Diary

prologo

di Katsushika


Mi chiamo Michel Dupont e questo è il mio libro. E’ mio perchè lo scrivo io e perché ci metterò dentro quello che mi succede , mi è successo e mi succederà (figa questa frase!). Il libro non è mio, cioè pochi giorni fa’ ho trovato questo quaderno, o meglio questo registro, sì, perchè mi sembra proprio uno di quei registri enormi che usavano una volta i contabili, ma l’importante è che è bianco, come nuovo ed io ho deciso di riempirlo.

In fondo tutti ormai scrivono libri, se uno viene coinvolto in una rapina, scrive un libro, se uno si ammala di qualcosa di  brutto, ci scrive un libro, ci sono attori ed altra gente famosa che ha scritto un libro all’inizio, durante e dopo aver incontrato la droga, tutti voglio “condividere la propria esperienza esistenziale”, così dicono quando vanno in TV a promuoverli. Mi sono detto perché non provare a farci sù un po’ di soldi anch’io.

 

Ho 24 anni, anche se nessuno ci crede, e c’è un’altra domanda che tutti mi fanno. Finisce sempre che mi chiedono se sono americano. Che cazzo vuol dire : se sono americano! Com’è un americano? Io qui in giro vedo neri e pakistani e coreani, e tanti altri che non si capisce da dove vengano, ma tutto sono tranne che bianchi e protestanti. Il mio problema è che sono troppo bianco, cioè ho la pelle di mia madre, che era una rossa naturale ( se ne vantava con chiunque  e a ragione, con quei capelli  non passava mai inosservata!) , gli occhi di un celeste parecchio chiaro, direi slavato ed i capelli, le ciglia e tutti i peli (pochi per la verità) di un biondo parecchio slavato pure quello. Mia madre diceva che li avevo presi da mio padre, che era polacco o olandese, ogni tanto si confondeva, ma , quando beveva e diventava sincera, diceva semplicemente che lui lavorava su una porta-container (di quelle enormi, che fanno le rotte transoceaniche) e che era europeo , ma parlava una lingua che lei non riusciva a capire.

Lei era francese invece, nata proprio in Francia e arrivata ad inseguire il “sogno americano”. Era una ballerina, mia madre ed era bella. Ma già prima che io venissi al mondo lei era diventata una delle tante “danzatrici esotiche”, così amava definirsi, in locali sempre più piccoli e scalcinati. E certe volte, da qualcuno dei tanti spettatori, si faceva pure accompagnare a casa. Succedeva di rado, generalmente dopo la seconda visita , non amichevole, del padrone di casa.

Sono nato a New York, ma presto ci trasferimmo a Rino, Nevada, come dire………….la brutta copia di Vegas! Certo non un gran posto dove crescere un figlio, ma lì c’era Angel, l’unico bel ricordo che ho di quando ero piccolo. Era gigantesca Angel e di un nero che più nero non si può, con denti così bianchi, che i suoi tanti sorrisi facevano brillare, era sempre allegra Angel e cantava, ed io con lei. Ci passavo giornate e notti intere, quando mamma lavorava, stava nella roulotte vicina alla nostra, mi raccontava tante storie Angel e mi difendeva, quando gli altri ragazzini se la prendevano con me: al solo suo apparire tutti scappavano ed io mi sentivo speciale, perché lei era dalla mia parte. Era facile da riconoscere Angel, portava corti vestiti, lucidi e colorati, la vedevo arrivare da lontano, ed ero felice, perché se c’era lei niente di brutto poteva succedermi.

E quando scoprii che lei, lì sotto era proprio come me, beh, mi sentii davvero orgoglioso di assomigliarle.  Potrei dire che fino ai sette anni, ho avuto due mamme ed Angel era la migliore.

Un giorno però siamo partiti , io e mia madre e siamo andati in un posto in mezzo alla campagna: una grande casa. Mia madre mi disse che io dovevo restare lì, perché lei aveva conosciuto un uomo buono, tanto gentile , che le aveva promesso di riportarla in Francia. Io lo sapevo che lei ci voleva tornare, da sempre lo sapevo, neppure l’inglese aveva voluto imparare come si deve, e a me aveva sempre parlato in francese, io mi ero dovuto arrangiare con la televisione e ascoltando i discorsi urlati dei vicini e a sette anni lo parlavo meglio di lei. L’America l’aveva delusa , tradita, e per questo lei aveva preso ad odiarla quanto e più che fosse stato il suo uomo a farlo.

Mi disse di non piangere perché sarebbe tornata a prendermi. Ed io le credetti.

Ero carino e più piccolo degli altri bambini, ed intelligente, dicevano. Così  presto ci furono molte coppie pronte ad ospitarmi, ma io sapevo che mia madre sarebbe tornata a cercarmi e che dovevo farmi trovare lì dove mi aveva lasciato. Tre famiglie mi riportarono indietro, cominciarono a dirmi che ero un ragazzino difficile, problematico, ma a me non importava, io volevo solo che mia madre riuscisse a trovarmi. Ad altre due coppie fui sottratto, per maltrattamenti: così è scritto nel mio dossier. E quando finalmente riuscii a leggerlo, anni dopo, scoprii anche che mia madre quel giorno stesso firmò le carte  per rendermi adottabile, e che non sarebbe mai più tornata indietro per me.