Dark Future

di Cily


Un urlo acuto, come una lama tagliente, ferì il mio udito. Velocemente, portai le mani alle orecchie e le spinsi forte, schiacciandole contro i capelli. Smettila di urlare! Smettila!!

Dicono che sono pazzo. Forse hanno ragione. Lo sono diventato da quando te ne sei andato. Di te, mi resta solo quel grido soffocante, uscito dalla tua gola, quando mi hai salvato. Io sono vivo, e tu? Tu sei in bilico. Stai camminando in equilibrio sul filo che separa la vita dalla morte. Cosa c’è oltre quel filo? Non voglio scoprirlo e non voglio che tu lo scopra per me, perciò torna, ti prego.

 

Sono chiuso in camera da un mese. Non voglio che gli altri, gli amici, vedano come sono ridotto. “Amici”… che parola strana. Io non ho mai avuto amici. Ho avuto solo te. E non voglio perderti. Perché sei stato il mio unico amico, il mio unico amore. E lo sarai per sempre. 

Esco solo a mezzanotte, quando le tenebre mi avvolgono. Esco dalla finestra ed entro dalla finestra. Nessuno sa di queste mie uscite notturne, uscite durante le quali vengo da te. Mi introduco furtivamente nella tua stanza d’ospedale e ti guardo respirare. Non sai che sollievo, quando vedo che respiri ancora. E, prima di andarmene, ti bacio, come per infonderti la mia vita. Prendila pure, se serve per farti tornare da me. Dopo pochi minuti, torno all’oscurità, che avvolge il mio corpo e si confonde con i miei capelli corvini. Mi piace quando giochi con le ciocche morbide dei miei capelli. Adoro quando mi guardi con quei tuoi occhi nocciola. Il mio cuore accelera quando mi baci. Anche per te è lo stesso? Quando ti risveglierai, vorrei che me lo dicessi. 

 

E se tu non ti risvegliassi? No, non può accadere! Ti amo troppo perciò non morirai. Ho letto da qualche parte che l’amore lega due anime e non le divide mai. Perciò io ti legherò alla vita e, dato che non sei un palloncino, non volerai via. Vero?

Sai, degli uomini in divisa, sono entrati nella mia stanza, qualche giorno fa. Mi hanno fatto un sacco di domande. 

-          Kaede, te la senti di parlare con noi?

-         

-          Tua madre non ci ha permesso di venire prima, perché eri sotto shock, ma è passato un mese, quindi dovresti esserti ripreso…

-          … 

-          Dovresti dirci ciò che è successo. 

Mi hanno pregato di raccontare loro tutto ciò che è accaduto. Ma io non ho detto niente. Li odio. Come possono dire che non dovrei essere più sotto shock? Il mio ragazzo è quasi morto, tentando di salvarmi, e io non dovrei più essere sotto shock? Sono loro i pazzi. 

 

È tutta colpa mia! Mi odio per tutto questo! Se non avessi voluto mettermi in mostra come al solito, di fronte a te, per sentirmi importante davanti ai tuoi occhi, ora saresti qui, sorridente e scherzoso. Ma perché sono così esibizionista? Pensavo che fossi tu l’esaltato, ma mi sbagliavo. Sono una kitsune molto stupida. Perché diavolo ho proposto di gareggiare a “chi arriva per primo a casa è il vero tensai”? Perché diavolo sono passato con il rosso per arrivare prima di te? Perché diavolo è passata quella dannata auto in quel dannato momento? Perché mi hai rincorso e spinto sul marciapiede, salvandomi, e lasciando che quella dannatissima Mitsubishi ti colpisse al posto mio?

Il senso di colpa mi rode il fegato. Ogni giorno, quando mi sveglio, so che non riuscirò a stare tranquillo, perché verrò ancora perseguitato da quei momenti, che vengono riproiettati nel mio cervello all’infinito. Eppure, la notte, sogno di noi, felici, quando tu eri sveglio. Nei miei sogni non sei prigioniero di un coma che ormai dura da più di un mese e mezzo, non sei impotente davanti a chissà quali incubi che turbano il tuo sonno. Sai, mi ricordo di quando, nel cuore della notte, ti svegliavi gridando. Facevi strani incubi, ma non hai mai voluto raccontarmeli. Eri talmente spaventato che ti stringevi forte a me, e mi pregavi di coccolarti per farti riaddormentare. Beh, a volte, ero io quello che si addormentava. Riuscivo ad appisolarmi ovunque. E tu ti arrabbiavi sempre, perché dicevi che ti facevo preoccupare con il mio comportamento sonnambulo. Ma adesso, tutto questo è cambiato. Infatti è da un mese e mezzo che mi addormento solo nel mio letto. E forse è un cattivo segno, perché so che ho paura di addormentarmi, perché sono terrorizzato di fare un incubo, in cui mi vieni a dire che hai deciso di stare nel regno dell’aldilà. Lontano da me. Ma credo proprio che se deciderai di lasciarmi, io verrò con te, perché noi siamo stati fatti per vivere insieme e quindi, se necessario, moriremo insieme.

 

 

Entro furtivamente dalla finestra. Lentamente la chiudo per non far entrare nella stanza il freddo della notte. Com’è vuota questa camera. Solo un letto, macchinari medici e due sedie. Poi… queste pareti bianche e fredde… non si addicono a un rossino vivace come te… oh…Hanamichi…

Mi siedo accanto al tuo letto e ti accarezzo la guancia. Hai un’espressione tranquilla, ma, allo stesso tempo, davvero inquietante. Però sei bello ugualmente. Poso un piccolo bacio sulle tue labbra il più dolcemente possibile, come ogni sera. Ti infondo un po’ della mia vita, affinché tu possa tornare presto da me. Mi giro senza far rumore. Apro la finestra e faccio per uscire, ma mi blocco all’improvviso. – Kaede…

Una voce mi ha chiamato. Mi giro di scatto. E ti vedo. Hai gli occhi leggermente socchiusi e mi stai guardando.

-          Kaede… non lo sai che esistono le porte?- conclude con voce debole, leggermente inclinata in un sorriso.

-          do’aho…. – non lo dico con scherno. Ormai è il tuo soprannome… e suona in modo più dolce se associato a te….

Mi avvicino e ti bacio. Un bacio così non te lo avevo mai dato. Rimaniamo così per chissà quanto tempo. Ma a me non dispiace e, a quanto vedo, nemmeno a te.

-          Mi hai fatto stare in pensiero Hana… - gli sussurro piano.

-          Anche tu…

-          Che intendi dire?

-          Beh… volevo svegliarmi al più presto per controllare che tu non ti fossi addormentato in bici e magari fossi stato investito da un’auto! – ridacchi, ma lo sai che queste cose succedono. Lo sai che le auto uccidono molte persone. E c’è mancato poco che non uccidessero anche te. Ma ora tu sei qui e il resto non ha importanza.

In risposta ti bacio sulla fronte e arrossisci come un bambino delle elementari. Però, ad un tratto, mi sembri spaventato. Una strana espressione preoccupata si è dipinta sul tuo viso.

-          Ka-chan… Io… io non riesco a muovermi…

-          Cosa significa? – domando io esterrefatto.

-          L…le gambe… non…non si muovono… - stai quasi piangendo. Anche io avrei voglia di piangere, ma ora non posso.

-          Stai calmo, piccolino… il tuo corpo ha solo bisogno di un po’ di tempo per svegliarsi completamente… non ti preoccupare…

Ti tranquillizzi poco alla volta e mi chiedi di tenerti per mano. Rimango così fino alle prime luci dell’alba, quando inizi a prendere sonno. Ora devo andare. Ma tornerò domani, per sentirmi dire che sei guarito e che tornerai a casa.

 

 

Oggi sono andato a scuola di buon umore. Logicamente non l’ho dato a vedere, ma il semplice fatto di saperti sveglio dal coma, mi riempie il cuore di sollievo.

Ho incontrato in corridoio il senpai Miyagi e l’ho avvisato che ti sei risvegliato. Ha fatto i salti di gioia. Dopotutto, non è un cattivo ragazzo. Gli allenamenti sono stati uno strazio, perché non vedevo l’ora di poter tornare a casa, per aspettare, nel buio della mia camera, il momento di venire da te. Erano tutti allegri, perché avevano ricevuto la notizia che ti eri risvegliato. Si erano tutti organizzati per poter venire a farti visita e ci sono rimasti molto male quando hanno saputo che non puoi ricevere nessuno, a causa della tua momentanea convalescenza, che deve avvenire in modo tranquillo. Tsè… non sarà certo questo a fermarmi.

 

 

Mezzanotte e sette minuti. Chiudo la finestra dietro di me. Ti vedo sotto le coperte che fissi dritto davanti a te. Ti saluto con un bacetto sul mento, ma non mi rispondi.

-          Hey, Hana, che hai? – sono un po’ preoccupato. Non sei felice che io sia venuto anche stasera?

-          … - il tuo volto mi fissa tristemente. Hai gli occhi rossi e gonfi.

-          Hana…. Tu hai pianto, vero? Hai gli occhi gonfi…. Ma che ti è successo?

T'abbraccio per un istante, per poi allontanarmi quanto basta per vedere il mutamento del tuo volto. Un velo di lacrime emerge dal profondo dei tuoi occhi nocciola e piccole gocce corrono sulle tue guance. Ti stringo forte a me e ti coccolo un po’… ma HO BISOGNO di sapere che cos’hai. E la tua voce rotta dai singhiozzi mi svela tutto.

-          Ka-chan…le gambe… non le riesco a muovere…sono paralizzate….

A quelle parole mi si gela il sangue. Credo che il mio cuore abbia perso più di un battito in quest’istante. Nemmeno io riesco a trattenermi e, mentre piango, imploro il tuo perdono.

-          Hana-chan…. Scusami, è tutta colpa mia!! se io…. Se non avessi…se quella macchina…non volevo che succedesse…ti giuro che io…oh Hana-chan…mi dispiace

Abbiamo pianto per chissà quanto tempo. Gli occhi mi bruciano tantissimo. E il mio cuore è a pezzi. E il mio senso di colpa va moltiplicandosi ogni istante che ti vedo. Ho distrutto la vita della persona che più amo al mondo. Come potrò mai rimediare? POTRÓ RIMEDIARE?

 

Mi sto odiando, davvero. Adesso nella mia testa girano vorticosamente insulti rivolti a quella stupida volpe che sono. Vengo scosso dai miei pensieri, perché sento il tuo singhiozzo che riprende. Oh, povero Hana…il mio piccolo Hana, così fragile, così tenero… T abbraccio forte e tra le lacrime, ti sento tremare. Sono un cretino. Una baka kitsune. Ho distrutto la vita del mio piccolo do’ahu…

 

 

Stiamo giocando a carte nel salotto di casa tua. Tsè, hai vinto ancora tu. Ma, stranamente non ti vanti di essere il “genio” anche nel poker. Non ti ho visto sorridere nemmeno una volta da quando sei uscito dall’ospedale. Non hai più riso. E non hai nemmeno più pianto. Stai diventando come me. Ma io sono cambiato grazie a te. Ho imparato a sorridere e a gioire della mia vita, solo perché tu eri con me. Ma io non avrò la forza di aiutarti a cambiare, se tu diventerai triste, taciturno e solitario. Non lo posso permettere, Hana.

 

Tra di noi si è creato un silenzio insolito. Hai lo sguardo basso e fissi con insistenza e tristezza sotto di te. Catturo il tuo sguardo e capisco che ti stai guardando le gambe. Vedendoti così mi si stringe il cuore. Prima che io possa fare o dire qualsiasi cosa, con uno scatto, giri la sedia a rotelle e esci dalla stanza. Ti rincorro subito.

-          Hana, dove vai? – sono preoccupato. Non voglio lasciarti solo.

-          Al cesso. Mi è consentito andare a pisciare? Sempre che io ci riesca da seduto!- una risata amara conclude la frase.

-          Vuoi che ti aiut…

-          NO!!! – il tuo viso è il ritratto della rabbia più profonda. Non mi hai mai guardato con quegli occhi…. Non saprei come descriverli. Credo che ci sia un solo aggettivo adatto. Disperati. – Non ho bisogno del tuo aiuto! Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno!!!- mentre gridi, grosse lacrime ti scivolano dagli occhi. T sfreghi il viso per bloccare il pianto, ma è inutile. So che non lo pensi veramente.

Ti prendo in braccio, sollevandoti dalla sedia a rotelle. Sento il tuo viso umido di pianto nascondersi contro la mia spalla. Ti accompagno in bagno.

 

 

Ti ho adagiato sul divano e mi sono accomodato di fianco a te. Ti cingo le spalle con il braccio, ma nessuno di noi due parla. È surreale il silenzio di questa casa. Di solito è un vero casino: tua madre che ti sgrida, le tue sorelle che litigano, il telefono che suona. Ma oggi tutto ciò non è che un ricordo, un’assenza. Harumi e Mikako sono al parco, tua madre è al lavoro e il telefono è staccato. Pace totale. Pace profonda, ma tormentata. Poi, tutto cambia.

-          Ka-chan… - non è che un sussurro

-          Hn?

-          Tu… tu hai intenzione di lasciarmi? – un filo di voce che risuona nel vuoto del salotto.

-          Nani? – sono incredulo. Ma ti ha dato di volta il cervello? – Non ci penso nemmeno.

-          E perché? – i tuoi occhi nei miei sono lucidi e aspettano una risposta.

-          Perché ti amo – lo bisbiglio al tuo orecchio, posandoti un bacetto sul lobo roseo.

-          Ma…non dovresti amarmi. Io sono diventato solo un peso per tutti. Da questa maledettissima sedia non posso fare niente e quindi sono gli altri a doversi occupare di me. Non posso nemmeno fare la pipì senza il tuo aiuto. È una vergogna. – i tuoi occhi si fanno più lucenti di tristezza

-          Non è una vergogna. In questo modo puoi capire chi ti ama davvero. Io ti amo e mi prendo cura di te solo per farti stare bene e sappi che non sei affatto un peso per me. Non sei un peso nemmeno per tua madre o le tue sorelle, o per l’Armata Sakuragi, che viene a farti visita ogni giorno, o per i ragazzi della squadra, che sono sempre pronti a darti una mano. E non lo facciamo per interesse. Ma perché ti vogliamo bene.

Ti sei commosso. Ti sto cullando tra le mie braccia quando mi chiedi di non lasciarti mai solo. La risposta mi sembra scontata.

 

 

Dopo tre mesi su quella diabolica sedia, stai iniziando ad acquistare velocità negli spostamenti e riesci a trasferirti dal divano alla sedia con una certa disinvoltura, ormai. Però, l’altro giorno è successo un piccolo incidente che, da un certo punto di vista, ti ha giovato.

Ero andato un secondo in bagno, quando ho sentito un tonfo terribile. Mi sono precipitato in salotto e ti ho visto accasciato a terra, mugugnando. Subito ti ho adagiato sul divano e sono corso a prendere qualche cerotto e la borsa del ghiaccio. Infatti ti si stava formando rapidamente un bernoccolo sulla fronte e ti sanguinava il labbro inferiore. Dopo averti medicato, ti ho baciato e sei scoppiato a ridere di gusto. Non puoi nemmeno immaginare quanto io abbia aspettato questo momento. Sentirti ridere è la musica più bella. Sei riuscito a bloccare le risa solo dopo cinque minuti abbondanti. Non mi hai voluto rivelare il motivo della tua allegria improvvisa, ma non me ne importa tanto. L’importante è che tu stia, lentamente, tornando quello di un tempo.

 

 

I giorni trascorrono veloci in questa nostra casa. Eh già, nostra. Finalmente ce l’abbiamo fatta. Abbiamo affittato un piccolo appartamento per noi due. Solo noi due. Tua madre era molto contrariata all’inizio. Non aveva nessuna intenzione di farti allontanare. Adesso che non sei più autosufficiente, ha paura che tu abbia bisogno di lei anche se sei lontano. Per fortuna, ce l’abbiamo fatta. L’abbiamo convinta e adesso siamo qui sul nostro divano (veramente è quello che si trovava nel salotto della casa dei miei genitori) a coccolarci. Ti stavo accarezzando il petto, quando mi hai fermato all’improvviso e hai spalancato gli occhi.

-          Hana…che hai? – forse ti danno fastidio le mie carezze?

-          Ho sentito un formicolio – rispondi d’un fiato, ma io non ti capisco. Formicolio? Che vuoi dire? Dove? Quando? Perché?

Un attimo di silenzio ci divide dal sogno, che sta per essere scoperto.

-          Le gambe. Ho sentito un formicolio alle gambe. Non era mai successo dopo l’incidente – è vero. Le tue gambe sono completamente insensibili. Ma, allora, che significa tutto ciò?

Ancora silenzio. Ti leggo negli occhi tutta la speranza che era stata soffocata dal peso degli eventi, dal dolore e dalla rassegnazione. Ma, forse, sotto sotto, tu  non ti sei mai rassegnato a questa tua condizione. E, probabilmente, hai fatto bene.

-          Hana…riesci a muovere le gambe? – te lo chiedo con il cuore che scoppia di ansia. Scuoti fermamente la tua testolina rossa in segno di diniego e la mia speranza crolla. Sento che sto per piangere, ma la tua voce mi scuote dall’universo di angoscia nel quale mi trovo.

-          Voglio tornare in ospedale.

-          Cosa? E perché? – non ti capisco. Odi quel posto.

-          Voglio che mi facciano dei controlli. Forse sto guarendo! – questa possibilità mi sembra così lontana…Voglio fartelo notare, perché se le tue speranze crollassero, sarebbe la fine. Insomma, in poche parole, non voglio illuderti.

-          Hanamichi, devi capire che è una possibilità remota e…

-          Ma allora non capisci! Potrei guarire!

-          Ma non hai certezze… - il mio tono rimane fermo e non tralascia alcuna nota emotiva, proprio come un tempo.

-          È vero, lo so, ma non si può mai dire!

-          E se ti sbagliassi?

-          Non mi sbaglio! Me lo sento!

-          Davvero, mi piacerebbe vederti camminare, ma i medici sono stati chiari: paralisi irreversibile. Dovresti saperlo meglio di me. – Non so nemmeno io perché riesco a mantenere questo tono freddo, mentre distruggo le tue speranze.

-          Ma io voglio sperare, cazzo! Io voglio camminare! Voglio correre e saltare! Voglio andare in bicicletta e giocare a basket! Voglio tornare a vivere! – E ti vedo scoppiare a piangere. Il tuo corpo trema ad ogni sussulto di pianto e non resisto all’impulso profondo di stringerti a me. Ho deciso: ti accompagnerò a quel fottuto ospedale.

 

  

La sala d’aspetto è asettica e pallida. Mi fa venire in mente me stesso prima di conoscerti. Adesso mi sento cambiato, vivo, nuovo. Sospiro dei miei pensieri e guardo l’orologio. Sono già passate quattro ore da quando il medico ti ha accompagnato in un’altra stanza, seguito da cinque o sei infermiere. L’attesa mi innervosisce. Mi appisolo un attimo, in attesa di un miracolo.

 

 

Per fortuna che avevo detto “un attimo”! Ho dormito per tre ore! Quando mi sveglio e noto l’ora, mi stupisco di non vederti accanto a me. Ma perché non sei ancora di ritorno? Ma con tempismo perfetto, ecco che la porta si apre e ti vedo uscire. Bello come il sole. Come il tramonto. E davvero alto per la tua età. Sento che il cuore mi scoppia di gioia. Prima si fa pesante e nella mia testa riecheggia un “boom” di allegria mista a soddisfazione. Niente sedia a rotelle. Sei dritto sulle stampelle e mi sembri più bello di una statua greca, mentre il rosso del tramonto che, obliquamente, invade la stanza attraverso la grande finestra, ti bacia il viso. Mi regali il sorriso di una vittoria tanto agognata, tanto desiderata, tanto sognata. Corro verso di te e ti stringo forte. Avevi ragione tu. Sei proprio un tensai!!

  

 

Dopo quattro mesi e mezzo di stampelle hai iniziato a muovere i tuoi primi passi. È stato come seguire attimo dopo attimo la crescita di un bimbo. Hai imparato a camminare, correre e addirittura saltare. Sei guarito. Certo, adesso non hai la potenza fisica di prima, ma sono certo che la riacquisterai poco a poco. Ce la farai perché, dopotutto, sei un tensai.

 

 

Owari

Cily: Ciao!!

Tutti: …

Cily: Ehy, raga… dai, non fate così…^__^;

Hana-chan: Ma come ti è saltato in mente di farmi investire per salvare la kitsune? ˚__˚

Cily: Lo hai fatto per amore… Oh…se Ryo-chan facesse questo per me… *__* (estasi più totale…)

Hana-chan: No comment

Ka-chan: Questa fanfic fa schifo. Niente passione, solo lacrime e angoscia. Che ca *** ta! 

Cily: T__T…Ma io…Oh… cattivi!!!!!

Hana-chan: Bravo Ka-chan! L’hai fatta piangere! E adesso?

Ka-chan: Ci penso io…

(Trascinando Ryo-chan…)

Ka-chan: To’ … eccoti Miyagi…

Cily: (gli salta addosso) Ah ah ah !!!!!! Amore mio!!!! Adesso sei mio!!

Ryo-chan: Qui si mette male…S-senti Cily…

Cily: Si?????????

Ryo-chan:  Prima di passare a qualcos’altro… ehm… i disclaimers… 

Cily: Hai ragione, piccolo mio! Allora, i personaggi di Slam Dunk sono di Papà Inoue e io non c guadagno niente, ma… per ora giocherò un po’ con Ryo-chan… Bye Bye guys… See ya! (sguardo assatanato) E adesso a noi due…Ryota – bello…





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