Diary parte I di Katsushika
6 MARZO
Anche stasera sono al mio solito posto e come da parecchi giorni ormai, piove. Sembra non voglia più smettere e sempre, quando piove, tutti si rintanano in casa e non si combina niente. Io invece me ne sto qui sotto la tettoia striminzita di un cinema, e dato che di macchine in giro non se ne vedono l’unico rumore a tenermi compagnia è il ronzio dei neon, sopra la mia testa, di un’insegna mezza spenta con la scritta Black Stallion. Forse dovrei decidermi ad entrare, ma i pochi che ho visto, ne ho contati una decina, curvi e frettolosi, sono solo vecchi con in tasca meno dollari di mè. Così me ne resto appoggiato a questo muro ad impregnarmi d’umidità , fin nelle ossa, che, se non si decide a smettere, finirà che ammuffirò e poi mi spappolerò come le travi del palazzo su Franklin Street, dove tengo la mia roba. Se mi ostino ad andarci a dormire, finirà che un giorno mi crolla in testa, con tutti i rumori che fa ed il tanfo di marcio che cresce giorno per giorno. E’ mai possibile non passi nessuno, eppure che posso fare, domani devo incontrare C.J. e ad andarci così rischio di brutto. Già …….C.J! Come definirlo? Potrei ben dire che , al momento, è l’uomo più importante della mia vita : è il mio pusher! Un capace e scaltro uomo d’affari afroamericano che è brillantemente riuscito a differenziare e sviluppare il proprio business; questo se volessi essere “politicamente corretto”, ma a ben vedere non è altro che un fottutissimo negro capacissimo di vendere anfe e crack anche a ragazzini , che lo sono davvero, intendo 10-12 anni, che invece di starsene a giocare, finiscono per lavorare per lui e farsi anche ammazzare per lui. E con noi che non siamo “homies” è anche peggio, niente sconti, niente anticipi, solo stramaledetti dollari, tutti e subito. Questo è C.J.! Ford, familiare del ’86, verde chiaro, tenuta bene……..forse la fortuna s’è ricordata del piccolo Miki. Sono talmente intontito dal freddo che mi sono fiondato in auto, dimenticando la mia sola regola aurea, definire la questione soldi…………prima…….Piccoletto, educato, sembra regolare, anche se poi, a pensarci bene, le richieste più balorde mi sono sempre arrivate da tipi così. Andiamo in albergo ed io mi rilasso un po’, sono più tranquilli quando “giocano fuori casa”, ho pure smaltito un po’ di freddo e mi decido a chiedergli cosa vuole. Lui resta zitto e fermo per un tempo che mi sembra lunghissimo, non è un buon segno e comincio ad imprecare mentalmente poi, finalmente, se ne viene fuori che vuole solo sentirmi parlare. Non è una novità, ma mi ha beccato in una serata no, il mio umore è più tetro di questo cielo, ingolfato e grigio, che lascia le strade e le case buie e tristi, pure in pieno giorno. Mi riscuoto solo quando comincia a contare le banconote e lo sà fare bene , come gli impiegati in banca, osservo le sue mani in quel gesto elegante e realizzo che forse scamperò all’ira di C.J. pure sta’ volta. Lui mi spiega con precisione di cosa vuole che gli parli, ci sediano, fianco a fianco e cominciamo. Sarà la pioggia o la stanchezza, ma non mi viene in mente nessuna delle stronzate che propino di solito a questo tipo di clienti e così, per non far scena muta, una volta tanto dico la verità. All’inizio dell’anno scolastico era arrivato un nuovo professore di letteratura . 45 anni, corporatura media, altezza media, occhiali ed un’incipiente calvizie. Il ritratto dell’uomo comune, ma per me divenne un dio, il mio unico dio. Da sempre amavo leggere ed i punteggi dei miei test erano i più alti. Nella biblioteca ci ero praticamente cresciuto e non aveva più segreti, ma il professor Hoffmann ne aveva una tutta sua. Decine e decine di libri di cui non avevo neanche sentito parlare, un intero , affascinante mondo sconosciuto , tutto da esplorare. Presto me ne diede libero accesso , ottenendo così la mia più profonda gratitudine. Con lui ci potevo parlare, per la prima volta , da anni, qualcuno stava ad ascoltarmi, chiedeva la mia opinione. Prendemmo a passare interi pomeriggi a discutere dei libri , che lui mi proponeva e che io regolarmente divoravo in pochi giorni. Anche lui mi faceva sentire speciale. Non si stancava di ripetermi quanto brillanti e profondi fossero i miei commenti, anche su testi di difficile comprensione per un ragazzino, di quanto fossi più maturo dei miei coetanei. Ed era proprio così, non mi ero mai interessato ai loro giochi, non avevo mai pensato a loro come possibili amici. Preferivo starmene per conto mio, a viaggiare, a vivere attraverso quelle pagine , scritte da sconosciuti, in posti lontani, tanto tempo prima di me. Ma la mia maturità non si limitava al mio cervello: nel giro di pochi mesi ero cresciuto in altezza fino a superare tutti gli altri studenti, la mia voce si stava abbassando e spesso mi capitava di bloccarmi per interminabili minuti davanti allo specchio, a fissare quel volto e quel corpo di un nuovo me stesso, che stentavo a riconoscere. E poi c’era quella specie di agitazione che mi prendeva, quando leggevo di sguardi ,carezze, e baci e passione bruciante…..quando arrivavo a quel punto della lettura il cuore cominciava a battermi forte ed io volevo leggere ancora e molto di più, volevo sapere! E quando ero sicuro che tutti, nella camerata già dormivano, cercavo di trasformare quelle fantasie in realtà, sperimentavo, con le poche informazioni che riuscivo a ricavare da quelle pagine. Come in risposta ai miei desideri, libro dopo libro, quel tipo di descrizioni si facevano sempre più lunghe e dettagliate , ma questo non faceva altro che aumentare la mia curiosità. Che fare se gli altri all’istituto erano tutti bambini, più piccoli di me di parecchi anni e le responsabili, anche quelle che mi conoscevano da sempre, erano tutte donne…..non era affare di donne quello strano formicolio sulla pelle, quel calore improvviso e pulsante fra le gambe, non era a loro che potevo chiedere del perché e per come di cosa mi succedeva la notte e delle tracce che mi ritrovavo al mattino, addosso e negli slip. Poi un pomeriggio il prof. Hoffmann mi fece una domanda diretta proprio su di un passaggio parecchio spinto del libro che gli stavo riconsegnando ed io, per la prima volta, non seppi come rispondere. Lui sorrise ed iniziò , con tono cattedratico, una spiegazione molto tecnica della faccenda. Mi fece vedere anche dei disegni, di un libro di medicina, credo. Poi, forse notando la mia faccia delusa ed impaziente, si decise a chiedermi se avevo domande a riguardo. Cominciò così…….per rassicurarmi che era tutto normale : le emozioni e quello che succedeva al mio corpo; che era giusto quello che desideravo: attenzione e………piacere. Beh, ebbi entrambi. Durante i nostri incontri pomeridiani, incominciò a toccarmi, ogni volta un po’ più a lungo, ogni volta più intimamente, il mio corpo come una sterminata mappa di punti sensibili, di cui non conoscevo neanche l’esistenza , ma che lui individuava a colpo sicuro, e continuava a stimolare , fino al mio stremo. Quelle sensazioni così intense mi intossicavano. Non riuscivo più a concentrarmi su niente, continuavo a richiamarle alla mente e cercavo ancora più di prima di starmene da solo, per poterle ricreare sul mio corpo,un desiderio sempre crescente e proprio per questo costantemente frustrato, e, come per ogni dipendenza, cresceva in me il bisogno lancinante , fisico di averne dosi sempre più alte. Quando mi chiese di ricambiare quelle attenzioni, accettai, e quando iniziò a interessarsi all’unica parte di me non ancora violata, alla mia ultima verginità, riuscì facilmente a vincere la mia istintiva resistenza, spiegandomi come quella minima invasione, avrebbe amplificato a dismisura l’orgasmo; devastanti, interminabili spasmi, quasi dolorosi per quanto erano intensi ed io che me ne restavo lì, immobile , come se mi fossi “fatto” di piacere, a galleggiare in un appagante senso di vertigine. Quelle “intrusioni” si ripeterono, per una settimana mi preparò, con meticolosa pazienza, finchè smanioso, quasi esasperato dalla mia stessa eccitazione, glielo chiesi………….gli chiesi di prendermi: quello era l’ultimo confine ed io volevo abbatterlo. Non c’era altro che desideravo da lui, se non quello che lui stesso aveva fatto in modo desiderassi con tutta la disperata forza , la risoluta cocciutaggine della mia età………….Il piacere ed anche il dolore, venivano da lui e come tali li accettavo e li cercavo. ”Puoi farmi tutto quello che vuoi, tutto, davvero. Te lo giuro, due parole non ti dirò mai : NO E….BASTA”. Diventò un’ossessione, il mio unico motivo per sopportare le interminabili ore che precedevano e seguivano i nostri incontri; smaniavo per sensazioni sempre più forti e mi ero fatto intraprendente, quasi violento di fronte ad un rifiuto, mi adombravo per un suo minimo tentennamento. Un giorno ero solo nel suo studio, perché sapevo che lo eccitava molto trovarmici già pronto per lui, e svogliatamente scorrevo i titoli di una scaffale basso, che non avevo ancora esplorato. Un titolo attirò la mia attenzione. “Affreschi erotici a Pompei” recitava ed io non riuscii a trattenermi dall’aprirlo. Sapevo che Pompei era una città che ai tempi degli antichi romani era finita distrutta da non so più quale cataclisma ed poi era stata ritrovata, quasi intatta. Scorsi veloce le pagine per arrivare alla fotografie, ma l’occhio mi cadde sul testo che spiegava trattarsi dell’interno di un bordello e che le immagini erano come una specie di catalogo delle varie “specialità” della casa. Gli affreschi erano ancora nitidi, i colori vivaci e per me non fu difficile riconosce una ad una le posizioni, gli atti descritti. Non c’era niente di nuovo, niente che non avessimo già sperimentato, ma più sfogliavo , più qualcosa non tornava……..erano donne, in ognuna di quelle scene, al mio posto, c’era una donna……..una puttana. Dunque era tutto qui, niente “fondersi di anime affini”, niente, “unione segreta e specialissima”. Era tutto nero su bianco, in quelle didascalie, quello che ero, che lui mi aveva fatto diventare. Per fortuna quel pomeriggio arrivò molto più tardi del solito ed ebbi tempo di soffocare il senso di nausea che mi prese quando mi girai a guardare il suo, il nostro divano, tempo per ingoiare una ad una le lacrime di rabbia, che mi bruciavano gli occhi. Io gli avevo creduto ma anche questa volta non avrei dovuto. Mancavano 19 giorni al mio quindicesimo compleanno. Da quel giorno ogni incontro, ogni sua richiesta venne contrattata e monetizzata. Adesso ero io a dettare le condizioni e scoprii che niente mi eccitava più dell’esercitare il potere, su di un uomo che mi voleva tanto dall’essere disposto a pagare, per avermi. Oltre ai soldi, sempre di più, chiesi ed ottenni la copia di tutte le chiavi dell’istituto. Ci avevo già provato a scappare, ma mi avevano sempre ripreso, questa volta andò diversamente e, con una lunga e minuziosa letterina, spiegai alla direttrice come ci ero riuscito……………..
Con la coda dell’occhio percepisco un movimento, accompagnato dal cigolio del letto su cui sono seduto. Mi ritrovo a fissare stupito il tipo che mi siede accanto mentre finisce di abbottonarsi la patta e si rassetta la giacca. Solo allora realizzo dove sono e tutta l’intera faccenda e mi prende una rabbia dentro, rabbia verso me stesso. I soldi me li ha dati in anticipo, così borbotto un saluto e me la filo. Arrivo in strada che mi metterei ad urlare, tanto sono incazzato, darei di testa nel muro. Che cavolo mi è preso di raccontare quelle cose, cose mie, che non ho mai raccontato a nessuno, a quel tizio di cui non so manco il nome, e che non ha neanche fatto finta di voler sapere il mio ? Erano i miei ricordi e sono diventati il rumore di fondo delle bella sega che si è fatto! Respiro forte per calmarmi e realizzo che forse avevo solo bisogno di parlare…..di qualcosa di più delle solite frasi che scambio coi clienti, sempre quelle, come se ripetessimo un copione, di una pallosissima commedia, o di quelle poche parole che mi servono per ordinare da mangiare. E’ vero che c’è il coreano del negozio di liquori ; tutte le volte lui mi dice qualcosa , nel suo inglese smozzicato, e dalla sua espressione è certamente qualcosa di divertente, ed io allora rido alla battuta che non ho capito e gli rispondo a caso, ma con lo stesso tono gentile ed allegro, perché non voglio inimicarmelo……voglio che continui a farmi credito, quando serve. Non mi è mai servito altro, non ho mai cercato un gruppo e tanto meno un compagno su cui fare conto……..non ne sentivo il bisogno quando ero piccolo e così è stato anche dopo. Quasi, quasi vado da C.J. , lui di sicuro ha la medicina giusta……oppure potrei prendermi un cane, un gatto, un cucciolo qualsiasi, e parlare con lui, se mi va’. E se poi mi succedere qualcosa e lui è grande e nessuno lo vuole più? Se finisce che così muore di fame o altro? Io non voglio avere questa responsabilità…………certe volte non vorrei neanche essere responsabile di me stesso, e , a dire il vero, con qualche aiuto chimico, ogni tanto riesco ad evitarlo…… figuriamoci sapere che un’altra vita dipende da me. Sarebbe troppo! …………Meglio che vado subito da C.J.!
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