Demoni parte
II
di Lara
Anak vide le lacrime negli occhi di Marco, lo sguardo perso nel passato.
Seppe con sicurezza che stava ricordando e soffrendo.
La mano del giovane sciamano si allungò, sfiorando la guancia e portando
via la traccia umida del pianto.
Come poteva spiegargli il legame tra don'ha e sciamano?
Era il legame più forte che gli Dei potevano forgiare, andava oltre la
barriera del tempo e dello spazio, oltre la barriera della morte.
Marco non ricordava, ma era stato lui a chiamarlo dal mondo dei morti, era
stata la sua voce ed il suo pianto.
Era grazie a Marco se ora era uno sciamano.
Marco si ritrovò a fissare lo strano sguardo del ragazzo.
Gli occhi dello sciamano lo inquietavano e attiravano al tempo stesso, e
il gesto dolce e intimo di asciugargli le lacrime gli aveva stretto un
nodo al petto.
Lentamente le lacrime smisero di scendere e Marco si ritrovò tra le
braccia di Anak, che lo consolava come quando erano piccoli.
-Non mi hai ancora spiegato che comporta essere il tuo don'ha. Anak,
dimmelo.-
Vide un velo di inquietudine sul volto del ragazzo e lo scrutò
attentamente.
-Un don'ha è il mio compagno, colui attraverso il quale gli dei fanno
sentire a me la loro voce. La tradizione impone che il don'ha del nuovo
sciamano sia addestrato dal vecchio sciamano a ricevere e trasmettermi la
voce degli Dei. Poi sarai per sempre la colonna su cui poggia la mia vita
e il mio potere, sarai mio amico, fratello e amante. Questo dice la legge
e la tradizione.-
Anak guardò Marco e vide l'incredulità, la paura e la disperazione fare
breccia in quegli occhi.
Marco si alzò di scatto dal letto ignorando il fatto di essere nudo
scosse con violenza il capo.
-Io non sarò la colonna di nessuno, mi spiace Anak. Tantomeno sarò il
tuo amante! Non intendo imparare a fare alcun ché per i tuoi Dei. Io
voglio solo tornare a casa!-
Anak si alzò in piedi nella piccola tenda tendendo le mani al ragazzo che
tremante fissava lo sguardo disperato su di lui.
In quel momento un lembo della pelle si spostò facendo entrare una figura
secca e dritta dalla lunga chioma candida.
Istintivamente, spaventato, Marco fece un passo indietro inciampando e
finendo per terra, ai piedi di quello che era il vecchio sciamano che
aveva ucciso Anak.
Gli occhi di ghiaccio lo fissavano trapassandolo, mentre non si era mai
sentito così nudo.
La sua anima portata alla luce in tutte le sue sfumature.
Il vecchio lo fissò a lungo, mentre Marco ad un certo punto aveva cercato
Anak con lo sguardo, non trovandolo.
-Non puoi sottrarti, tu sei il don'ha di Anak. Vieni, starai nella mia
tenda con me mentre il popolo va ai pascoli alti. In questo tempo tu
rinascerai come nuovo don'ha e io potrò andare nel mondo dei morti a
raggiungerla, finalmente libero.-
Marco scosse la testa.
-Io non vengo da nessuna parte, al massimo posso andarmene a casa. Mi
spiace che la tua don'ha sia morta, ma io non ho intenzione di stare per
sempre qua!- Lo sciamano strinse le labbra mentre gli occhi si fecero
scintillanti di rabbia.
-Nessuno ha chiesto il tuo parere, tu ora verrai con me.-
Le labbra dello sciamano si mossero di nuovo, formando parole che lui non
sentiva, e una morsa gelida si impadronì delle sue membra.
Senza forze si vide seguire il vecchio sciamano, nudo, passando in mezzo
alla gente che chiamava se stessa popolo.
Solo una cosa gli diede calore, il viso di Anak, il suo sguardo caldo che
lo fissava in volto con un piccolo sorriso.
Camminò per una buona mezz'ora dietro al vecchio senza potersi ribellare,
fino ad una isolata e grandissima tenda che riposava sotto uno dei rari
alberi che a macchie punteggiavano la prateria.
Una volta entrati Marco sentì svanire la morsa gelida che lo aveva
costretto a seguire il vecchio e si girò verso quel viso freddo con il
viso rosso di rabbia e umiliazione.
-Ora io me ne vado, non mi importa dove ma me ne vado!- Gridò furioso e
con tutta la sua rabbia solo per crollare, improvvisamente addormentato,
sulle pellicce del pavimento.
Il viso dell'anziano sciamano si addolcì guardando il ragazzo
addormentato.
Con tenerezza lo coprì e gli accarezzò il viso.
-Tu sarai don'ha Marco, con le buone spero. Ma se servirà anche con le
cattive. Il popolo ha bisogno di un giovane sciamanno potente e di un
don'ha potente. Si sta' avvicinando una spaventosa guerra e l'ultimo
volere della mia don'ha è stato di lasciare ad Anak la forza di lottare.
E tu sei quella forza.-
Con quelle parole uscì dalla tenda aspettando che il ragazzo si
svegliasse.
Mille demoni dagli occhi di fuoco lo fissavano , lui sapeva di stare
sognando ma non riusciva a svegliarsi assolutamente. Il terrore si
impadroniva di lui conquistandolo sempre di più.
Si sentiva ghiacciare l'anima davanti a quei mostri orrendi, cercava di
rendersi sempre più piccolo e nascondersi nel buio, ma quegli occhi non
smettevano di cercarlo e alla fine lo trovarono.
Occhi di brace nera, pieni di infinito potere che riuscivano a bloccarlo
solo guardandolo.
Bassi sussurri che sembravano dire il suo nome, chiamarlo.
Poi quello sguardo immenso lo fissò, e la voce divenne più chiara.
-Tu sei il don'ha, ricordalo.-
Una mano enorme e artigli lunghi e affilati si avvicinarono al suo volto,
tracciando una scia di sangue e facendolo urlare.
-Noooooo!- Mi sveglio urlando e alzandomi all'improvviso da questo letto
di pelliccia, e sento qualcosa di umido sulla mia guancia. Passo la mano e
la tolgo sorpreso vedendola macchiata di sangue.
Ma allora non era un sogno? Chi o cosa era quel mostro del mio sogno?
Vedo entrare il vecchio e lo guardo spaventato e rabbioso.
E lui comincia a parlare e so che quello che dice è l'assoluta verità.
Se voglio vivere e , forse, un giorno, riuscire a tornare a casa ho solo
una scelta, diventare don'ha.
Non lo voglio, ma devo.
Una volta ho sentito dire che diventare adulti vuol dire fare quello che
si deve e non quello che si vuole.
Ma non poteva essere un'altra cosa?
Vorrei solo tornare a casa, nel mio letto, alle mie riviste ai compagni di
scuola. Perché io?
Mi viene detto anche quello, ma la spiegazione mi pare così strana. I
loro dei mi avrebbero scelto. I loro dei sono i mostri che ho visto nel
sogno e lo sciamano mi dice che ora sono i miei dei.
Ma un Dio non dovrebbe essere buono e gentile? Io ho solo visto immensa
forza e potenza, grandezza e anche crudeltà.
Ma che posso fare?
Allora accetto di fare quello che mi dice, accetto di diventare il don'ha
di Anak. E che altro posso fare maledizione!?
Nulla.
Mi prendo il volto tra le mani e piango silenziosamente.
Ora so che mi aspettano tre lunghi mesi da solo con il vecchio sciamano.
Il resto del popolo se ne è andato verso altri pascoli e torneranno solo
più avanti, quando dopo le piogge l'erba sarà verde e folta, morbida.
Tre mesi in cui mi dice mi insegnerà.
**********
La fine pioggia argentea stava scendendo dal cielo plumbeo senza mai
fermarsi da una settimana, erano gli ultimi strascichi del monsone che
arrivava ogni anno.
Era quello che gli aveva detto il vecchio almeno.
Marco era seduto a gambe incrociate sotto la pioggia incurante di tutto,
fissava il vuoto, perso nei suoi pensieri. I suoi occhi viola erano fissi
e vacui.
Le sue labbra mormoravano incessantemente una cantilena apparentemente
senza senso.
Ancora pochi giorni e Anak sarebbe arrivato, e lo sciamano sarebbe morto.
Pochi giorni e quel rito che lo avrebbe segnato a vita come don'ha si
sarebbe compiuto.
Come dal nulla apparve alle spalle di Marco lo sciamano, che appoggiò la
mano sulla spalla del ragazzo. Immediatamente un grido da parte del
ragazzo che crollò per terra.
-E secondo te questo semplice esercizio ti sarebbe riuscito? Riprova e
vedi di farcela la prossima volta.- Con queste parole lo sciamano si
allontanò, entrando nella tenda.
Marco era boccheggiante e con le lacrime agli occhi per il dolore.
Quello stupido vecchio voleva forse ucciderlo? Poteva non avere un
controllo perfetto ma non era certo ammazzandolo che avrebbe migliorato le
cose!
I tre mesi erano al termine, non sapeva se esserne felice però.
Lentamente si rimise a gambe incrociate e iniziò la cantilena che lo
avrebbe portato in quello stato di trance necessario perché quella strana
energia potesse passare attraverso di lui.
Lentamente, dall'orizzonte, si videro spuntare la carovana del popolo e le
varie mandrie sparse a punteggiare la prateria. Erano tornati a casa, al
campo invernale.
Anak cavalcava tra i primi della fila come era suo diritto e dovere.
Ma anche se non ne era mai stato felice, quel giorno avrebbe anzi fatto di
tutto perché la lunga fila di persone si muovesse con la velocità del
vento.
Una ragione lo spingeva a voler arrivare il più velocemente possibile,
una ragione di nome Marco.
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