Disclaimers: TUTTO QUESTO è MIOOOOOO *_* (delirio di onnipotenza mode on
*_*)
Note: Chi è sensibile ad un linguaggio scurrile sia avvertito; ne ho messe un
po di parolacce^^'
Note2: Ringrazio TUTTI e ripeto TUTTI quelli che leggono, e un bacione a quelli
che commentano! ^*^
Ringraziamenti: Ringrazio la mia bimba Sei che mi ha ispirato per una bancarella
speciale che lei riconoscerà ^_-
Ringraziamenti2: Ringrazio La mia Eddina che sta facendo una cosa speciale che
non vedo l'ora di vedere *_*
Ringraziamenti3: Per Scu che ha taaanta pazienza, ma siccome non ho intenzione
di farle avere una crisi di rabbia correggendo i miei orrori ortografici mi sono
munita di pazienza e intraprendenza per correggere da me ^_-
Demoni parte
X
di Lara
La vita sembrava scorrere senza troppi problemi per Marco e Anak nella
capitale. La grande città li aveva inghiottiti, lasciando perplesso e
spaventato molto più Anak che Marco.Soggiornavano in un'ala del palazzo
dedicato ai diplomatici e al loro seguito, in un appartamento riccamente
arredato di velluti e stoffe preziose, marmi e legni intarsiati lucidi e
bellissimi.
Marco era sdraiato sul divano di seta porpora e oro che guaradava fuori
dalla finestra. Dopo molti giorni era finalmente da solo, senza gente
attorno, ne aveva proprio bisogno.
Ripensando a quei momenti si sentiva quasi soffocare.
Avevano viaggiato con la scorta mandata dall'imperatre per alcuni giorni,
e
avevano visto la capitale per la prima volta dalla cima di una collina.
Era
enorme, magnifica.
Cupole dorate che si innalzavano, mura spesse ed inespugnabili, e la
residenza inperiale, un vasto complesso di ville in un enorme parco, tetti
di ardesia risplendente e mura dipinte di vivaci colori.
Era uno scoppio di vivacità, e attraversandola la piccola compagnia non
aveva destato particolare interesse tra le donne dalle lunghe gonne che
facevano compere al mercato chiassoso e ragazzetti impegnati nei loro
affari.
L'andirivieni di servi in un primo momento aveva lasciato interdetti Anak,
Marco e Laele, ma si erano velocemente abituati a quella presenza non
invadente e pronta a servirli in ogni cosa. Certo Marco non era abituato a
farsi lavare, come del resto Anak , e lo avevano fatto intendere
chiaramente
cacciando dei valletti innocenti a pedate.
Marco si stiracchiò sul divano assaporandone la morbidezza e ritrovando
il
piacere dell'ozio.
La finestra aperta faceva entrare una brezza tiepida e profumata di fiori,
finalmente assaporava il caldo di quelle terre.
Sentì la voce squillante della bambina e la voce sommessa della cameriera
che rispondeva, e dopo un attimo Laele, che era diventata un piccolo
terremoto, fece irruzzione nel salottino dell'apartamento e si gettò su
Marco ridendo spensierata.
-Laele, se mi volevi uccidere devo ammettere che ci sei quasi riuscita!-
La
cameriera, una ragazza di circa sedici anni dai capelli rossi raccolti in
una cuffia di pizzo bianco ed un severo abito azurro, gli fece una
riverenza
e parlò balbettante, rossa come un peperone.
-Mi scusi signore, ma la bambina non ne voleva sapere di venire con me ed
è
scappata...-
-Io non ho intenzione di andare ad ascoltare quel vecchio barbone che
spiega
cose pallosissime e che puzza di piscio di vacca! Non mi interesse
scrivere
e leggere, tanto tutto quello che ho bisogno di sapere me lo insegnano
Marco
e Anak!!- Marco sorrise e si trattenne dal ridere alla descrizione fatta
da
Laele del vecchio studioso che teneva le lezioni per i figli dei
diplomatici. Di certo era molto veritiera e colorita, ma non rispettosa...
E
poi Laele più cose imparava e meglio era!
-Senti Laele, lo so che studiare è noioso, ma è solo la mattina! Poi
starai
tutto il tempo con me e Anak se vuoi, ma ti assicuro che saper leggere e
scrivere è utilissimo!- La bambina lo guardò studiandolo per capire se
diceva il vero o la prendeva in giro.
Resasi conto che il ragazzo biondo diceva seriamente si imbronciò
all'idea
dello studio, ma scese dallo stomaco di Marco.
-Lo faccio solo perchè me lo chiedi tu!- La cameriera stava rivolgendo un
sorriso adorante a Marco e ci impiegò un attimo a riportare la propria
attenzione su Laele.
-La ringrazio signore, togliamo subito il disturbo, vero Laele?- La
bambina
convinta, per ora, dell'utilità delle lezioni seguì la ragazza
ubbidiente
chiudendosi la porta alle spalle.
Marco si alzò dal divano, era meglio dileguarsi prima che qualcos'altro
potesse disturbarlo e decise di fare un giro in città.
Non credeva fosse pericoloso, una passeggiata giusto per sgranchirsi le
gambe e osservare i dintorni.
Si guardò allo specchio alto più di lui sistemato in un angolo della
stanza
e decise che era abbastanza in ordine. Indossava una semplice camicia di
fine lino bianco aperta sul collo, aveva arrotolato le maniche per il
caldo
e notò con immenso piacere che tutti i segni di disegni rituali erano
scomparsi.
La camicia era infilata in un paio di calzoni di stoffa scura, di un nero
carico, molto morbida e liscia che si infilava dentro dei bassi stivali di
pelle scurissima. I capelli erano un po arruffati, e si passò una mano
per
sistemarli. Prese poi da un basso tavolino di legno laccato a colori
vivaci
una sacca con dei soldi che appese alla cintura.
Gli sembrava di essere un anacronismo in certi momenti, poi si rendeva
conto
che lì la gente si vestiva normalmente così.
Per un momento desiderò un semplice paio di jeans e una maglietta....
Di certo piu semplici da indossare, senza dover annodare sempre decine e
decine di lacci. Sospirando uscì dall'apartamento, attraversando tutta la
villa Diplomatica fino ad arrivare alle porte e al giardino.
Impiegò quasi un quarto d'ora per arrivare alle porte delle mura che
circondavano il complesso imperiale ed uscire, salutato dalle guardie in
uniforme nera e argento che gli sorrisero.
Il mercato si estendeva lungo le vie dritte e larghe che partivano dal
centro residenziale di ville dei nobili che circondavano il cuore della
città, cioè il complesso imperiale.
Le bancarelle più ricche erano all'inizio mentre quelle più semplici e
più a
buon mercato si trovavano più spostate verso i quartieri più poveri, che
erano collocati sulle rive del fiume che attraversava la città.
Curiosando Marco si trovò ad allontanarsi dalla corrente principale di
gente
trovandosi davanti ad un banco che non riusciva a capire cosa vendesse.
Lo osservò per molto.
Il mercante era una donna sulla trentina dai folti e ricci capelli rossi e
occhi verdissimi, era una delle donne più grasse che avesse mai visto, ma
aveva un che di particolare che non riusciva a definire. Sembrava assorta
in
un libro, ma nessuno pareva approfittare della sua distrazione per
rubacchiare delle merci.
Analizzando le cose esposte Marco non arrivò comunque a capire cosa
vendesse.
Un'assortimento di erbe dentro sacchettini di stoffa colorata, monili
dalla
forma strana e piccole boccette di vetro che contenevano, credeva lui,
essenze.
Non era una speziale perchè non aveva le stesse merci degli altri, non
era
un gioielliere perchè i monili non avevano un aspetto ricercato e
prezioso,
Marco era perplesso insomma.
La donna lo guardò sorridendo e depose il libro spesso e dalla copertina
scura consunta sulla sedia in parte a lei.
-Cerci per caso un filtro d'amore? Ma no... Vedo che sei già innamorato e
ricambiato, cosa stai cercando al banco di Deoris la strega?- Il sorriso
caldo e aperto della donna, il suo modo di fare gioviale, gli occhi
sorridenti misero subito a suo agio Marco che sentiva, non sapeva il perchè
, di potersi fidare.
-Bhè, io mi chiedevo che cosa vendevi, ma se sei una strega mi sa che ho
capito...- La donna rise, una risata argentina piena di vita e allegria a
cui Marco si trovò a partecipare, un po imbarazzato.
-Ma caro ragazzo, da dove vieni per non capire subito che sono una strega?
Da molto lontano vero?- Marco annuì e vide gli occhi della donna farsi
vacui
e lontani per un momento.
-Effetivamente vengo da molto più lontano di quello che si possa
pensare.-
-Lo vedo caro mio. Sei venuto con i diplomatici del popolo delle pianure
vero?- Marco annuì.
-Ma tu come lo sai?-
-Magia caro mio - La donna ridacchiò davanti all'espressione di Marco tra
l'incredulo e il sorpreso. - No, scherzo, ti ho visto quando siete
passati,
e mia nipote è la cameriera che si occupa della bambina. Ma tu non sei un
ragazzo del popolo, sei biondo e hai gli occhi come il mare. Vieni
veramente
da molto lontano, molto più di quanto possa capire, credo.-
Marco cominciò a notare delle piccole rassomiglianze tra la donna e la
cameriera che si occupava di Laele, gli stessi capelli, la forma ovale del
viso, e lo sguardo aperto e cordiale.
La donna si passò le mani sulla gonna blu dell'abito e si spostò da
dietro
la bancarella fino a portarsi vicino a Marco, studiandolo.
-C'è qualcosa ce non va?- Il ragazzo aveva una voce allarmata, lo sguardo
di
Deoris si era fatto all'improvviso molto penetrante e serio, sembrava
trapassarlo.
-Ragazzo mio, non ho mai visto una carica magica forte quanto la tua e non
capisco da dove venga, ho sentito leggende al riguardo... Sei per caso uno
dei famosi Don'ha del popolo?- Famoso?? Marco rimase interdetto. Non aveva
capito quello che intendeva la donna con le parole carica magica, ma
effettivamente lui era un don'ha, senza ombra di dubbio... Era il caso di
dirlo o di mentire? Fissò a sua volta la donna e sentì, non sapeva come,
che
poteva fidarsi ciecamente di quella donna dall'aria pratica e solida.
-Famoso non lo sapevo, ma sono un don'ha. Ma tu come fai a saperlo?- La
donna rise e lo prese per mano portandolo dietro il banco e facendolo
accomodare su una delle due sedie.
-Parliamo qua così la gente non ci potrà ascoltare, un piccolo e
semplice
incantesimo perchè la prudenza non è mai troppa. Bhè, le streghe sanno
molte
cose sai? E poi tra di noi ci sono fior di leggende sui Don'ha, ma ora che
ne vedo uno credo che le dovrò ridimensionare.-
Marco era curioso di sapere cosa dicevano le leggende, in fondo lo
riguardavano no?
-E che dicono le leggede?-
-Parlano di semidei che vivono almeno tre volte più di un uomo normale,
che
vanno in giro nudi e pieni di simboli sacri, e che sono in simbiosi con
uno
sciamano dal quale non si possono mai separare.. Inolre dicono siano la
fonte della magia degli sciamani del popolo.- Marco sorrise al ricordo di
se
stesso nudo al raduno.
-Effettivamente al raduno Anak mi ha dipinto il corpo e andavo in giro
nudo,
ma è la tradizione, - Marco preferiva non far sapere che erano i disegni
che
potevano o meno variare per dare la prova dell'affidabilità di uno
sciamano. - e poi effettivamente sono io che canalizzo le energie perlui.
Poi sulla durata della vita...- Li la voce del ragazzo si spense, senza
continuare il discorso sorrise alla donna fingendo un'allegria che non
provava completamente.
-Otimo, potrò vantarmi con le mie sorelle e nipoti di aver conosciuto un
semidio allora!- Risero entrambi stavolta, e Marco non dovette più
fingere
un'allegria che non sentiva.
-Ne sono felice, ma ora io vado Deoris, grazie della chiacchierata!-
-Ci vedremo ancora, per ora ti saluto. E che la mia benedizione ti
accompagni Marco.- Il ragazzo sorrise andandosene, la cameriera doveva
aver
detto alla zia il suo nome.
Era ora di pranzo ma Marco non aveva voglia di tornare indietro, la folla
e
i profumi del mercato gli piacevano troppo. Si fermò davanti a una
bancarella dove una vecchia vendeva degli strani dolci friti nell'olio dal
profumo invitante e dopo averla guardata per un po decise di comprarne
alcuni per pranzo. Gli sembrava di tornare a vivere girando
spensieratamente
per il mercato, una persona qualunque a cui nessuno badava.
Le frittelline erano ripene di polpa di mele e spolverate di cannella,
deliziose.
Erano i primi veri dolci che mangiava da un sacco di tempo e se li
godette.
Si sedette sul bordo di una fontana, dove molte altre persone stavano
sedute
mangiando o semplicemente parlando, e si mise ad osservare la piccola
piazza
dove si trovava. Davanti a lui c'era un enorme edificio, gli ricordava una
chiesa e si chiese se poteva essere qualcosa di simile o affine.
Aveva un enorme portone di bronzo su cui erano raffigurate scene di
battaglie e cose simili, che lui non risusciva a decifrare appieno. Era
fatto di marmo bianco traslucido intarsiato e pieno di statue, poste
all'interno di nicchie lungo i muri, di quelli che credeva essere Dei o re
o
comunque qualcosa di simile. Le statue erano alcune di semplice pietra,
altre erano vestite con stoffe e altre ancora erano di legno smaltatoo
dipinto.
Quella incongruità di rappresentazione aveva un che di strano, esotico
forse...
La facciata altissima era preceduta da ampi e bassi scalini su cui la
gente
depositava fiori e cesti di frutta.
Incuriosito Marco decise di fermarsi a guardare, e peringannare l'attesa
andò a comprare degli altri dolcetti.
Tornato a sedere al bordo di quella fontana che sembrava di più una
specie
di elegante abbeveratoio circolare, notò un grupo di donne e uomini con i
capelli cortissimi e vestiti di lunghe tuniche vermiglie con degli ampi
pantaloni bianchi e dei sandali di cuoio ai piedi che si dirigevano con
passo lento e solenne verso quella specie di chiesa, la gente si apriva al
loro passaggio inchinandosi e mormorando delle preghiere o comunque una
specie di saluto rituale che a Marco sembrava una specie di "onoriamo
i
sacri messaggeri, che le due facce della luce ci benedicano tutti".
Marco, incuriosito dalla stana procesione si accodò alla gente he entrava
in
quello strano edificio che ora era sicuro essere un tempio.
Appena entrato da quelle enormi porte bronzee si sentì meravigliato.
Enormi
finestre di vetro colorato che raffigurvano fiori, affreschi che
rappresentavano a destra una bellissima donna che reggeva in mano una luna
ed era copronata di stelle e a sinistra un uomo biondo che sembrava un
guerriero con una spada piantata nel terreno davanti a lui e il sole che
gli
brillava sul capo. I due personaggi erano ripetutamente raffigurati in
svariate pose e ambientazioni, ed era sicuro evessero un significato, ma
non
sapeva quale.
La processione degli strani sacerdoti e secerdotesse vestiti di vermiglio
e
bianco si fermò al centro del tempio, all'interno di un mosaico che
pareva
una specie di tao, solo che era circondato da simboli e scritte che non
sapeva decifrare.
Un canto lieve e meraviglioso si levò apparentemente dal nulla, ma poi
Marco
notò in alto, verso il soffitto dipinto come un cielo che passava
dall'alba
al tramonto con i contorni di un cielo stellato, una balconata.
La voce proveniva da li ma l'acustica perfetta dell'ambiente portava il
canto senza parole in ogni angolo del tempio, riflettendolo e
amplificandolo, in un crescendo di suoni armonici che si confondevano
l'uno
nell'altro.
Marco si sentiva quasi soprafatto. Si era fermato in una angolo accanto al
portone, ma essendo il pavimento leggermente inclinato verso il centro
godeva di una buona visuale.
I sacerdoti dello strano culto si disposero in due cerchi concentrici,
all'interno gli uomini e allesterno le donne, ruotando in sensi inversi.
Una preghiera in una lingua che non capiva, ma che gli sembrava simile a
quella corrente, lentamente prese forza mischiandosi al canto, afascinato
dal risulato Marco si lasciò trasportare dalla musica creatasi
commuovendosi
profondamente. Quella era una musica dolce e struggente, ma sembrava
contenere la promessa di una felicità futura neanche troppo lontana, una
dolcezza unica piena di speranza.
Le lacrime presero a scorrere sul suo viso bianco, e lui non se ne curò,
sentiva che era una cosa giusta li e in quel momento.
Quella "magia" come era iniziata finì, e tutti cominciarono ad
uscire. Marco
si fermò ancora assaporando le sensazioni che quella specie di rito
avevano
lasciato in lui.
Una sacerdotessa gli si avvicinò, sorridendo, e gli asciugò una lacrima.
Marco arossì sentendosi le orecchie roventi.
-Sei molto riste?- La voce della sacerdotessa era sommessa e lieve, il
viso
era senza età, calmo e serafico, le mani unite alle sue e non sapeva
neppure
come.
-Ecco, forse un po...- Marco sentiva di non poter mentire a quella donna,
i
capelli cortissimi neri e gli occhi talmente neri da non riuscire a
distinguere la pupilla dall'iride.
La pelle era dorata, e pur essendo piccola e minuta dava l'impressione di
una grande forza, come una roccia salda baciata dal sole, che esisteva,
semplicemente.
A dispetto dei fiumi e dell'aria era li, immutabile nella sua essenza.
-Non essere triste, devi avere fiducia nel futuro. Il mio nome è Shintyia,
sacerdotessa maggiore della luce. Il tuo?- Marco si sentì tranquillo
davanti
a quella donna che continuava a stringere le sue mani con la leggerezza di
una piuma.
-Marco... - Come presentarsi? Con il suo cognome o con il nome che che gli
aveva dato il popolo?- Marco del clan del cavallo del popolo delle
pianure.-
La donna lo studiò.
-Eppure il tuo aspetto non pare tipico del popolo. Ma non voglio farti
domande vedo che sei restio a parlarne Marco del popolo delle pianure...
Piuttosto credo ti stiano cercando, arrivederci.- Marco si girò senza
vedere
nessuno, sentì le mani della donna che lo lasciavano e si voltò, ma era
già
scomparsa.
Con aria pensosa uscì dal tempio e vide Anak e Laele di spalle che
camminavano e correndo li raggiunse.
Ma come faceva la sacerdotessa a sapere che quei due erano li fuori?
Li chiamò e si voltarono, Laele gli mise le braccia al collo sorridendo.
-Dove ti eri nascosto?-
-Ero entrato in quel tempio a curiosare. Ma come mai siete qui?- Marco li
guardò incuriosito.
-Perché è sera tardi e non ti vedavamo tornare.- Anak guardava Marco
come
per rimproveralo, facendolo indispettire. Poi si guardò attorno e notò
che
effettivamente era tardi, ma quanto era stato dentro quel tempio?
-Non mi sono accorto che era così tardi. Torniamo all'appartamento?- Anak
annuì con uno sguardo serio che non prometteva nulla di buono, e Marco
sospirando si preparò ad una ramanzina. Ma non era detto che finise come
credeva Anak. Lui non se ne sarebbe mai stato buono e zitto ad ascoltare
le
ramanzine di NESSUNO.
Arrivati all'appartamento Laele uscì subito, aveva deciso che il posto
migliore per ammazzare il tempo fino all'ora di cena erano le cucine, dove
tutti, cuochi, sguatteri e aiutanti la conoscevano già.
-Marco, ma che credevi di fare scomparendo così senza dire a nessuno dove
eri o dove andavi? Lo sai che può essere pericoloso!- Anak aveva un tono
di
voce basso, ma si percepiva chiaramente l'ira che avviluppava quelle
parole.
-Quello che faccio, fino a prova contraria, è affar mio. Ti assicuro che
so
badare a me stesso! Non ti immischiare nei miei affari, chiaro?- Marco non
sopportava imposizioni di nessun genere. Era liberissimo di andare dove
voleva, quando voleva e come voleva, a patto di esserci quando Anak aveva
bisogno di lui.
-Non è solo affare tuo, visto che sei un don'ha, ma possibile che non
abbia
ancora capito cosa vuol dire? Non puoi fare quello che vuoi, non puoi! La
tua vita ormai non è solo tua!- Anak aveva alzato la voce, stava quasi
gridando. Possibile che fosse così idiota da non capire? Seppellendo la
preoccupazzione che aveva mosso i primi rimproveri, la rabbia crebbe e
divenne padrona dello sciamano.
-La mia vita? E quale vita cazzo! Fare solo quello che vuoi tu, che TU
pensi
che io possa fare! Ma almeno ti rendi conto delle stronzate che dici?-
Marco
si sentiva furioso. La sua vita e non poteva neppure fare un giro per
starsene un po solo per i fatti suoi, ma scherziamo?
-Tu devi fare quello che dico io! Ma perchè non sei come tutti gli altri
don'ha? Perchè sei cosi stupido da non capire che la tua e la mia vita
sono
legate? Non lo capisci che la tua vita mi appartiene, come la mia a te?-
-Io avere la Tua vita??? Ma se quello che deve obbedire e accettare
qualunque cosa sono sempre io! Razza di bastardo, come puoi dire che io
devo
obbedire, che la mia vita è tua?!? E soprattutto che razza di deficente
sei
? Io non ho nulla di te, l'unico che comanda qua sei tu, che pretendi di
dirmi anche come e se devo respirare tra un po! Ma va a farti fottere
stronzo!-
Anak realizzò del pugno che incontrava il viso di Marco quando ormai era
troppo tardi per fermarlo, e Marco, dopo un attimo in cui il suo sguardo
si
fece gelido, saltò addosso allo sciamano, restituendo il pugno con tutta
la
sua forza. Il tutto degenerò in una lotta violenta che li vide rotolare
sul
pavimento, scambiandosi pugni violenti come la rabbia impregnata del
dolore
che provavano, amari come l'amor perduto.
Alla fine Anak, abituato alla lotta e molto più forte fisicamente di
Marco,
ebbe la meglio, bloccandolo al pavimento col suo peso e tenendogli i polsi
premuti al suolo.
Vide il viso tumefatto specchio del suo e una rabbia diversa dalla prima
si
fece strada in lui, era una rabbia impotente, di chi si rende condo di
aver
fatto qualcosa che può essere irreparabile.
-Calmati Marco!- Anak cercava di tenere fermo il suo don'ha che si
dibatteva
con la selvaggia furia di una belva presa in trappola. Ma Marco non pareva
sentirlo, continuava e cercare di colpire Anak come una furia.
-BASTA! E' un ordine Marco! Basta!- Un grido di dolore sbocciò dalle
labbra
sanguinanti di Marco che si immobilizzò, gli occhi pieni di odio.
Aveva usato quello sporco trucco... Lui non poreva disubbidire ad un
ordine
chiaro ed esplicito, senza patire dolori atroci.
Marco, immobile sul pavimento, guarava Anak che si alzava, con lo sguardo
pieno di astio.
-Non ti muovere, chiaro?- Un'altro ordine...
Immobile come una statua si sentì umiliato come non mai.
E così Anak voleva solo una bambola che facesse esattamente quello che
voleva lui senza disobbedirgli mai? E allora sabbe stato quello che lui
voleva, una bambola. Non era come gli altri don'ha? Lo sarebbe diventato,
anche di più. No.. Non si sarebbe mai più fatto umiliare a quel modo!
Le membra immobili, il fiato grosso, gli occhi iracondi...
Anak comprese quello che aveva fatto, l'unica cosa che Marco non gli
poteva
perdonare. Gli aveva ordinato qualcosa, lo aveva costretto ad assecondare
la
sua volontà.
Si sedette stancamente sul divano che solo quella mattina aveva ospitato
Marco felice con il cuore colmo di trisezza. Guardò il ragazzo biondo,
immobile, con gli occhi accesi della rabbia della belva ferita e in gabbia
e
sospirò.
-Marco, per favore,siediti qui accanto a me.- Con movimenti lenti e
leggermente legnosi, Anak si accorse di avergli fatto davvero molto male,
si
sedette docilmente accanto a lui, sorprendendolo.
Si aspettava che si limitasse a guardarlo con odio o qualcosa di simile.
-Vedi, mi spiace... Io non intendevo ordinarti nulla, io... Mi spiace
Marco,
perdonami se puoi.-
-Come vuoi tu.- Quelle parole gelide lo ferirono più di mille insulti.
Gli
occhi dello sciamano e del don'ha si incrociarono.
I primi, bicolori, tristi e infinitamente spiacenti, incontrarono occhi
profondi come il mare, e in tempesta. Che stava pensando Marco?
-Che stai pensando Marco? Io... Puoi insultarmi quanto vuoi, me lo
merito...- Marco lo guardò, la tempesta glaciale dei suoi occhi puntata
in
quelli tristi dell'altro.
-Penso che sarò quello che vuoi, semplicemente una bambola che fa solo
quello che vuoi... E le bambole non insultano il padrone, no?-
Anak, per la prima volta in vita sua, si sentì sconfitto. Cosa aveva
combinato? Allungò la mano ad accarezzare il viso segnato dai lividi,
dolorosamente consapevole del fatto che erano opera sua, e invece di
vedere
il suo don'ha ritrarsi come avrebbe fatto di solito, lo vide laciarsi
accarezzare il viso. Passivamente.
Sospirando si alzò dirigendosi verso il bagno.
-Seguimi, vedrò di rimettere a posto i guai che ho combinato.- Marco seguì
l'altro ragazzo nell'immenso bagno guardandolo versare dell'acqua in una
bacinella. Quel posto era fornito di quello che ad Anak era parso un
miracolo, acqua corrente calda e fredda.
L'acqua fredda nella bacinella venne posata su un mobile di legno e marmo
grigio, mentre una pezza di stoffa veniva immersa nel liquido cristallino.
-Spogliati che voglio vedere come ti ho conciato, così vedo che si può
fare.- Senza una parola Marco si spogliò rimanendo nudo davanti allo
sciamano. Il corpo costellato di lividi che si stavano formando gli fece
stringere il cuore. Marco non lo aveva neanche lontanamente conciato in
modo
simile. Sapeva di essere molto più forte di lui, perchè non si era
trattenuto?
Abbbandonando la stoffa inutile decise di curarlo con la magia, si sarebbe
stancato ma Marco lo meritava.
Chiuse gli occhi usando la vista che gli dava l'occhio della mente e
passando la mano a pochi millimetri dall'altro riparò i capillari rotti,
ripristinando il tutto e facendo scomaparire i lividi e il dolore che li
accompagnava, poi passò le mani anche sul suo viso per togliere l'unico
danno visibile, un occhio nero.
Abbandonò la leggera trance sentendosi svuotato, ma felice di rivedere la
pelle bianca e immacola di Marco nuovamente perfetta. Solo l'espressione
vitrea e impassibile del ragazzo gli faceva sentire un enorme nodo allo
stomaco, perchè si era cacciato in quel guaio? Si era preoccupato troppo,
e
la consapevolezza dei rischi corsi dal suo don'ha misti a quella
preoccupazione si era trasmutata in rabbia, non appena aveva visto che era
sano e salvo.
Sentendosi un verme fece cenno a Marco di rivestirsi visto che era ovvio
che
non lo avrebbe fatto se lui non glielo avesse detto.
Sospirò uscendo dal bagno e si sporse dalla finestra aperta perdendo lo
sguardo nel cielo al tramonto.
Senti la presenza di Marco alle sue spalle ma non si voltò. Una lacrima
solitaria scese rapida sparendo subito dal viso dello sciamano.
Un lieve busare annunciò l'arrivo della cameriera di Laele, della bambina
e
del maggiordomo, che in rapidità e silenzio apparecchiaranono la tavola e
servirono la cena.
Laele, come se avesse capito che qualcosa non andava stette in silenzio,
tratenendo il suo solito carattere travolgente. Si sedettero a tavola e
Marco mangiò senza guardare nessuno, senza sentire il sapore del cibo,
senza
neppure vederlo, in un certo senso.
La cene fu silenziosa, quasi lugubre. Appena finto Laele se ne andò nella
sua stanza seguita dalla cameriera, che aveva preso l'abitudine di stare
con
la bambina finchè non si addormentava raccontandole storie e
spazzolandole i
capelli.
Il maggiordomo rapidamente liberò il tavolo dai resti della cena, e
scomparve anch'esso.
Di nuovo soli, Anak guardava Marco che se ne stava seduto in silenzio al
suo
fianco, i gomiti appoggiati sul tavolo e le mani che sorreggevano la testa
celando l'espressione del viso.
Rinunciando a qualunque tipo di conversazione Anak si decise ad andare a
letto, dicendosi che forse il sonno gli avrebbe schiarito le idee,
consigliandogli una strada da seguire per riappacificarsi con il suo
don'ha.
Apri la porta della sua stanza e Marco entrò con lui, Anak lo guardò
sorpreso, non si aspettava che avesse voglia di dormire con lui, ma un
atroce sospetto si fece largo nel suo cuore.
-Perchè sei qui Marco?-
-Non è dovere di un don'ha prevenire e assecondare i desideri dello
sciamano? So che ti piace dormire con me e così sono qui.- Senza
aggiungere
altro Marco si spogliò sotto gli occhi di Anak, entrando nell'enomne
letto
posto su un gradino al centro della stanza. Scuotendo la testa, ma
innegabilemente risvegliato dallo stupendo corpo immacolato steso sulle
lenzuola rosse lo sciamano si spogliò a sua volta, promettendosi che
avrebbe
lasciato stare Marco. Non era certo il caso di fare nulla con l'altro in
quella situazione emozionale. Avrebbe solo rovinato le poche possibilità
che
aveva di riappacificarsi, ne era convinto.
Si stese, dando le spalle al ragazzo biondo, sperando di addormentarsi
presto...
Poi decise di barare e usando un semplice trucchetto si fece sprofondare
nel
sonno.
Marco lo guardava, gli occhi distanti, freddi, solo nel fondo di quegli
abissi azzurri c'era ancora una fiamma viva e forte.
Anak dormiva davvero... Poi nel sonno lo sciamano, guidato da chissà
quale
istinto si voltò, impadronendosi del corpo di Marco con un abbraccio.
Il ragazzo biondo rimase immobile, non si sarebbe sottratto anche se non
gli
andava di essere abbracciato in quel momento, ma sapeva che se si fosse
mosso l'altro lo avrebbe capito. No, non avrebbe dato la soddisfazione di
alcuna reazione, Anak voleva una bambola? E una bambola avrebbe avuto.
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