AUTORE: Gojyina-chan
SERIE: Slam Dunk
PARTE: 1/1
PAIRING:RuHana
RATING:R
DISCLAMER:I personaggi non sono miei ma di T. Inoue.Per reclami o insulti, rivolgetevi al mio psichiatra, quando sarà di ritorno…E’ uscito per comprare le sigarette, tre anni fa, e non è ancora tornato…Strano, non lo avevo mai visto fumare…
ARCHIVIO: YSAL
Ciao e buona lettura a tutti.
Gojyina-chan

 


Dead or alive

di Gojyina-chan


 

Il Campionato Nazionale era alle spalle. Mandato giù il boccone amaro della sconfitta contro l’Aiwa Gakuin, allo Shohoku, restava la grande soddisfazione di aver battuto l’invincibile Sannoh.
Con spirito goliardico e rinnovata fiducia nei propri mezzi, i ragazzi ricominciarono gli allenamenti.
Rukawa, di ritorno dal ritiro con la Nazionale Juniores, fu il primo ad arrivare in palestra, seguito successivamente dagli altri compagni, compresi Akagi e Kogure.
Pur essendo impegnati con gli esami d’ammissione universitari, i due sempai erano lì a controllare i nuovi iscritti e, soprattutto, il lavoro del nuovo capitano, Ryota Miyagi.

Mitsui si avvicinò al gorilla, con l’espressione un po’ spaesata ”Sai per caso dov’è il signor Anzai?”
“Sembri un bambino al suo primo giorno di scuola! - lo canzonò Akagi - Il mister è stato convocato dal preside ed Ayako è andata con lui. Arriveranno tra poco…Mmh…ma…- si fermò un istante, guardandosi attorno - Dove si è cacciato quel deficiente di Sakuragi?!”.
“Tzè! Arrivare in ritardo al primo allenamento stagionale, è nel suo stile!” commentò Mitsui.
“Un momento! - intervenne Kogure - E’ rientrato da poco dalla clinica di riabilitazione dopo il problema alla schiena! Magari è in infermeria per l’ultimo controllo!”.

In quel momento si spalancarono le porte della palestra ed entrò Ayako trafelata e sconvolta ”Hanamichi…il preside…impazzito…è andato!” farfugliò ansimante.
Silenzio di tomba.
“Ce lo potresti scrivere?” le chiese Mitsui.
“Magari mimare…” suggerì Miyagi.
La ragazza incenerì entrambi con lo sguardo, fece un sospiro profondo e disse, con voce forte e chiara “Hanamichi Sakuragi ha lasciato il club di Basket!!!”.

Appartamento Sakuragi, un’ora dopo.
L’intera squadra dello Shohoku, fissava stizzita quella dannata porta, ancora ostinatamente chiusa, nonostante il terzo scampanellio di Miyagi.
Akagi iniziò a bussare talmente forte da far vibrare i cardini.”Dov’è?! Dove s’è cacciato?! Ho lasciato l’area sotto canestro ad un emerito imbecille!!!” probabilmente era in procinto di avere un infarto, o era una di quelle rare malattie tropicali che solitamente colpiscono le bestie strane come lui…
Rukawa, senza nemmeno degnare di uno sguardo l’ex capitano, appoggiò l’orecchio contro la porta e sentì un rumore di passi, lento e strisciante.
“Stai calmo – gli disse – stanno per aprire. Non ci facciamo riconoscere, come al solito. Se i vicini chiamano la poliz…” le parole gli morirono in gola, quando si voltò verso l’uscio.

C…Chi diavolo era quel tizio di fronte a lui?! Occhi arrossati, guance scavate, minimo dieci chili in meno e l’aria di uno che non vedeva un letto da settimane…No,non poteva essere Hanamichi!
Con la coda dell’occhio, si accorse che Kogure aveva trattenuto il respiro ed Akagi, l’espressione preoccupata, si stava avvicinando al rossino.
“Ha…Hanamichi…ma…cosa ti è successo?!” gli chiese.
“Ecco…io…- iniziò a balbettare il ragazzo - La schiena! – annunciò con il viso trionfante – Sai, dopo la botta che ho preso, non posso più giocare. Sarei passato io stesso a dirvelo…” concluse sottovoce.

BUGIARDO!!! Se c’era una cosa che Kaede sapeva bene, era riconoscere una menzogna. Soprattutto una di Sakuragi. Non le aveva mai sapute dire.
Fremette di rabbia. Senza il Do'hao, con chi avrebbe litigato, durante gli allenamenti?! Come avrebbe potuto sopportare l’idea di non rivederlo mai più?!
L’unico bipede che aveva portato un raggio di calore umano, in quell’ immensa distesa di ghiaccio che era la sua anima!
Almeno LUI meritava una spiegazione!
“E per un colpetto alla schiena, molli tutto? Sei sempre stato un perdente!” lo provocò.
Gli occhi di Hanamichi si puntarono su di lui, vacui e persi nel vuoto! “Sì, è vero. Ora devo andare…scusate e… grazie per essere passati.” così dicendo, chiuse loro la porta in faccia.

Mitsui fu il primo a riprendersi ”Ok, chi diamine era quel tizio e che fine ha fatto fare al nostro Sakuragi?”
Nessuno seppe rispondere.

Kaede, incavolato come non mai, ritorno in palestra a scaricare la rabbia.
Che razza di risposta gli aveva dato?! Come osava cambiare le regole del gioco, senza interpellarlo?!
Quando usava quel tono di voce, il rosso doveva infuriarsi e insultarlo, così da finire a mani in faccia. Era semplice, no?
Almeno lo poteva toccare… Certo, non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma sentire sotto le mani i muscoli guizzanti del Do'hao, gli faceva fremere quello che comunemente chiamano cuore.
Che diavolo gli era preso a quel mentecatto?!

Due giorni dopo, in aula, ascoltando lo stesso professore, leggere lo stesso libro, dove i protagonisti fanno e dicono le stesse medesime cose da secoli, Kaede osservava il rossino che tentava in tutti i modi di tenere almeno gli occhi aperti.
Alla fine della lezione un loro compagno di classe, si avvicinò sorridendo ”Hey, Hanamichi! E’ vero che hai mollato il Basket? In effetti, hai resistito quasi otto mesi, un record per uno come t..!!!” gli fu difficile terminare la frase, con la manona del rosso intorno al collo, mentre veniva sollevato mezzo metro da terra!
Subito, quei derelitti dell’armata Sakuragi, tentarono di placare l’amico, ma nemmeno l’intervento di Mito servì a qualcosa.
Rukawa vide il suo ex compagno di squadra scaraventare il malcapitato contro un banco.
Senza rendersene conto si ritrovò faccia a faccia con lui. ”Hey! – gli scosse con forza le spalle – Datti una calmata, lo vuoi uccidere?”
Si conoscevano da mesi, avevano imparato l’uno i pregi e i difetti dell’altro. Tacendo i primi e sottolineando i secondi.
Hanamichi era manesco, forse irascibile…sicuramente spavaldo e borioso, ma non violento, mai.
Invece, in quel momento, Kaede lesse in quegli occhi, una furia omicida così selvaggia da impietrirlo.
In qualche modo la sua voce dovette arrivare al cervello del Do'hao, perché gradualmente il rosso, rilassò i muscoli delle braccia, una volta dure e possenti, e guardò disgustato ciò che aveva appena fatto.
“Io non… perdonami – mormorò, rivolto al ragazzo ancora intontito per il colpo – perdonami!” ripeté guardando Rukawa, ed uscì dall’aula, veloce come ai vecchi tempi.
Kaede cercò Yohei Mito con lo sguardo, ma dalla faccia avvilita dell’altro, capì che ne sapeva quanto lui.
Maledizione!

Come sempre, all’intervallo, Rukawa andò sulla terrazza della scuola a schiacciare un pisolino e qualcosa di più, dato che le due ore successive erano buche. AAAH! I vantaggi dei primi giorni di scuola, quando ancora non sono arrivati tutti i professori e si può ronfare indisturbati!
Capì che i suoi programmi mattutini sarebbero andati in fumo, nel momento in cui si rese conto di non essere solo.
Hanamichi, era seduto per terra, le spalle contro la ringhiera ed un’espressione estatica sul viso.
Accidenti! Rukawa sperò che non avesse cominciato a farsi.
Appena lo vide, il Do'hao, scattò in piedi, con la faccia del bambino beccato con le mani nella marmellata. Adorabile!
Tuttavia a Kaede, non sfuggì il suono metallico che accompagnò il movimento del rossino.
Gli ci volle un attimo per capire e raggelò.
Una lametta sporca per terra, sangue che gocciolava dalle dita.

“Ma che diavolo hai fatto?!” tuonò, saltandogli addosso con violenza. Reazione dettata più dalla paura, che dalla rabbia.
“No, lasciami!”. Ma se Hanamichi già faticava a tenergli testa quando era in forma, figuriamoci ora, così deperito. Non riuscì proprio a fermare quel dannato volpino che gli stava letteralmente strappando la giacca della divisa scolastica di dosso.
“Oh, mio Dio!”lo sentì sussurrare.

Il Kitsune doveva aver visto i tagli sulle braccia.
Non erano brutti. Regolari, paralleli e precisi. Un buon lavoro, dopotutto.
Non facevano quasi più male. Il ricordo era un sofferenza maggiore…
“Oh, mio Dio! - stava ripetendo Kaede, in trance – Come hai potuto ridurti così?!” gli chiese sgomento.
Ma Sakuragi non sapeva cosa rispondere. Frugò nella sua anima straziata, tentando di dare una risposta salace, ma non vi trovò nulla, così rimase in silenzio.
Vide Rukawa prendergli il braccio appena martoriato e…leccare via le gocce di sangue residue.
D’improvviso, avvertì un fremito. Il primo segnale, dopo più di un mese, di una qualche attività vitale del proprio corpo.
Perché lui era vivo. Questo era il problema. Poteva parlare, correre, pensare. Questa era la sua condanna.
“P...posso capire che lasciare il Basket sia stato duro, ma..” Kaede non poteva abbandonare con lo sguardo quella scena che, sicuramente, avrebbe ricordato per il resto della sua vita.
Forse era vero il problema alla schiena di Hanamichi, lui al suo posto avrebbe reagito malissimo, ma…Non così…non quello!
“Devi disinfettarti subito!” Oh, Kami! Era sua quella voce allarmata?! Sembrava di sentire Kogure!
“No, davvero, sto bene, solo…Kitsune, non dirlo a nessuno, tanto meno a Mito!”. Raccolse la giacca, che usò per coprirsi le braccia, e si allontanò in fretta, senza voltarsi.
Rukawa non seppe dire per quanto tempo rimase in piedi, sulla terrazza, col sapore del sangue in bocca, ma di certo non riuscì a chiudere occhio.

Nella settimana seguente, Hanamichi non andò a scuola, né tanto meno in palestra. In quel lasso di tempo, Mito chiese più volte a Rukawa se ne sapesse qualcosa, dato che era stato l’ultimo a vederlo. Ma quest’ultimo, ricordando lo sguardo spaventato ed implorante del rossino, rispondeva sempre con una scrollata di spalle e l’indifferenza tatuata sul volto.
Ma era preoccupato. E tanto. Non riusciva nemmeno a giocare, cosa per lui inconcepibile.
E non dormiva. Altra novità. Ogni volta che chiudeva gli occhi, si ritrovava davanti quel corpo deturpato ferocemente.
Un senso di rabbia, frustrazione e impotenza, lo attanagliava da giorni.
Doveva fare qualcosa, ma non sapeva cosa. Doveva fare qualcosa, ma non sapeva come!
Sentì distrattamente Ayako parlottare col signor Anzai, il quale, tra lo stupore generale, tuonò:
“Non è possibile! Hanamichi Sakuragi si è ritirato da scuola?!”.
In quel preciso momento, Rukawa capì cosa fare.
Era così semplice! Perché diavolo non ci aveva pensato prima?!

Mitsui e Miyagi si guardarono l’un l’altro, sbigottiti.
Sì. Erano finiti in un Universo Parallelo. Non c’erano dubbi.
Sakuragi che mollava tutto, Anzai imbestialito e Rukawa…Kaede Rukawa, che lasciava la palestra nel bel mezzo degli allenamenti!
Si trattava di un Universo Parallelo.
Il punto era : come tornare nel mondo precedente?

“Apri, dannato Do’hao! So che ci sei! Apri o griderò così forte da fare arrivare persino la Marina!!!”
Rukawa non si scoraggiò vedendo la porta ancora ostinatamente chiusa. Aveva lasciato alle spalle frustrazioni e tentennamenti.
Se i difensori sono ostici, bisogna trovare una via d’accesso alternativa, ecco tutto.
Si guardò intorno e sorrise trionfante notando una finestra socchiusa, probabilmente della cucina.
Poco dopo si ritrovò finalmente in casa, aggirandosi con circospezione nell’appartamento insolitamente buio, nonostante fosse primo pomeriggio.
Entrando in salotto vide Hanamichi steso sul divano, un braccio sugli occhi e una dozzina di bottiglie di birra vuote sparse sul tappeto.
Senza esitare accese la luce e, mentre lo sentì mugugnare parole senza senso, andò ad alzare le tapparelle aprendo poi le due finestre, inondando la stanza di luce e calore.
“Mmm…Se sei un ladro, sappi che non ho niente, anzi, lasciami qualche soldo sul tavolo in cucina, prima di uscire…” blaterò Hanamichi, senza cambiare posizione.
Rukawa non si prese nemmeno la briga di rispondere.
Lo afferrò di peso e lo trascinò in quello che doveva essere il bagno.

Sakuragi si ritrovò nella vasca, senza rendersene conto.
“Ma che…?!” guardò allibito il Kitsune aprire il getto dell’acqua fredda.
Kuso! Che diavolo ci faceva quello a casa sua?
Frugò tra i ricordi confusi e frammentari.
Aveva lasciato la scuola? Sì
Aveva mollato il Basket? Sì.
Allora perché aveva la faccia del volpino a pochi centimetri dalla sua, con l’espressione tipica di quando stava per fare canestro e tre difensori gli si erano parati davanti?!
Avrebbe potuto dirgli molte cose, per lo più insulti, ma rimase in silenzio.
Quelle mani sul suo corpo, lo stavano turbando nel profondo.
Ma ciò che sconvolse il rossino, fu l’erezione che iniziò a premere contro i suoi boxer, unico brandello di tessuto che indossava.
Kuso!

Senza scambiarsi una parola, tornarono in soggiorno. Hanamichi si accomodò sul divano, con un asciugamano in vita; mentre Rukawa, intento a buttar via le bottiglie vuote, faceva avanti e indietro dalla cucina.
“Fai piano! Sto lottando contro il post-sbronza del secolo, io!”
Naturalmente, Kaede fece ancora più rumore, sorridendo tra sé quando lo sentì mugugnare appoggiando il capo sul bracciolo di stoffa.
Smessi i panni della brava massaia, il volpino andò a sedersi accanto a quel caso umano, pronunciando una frase che mai, MAI pensava di poter dire in tutta la sua vita.
“Ok, parlami!”
Attese. Niente.
Aspettò ancora. Niente.
Affondò la mano in quella massa di capelli rossastri, notevolmente cresciuta negli ultimi mesi, e lo tirò a sedere.
“AAAHI!!! Ma che vuoi? Che ti prende?! Giochi a fare lo psicologo, adesso? Perché ti dovrei delle spiegazioni? Merda, non siamo neanche amici!” sbottò infastidito il Do’hao.
“Sto aspettando.” gli disse senza scomporsi.
Sakuragi fece per alzarsi, ma l’altro lo bloccò in una stretta dolorosa, circondandogli il busto con le braccia.
Era più forte del solito, o si era indebolito lui?! Hanamichi non seppe rispondere mentre tentava di divincolarsi, inutilmente.
Il silenzio che seguì fu rotto solo dal suo respiro affrettato.
Prigioniero di quel bastardo, la schiena premuta su quel torace estraneo, ma al tempo stesso familiare. Cercò nuovamente di fuggire e fu ancora sconfitto.
“Guarda come ti sei ridotto! – gli stava sussurrando il maledetto volpino all’orecchio – Un leone senza più artigli né zanne! – si avvicinò ancora di più a quel lobo vibrante – Mi fai pena!” aggiunse con una punta di cattiveria.

Sì. Aveva bevuto, e anche parecchio, non c’erano altre spiegazioni plausibili che potessero giustificare quel brivido che dall’orecchio si propagava lungo il collo ad ogni sospiro del suo eterno rivale.
O era impazzito.
Se avesse avuto le mani libere, avrebbe brindato a quell’ultima ipotesi.
“Parla – gli stava ripetendo, ossessivo, quello che aveva sempre considerato il suo peggiore nemico – Parlami, cosa ti succede? Cos’hai?!” la voce bassa, ipnotica, il calore di quelle candide braccia che, adesso, sembravano volergli dare conforto e sostegno.
Non lo poteva sopportare!
“No!” sperava di usare un tono più deciso, invece gli uscì solo un flebile lamento.
“Ti ascolto. Qualunque cosa…davvero…Ti ascolto…”
Insistente, incalzante e …sexy. Non gli dava tregua.
“T…Ti prego…no…non voglio…” gemette Hanamichi, spostando il capo da un lato all’altro.

Hanamichi aveva sempre avuto un fisico possente, almeno fino a qualche mese prima. In quel momento si rese conto di quanto fosse effettivamente debilitato. Percepiva il corpo del Kitsune come un enorme scoglio, sul quale era destinato ad infrangersi e l’ineluttabilità della situazione lo lasciò sgomento.

Sì, sì. Aveva bevuto troppo e mangiato niente da settimane.
Sì. Era stanchezza, niente di più!
Furono solo quei validissimi motivi a fargli aprire bocca e parlare. Assolutamente!
“Due mesi fa, ho ucciso mio padre.” La condanna fu scritta.
Certo, un conto era esserne consapevole, ma sentire la propria voce affermare quella, seppur grande, verità, rendeva tutto più reale, categorico.
Quelle parole, pronunciate con rabbia, lo straziarono fin nel profondo dell’anima.
Scoppiò. Non poté farne a meno.
Pianse, quel giorno, Sakuragi. Pianse per ore, come un bambino, scosso dai singhiozzi.
E Rukawa sempre lì, sollecito, dolce.
Di tanto in tanto gli accarezzava la testa. La guancia candida, premuta sulla sua fronte.
Troppo intenso, troppo sincero.
Una tenerezza che stava distruggendo Hanamichi. Perché non la meritava e ne era consapevole.

Appena avvertì la tensione tornare nel corpo del rossino, Kaede aumentò la stretta e incominciò a cullarlo adagio.
L’ ennesima novità della giornata, ma… al diavolo! Chi le contava più, oramai!
“Va’ tutto bene…Andrà tutto bene!” sussurrò piano, scegliendo con cura le parole.
“Non è vero!…Come potrebbe? Non solo il giorno in cui ha avuto l’ictus, io ho tardato a chiamare l’ambulanza, perché un tizio ed alcuni suoi amichetti mi stavano restituendo un favore, ma…due mesi fa, il suo medico …” un nodo in gola gli impedì di continuare.
Kaede lo strinse forte a sé, in silenzio e poco dopo Hanamichi ricominciò a parlare.
“Dopo l’ictus, mio padre è entrato in coma e non si è più risvegliato. Il dottore che lo aveva in cura, mi ha chiesto di…di…”.
Rukawa sgranò gli occhi, lo stomaco contratto “Mio Dio…Non ti avrà chiesto di…” non riuscì a terminare la frase.
“Ho staccato la spina!!! – gridò Sakuragi – Era clinicamente morto, sarebbe stato tutto inutile…Ho acconsentito al trapianto degli organi e… L ’ho ucciso!” concluse avvilito.
“Smettila di dire cazzate - urlò infuriato Kaede , scuotendolo con forza – Non è colpa tua, re di tutti i Do’hao! Un ictus arriva all’improvviso e non ci si può far nulla, anche se ci fosse stato lì un medico, tuo padre sarebbe comunque entrato in coma! – gli prese il viso tra le mani e lo guardò dritto negli occhi – Non si è mai svegliato, giusto? Almeno gli hai dato la possibilità di riposare in pace, e soprattutto, gli hai permesso di salvare altre vite, grazie ai suoi organi! Sarebbe fiero di te!”
“Ormai non importa più…non sento più niente”mormorò il rosso, lo sguardo perso.
“Che diavolo significa?!” Rukawa lo fissò perplesso.
“Io…non merito niente…non voglio più sentire niente…!”.
“Piantala!”
“Me lo merito!”
“Finiscila!”.
“Non sono più vivo, non sono più vivo, non sono più vivo !!!”
“Stai zitto Do’hao!”.
Rukawa gli saltò addosso, schiaffeggiandolo. Ruzzolarono per terra, al centro della stanza, continuando a picchiarsi con la forza della disperazione.
Una volta esaurite le ultime energie, crollarono uno addosso all’altro, ansimanti e sudati.
Hanamichi, schiacciato dal peso del compagno, riuscì a malapena a sollevare la testa e guardarlo negli occhi, con l’espressione di sfida dei bei tempi andati ”Io-non-sono-vivo!” sibilò soddisfatto.
Rukawa non ci pensò neanche un secondo.

“Ah, sì? Allora controlliamo subito, che dici?” iniziò a toccare il corpo del rossino, ancora bello, nonostante avesse perso massa muscolare.
Gli pizzicò piano i capezzoli e lo sentì soffocare un gemito.
“Vediamo…Sì, il battito cardiaco, c’è ancora…” si chinò a leccarli, strappandogli un rantolo ferino.
“C… Che cazzo …stai fac…ndo?!” ansimò Sakuragi, allarmato e …sorpreso!
Certo, Mister Testosterone sempre dietro ad una sottana, non poteva non essere stupito dai brividi di piacere che scorrevano sulla sua pelle, il cuore che batteva forte e l’erezione che premeva contro i boxer, chiedendo tacitamente d’essere liberata.
“Kitsune, smettila…sembri un pazzo!” gli chiese il rosso, quasi implorante.
Ma le mani del volpino non avevano alcuna intenzione di fermarsi a partita in corso.
“Cos’è quella faccia? Sto solo controllando se è vero che sei crepato. Sarebbe musica per le mie orecchie. Voglio esserne certo, prima di andare a festeggiare!” gli spiegò con una punta di cattiveria nella voce.

“Le mani…No, i boxer no!!!”
Merda! Era troppo intontito dall’alcol, debole nel fisico e svuotato psicologicamente dopo la confessione fatta poco prima, per potersi opporre! Oppure no?
Non gli era mai venuto in mente di poter fare certe cose con un uomo, ma il piacere che stava provando in quel preciso momento, era troppo reale per poter essere ignorato .
Nel momento in cui le labbra di Rukawa si chiusero sul suo membro pulsante, più nulla gli sembrò utile a giustificare la vampata di calore che lo costrinse ad inarcare il busto, affondando le mani in quella massa di capelli corvini.
Oooh! Doveva assolutamente smettere di urlare in quel modo, o i vicini avrebbero chiamato le forze dell’ordine!
Gemeva come una verginella! Che vergogna!
Tentò di coprirsi la bocca con la mano, ma il volpino aveva altri piani.
Gli afferrò il polso sollevandolo sopra la testa, mentre con la mano libera, continuava a torturarlo impietosamente.
“Voglio sentire se il cadavere si lamenta. Non sia mai che fosse un caso di catalessi…” gli spiegò, con quella faccia da schiaffi che sapeva farlo andare in bestia.
Lo avrebbe pestato. Oooh, se lo avrebbe fatto! Ma…non adesso, non quando stava per…per…
Hanamichi tentò in tutti i modi di fermarsi. Pensò alla scuola, alla fame nel mondo, alla guerra e ai dolori dell’umanità.
Ma non servì a nulla.
Con un ruggito, lungo e potente, si lascio andare agli spasmi di un violento orgasmo.

Rukawa aspettò che il corpo del rossino smettesse di tremare, per quell’espressione stupita, ci avrebbe lavorato su in un secondo momento.

Ora stava per iniziare il secondo tempo.

Ad essere del tutto onesti, era sempre stato convinto che, se mai fosse davvero successa una cosa simile tra loro, sarebbe stato Sakuragi a muovere mani e compagnia bella.
Probabilmente sarebbe stato così in futuro.
Ma non oggi. Quel giorno era Rukawa l’uomo partita.

In effetti, la sua strategia, mirava ad avercelo, quello stramaledetto futuro!

Il piano era semplice, riportare in gioco, il suo compagno…o ciò che ne rimaneva.
Non si deve mai perdere l’attimo. Questo è il segreto per fare canestro e lui era un esperto in materia.
Mai lasciare all’avversario il tempo di riorganizzare le idee per un contrattacco. Ci si avventa sopra, serrando le marcature e affossandolo definitivamente.

Kaede tenne ben saldi i polsi del do’hao sopra la chioma rossa mentre con le ginocchia gli spalancava lentamente le gambe.
“N…non stai per fare quello che credo, vero?!”
In altre circostanze, la voce spaventata del do’hao avrebbe anche potuto strappargli un sorriso. Ma non in quel momento. Aveva un punto da segnare.
“Dimmi che n… non stai per… per…RUKAWAAA!!!
Di nuovo quello sguardo puntato su di lui. Doveva far male. Ne avrebbe preso nota.
Iniziò a muoversi piano, sentendo il corpo di Hanamichi farsi poco a poco più rilassato e consenziente.
“Non è possibile che sia così…così…” stupore, piacere, gioia.
Non poteva essere la faccia di un morto, giusto?
Quando percepì di essere arrivati entrambi al limite, gli liberò le mani.
Era un rischio, certo. Ma si vince anche con un rimbalzo favorevole.
Capì che la Dea Bendata gli stava sorridendo, quando sentì che quelle braccia segnate, invece che respingerlo, gli si aggrapparono alle spalle, come una scialuppa di salvataggio nel mare in tempesta.
“Allora, senti qualcosa...” gli sussurrò in un orecchio.
“No!” Hanamichi si distese nuovamente sul tappeto, sfuggendo al suo sguardo.
“Lo senti!” affermò ancora iniziando ad ansimare.
“NO!!!” suonò più come un’ imprecazione, che una risposta.
“Tu sei vivo.” Rukawa sottolineava ogni sua frase con una spinta sempre più profonda.
C’erano quasi, il tremore che li scuoteva era inequivocabile.
Doveva avere pazienza. Dopotutto, lui faceva sempre canestro!
“Non voglio sentire… Non così…” il viso arrossato, la bocca socchiusa, lo sguardo perso.
A Rukawa non era mai sembrato più bello.
Lo vide sgranare gli occhi , cercandolo con lo sguardo. L’espressione stupita e felice.
“Sì!” mormorò Sakuragi, con le lacrime agli occhi.
“Ancora! Dimmelo ancora!” gli ordinò Rukawa, muovendosi più velocemente, al ritmo del proprio cuore.
“Sì, sì. Sììì!!!” urlò Hanamichi, inarcando il busto e agitandosi come un ossesso.
“Dimmelo, sei vivo?” volle sapere il volpino, incalzante e spietato.
“Sì, sono vivo!…E mi piace, mi piace da matti!”
Bastò un’altra spinta per catapultarli in un’ altra dimensione, completamente sconosciuta ad entrambi.
Per qualche istante, dimenticarono di respirare, limitandosi ad annegare l’uno nello sguardo dell’ altro, vivendo di pura beatitudine.
Dopo attimi che parvero interminabili, il mondo ricominciò a girare intorno a loro.
“Do’hao…che fatica…farti capire!” borbottò Rukawa, fingendosi contrariato.
Non sentendo risposta, si voltò a guardarlo preoccupato.
Hanamichi aveva il viso disteso in un dolcissimo sorriso, gli occhi lucidi.
“Grazie!” gli disse baciandolo dolcemente.
Il loro primo bacio!

“E’ finalmente finito il tuo periodo sabbatico? – volle sapere il volpino – Torni sia a scuola che in squadra?”
Usò il suo solito tono indifferente, ma non gli riuscì molto bene e, in cuor suo, temette di esserselo rovinato per sempre.
Ringraziò Buddha per quello.
“Cos’è quel tono speranzoso, Kitsune? – gli domandò Sakuragi con tono di sfida – Ti manca il mio genio sublime?” Forse a tradirlo fu il suo sguardo adorante, o la carezza che la sua mano volle fare alla guancia del volpino…Mah! Vallo a capire il corpo umano!
“No. - sussurrò Kaede sulle sue labbra - E’ che, quando ci vedono giocare insieme, io risulto ancora più bravo!”
Faccia da schiaffi! Era una faccia da schiaffi! Hanamichi aprì la bocca per ricoprirlo di insulti…
“Ti amo.” … Ok, ma la buona volontà ce l’aveva messa, però!
“Anch’io ti amo, Do’hao!”
Un altro bacio, poi un altro, poi un altro…

Finirono in camera da letto. Appena appoggiarono la testa sui cuscini, caddero tra le braccia di Morfeo.

Hanamichi ebbe un sonno agitato. Si lamentava , chiamando il padre.
Kaede allora lo stringeva a sé, dolcemente, e sembrava bastasse questo per calmare il ragazzo.
Il rossino, nel corso della notte, si svegliò una sola volta.
“Ero su un prato enorme, tagliato da un piccolo fiume. Mio padre mi chiamava dalla riva opposta, ma io non riuscivo ad andare da lui. Qualcosa me lo impediva – mormorò assonnato. Si voltò a guardare il volpino negli occhi – Tu mi avevi afferrato una mano e mi tiravi verso di te. Mi sono voltato verso il corso d’acqua. Mio padre ci stava salutando con la mano, sembrava sereno…” Sakuragi sprofondò in un sonno tranquillo.
Rukawa rimase a lungo a fissare quel volto finalmente rilassato. Sapeva benissimo di non essere riuscito completamente a guarire l’anima ferita del rossino.
Dolori e disgrazie, non si cancellano con l’affetto; ma l’amore aiuta ad affrontarli meglio, a guardare avanti con fiducia.
Nessuno dei due sarebbe stato mai più da solo.
Erano due facce della stessa medaglia. Lo erano sempre stati.
Il Do’hao lo riscaldava; mentre lui lo faceva rimanere a galla.
Si sarebbero resi pazzi a vicenda, e ad entrambi sarebbe piaciuto da matti.
L’unico dubbio di Rukawa era: come, tecnicamente, ci si prendeva cura della persona amata se mai, nella vita, si aveva provato quel genere di sentimento?

Decise di andare per gradi. Prima il corpo, poi lo spirito.
Dato che il frigorifero di Sakuragi era il deserto dei Tartari, andò a fare la spesa, deciso a far riprendere quei chili in più al proprio compagno, a costo di imboccarlo di persona!
L’idea di nutrirlo, lo allettò parecchio.
Una volta tornato a casa, si diresse verso la camera da letto, per controllare il sonno del rossino.
Lo trovò seduto al centro del letto, con l’ espressione di un bambino che aveva perso la mamma.
Gli si strinse il cuore.
“Mi sono svegliato e tu non c’eri – lo guardò con fare accusatorio, la voce roca – Ho pensato di essermi sognato tutto!”.
“Sono semplicemente andato a comprare qualcosa da mangiare – rispose il volpino mostrandogli i sacchetti pieni , più felice di quanto non desse a vedere – Dall’aspetto devi essere a digiuno da giorni!”:
“Uffa! Non ne ho voglia!” sbuffò l’altro, infilando la testa sotto al cuscino.
“Adesso ti metti anche a fare i capricci? Non sei un po’ troppo cresciuto, per questo genere di cose?”
Kaede appoggiò i sacchetti vicino al comodino e andò a sedersi accanto a lui.
Hanamichi colse l’attimo giusto e lo prese tra le braccia.
“Sai…alla mattina, ho sempre un piccolo problemino…” gli sussurrò malizioso. Aveva un favore da restituire, e lui era un uomo che pagava sempre i suoi debiti!
Rukawa guardò quel corpo così meravigliosamente nudo “ Chiamalo piccolo!” commentò ironico.
“Credo che mi sia venuta fame, dopotutto!” affermò il rossino.
“Viva Dio!”
“Ho fame di te !”.
“Interessante.”

Si toccarono con più delicatezza della volta precedente, maggiormente consapevoli di ciò che stavano facendo.
Ma, nel momento in cui Hanamichi fu lì, lì per penetrarlo, Kaede lo vide bloccarsi, terrorizzato.

Kuso! Stava per fargli male! Non voleva in alcun modo ferirlo ma…lo avrebbe fatto! Non poteva resistere ancora a lungo in quelle condizioni!

Kaede percepì fisicamente la tensione in quel corpo, ormai familiare. Lo vide tremare per lo sforzo di trattenersi.
Con decisione, gli afferrò le natiche con le mani e lo spinse dentro di sé.
“Kitsune…aspetta! Io non posso…” gemette il rossino, spaventato a morte.
“Tranquillo! Tu non mi potrai mai fare del male!” gli sorrise, rassicurandolo all’istante.
Fu un rapporto straordinario, fatto di carezze e dolci sussurri, che lasciò entrambi estatici ed ebbri d’amore.

“Wow! Se cominci così tutte le tue giornate, credo proprio che prenoterò una stanza per tutto l’anno! – scherzò Kaede , ennesima, meravigliosa novità degli ultimi giorni. – Ora alzati! Dopo scuola abbiamo gli allenamenti!”.
Sentì ogni singola cellula del corpo di Sakuragi, irrigidirsi all’istante. Si voltò a guardarlo, preoccupato.
“A…aspetta…io… come ci torno? Come me la metto la maglia con questi?!” disse mostrandogli i tagli sulle braccia.
“Non sono segni così profondi da lasciare cicatrici. Per il momento, puoi coprirli con delle bende. – poi, aggiunse in un sussurro – Sono quasi morto quando le ho viste la prima volta…Giurami che non farai mai più una cosa simile!”
“Te lo giuro, Kitsune! Mai più! Sono stanco di farmi del male!”.
Così dicendo il suo Do’hao preferito, suggellò il loro patto, con l’ennesimo bacio.
“Ok, ok! Stop! Altrimenti chi si muove più da qui!” lo fermò Rukawa, seppur a malincuore.
“Sarebbe tanto grave!” domandò il rossino, sorridendo.
“Adesso mangia e poi andiamo!” gli ordinò Kaede, rovistando nei sacchetti.
“Sì, mamma!” lo canzonò Sakuragi, ricevendo in cambio un cazzotto.

Nessuno dei ragazzi dello Shohoku chiese a Sakuragi com’è che avesse cambiato idea, o il perché di quelle braccia fasciate, o il motivo di quell’ espressione felice e beata.
L’importante era che fosse tornato.
Pur non sapendo nulla degli avvenimenti del giorno prima, Mito ringraziò con lo sguardo Rukawa, sicuro che, dietro il ritorno di quella testa malata dell’amico, ci fosse stato l’intervento del volpino.
Durante la partitella d’allenamento, Mitsui ed Hanamichi, si scontrarono nell’area sotto canestro.
Nell’atterrare, il rossino, mise male un piede e scivolò violentemente a terra.
Fermato il tempo, i compagni si precipitarono verso di lui.
Tra lo stupore generale, il primo a soccorrerlo fu Rukawa che lo aiutò ad alzarsi.

Forse Mitsui e Miyagi erano ancora in un Universo Parallelo…Ma quello lì non sembrava tanto male, dopotutto!

“Accidenti, scusami Hanamichi, non l’ho fatto apposta! – gli disse Mitsui, mortificato – Ti sei fatto male?”.
“Oh, ! Ho sentito male! – affermò il ragazzo, stranamente contento.
Forse aveva picchiato troppo forte la testa...
Il rossino, guardando Kaede negli occhi, aggiunse sorridendo: “Ho sentito dolore, perché sono vivo!”.


 

*fine*