Titolo: Dancing with
Roger
Autore: Cauchemar
Serie: Original
Rating: R
Storia: One shot ispirata ad una delle mie prime sessioni di Vampire - The
Masquerade. So che può sembrare strano, ma la maggior parte delle
"nefandezze" qui di seguito riportate sono state giocate, prima di essere
scritte. Sono cose belle...
Guillaume De Joie è il protagonista del romanzo che sto scrivendo
attualmente.
Dancing
with Roger
di Cauchemar
Confesso di essere colto a volte dal dubbio di non essere più
adatto per questo lavoro.
Intendo, dopo circa 92 anni al servizio del Principe, credo sia legittimo
per chiunque avvertire una sorta di cedimento, un naturale ripiegarsi in se
stessi.
Non per me. Credo di poter affermare con assoluta sicurezza di non aver mai
avuto debolezza alcuna, né cedimento di sorta, tanto negli anni della mia
vita mortale, votati al servizio della mai abbastanza compianta Regina
Elisabetta I, né dopo la mia seconda nascita.
Sono nato per proteggere e servire, e per questo, solo per questo sono stato
reso immortale.
Così è sempre stato, e la coerenza è la mia forza, di questo credo di aver
fornito prova ripetutamente.
Sono stato al fianco del Principe ai tempi della sua ascesa al trono di
questa turbolenta metropoli, ho combattuto per lui i Demoni e gli ho
consegnato il trono grondante del sangue di molti nemici.
In questi anni sono stato i suoi occhi per osservare, le sue orecchie per
udire, la sua mano per assassinare, tutto in nome della grandezza della
Corte in città. E così i Fratelli hanno potuto prosperare e diventare
potenti, protetti dal mio signore e da me, sua arma fedele.
Eppure, nonostante la certezza assoluta in ciò che è stato, è e sarà, questo
dubbio torna a visitarmi, a volte, di giorno, quando giaccio nel mio
giaciglio e il sonno si alterna alla veglia, la veglia al sonno… Già da vivo
dormivo con un occhio aperto, e questo vizio mi è rimasto. La coerenza è
coerenza.
Posso dire con esattezza quando tutto ha avuto inizio.
Era l'autunno del 1999. La città conosceva uno dei suoi periodi di purga. Il
nostro Principe, da uomo profondamente morigerato qual è, ha sempre avuto a
cuore la rettitudine morale e la condotta civile dei suoi sudditi. Cosa non
facile in una città che conta uno sconcertante numero di Fratelli, aumentato
a dismisura dagli ospiti di passaggio.
Proprio per perseguire lo scopo che si era prefissato, il nostro saggio
signore ha preso l'abitudine di promuovere saltuariamente delle purghe, una
sorta di quaresima durante la quale quelle che sono semplici regole di
condotta morale divengono vere e proprie leggi. Di conseguenza, chiunque
fosse sorpreso a contravvenirle sarebbe punito come un fuorilegge.
Personalmente trovo quest'iniziativa encomiabile. E'vergognoso come il
degrado dell'umanità debba rispecchiarsi nella decadenza morale di alcuni di
noi. Nel nostro essere stati elevati al di sopra delle vicende umane, nostro
dovere sarebbe, almeno, dimostrarci superiori agli uomini, non solo, lottare
costantemente per migliorarci, distaccandoci sempre di più dai brandelli
d'umanità.
E invece tutto ciò che di turpe e vizioso vi è nell'uomo, ecco che riaffiora
elevato all'ennesima potenza nel Fratello. I peccatori trovano
nell'Abbraccio la legittimizzazione al loro peccato, la dispensa da ogni
freno e remora.
Viviamo in un mondo sporco e depravato, e la sporcizia e la depravazione
imbrattano anche chi, come noi, è nato per rifulgere.
Ma non mi sento nemmeno di considerare nostri pari coloro i quali
scherniscono la morale e la ragione coi loro comportamenti. Per me essi sono
sempre stati e sempre saranno da considerare alla stregua dei Demoni.
Eppure durante la purga dell'autunno del 1999 non avevo avuto un lavoro
soverchio.
Le norme prescritte dal nostro Principe erano state mantenute da tutta la
comunità e il mio intervento era stato richiesto solo per raddrizzare alcune
condotte incerte, non per eliminare chicchessia.
Compiaciuto dall'esito di questa azione, il Principe aveva pertanto deciso
di organizzare una grande festa.
Non sono un tipo mondano e non amo le feste. Per me sono solo occasione di
confusioni pericolose.
Ma la comunità aveva bisogno di un'occasione del genere, soprattutto gli
Artisti, forse fra tutti i più sacrificati dal periodo appena trascorso.
Alla vigilia della festa il Principe mi fece chiamare. Aveva un ordine
particolare per me, quella sera.
Mentre si abbigliava mi spiegò di come l'arrivo in città di un ospite
straniero lo preoccupasse alquanto. Rispettosamente gli domandai per quale
ragione aveva acconsentito ad accordargli l'ingresso in città, ma lui fu
evasivo nel rispondermi. Intuì che le ragioni del mio signore erano tali per
cui le mie domande erano irrispettose e fuori luogo.
Gli chiesi dunque cosa dovevo fare con questo particolare ospite, e lui mi
specificò che dovevo semplicemente tenerlo d'occhio e riferire a lui, in
tempo reale, ogni sua iniziativa.
Non avrei dovuto nuocergli in alcun modo, se non dietro su preciso ordine.
Assicurai al mio signore che avrei eseguito i suoi dettami in tutto e per
tutto.
Servire e proteggere, e mai chiedere più di quanto fosse necessario sapere.
Questo lo imparai a suo tempo dal mio maestro e signore.
Sceso nel salone delle feste mi diedi da fare per individuare il mio uomo.
Non fu difficile. Il suo ingresso provocò un'ondata di sguardi curiosi e
interessati. Impeccabile in uno smoking d'Armani, con un'iris rossa
all'occhiello, si muoveva con grazia innata tra gli ospiti, distribuendo
sorrisi amabili come pugnali acuminati.
Il mio Principe mi aveva parlato di un Anziano d'origine francese. Quello
che si muoveva davanti a me era un giovane uomo di circa 25 anni, bello di
una bellezza irriverente e sfacciata, come di un angelo pagano.
Ma nella mia lunga non vita ho imparato che nulla vi è di più sbagliato che
giudicare dalle apparenze.
Quel giovane dall'aria spensierata era antico quanto me e il Principe e, a
quanto quest'ultimo mi aveva informato, era un pericoloso sovversivo.
Seguitai a spiarlo senza farmi accorgere e lo vidi parlare affabilmente con
una giovanissima sorella del clan degli Artisti, che sembrava trovare
estremamente divertente la sua conversazione, dal modo in cui rideva
portandosi una mano alla generosa scollatura.
Li vidi dirigersi insieme all'ascensore panoramico ed entrarvi.
In palazzi come questo ogni ascensore è dotato di un dispositivo a circuito
chiuso discreto ma efficace. Mi spostai dunque nella sala video, per
osservare il mio uomo.
Non mi meravigliai nel vedere che, bloccato l'ascensore tra due piani, i due
avevano iniziato ad approfondire la conoscenza… Disgustoso come
l'abbrutimento cui l'impulso sessuale condanna l'uomo debba permanere anche
dopo la morte. Apparentemente dimentichi del sangue nobilitato che scorreva
in loro, questi due ingrati esseri si accoppiavano nell'ascensore come gli
ultimi esseri umani. Immaginai che il Principe fosse troppo impegnato alla
festa per essere disturbato da quello squallido aggiornamento. Avrebbe
potuto visionare con calma il nastro più tardi.
Poi accadde qualcosa.
Ebbi per una attimo la netta sensazione che il mio uomo stesse guardando
dritto nella telecamera nascosta dallo specchio. Un sorriso gli sfiorò
appena le labbra carnose, mentre la ragazza, nuda fino alla cintura, gli si
offriva senza pudore. E poi la sua bocca fu sulla gola di lei, e il sangue
schizzò contro lo specchio, tingendo di rosso la scena. Questo era
inconcepibile! Udivo i gemiti di piacere della donna, vedevo tutto il suo
corpo tendersi, mentre il suo amante affondava in lei sempre di più.
Che fosse consenziente non vi era dubbio alcuno, ma il Principe aveva
assolutamente proibito certe pratiche. Il fatto che esse avvenissero in un
ascensore panoramico non faceva che renderle molto, molto più gravi… Se un
qualsiasi mortale fosse entrato nella sala video o avesse visto quella
registrazione sarebbe stata la fine della nostra permanenza in città.
Decisi di intervenire, ma quando giunsi nella sala macchine scopri che
l'ascensore era già stato riattivato. Mi precipitai dunque nel salone della
festa, giusto in tempo per vedere i due uscire dall'abitacolo, lei che si
rassettava le vesti, ancora scossa, lui più sorridente che mai.
Raggiunsi il Principe, che si stava intrattenendo con alcuni ospiti e gli
riferì l'accaduto. Vidi il suo volto farsi livido, lo sguardo duro come
ossidiana.
Mi ordinò di andare a prendere quell'uomo e di portarlo da lui, ma quando mi
mossi per cercarlo vidi che non era più nella sala.
Mi informai su dove fosse finito e scoprì che se ne era andato con un altro
degno essere, che aveva fama di degenerato e anarchico.
Mi misi subito sulle loro tracce. Ho una fitta rete di ghoul, in città,
utili informatori che mi permettono di risparmiare tempo quando, come in
questo caso, devo cercare il fatidico ago nel pagliaio.
Riuscì a ricostruire il loro tragitto. Si erano spostati sulla West, in
direzione Carlitos.
Una sosta in una boutique specializzata in abbigliamento in pelle e trash e
poi via, verso il quartiere dei locali.
Li rintracciai in meno di un'ora.
Il luogo era Tous les cauchemars, una discoteca particolarmente apprezzata
tanto dai mortali quanto dai Fratelli. O così ho sentito dire, poiché non ho
mai avuto interesse alcuno a frequentare simili posti se non per lavoro.
Appena entrato percepì fortemente la presenza di altri Fratelli, cuccioli di
poco conto, la cui essenza non si discostava molto da quella dei tanti,
troppi mortali presenti. L'aria era satura dell'odore intenso del sudore e
del sangue, del calore dei corpi seminudi lanciati nel furore di quel rito
orgiastico che al giorno d'oggi ci si ostina a chiamare "ballo".
Avanzai tra quella massa convulsa di corpi, incurante di tutto, consapevole
solo di come avrei potuto, nel tempo di un battito di ciglia, distruggerli
tutti.
Il mio uomo era al centro della pista, impegnato in una danza indiavolata.
Avrei dovuto aspettarmelo. Quel giovane antichissimo sembrava nato per
assumere su di sé tutti i vizi del mondo ed amplificarli nella sua natura di
vampiro…
Smesso lo smoking indossava ora un paio di pantaloni di pelle così aderenti
da inguainargli le lunghe gambe come una seconda, nera epidermide, ed una
maglietta che sembrava ricavata da una rete metallica.
Parato in questo modo indecente, egli sviliva la grazia e la perfezione dei
suoi movimenti dimenandosi selvaggiamente, offrendosi senza pudore agli
sguardi febbricitanti ed eccitati della folla di mortali che riempiva il
locale. In quel momento tutti, uomini e donne indistintamente, erano
innamorati di lui, ed egli lo sapeva, e sembrava trarre un piacere immenso
da quella sensazione.
Tanti secoli buttati via, per approdare a questa sciocca illusione.
Poiché, dal momento che possiamo schiacciarli, per quale ragione dovremmo
ambire a farci amare da loro? Ed era poi amore quella lussuria quasi
palpabile che gravava nell'aria troppo calda della discoteca, che avvolgeva
quell'uomo come una veste succinta, rendendolo ancora più seducente? Agli
occhi di quei mortali egli poteva apparire come un dio pagano, un Dioniso
giovane e sfrenato, ma al mio sguardo antico era evidente solo che tanti
secoli di non vita non gli avevano insegnato nulla. Decisi di dargli io un
saggio del vero potere.
Immobile al limitare della pista da ballo fissai il mio sguardo, celato
dagli occhiali scuri, su di lui.
Sulle prime parve non accorgersene, preso com'era dalla foga del ballo. Ma
bene presto il mio magnetismo sortì il suo effetto e i suoi occhi azzurri
furono irrimediabilmente perduti nei miei. Non lottò nemmeno per resistermi,
evidentemente troppo sorpreso dal mio attacco psichico. Lentamente, senza
smettere di ballare, iniziò a muoversi verso il luogo in cui io mi trovavo.
Lo attesi pazientemente, senza permettergli di liberarsi dalla mia rete. Era
fin troppo facile. Egli correva verso di me, come una falena alla fiamma.
Gli feci capire che non gli avrei fatto del male, ma che doveva essere
consapevole di chi era il padrone.
Giunto di fronte a me si fermò un istante, gli occhi grandissimi e
trasparenti ancora avvinti ai miei, un'espressione meravigliata e così
innocente da sconcertarmi.
Fu un istante di sospensione, nulla più esisteva, non la folla dei mortali
assiepati nel locale, non la musica martellante sparata a volume esagerato
dagli amplificatori.
Solo io e lui, alla deriva nel nulla…
E poi mi fu addosso. Non mi resi nemmeno conto del suo movimento, tanto
rapido egli era stato.
Era immobile davanti a me, completamente preda del mio incantesimo, ed un
istante dopo il suo corpo aderiva perfettamente al mio, mentre mi si
strusciava contro in una nuova, frenetica danza.
La mia sicurezza s'incrinò.
Il caos del locale esplose intorno a noi con ancor maggior violenza. Il
pubblico dei mortali era in visibilio. Con un unico gesto egli si era
strappato la maglietta di rete sul petto e continuava a ballare, vicinissimo
a me, usando il mio corpo come sostegno, come se fossi stato un palo
piantato nel bel mezzo della pista da ballo per rendere ancora più indecente
la sua esibizione.
Le sue mani erano su di me, eppure non mi toccava. Ogni centimetro del suo
corpo rovente percorreva la mia pelle, eppure era già lontano, mentre
nell'aria riecheggiava la sua risata, che solo io potevo udire.
Dovevo costringermi a reagire, in qualunque modo.
E lo feci come non avevo mai fatto, nemmeno davanti a nemici cento volte più
potenti che quell'irriverente, scandaloso ragazzo.
Mi ritirai.
Volsi le spalle alla pista da ballo e alla sua danza sinuosa e mi diressi
verso il bar. Al mio passaggio urtai contro un mortale vestito di pelle, che
berciò qualcosa nella mia direzione. Con un'occhiata lo feci volare oltre
due file di poltrone, contro una colonna di amplificatori. Rimase a terra
inerte.
Lo ignorai e mi appoggiai al bancone del bar dando le spalle alla pista.
Sapevo che lo avrei sentito, quando si fosse avvicinato a me.
E infatti avvertì la sua presenza alle spalle prima ancora di sentire la sua
voce, una voce calda che non si addiceva al suo aspetto fanciullesco,
sussurrarmi vicino all'orecchio:
"Bonsoir…"
Mi voltai appena a scrutarlo da sotto gli occhiali neri.
Sorrideva innocentemente, ma il suo sguardo non prometteva nulla di buono.
Si sedette con un unico movimento fluido su uno sgabello vicino a me.
"Non mi offrite da bere, Roger?" chiese, con una curiosità che sembrava
genuina.
Chiamai con un gesto il barista e gli domandai cosa preferisse.
Ordinò champagne, per due.
"Dal momento che sapete chi sono" esordì, dopo che il mortale si fu
allontanato "dovreste sapere anche per quale motivo sono qui".
Lui annuì, senza scomporsi.
"Immagino di sì" disse semplicemente, scostandosi dal viso i capelli biondi
con un gesto incredibilmente umano. Era aggraziato, nei movimenti, eppure
virile, elegante come un felino.
"Suppongo che abbia a che fare col vostro Principe" proseguì, accogliendo
con un mezzo sorriso il ritorno del barista.
Lo champagne nei flute era gelido. Un peccato non poterlo bere.
"Immaginate giusto, monsieur" intervenni.
Quella pagliacciata si stava già protraendo oltre i limiti tollerabili.
"Devo chiedervi di seguirmi da sua Altezza senza indugio…"
"E'ovvio che verrò con voi" mi interruppe, con un gesto della mano, come se
scacciasse un insetto fastidioso.
E soggiunse:
"Ma non subito. La notte è giovane, mi voglio divertire un po'…"
"Questo è assolutamente fuori discussione" intervenni seccamente, ma senza
perdere il controllo. Avevo piegato la volontà di eretici e traditori,
costringendoli a gridare piangendo la loro colpevolezza. Avevo estorto ai
nemici della mia Regina informazioni che avevano giurato di difendere a
costo della vita. Avevo affrontato la follia dei Demoni e piegato la loro
mente, fino a strappare la loro anima immonda dai più oscuri anfratti del
loro essere, e tutto questo senza mai alterare nemmeno il tono della mia
voce.
Ci voleva ben altro dell'impudenza di quel ragazzo per farmi perdere la
pazienza.
Solo, mi rammaricai di aver giurato al mio Principe che non gli avrei
nuociuto in alcun modo.
Da molto, molto tempo non avvertivo in me un così intenso desiderio di
infliggere dolore…
"Mi seguirete dinnanzi a sua Altezza immediatamente. Mi sembra che vi siate
già divertito abbastanza…" tagliai corto.
Sulle sue labbra carnose si dipinse un altro sorriso storto.
"E voi vi siete divertito a starmi a guardare, Roger?… Davvero encomiabile
come osservate gli ordini del vostro Principe".
Ancora una volta sentì montare in me il feroce desiderio di prendere il suo
capo tra le mani e stringere fino a far scomparire quel sorriso insolente da
quella bocca esagerata.
Mi sistemai gli occhiali con un gesto lento.
"Il vostro Principe è impegnato con i suoi ospiti e ne avrà per un pezzo"
aggiunse lui, cambiando repentinamente discorso e assumendo un tono pratico.
"Abbiamo tutto il tempo per esplorare la notte. Dovresti valutare la
possibilità di divertirti, Roger. Mi sembra siano passati secoli dall'ultima
volta che lo hai fatto. Pensaci, Roger: tu ed io, e la città ai nostri
piedi…"
La sensazione del suo cranio che si sbriciolava tra me mie dita era così
reale che mi passai le mani sui pantaloni, come a pulirmele.
"Mi spiace" dissi.
"Per quanto la vostra offerta possa suonare allettante gli ordini del
Principe sono stati precisi. Potrete andare a divertirvi dopo aver parlato
con lui, se lo vorrete, e se egli lo vorrà. Ora seguitemi".
Mi lanciò un'occhiata eloquente. Era evidente che quel giovane non era
abituato a ricevere ordini da chicchessia e che probabilmente non lo era mai
stato. Questo non mi impressionava, anzi: sarei stato ben felice di potergli
insegnare un po' di educazione…
Mi seguì di malavoglia fuori dal locale, le labbra atteggiate in
un'espressione imbronciata.
Aprì la portiera posteriore della limousine per farlo accomodare e presi
posto alla guida.
Essere finalmente uscito da quella bolgia mi aveva fatto riacquistare una
certa sicurezza e desideravo solo completare la mia missione conducendo il
mio ospite al cospetto del mio signore. Nella speranza che egli, nella sua
immensa saggezza, mi concedesse l'onore di occuparmi di lui…
C'immettemmo sulla West, nel denso traffico notturno.
Stavo giusto pensando che il mio uomo era insolitamente tranquillo quando mi
trovai il suo viso praticamente sulla spalla.
Se fosse stato un umano avrei potuto avvertire il suo fiato sul collo e in
effetti avevo quasi l'impressione di avvertire un soffio caldo sfiorarmi la
pelle.
"Ehy, Roger" mi sussurro piano. Emanava un profumo dolce e persistente che
mi avvolgeva come un velo. Potevo solo fissare davanti a me la strada che si
srotolava come un nastro grigio tempestato di luci al neon.
"Su questa specie di carro da morto non c'è un po'di musica?"
Meccanicamente allungai una mano verso lo stereo a comparsa e lo accesi. Il
lettore cd era desolatamente vuoto.
Non feci in tempo a chiedere al mio uomo cosa preferisse ascoltare. Con un
altro dei suoi movimenti velocissimi e silenziosi egli si era proteso tutto
oltre la paratia divisoria che separava l'abitacolo dell'auto dal posto
guida. Ora il suo fianco nudo mi sfiorava la spalla, mentre trafficava con
le custodie dei cd da quella posizione precaria.
Il suo profumo si diffondeva ovunque come un dolcissimo veleno.
Finalmente parve aver trovato qualcosa di suo gusto, una vecchia raccolta di
Janis Joplin. Ritornò alla sua posizione originaria, il volto sempre
appoggiato al mio schienale, vicinissimo al mio. Lo sentivo mugolare piano
le parole della canzone dentro il mio orecchio. Una situazione imbarazzante,
eppure mi sentivo insolitamente rilassato. Anche quando avvertì il tocco
delle sue dita all'attaccatura dei capelli non reagì in alcun modo. E come
avrei potuto? Era uno strano gioco quello che quel giovane stava giocando ed
io ero curioso di conoscere il ruolo che egli aveva stabilito per me.
D'altra parte, forse per la prima volta nella mia lunga non vita, non sapevo
come pormi nei confronti del mio nemico. Ero abituato ad essere temuto,
odiato, guardato con sospetto. Di certo non ad essere sedotto. Così era da
sempre, fin dai tempi della mia gioventù mortale. Anche allora avevo
rifuggito certe cose, troppo occupato in quello che era il mio dovere.
E mai le avevo rimpiante.
Inoltre, dimostrando la benché minima irritazione non avrei fatto che
compiacere quello sciocco ragazzo, convincendolo che i suoi atti sortivano
un qualunque effetto su di me.
Così seguitai a guidare, la sua bocca sul mio orecchio, le sue dita tra i
capelli, il suo profumo leggermente stordente nell'aria troppo calda.
Giungemmo ai piedi del grattacielo che ospita la dimora del mio Signore dopo
un'eternità.
Senza rendermene conto mi ero allentato più volte il nodo della cravatta.
Scesi dall'auto e aprì la portiera a lui, invitandolo a seguirmi.
Ma entrando nella hall mi resi conto che il suo abbigliamento non era certo
consono ad un'udienza regale. Indossava infatti solo i pantaloni di pelle e
i brandelli tintinnanti della maglia di rete.
Tuttavia riportarlo al suo alloggio sarebbe equivalso a passare ancora
troppo tempo in sua compagnia e preferivo evitare qualsiasi iniziativa da
parte sua
Lo invitai a salire nel mio appartamento. Gli avrei dato uno dei miei
completi e lo avrei condotto dinanzi a sua Altezza.
Lui accolse la mia proposta con un sorriso malizioso.
Inevitabile, pensai, e mi domandai se quel giovane debosciato fosse capace
di concepire un atto o un pensiero che non avesse implicazioni o sottintesi.
Possibile che la perversione avesse attecchito nel suo animo a tal punto?
Non era affar mio verificarlo, naturalmente. Sull'ascensore non ci
scambiammo una sola parola e raggiungemmo il mio appartamento, solo un piano
sotto quello del Principe.
Entrando notai che si guardava intorno con interesse. Mi piace poter
sostenere che l'ambiente in cui vivo rispecchia me stesso: essenziale,
efficiente, pratico. Pochi mobili moderni, simili a cubi laccati, un
computer, un televisore ultrapiatto, una grande struttura a parallelepipedo
assolutamente impermeabile alla luce ed insonorizzata, che ospita il mio
giaciglio diurno. Non amo il lusso, anche se comprendo che certe
ostentazioni siano necessarie per chi governa. Così è sempre stato. La gente
comune apprezza la magnificenza dei suoi sovrani e si aspetta che essi siano
splendidi. Per i Fratelli non è diverso.
Il mio ospite terminò la sua perlustrazione e tornò da me. Appariva
abbastanza soddisfatto.
"Posso usare il bagno mentre mi prepari da bere?" domandò, iniziando a
slacciarsi i pantaloni.
Gli voltai le spalle e mi diressi al mobile-bar, affermando che poteva fare
ciò che voleva, purché lo facesse in fretta.
Udì il fruscio dei suoi passi sulla moquette e subito dopo lo scrosciare
dell'acqua nella vasca da bagno. Naturalmente non poteva optare per qualcosa
di più pratico…
E poi fu di nuovo al mio fianco, completamente nudo, sorridente.
Gli porsi il bicchiere che gli avevo riempito di vitae senza guardarlo. O
meglio, cercai di evitare di guardarlo, ma il suo corpo emanava un chiarore
così diffuso che era impossibile da ignorare. Era snello e muscoloso, le
proporzioni armoniose di un giovane Apollo. La sua pelle lattea e glabra,
fatta eccezione per una finissima peluria bionda dava un'impressione di
estrema fragilità, come di un petalo troppo delicato per essere toccato
senza essere sgualcito.
Mi domandai cosa fosse stato in vita quello strano essere. Come aveva saputo
collocarsi nel nostro mondo, nel nostro tempo, una simile bellezza?
Mi ripromisi di indagare a riguardo.
"E' proprio necessario il bagno?" gli chiesi, volgendo lo sguardo in giro
per la stanza.
"Intendo, vi avevo pregato di essere veloce. Vi ho preparato degli abiti sul
letto. Cercate di non sprecare altro tempo".
"Ah, Roger…" sospirò, da qualche parte dietro di me.
"Il bagno è necessario. E se tu avessi un po'di indulgenza verso te stesso
lo faresti con me".
Mi voltai a fronteggiarlo senza esitazione.
"Sentite, sono stato mandato a prelevarvi e a portarvi dal mio Signore. Gli
ordini sono stati chiari e brevi. Mi rendo conto che possa risultare
difficile per voi comprendere parole come "obbedienza", "senso del dovere",
"efficienza". Le vostre attenzioni non sono gradite, così come trovo
profondamente irritante il vostro tono e il vostro eloquio allusivo. L'unico
interesse che nutro nei vostri confronti è professionale. Il solo tempo che
desidero trascorrere in vostra compagnia è quello necessario a portare a
termine la mia missione. Tutto quello che voi potete fare o dire nel
frattempo mi è del tutto indifferente. Sono stato chiaro?"
I suoi occhi azzurri mi fissavano con un'espressione indecifrabile, duri
come zaffiri, e al contempo trasparenti come una laguna tranquilla. Avvertì
ancora quella sensazione di fragilità, ma come non considerare anche quella
un'altra maschera, una presa in giro di quel dannato ragazzo?
Questa volta fu lui a darmi le spalle e si diresse verso il bagno.
Mi sedetti in una poltrona di pelle e attesi. L'acqua seguitò a scrosciare
ancora per qualche minuto, poi tacque. Da quel momento avvertì solo il
silenzio, interrotto da qualche raro sciabordio.
Dalla porta socchiusa della stanza da bagno un vapore leggero si propagava
nella stanza, insieme al profumo del bagnoschiuma. Quando uscì dalla vasca e
si spostò nella stanza da letto quel profumo lo seguì, persistente. Si vestì
dandomi le spalle e senza rivolgermi la parola. Osservavo la sua schiena
dritta e le lunghe gambe snelle, adolescenziali. Nel mio completo nero
sembrava un ragazzino costretto a vestirsi per un funerale con gli abiti
smessi del fratello maggiore. L'espressione seria e grave non facevano che
aumentare quell'impressione. Non sembrava nemmeno più lo stesso giovane che
fino a poco prima mi aveva punzecchiato in modo così volgare e sciocco.
E fu allora che compresi che a quell'uomo donava enormemente il dolore.
Lo seppi nel momento in cui lo vidi. La sua indubbia bellezza era
accresciuta a dismisura dalla serietà e la tristezza avrebbe potuto, a mio
avviso, renderla addirittura insostenibile. Nei secoli ho notato come certi
esseri apparentemente insignificanti acquistano nella sofferenza una
bellezza ed un fascino unici. Cosa poteva essere quel giovane uomo in preda
al dolore? Quale piacere immenso poteva derivare dall'infliggere tormenti a
quella bella creatura e vedere l'agonia deformare il suo volto di angelo in
una maschera dolente?
Un brivido mi scosse, mentre sentivo crescere in me un'eccitazione feroce,
mai provata in vita, mai sfiorata dopo la rinascita.
Guardai il mio uomo, nel timore che si accorgesse del mio stato, ma lui
seguitava a darmi le spalle e sembrava ben deciso ad ignorarmi.
Uscì dalla mia stanza e percorsi il tragitto fino alle stanze del mio
signore in preda ad una sorta di stupore. Tutto ciò cui riuscivo a pensare
era di poter avere quell'uomo alla mia totale mercé, per sperimentare su di
lui ogni sorta di tortura fisica e mentale. Alla fine ne avrei ricavato un
distillato di bellezza e sofferenza tale che perfino il nettare celeste
sarebbe impallidito al suo confronto. Ero quasi spaventato dal mio stesso
pensiero, poiché esso andava ben oltre l'indagine scientifica e l'interesse
professionale che mi avevano sempre animato. Tutto questo lo avrei fatto a
mio esclusivo beneficio, per il mio piacere personale, e questo era così
insolito, per me, da turbarmi. Mi costrinsi ad acquietare quei pensieri
tumultuosi.
Avevo una missione da compiere, e solo dopo avrei potuto pensare alla
soddisfazione del mio desiderio…
Il Principe ci accolse nel suo studio. Appariva vagamente irritato,
probabilmente dall'aver dovuto presenziare alla festa, forse anche dal mio
ritardo, che non tentai nemmeno di giustificare.
Accolse il suo ospite con fredda cortesia.
"Ho sentito molto parlare di voi" lo salutò.
"Mi auguro non solo male, Vostra Altezza" rispose lui, con un leggero
inchino.
Di nuovo, davanti ai miei occhi, quell'essere camaleontico si stava
trasformando.
Avevo conosciuto l'elegante damerino in smoking che si era presentato alla
festa, qualche ora prima; avevo assistito alla sua danza seducente e
frenetica nella discoteca affollata; mi ero irritato nel sopportare il
ragazzino irriverente che tentava di stuzzicarmi; avevo sfiorato per un
istante l'essenza struggente di un essere cui solo il dolore poteva dare
vera bellezza, e in quella visione mi ero estasiato.
Ora, davanti a me c'era un freddo burocrate, un cortigiano abituato alle
trame e agli intrighi della corte, una maschera di gesso sorridente e
condiscendente anche quando - ne ero certo - conficcava uno stiletto nel
cuore al nemico.
La voce del Principe mi riportò alla realtà.
"Roger, il visconte di Beroul si fermerà per un po' nella nostra città.
Confido che egli ci possa aiutare nel ritrovamento dell'artefatto perduto".
"Posso chiedervi in che modo?"
Per prima cosa avevo parlato senza riflettere, cosa inaudita per me.
In secondo luogo avevo interrotto l'eloquio del mio signore, il quale mi
gratificò con un'alzata di sopracciglia che, in altri casi, avrebbe
significato "morte".
Ma la notizia mi aveva colto talmente di sorpresa da cancellare il mio
raziocinio. In che modo quell'essere poteva essere utile alla nostra causa?
Era inconcepibile!….
"Si dà il caso che il visconte sia uno dei massimi conoscitori in materia
dell'opera di Jules Severin, già allievo di Nostradamus… In effetti, se i
miei informatori non mi hanno male informato, Severin in persona è stato il
suo maestro, in vita." proseguì il principe, indirizzando un'occhiata
eloquente al suo ospite. Il "visconte" chinò il capo con un sorriso di
modestia.
"Dunque è deciso." concluse il principe.
"Egli sarà nostro ospite gradito e riverito, fintanto che il manufatto non
sarà di nuovo nelle nostre mani. Durante il suo soggiorno in città desidero
che voi, Roger, siate la sua ombra. Lo accompagnerete, lo proteggerete, lo
servirete in tutto e per tutto, senza lasciarlo solo nemmeno per un istante.
Non possiamo permettere che i nostri nemici gli possano nuocere in alcun
modo, vero?…"
Annuì meccanicamente. In realtà, se conoscevo bene il mio signore, la cosa
che lo preoccupava maggiormente era che quell'uomo si mettesse nei guai da
solo, cosa che, ne ero certo, gli doveva riuscire particolarmente bene…
Ma questo non cambiava le conseguenze del suo ordine per me.
Ci congedò in fretta, poiché l'alba era prossima.
"Vi riaccompagnerò al vostro alloggio" dissi al visconte, senza guardarlo in
volto.
Avevo bisogno di stare solo e pensare…
"Non sarà necessario" rispose lui allegramente.
"Dal momento che sua Altezza ha espresso la sua volontà che voi ed io
viviamo come una sola persona mi sono fatto portare il bagaglio qui.
Divideremo il vostro alloggio per qualche notte. Sarà più sicuro".
Gli piantai gli occhi in faccia, esterefatto.
Un sorriso fanciullesco gli illuminava il viso, mentre negli occhi gli
brillava un divertimento che meritava solo di essere cancellato.
"Visconte, io non credo sia una buona idea…" cominciai a dire, ma lui mi
zittì, posandomi un dito sulle labbra.
"No" sussurrò.
"Non visconte. Per voi solo Guillaume."
E quel nome, dolce come una melodia, mi tolse anche le ultime forze.
Da allora sono passati quasi due anni.
Il mio principe regna ancora, stabile e sicuro, nonostante scaramucce
interne e attacchi esterni.
Io sono ancora i suoi occhi sulla città, il suo braccio violento, il suo
capro espiatorio.
Il manufatto che il visconte recuperò per noi è al sicuro nel caveau del
grattacielo, insieme agli altri tesori e oggetti preziosi di appartenenza
della corte.
Nulla è cambiato per la città.
Non così per me. Gli avvenimenti di quei giorni mi hanno lasciato un segno
indelebile, più di quanto tanti secoli di non vita avessero potuto fare
prima.
Mentirei a me stesso se dicessi il contrario.
E io sono troppo coerente per farlo.
Solo, nella quiete perfetta del meriggio, mentre giaccio nel mio letto,
all'interno della camera insonorizzata che mi ospita, e il torpore diurno
tarda a vincermi, e anche il silenzio si riempie di rumori, in quei momenti
io sono colto dal dubbio.
Il dubbio che ci sia qualcosa di sbagliato alla base.
Un errore che ha generato errori che hanno generato catene interminabili di
errori nell'arco di mezzo millennio.
Allora riesco solo a chiudere gli occhi e nel buio sento la risata roca di
Guillaume de Joie accanto all'orecchio.
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