Demoni parte
III
di Lara
Le fiamme alte divoravano le stelle, o almeno così pareva a Marco.
Tutti il mondo si restringeva a quei colori vermigli, il suo sguardo
attratto e spaventato da quelle fiamme.
Il silenzio, non si sentiva nessun rumore. Solo il legno e la torba che
bruciavano, un eventuale animale che faceva risuonare il suo verso
nell'immensa pianura.
Le stelle, schegge di ghiaccio nell'infinito nero, non gli erano mai parsi
così lontane e fredde.
Anak era tornato da tre giorni, ma lo sciamano aveva tenuto Marco chiuso
nella tenda.
Tre giorni in cui il suo corpo era stato coperto di disegni, linee si
incrociavano sul corpo e sul volto, formando immagini mostruose.
Gli aveva fatto bere strani intrugli e ora sentiva la testa vuota e
leggera.
Il freddo gli pungeva la pelle nuda e piena di quelle linee nere e rosse.
Il vecchio sciamano non aveva tralasciato un solo centimetro di pelle con
suo immenso imbarazzo.
Ma ora tutto era lontano, ovattato.
Non riusciva a pensare con chiarezza, seguiva docile il vecchio sciamano,
coperto da una enorme maschera ricavata dal teschio di un animale, verso
il fuoco.
Li Anak aspettava, seduto a gambe incrociate dall'altra parte delle
fiamme.
Vedeva avanzare Marco, nudo e splendido, coperto dei simboli mistici. Il
suo sguardo era spento, lontano.
Gli dispiaceva incontrarlo di nuovo in quelle condizioni, ma era
necessario.
Lentamente Marco si avvicinava sempre di più al fuoco, fino a fermarsi ad
una distanza talmente ravvicinata da dare l'impressione di toccare le
fiamme.
Come dal nulla un ritmo concitato di tamburi emerse dal buio con
prepotenza, spezzando la quiete fasulla che impregnava l'aria tre le
tende.
Lo sciamano dai lunghi capelli bianchi cominciò a danzare in cerchi
sempre più stretti che racchiudevano Anak, Marco e il fuoco.
Il ritmo sempre più potente ed incalzane sembrava entrare nelle vene,
accelerando il battito e facendo rimbombare le orecchie.
Poi, quando il cerchio formato dalla danza dello sciamano arrivò a
chiudersi, il ritmo si fece lento, ipnotico, con una cadenza quasi
casuale.
Il vecchio si mise a cantare nella lingua degli Dei, la lingua che solo
gli sciamani conoscevano e si fermò di fronte a Marco.
Lui non sapeva cosa doveva fare, non gli avevano detto nulla. Ma in quel
momento si sentiva come una bambola. Il ritmo lo aveva stregato e gli
sembrava di vedere tutto da una grande distanza.
Vide Anak mettersi in parte al vecchio, e dargli un lungo pugnale che
aveva sfilato dalla cintura dei pantaloni.
Il vecchio lo prese e lo mise in mano a Marco, poi si tolse l'enorme
maschera e la buttò nel fuoco, che si aprì, facendo entrare lo sciamano.
Lentamente, come in sogno Marco si vide voltarsi ed entrare nel
fuoco, alzare il pugnale e piantarlo nel petto del vecchio.
Poi vide le sue mani lasciare la presa sul lungo pugnale e bagnarsi del
sangue scuro e odoroso di ferro che scendeva del petto, portarsele al viso
e poi lasciarle cadere lungo il corpo.
L'orrore lo sopraffece.
Aveva ucciso un uomo.
Certo, non era in cima alla lista dei più simpatici di questo mondo, ma
da li ad ucciderlo.
Ma la coscienza sembrava essere troppo lontana, atrofizzata.
Le lingue di fiamma cominciavano a scottare, e il corpo del vecchio
sciamano era accasciato ai piedi dl ragazzo.
Con lentezza Marco si voltò, Anak gli stava tendendo le mani.
Lui le prese e uscì dal fuoco. Si sentiva bruciare dal dolore. Ma era
come se la sua anima e il suo corpo fossero ancora troppo lontani perché
i sentimenti potessero manifestarsi.
Vide Anak che lo baciava sulle labbra sporche del sangue del vecchio, lo
vide mentre lo portava a sedersi su una pelliccia attorno al fuoco e il
ritmo ora riprendeva ad essere forte, vivo, non più ipnotico.
Ora il rimo era incalzante e potente, sembrava una tempesta che invadeva
l'anima.
Anak ora danzava, i lunghi capelli neri come la notte accarezzavano la
schiena nuda, gli occhi luccicavano e sua voce forte e melodiosa si levava
alta nel cielo.
Non seppe mai capire come ma Marco si ritrovò in una tenda, mentre la
calda luce del pomeriggio lo svegliava.
I ricordi lo assalirono.
Aveva ucciso il vecchio.
Gli aveva piantato il pugnale nel cuore.
Il suo corpo era ancora pieno dei disegni e delle linnee che aveva fatto
il vecchio, ma le tracce di sangue erano sparite.
L'angoscia lo colpi, il dolore e il rimorso lo fecero accasciare su se
stesso. Si raggomitolò a palla sotto le pellicce, piangendo piano,
muovendosi lentamente, come se lo cullassero.
Aveva ucciso qualcuno.
Era un assassino!
Dopo molto si rese conto che c'era qualcuno vicino a lui, che lo stava
abbracciando.
La voce di Anak.
Era anche colpa sua!
Marco si alzo di scatto, gli occhi rossi dal pianto pieni di furore e
dolore.
-Tu. E' anche colpa tua! Io ho ucciso un uomo! Come hai potuto? Come???-
Anak lo fissava in silenzio. Non poteva dire nulla perché aveva ragione.
Ma era la loro legge.
Un giorno anche lui sarebbe morto in quel modo, il don'ha del nuovo
sciamano avrebbe fatto come aveva fato Marco.
-E' la nostra legge Marco, si è sempre fato così e sempre si farà. Noi
dobbiamo compiacere i nostri Dei se vogliamo sopravvivere nella vasta
pianura. Se vogliamo figli forti e bestie grasse. Hai fatto solo il tuo
dovere, non sei un assassino!-
Anak appoggiò le mani sulle spalle del ragazzo davanti a lui. Non gli era
mai parso così piccolo e spaurito. Gli passò una mano tra i capelli
color del miele, accarezzandolo e lasciando poi la mano abbandonata alla
base del collo. Guardò intensamente quegli occhi di un colore che non
aveva mai visto, che aveva solo lui. Quel viola che prendeva il cielo in
certi momenti, come dopo un temporale.
Vide su quel viso fine e cesellato l'angoscia e la rabbia sostituiti dal
dolore. E lentamente, come se non volesse spaventare un animale selvaggio,
lo abbracciò.
Prima le spalle rigide opposero resistenza, ma solo per poco. Lentamente
Marco si appoggiò a lui e cominciò a piangere amare lacrime, ma non
erano più solitarie. Ora qualcuno di cui sentiva potersi fidare gli
era accanto.
Dopo quelle che parvero ore Marco si calmò, gli bruciavano gli occhi e la
gola e un enorme mal di testa gli rendeva difficile anche solo pensare. Ma
si sentiva meglio.
Una frase trovava però spazio nella sua mente stanca, quello che gli
aveva detto Anak, non sei un assassino.
Si accorse solo dopo un lungo momento che stava abbracciando Anak, ma la
cosa si rese conto non gli dava particolare fastidio, anzi. Le sue mani
che gli accarezzavano la nuca gli davano un senso di pace e di conforto
meravigliosi.
Il sonno lentamente si fece di nuovo strada in lui, il pianto e il senso
di colpa lo avevano spossato.
Lentamente scivolava di nuovo sotto le pellicce, mentre Anak lo stringeva
ancora a sé.
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-Come non andranno via prima di 2 mesi??? Stai scherzando vero Anak? Io
non ho intenzione di tenermi addosso questo ammasso di disegni un minuto
di più!- Anak sospirò rassegnando all'ennesima sfuriata del suo don'ha.
-Mi spiace Marco, ma è un pigmento vegetale che viene in parte assorbito
dalla pelle. Man mano che il tempo passa si scolorisce e viene via, non è
poi così grave.-
Marco fissò battagliero il ragazzo seduto a gambe incrociate davanti a
lui.
Sembrava non perdesse mai la calma quello, pensò con un moto di stizza.
-Non è grave dici? A bhè, se lo dici tu che non hai addosso tutti questi
disegni come tocca fare a me allora ci credo. - Anak cercava di stare
calmo ma cominciava ad innervosirsi, era una settimana che almeno una
volta al giorno si trovava ad affrontare quell'argomento e non ne poteva
più.
Marco continuava a parlare e non sapeva più come farlo stare zitto.
Cominciò a non ascoltarlo e si ritrovò a fissare quelle labbra rosee e
morbide che si muovevano, la lingua che ogni tanto usciva e le
accarezzava.
Senza pensarci lo afferrò e gli diede un rapido bacio a fior di labbra.
Bhè, aveva funzionato. Marco era diventato paonazzo e boccheggiava, ma
almeno non parlava più.
Ridacchiando Anak si alzò in piedi.
-Almeno ho trovato il modo di farti restare in silenzio.- E con quelle
parole uscì dalla tenda.
Marco si portò lentamente una mano alle labbra, per poi allontanare
sussurrando un flebile
-Stronzo.- All'indirizzo di Anak.
Il suo stomaco si mise a brontolare e si accorse che era ora di cena. Si
mise sopra la camicia di stoffa spessa una specie di giubba di pelle e si
alzò, spazzolandosi le mani sui pantaloni.
Si guardò le mani con un sospiro. Due mesi aveva detto Anak, se dopo quei
due mesi non fossero spariti quei segni l'avrebbe pagata cara.
Si diresse al fuoco delle tende dello sciamano. Infatti era abitudine del
popolo dividere i pasti in comune, divisi in gruppetti di tre o quattro
tende che prendevano il nome del personaggio più importante del
gruppetto.
Era considerato un onore far parte del gruppo del capo clan e dello
sciamano, e a turno ognuno cucinava e offriva quello che aveva per tutti.
I turni erano di due settimane, e il vecchio sciamano gli aveva detto che
come don'ha sarebbe toccato a lui, ma per ora non se ne preoccupava.
Mancavano ancora dieci settimane almeno! Passò di fianco al recinto dei
cavali e si fermò a guardarli per un lungo momento. Non erano enormi, ma
avevano una forza enorme, una resistenza ed una velocità invidiabili. Se
c'era una cosa che gli piaceva fare, li, era andare a cavallo. Non gli
piaceva il perché Anak ce lo portava. Di solito era per cercare un posto
tranquillo dove continuare con le lezioni del vecchio. Ma non gli
importava poi molto.
Almeno Anak non cercava di farlo finire abbrustolito.
Finalmente arrivò al fuoco e trovò Tutti o quasi già impegnati a
mangiare. Una bambinetta dalla lunga treccia nera e gli occhi di onice gli
corse incontro per essere presa in braccio e lui non se lo fece ripetere
due volte.
Gli erano sempre piaciuti i bambini, e quando la madre la prima volta
aveva chiesto scusa per la scortesia della bambina, lui aveva sorriso
dicendo che gli faceva piacere che volesse essere presa in braccio. E dopo
l'imbarazzo iniziale, lentamente, i bambini più piccoli che vedeva più
spesso avevano preso l'abitudine di voler essere presi in braccio da lui.
Le madri credendo avrebbe portato loro fortuna ne erano felici e così
nessuno aveva mai detto nulla in proposito.
Marco mise giù la bambina di non più di tre anni e si diresse al fuoco
dove prese un piatto e ci mise sopra una grossa fetta di carne e una
cucchiaiata dei cereali selvatici.
Si sedette in parte ad Anak dove gli altri gli avevano lasciato posto.
All'inizio gli era sembrato strano mangiare a gambe incrociate per terra,
e le gambe gli facevano sempre un male cane. Ma poi si era abituato e non
gli dava così fastidio, anzi era diventata quasi una posizione comoda;
quasi però.
Marco rimase in silenzio ad ascoltare le chiacchiere delle donne e degli
uomini, gustando il cibo dal sapore forte e speziato.
Poi vide Anak alzarsi e fargli cenno di seguirlo.
Lo seguì camminando a lungo, sembrava non avere una meta precisa e
questo sospetto fu confermato quando gli fece segno di affiancarglisi.
-Cosa c'è Anak?- Marco non aveva mai visto un'espressione così seria
negli occhi dell'altro ragazzo. Continuando a camminare piano fianco a
fianco Marco aspettava la risposta del giovane sciamano.
-Si sta avvicinando la guerra. La tribù del settentrione vuole le nostre
terre.- Marco non parlò, c'era dell'altro. Della guerra imminente lo
sapeva già, non c'era ragione di essere così angosciati per dirglielo di
nuovo. C'era qualcosa d'altro.
Anak non riusciva a guardare Marco, poteva solo guardare le due falci di
luna lontane mentre camminava lentamente.
-Marco. Il vecchio ti ha spiegato come fa il don'ha a dare allo sciamano
le energie degli dei?- Marco non lo sapeva e lo sciamano non glielo aveva
mai detto. Ma come mai proprio ora quella domanda?
-No, non me lo ha mai spiegato. E' di questo che mi vuoi parlare, vero?-
Marco non sapeva perché ma sentiva puzza di guai.
-Si, di questo. Ti ricordi quando ti ho spiegato, appena arrivasti qui,
che cosa era un don'ha per il suo sciamano?- Marco si fermò e guardò
l'altro ragazzo con un'espressione glaciale. La puzza di guai era
decisamente forte.
-Rammentamelo Anak.- Anche lo sciamano si fermò. Per la prima volta in
vita sua voleva essere dappertutto ma non li a parlare di quello con
Marco.
Continuando a guardare il cielo cominciò a parlare.
-Ecco, vedi. Ricordi che avevo detto che il don'ha era la colonna del
potere dello sciamano? Vedi, per i riti e le magie importanti il mio
potere non basta, devo poter attingere ad una fonte e quella sei tu. Tu
hai dono degli dei che ti permette di prendere l'energia della vita
attorno a te e di incanalarla, in teoria verso di me. Ti sei mai chiesto
perché non riesci ancora a passarmi quella energia per quanto tu ci
provi?- Marco non capiva molto bene dove l'altro voleva andare a parare, e
si fece guardingo.
-Non era una questione di pratica?- Anak scosse la testa.
-No. Non solo insomma. E ti ricordi che ti avevo detto che il don'ha è
anche l'amante dello sciamano?- Ora oltre che alla puzza di bruciato Marco
vedeva un incendio, e anche bello grosso.
-Dove vuoi andare a pare?- Anak si voltò trovandosi a fissare con
espressione seria Marco, che sembrava volerlo bruciare con lo sguardo.
-Ho avuto una visione dagli dei. Tra meno di un mese gli sciamani delle
tribù del settentrione accompagneranno i loro guerrieri per attaccarci.
Se tu non potrai aiutarmi come don'ha verremo tutti uccisi o ridotti in
schiavitù, anche i bambini che tanto ti stanno a cuore. E c'è un solo
modo perché si crei l'unione tale da permetterti di aiutarmi. Essere il
mio amante Marco.-
Marco lo fissava immobile, impietrito. Era sicuramente uno scherzo. Se lui
non avesse accettato di.. di.. di insomma fare l'amore con Anak, il popolo
sarebbe stato distrutto per colpa sua. Non poteva mettere in dubbio le
parole di Anak.
Aveva capito che essere sciamano comprendeva l'obbligo di dire sempre la
verità. Magari in maniera ermetica o incompleta, ma la verità.
Quindi se diceva che quello era l'unico modo lo era.
-Ma sei sicuro che. che è l'unico modo? Ti giuro che ci proverò ancora e
ancora ma che riuscirò a farlo! Non chiedermi questo Anak! - Marco
guardava sperduto e stanco quegli occhi che tanto lo sorprendevano ogni
volta. Ma vi lese solo assoluta sincerità.
-Non è questione di provarci Marco. Questo è l'unico modo. Speravo di
poterti dare più tempo, di lasciare che fossi tu a decidere senza sapere
questo. Ma non ho più tempo Marco. Devo avere tutto quello che mi puoi
dare e in fretta. Dobbiamo imparare anche a maneggiare insieme la forza
che tu solo sai incanalare. So cosa ti chiedo, ma non c'è più tempo.-
Marco lo fissava sconvolto.
-Sai cosa mi chiedi?- Sibilò. - No Anak, tu non lo sai. Tu sai un po'
troppe cose per me! Non puoi capire! E ora vattene, voglio restare da
solo.-
Anak si allontanò lasciando Marco ai suoi pensieri, e dopo un lungo
tragitto
pieno di deviazioni entrò nella tenda che divideva con il suo don'ha.
Avevano sempre dormito sotto le stesse pellicce, ma mai una sola volta,
neppure per sbaglio, Marco gli si era avvicinato nel sonno. Sapeva che non
lo odiava, anzi. E non capiva veramente quello che provava. Una volta
gliene aveva parlato, e a quanto pareva nel mondo da dove veniva era
considerato sbagliato che due uomini si amassero. Li nel popolo era
normale. L'amore era sacro sotto ogni sua forma e aveva cercato di
farglielo capire, ma non era servito a nulla.
Si spogliò e si mise sotto le pellicce cercando il sonno che non
arrivava.
Se Marco non avesse accetto come avrebbe difeso la sua gente? Contavano su
di lui e lui temeva di non poterli aiutare.
Le lune erano ormai alte nel cielo quando sentì Marco entrare nella
tenda.
Rimase immobile ascoltando i rumori prodotti dai suoi movimenti. Lo sentì
spogliarsi e mettere gli abiti sulla cassa poi si rese conto che lo stava
fissando.
-So benissimo che sei sveglio Anak. Ho deciso. Fallo, ma che non diventi
un' abitudine.- La voce del ragazzo biondo tremava leggermente e Anak si
rese conto che doveva aver pianto.
Alzandosi a sedere lo sciamano tese la mano al suo don'ha.
Lentamente lo fece sedere e lo baciò. Lo desiderava da molto quel bacio,
e lentamente, molto dolcemente prese ad esplorare la bocca di Marco.
Marco sembrava una bambola nelle sue mani, non si opponeva, ma nemmeno
sembrava particolarmente felice della cosa. Anak si staccò e lo vide,
serio, che lo guardava.
-Non vorrei dirlo. Ma non posso obbligarti Marco, lo sai.-
-Lo so, vai avanti e non ti preoccupare ok?- Anak annuì e riprese a
baciarlo, sentendo il corpo di Marco che si risvegliava molto lentamente
sotto le sue carezze. Dopo molto sentì tra le sue mani il corpo del
ragazzo fremere alle sue carezze sempre più intime, finchè non si chinò
a prendere in bocca l'altro sentendolo gridare di piacere e tendersi
all'indietro sulle pellicce.
La lingua di Anak accarezzava la lunghezza e passava veloce dentro e fuori
le sue labbra. Sentiva i gemiti di piacere di Marco farsi sempre più
forti, finchè con un'ultima spinta non gli venne in bocca.
Anak lo baciò dividendo il sapore con l'altro ragazzo mentre una mano
scendeva tra le cosce, cercando l'apertura inviolata del ragazzo.
Quando vi giunse lo sentì irrigidirsi, ma non si allontanò.
Con delicatezza, mentre le sue labbra lasciavano scie umide sul torace
candido di Marco, accarezzava la fessura per abituarlo alla sua presenza e
man mano che lo sentiva rilassarsi approfondiva la carezza, fino a ché
non toccò il punto segreto che dava piacere.
Non appena lo sfiorò Marco gridò di piacere dimenticando da dove esso
proveniva. Era un piacere intenso, accecante. Al primo dito se ne unì un
altro, e il lento massaggio continuò per molto mentre Marco si
abbandonava al piacere.
Era bellissimo, steso sulla pelliccia nera e folta, le braccia abbandonate
sopra la testa reclinata all'indietro, le labbra gonfie di piacere
socchiuse e gli occhi chiusi. Le gambe leggermente divaricate.
I fianchi snelli e lo stomaco piatto e muscoloso.
Anak si incantò un attimo a guardarlo.
Poi, senza estrarre le dita che continuavano nel lento movimento circolare
appoggiò le gambe del suo don'ha sulle sue spalle, facilitandogli
l'acceso.
Quando tolse le dita Marco aprì gli occhi resi liquidi dal piacere
guardandolo con un vago rimprovero, sostituto dalla paura quando sentì il
sesso del compagno premere sulla sua apertura.
-Non avere paure Marco.-
-Facile dirlo per te!- Anak sorrise, il suo don'ha voleva sempre l'ultima
parola.
Con una mano strinse il sesso di nuovo sveglio di Marco, cominciando a
pompare piano mentre spingeva lentamente all'interno della sua carne.
Marco si morse le labbra, mentre alcune lacrime presero a scendere dagli
occhi stretti a causa del dolore. Gli pareva di essere spezzato in due.
Non ce la faceva più. Cercò di togliersi ma sentì la mano di Anak sul
collo che lo teneva fermo.
-Smettila!-
-Non ora Marco, solo un altro momento.-
-E almeno fa in fretta Anak!-
Allora con un'ultima spinta che fece urlare Marco Anak entrò
completamente, rimanendo poi immobile aspettando che l'altro riprendesse
fiato.
Con pochi attimi di tempo Marco si abituò all'intrusione, e cominciò a
muovere piano i fianchi. Compreso il segnale Anak cominciò a muoversi
sempre più velocemente e in profondità, finchè con un grido non vennero
assieme.
In quel momento Marco sentì come se qualcosa si fosse sbloccato in lui.
Anak aveva ragione in fondo.
Fine terzo capitolo..
Solita regola ragazzi, per il quarto capitolo voglio qualche commento, va
bene?? ^____________-
Marco: Io mi L I C E N Z I O !!!! >______<
Lara: e perché mai? Non ti piace la mia fic??? O_o?
Marco: NO! è__é
Anak: a me e molto anche *ç*
Lara: Tu si che mi piaci Anak, bravo il mio puccino! ^_^
Marco: Ci credo che a te piace, mica ti fa fare l'uke pirla questa pazza
decerebrata qua! -_-
Lara: Chi è la pazza decerebrata??? è___é
Marco: TU! Ecco chi! Non solo mi hai messo in sta cavolo di pianura dove
non c'è un pc neppure a pagarlo, ma pure l'uke di sto qua mi dovevi far
fare?!? >_<
Lara: Anak, ti andrebbe se nel prossimo capitolo i cattivi rapiscono
Marco, se lo trombano turno e poi te lo rispediscono a pezzetti
piccoli piccoli? (me che guarda Marco con cattiveria)
Anak: Sei tu la scrittrice. Certo, un po' mi dispiacerebbe visto che
abbiamo fatto solo una scena lemon..
Marco: O_O Scusami Larettina bella, io scherzavo sai? La fic come procede
mi va benissimo! Fare l'uke pirla era il sogno della mia vita..
^^;;;;;;;;;;
Lara: Bhè, vedremo..
Fine davvero per ora! ^_-
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