ai propri compiti. Idrio si sarebbe
aspettato un rimprovero per quei due sporchi di sangue e sudore e polvere,
invece quello si limitò a fissare Pirecrate scuotendo appena il capo e a
ricordare a Pherio il suo prossimo impegno.
In un attimo Idrio rimase da solo ai lati dello spiazzo, con negli occhi
di nuovo la scena. Ciò che era accaduto, ma soprattutto ciò che gli
aveva suscitato dentro, era un qualcosa che rifiutava con tutto il suo
sensibile essere ma, allo stesso tempo, non poteva fare a meno d'esserne
attratto. Era stordito, per una volta saggiando che significasse la
mancanza di parole.
Costrinse le gambe paralizzate a muoversi, ma solo quando vi arrivò
davanti si rese conto che si era diretto nel punto preciso in cui
Pirecrate, 'forte-del-fuoco', era caduto nella terra. Lì, proprio lì, la
polvere di Gea non era riuscita ancora a turbare il colore del sangue
versato: la tonalità di un rubino grezzo sembrava incorruttibile e c'era
qualcosa che . .
Si mise sulle ginocchia e allungò le mani prima sfiorando l'oggetto del
suo sguardo fisso con i polpastrelli, poi vi appoggiò sopra il palmo. Era
ancora caldo, ma anche se le sue mani erano estremamente sensibili quel
sangue era veramente rovente: non era il fuoco che forgiava il ferro nel
vulcano di Efesto, ben sì il ferro stesso che splendeva appena tirato via
dal fuoco.
Rialzò la propria mano e se la portò vicino al naso per poter sentir
l'odore pungente del sangue, per la prima volta in vita sua, e la sua
mente fu attraversata da un lampo.
Ma, per Zeus, cosa stava facendo?
L'odore forte di ciò che gli stava scorrendo sulla mano lo fece trasalire
e afferrando quel mucchio di terra lo lanciò via; si rialzò pulendosi le
ginocchia impolverate e tentanto di ripulirsi le mani, per poi iniziare a
camminare, anzi a correre, verso l'acropoli. Sentì all'improvviso il
proprio sangue accentrarglisi in viso per la vergogna: vergogna delle sue
sciocche domande, vergogna della sua presunzione, vergogna delle sue
emozioni, dei suoi pensieri . .
Si sentiva come se si fosse destato da uno strano sogno ma si scoprì nel
desiderio di voler essere in un altro: si sarebbe svegliato nel suo letto,
affacciandosi alla finestra avrebbe visto Atene e non ci sarebbero stati nè
allucinanti sfregarsi di lame nè macchie di sangue a bagnare la terra, ma
solo il perfetto sposarsi delle note della sua cetra.
Eppure, nonostante l'avrebbe ammesso a se stesso solo in tempi successivi,
c'era qualcosa che lo aveva già legato indissolubilmente a quella città.
Le case gli scivolavano via veloci, mentre l'edificio principale della
parte più alta della città sovrastava tutti gli altri; arrivato nei suoi
pressi chiese dove si fosse alloggiata la delegazione ateniese e l'uomo a
cui aveva chiesto si limitò ad indicargli un edificio poco lontano. Non
aveva aperto bocca e, quando Idrio lo ringraziò, quell'uomo dai capelli
bianchi ma la statura e l'imposizione di un capo, si limitò a scuotere il
capo.
"Atene deve essere arrivata a un livello molto alto di sfrontatezza o
di idiozia se manda i bambini a trattare con gli Spartani." e riprese
per la sua strada. Idrio avvampò di rabbia e rispose, nonostante quello
gli fosse di spalle.
"Ho sedici anni: non sono un ragazzino e poi sono qui per
accompagnare" ma, per la seconda volta in un giorno, intuì troppo
tardi che forse aveva parlato troppo. Che gli prendeva? Che gli metteva
addosso quella città?
L'uomo si fermò e si girò lentamente, senza perdere niente della
perfetta postura, i lineamenti severi che potevano sfidare rigidità e
compostezza di una statua marmorea dorica; solo le labbra si mossero
mentre agli occhi bastò un attimo per annientare il giovane ragazzo.
"Mi sbagliavo: è arrivata a un livello di decadenza vicino al
collasso se un musico sedicenne si può permettere di rispondere con
questa sfrontatezza ad un uomo più anziano" e riprese la sua strada.
Stavolta Idrio rimase inchiodato sulla propria posizione, continuando a
fissare quella schiena che diveniva sempre più piccola con indicibile
gradualità, e iniziò a tremare: come faceva a sapere che era un musico?
Possibile che avesse notato i calli sulle mani. Ma no,come avrebbe potuto?
Chi era quell'uomo? E perché . .
Una voce gentile sorse al suo fianco, accompagnato da un sorriso.
"Non preoccuparti, straniero, se sei appena giunto è estremamente
semplice fare o dire qualcosa che irriti i nostri gentilissimi ospiti. -
un sorriso bianco illuminò la pozza d'ombra in cui si era riparato il
giovane che gli aveva parlato, i suoi capelli scuri avevano strane
sfumature nella semioscurità decisa, proiettata da quel muro sotto un
sole inclemente, ma gli occhi scintillavano come due stelle, grigi come
due schegge d'antracite lucidata. Aveva i capelli corti anche lui, simbolo
di esser straniero, eppure indossava gli stessi abiti disadorni degli
spartani, non aveva monili e pareva pratico degli abitanti di quella città.
Abassò la voce rendendola un sussurro, avvicinandosi di un passo - Quello
che hai appena incontrato è il peggiore, per un primo incontro, lascia
che te lo dica! E' uno dei maggiori della Gerousia e suo nipote è uno dei
più valenti guerrieri di Sparta, l'orgoglio e la superbia accompagnano
quella famiglia da sempre, ben nascosti sotto il manto del rigore. Non
stupirti che sappia tutto di te e di quelli che sono arrivati con te, è
un suo vezzo quello di non farsi mai prendere alla sprovvista, per lui
sono tutti nemici."
Idrio si trovò a sorridere a quel sorriso sincero e strano che gli si
riverberava nel cuore. Per la prima volta da quando aveva messo piede in
quella città si sentiva a suo agio, nonostante quel ragazzo era ovvio non
fosse spartano. Il suo modo di parlare e il suo accento .. un accento
quasi del tutto nascosto, ma ad un orecchio attento al tremare di una
corda d'arpa non poteva sfuggire.
"Mi sollevi, ma solo in parte. E' la prima volta che metto piede in
questa terribile città e . . credo di esermi perso.
"Se è la prima volta, sono certo che non ti sarai solo perso, ma non
avrai fatto altro che errori imperdonabili a ripetizione! Sei fortunato
che gli spartani, con il loro orgoglio, giudichino poca cosa l'educazione
degli stranieri. - sorrise di nuovo - Non preoccuparti, comunque, ci sono
passato anch'io e come vedi sono ancora vivo! Che indicazione ti
serviva?"
"L'alloggiamento della delegazione ateniese, per favore."
L'altro sorrise di nuovo indicando alle sue spalle una casa semplice e
identica alle altre a pochi passi da lì.
"Quello è l'ingresso, ateniese. Ti posso augurare buona
permanenza?"
Idrio annuì, gentile. Chissà chi era quel ragazzo, avrebbe potuto essere
uno schiavo, ma sarebbe stato il primo che vedeva in Sparta da quando era
arrivato. Eppure a parte i capelli, vestiva e si comportava come uno della
città, non sembrava un servitore . . si ricordava male o gli schiavi, lì,
facevano solo i lavori manuali? Non ne era certo, si era addormentato
troppe volte durante le lezioni di Timoteo, lungo il viaggio! Scosse il
capo con fastidio.
"Ti ringrazio. Posso chiederti un'ultima cosa? - di fronte al gesto
secco del capo dell'altro, Idrio continuò - Ma è normale che qui i
ragazzi si feriscano combattendo per strada? Ho visto un .. - indicò la
strada alle sue spalle, lampi del combattimento ritornarono alla mente e
lo fecero tremare - .. bhè .. "
Non gli uscì null'altro, si ritrovò ad arrossire in silenzio, fissando
la polvere della strada. L'altro gli mise una mano su una spalla.
"Questa è una città strana, ateniese, molto strana. Se ci starai
qualche giorno ti accorgerai che sono cose comuni, anzi . . - il suo
sorriso qui si frantumò - fra pochi giorni sarai uno onorato spettatore
della pubblica fustigazione, immagino."
Idrio spalancò gli occhi con uno stupore quasi doloroso.
"Cosa? Chi verrà fustigato?! Cosa è successo?!"
L'altro ragazzo scosse il capo, ma la maschera di divertita indifferenza,
si vedeva, non era ben fissata la suo volto.
"E' un rituale solenne a cadenza annuale che si pratica davanti
all'altare di Artemide Orthia. I ragazzi vengono frustati a sangue per
dimostrare la loro sopportazione, la loro forza . . alcuni muoiono prima
di emettere un solo gemito .. "
"Uccidete i vostri giovani?"
Idrio si accorse di aver urlato solo quando sentì la voce pacata, piana e
calma sorgere dalle sue palle.
"Astre, sei ancora lì? Ti avevo chiesto di portarmi
l'unguento."
"Perdonami, Pherio, ma mi sono fermato a dare indicazioni a questo
straniero. . "
Idrio si voltò e riconobbe in quel giovane chiaro il guerriero di prima,
quello che aveva scambiato per un barbaro, ed ebbe paura. Ora i suoi occhi
limpidi erano puntati su di lui, entrambi, terribili nella loro assoluta
mancanza di espressione e insieme, rigonfi d'orgoglio e rabbia e luce.
"L'ateniese? Mi hanno riferito la tua presenza durante la nostra
piccola sfida. - fece un altro passo in avanti, il sorriso che gli piegava
le labbra era appena un ombra, non trasmetteva nulla. Non poteva essere
interamente spartano, quello era ovvio. - Andiamo, adesso, mi stanno
aspettando al Campo."
Astre gli si avvicinò con un sorriso.
"E' stato un piacere . . come ti chiami?"
"Idrio. - riuscì a dire, deglutendo. - Anche per me lo è stato,
spero di rivederti."
Pherio era in piedi a braccia incrociate, tutti intento a fissarlo poi
scosse appena il capo.
"Idrio, eh? Ricorda che, talvolta, uccidere è un meraviglioso atto
di misericordia"
Crudele come un Febo guerriero sorrise della sua confusione, composto e
luminoso si voltò riprendendo la sua strada senza più voltarsi.
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