Nota: I pg sono miei, ma mi sono ispirata a delle comparse di "Io uccido" di Giorgio Faletti. Comunque non c'entra quasi niente con il libro... ma se vi tenta leggetelo!

Sei-chan
 


Dance

di Sei-chan

 

 

L’uomo sedeva solo, in poltrona, nella penombra. Guardava fisso davanti a sé, nulla in particolare, e teneva fra le mani un bastone bianco, flessibile, di quelli che usano i ciechi.

La sua pelle candida era l’unica cosa che splendeva, nell’ombra, e che si distingueva dalle altre cose scure intorno a lui. L’uomo era alto, aveva lunghe gambe avvolte in comodi pantaloni neri, scarpe con le stringhe impeccabilmente allacciate e calzini scuri. Le mani e il viso escono dal lupetto nero come lampi di luce bianca, accecante. Gli occhiali fumé sono poco più che un vezzo, un elegante segnale convenzionale del suo handicap, perché sono piccoli, rettangolari, adatti non tanto a nascondere lo sguardo quanto a sottolinearne la linea vacua ma perfetta.

Vassilj sedeva spesso al buio, in silenzio per ore. Sempre più spesso. I suoi occhi ormai distinguevano a fatica luce e ombra, e sembrava che il suo corpo e la sua mente si stessero adattando. Il suo corpo non sentiva il fastidio di una prolungata immobilità, e la sua mente non sentiva il bisogno di essere riscossa dai suoi pensieri.

In quei momenti Anton restava a guardarlo, anche per ore. In attesa di ogni sua richiesta, pronto a soddisfarla, apparentemente; in realtà si beava della vista di Vassilj tutto per lui. Se riusciva a stare abbastanza immobile non lo infastidiva, e se non lo infastidiva Vassilj non lo cacciava via. Anton adorava correre con lo sguardo sulle lunghe dita strette attorno al bastone fino alla mano e al polso, e adorava sentire il suo sguardo interrotto dal maglione nero. E il collo, il viso erano la stessa cosa. Continuava a sentire un tuffo al cuore quando seguiva ansioso la linea del suo profilo, immaginando questa volta di scorgere anche la gola, il petto… e arrivava a quel nero puro che lo respingeva. Amava tutto di quell’uomo. Lo amava tanto da sentirsene soffocato. Lo amava nonostante gli gettasse addosso tutta la propria oscurità e gli sottraesse tutta la sua luce.

- Anton-.

- Vassilj, sono qui-.

- Che fai?-

- Nulla… aspetto-.

- Che cosa aspetti?- Ecco, nella sua voce quello scatto nervoso che Anton temeva, e che arrivava sempre. Anton lo assorbì chiudendo gli occhi, come a ripararsi il volto da un colpo invisibile, ma non per questo meno doloroso.

- Che… tu abbia bisogno di me-.

- Non hai nient’altro da fare?-

- Mi fa piacere, Vassilj-. La voce di Anton tremò. Non voleva andare oltre, passare per il punto successivo della conversazione: quello in cui Vassilj lo faceva sentire un perfetto, inutile idiota. Quello in cui lo faceva sentire in colpa per amarlo tanto.

- Ti fa piacere prenderti cura di un invalido?-

Anton a questo punto doveva dirgli che lui non era un invalido. Doveva compiacerlo. Doveva umiliarsi per renderlo felice, e lo faceva volentieri, se serviva a qualcosa. Gli avrebbe dato un braccio, i suoi occhi, la sua anima per vederlo sorridere un solo momento.

- Tu… non sei un invalido, Vassilj-.

- E allora perché mi tratti come se fossi incapace di andare al cesso da solo?-

- Ti prego, Vassilj… non fare così. Mi… mi fa piacere aiutarti quando hai bisogno…-

- E chi ti ha detto che ho bisogno? Sono sicuro che hai di meglio da fare. Vattene, va’ dove vuoi, esci-.

- Non devo andare da nessuna parte- ribadì Anton stringendo i denti. Stava per mettersi a piangere, di nuovo, e non voleva. Sapeva che Vassilj gli voleva bene, almeno quanto gliene voleva lui. Ma era nervoso, stava male ed era infelice. Non voleva diventare cieco. Non voleva smettere di danzare… non voleva diventare un peso morto in balia di qualcuno.

- Voglio restare solo- disse beffardamente Vassilj. - Sono in grado di chiamarti se mai avessi bisogno-.

Anton non si mosse, non tanto per ribellione quando per incassare le parole di Vassilj.

- Allora? Se vuoi aiutarmi vattene, e lasciami solo. Ho voglia di stare solo, capito?-

Anton annuì, anche se sapeva che Vassilj non l’avrebbe visto. - Sì, certo. Me ne vado, sono nello studio…- mormorò con tutta la forza d’animo di cui era capace, lasciandosi sfuggire un singhiozzo sull’ultima parola. - Ciao…- si avvicinò a Vassilj, gli sfiorò una mano e lo baciò piano su una guancia. Vassilj frenò a metà un gesto di stizza, e Anton se ne andò senza una parola. Vassilj si sfiorò uno zigomo, credendo di trovarvi l’umida traccia di una lacrima, ma si era sbagliato. Quei fiori di sale erano gli unici che sbocciavano, ormai, sul viso liscio di Anton.

Il ragazzo sedette al tavolino del proprio studio. Ripeté verso se stesso il gesto di stizza di Vassilj, e si morse le labbra per impedirsi di piangere. Tutto inutile. Il legno incerato si macchiò delle sue lacrime senza assorbirle, e i suoi occhi continuarono a formare quel piccolo ruscello che gli bagnava le guance ogni giorno.

Amava Vassilj da quando l’aveva visto la prima volta. Lo conosceva già, attraverso le pagine dei giornali, la nuova etoile russa del balletto, un ragazzo con un talento straordinario e la danza nel sangue. La danza per lui era stata tutto, era tutto, era l’energia che guidava tutta la sua vita, era per la danza che Vassilj respirava, mangiava, si allenava… la danza era il suo amore impossibile, l’amore che esigeva da lui prove sempre migliori e che non gli si concedeva mai del tutto. La danza era la passione che gli bruciava il cuore.

La passione che bruciava il cuore di Anton era Vassilj. C’era lui nel suo sangue, nel suo respirare, mangiare e vivere. Da quando l’aveva conosciuto, per i suoi brucianti occhi nocciola aveva passato notti insonni e giorni roventi… per le sue mani bianche e lunghe aveva sospirato e aveva pianto.

E alla fine… mentre la sua passione si realizzava, la passione di Vassilj moriva per sempre. L’incidente che stava provocando la perdita progressiva della vista era capitato poco dopo il reciproco coinvolgimento. Vassilj si era ritrovato con una carriera che a trent’anni gli prometteva ancora tanti successi, improvvisamente morta e sepolta sotto strati di ombra sempre più consistenti. E quell’ombra aveva investito anche Anton, e, come un bavaglio di seta, soffice e letale, lo stava soffocando. Stava soffocando l’amore dentro un cumulo di tristezza e rancore, da cui lui non sapeva come venire fuori.

Dava tutto il suo amore a Vassilj, ma non bastava. Come un buco nero lui si inghiottiva tutto e non ne usciva nulla, né di buono, né di cattivo. Da quando aveva cominciato a perdere la vista, Anton aveva cercato di rendergli le cose meno difficili, di aiutarlo come poteva, di sostenerlo, ma aveva bisogno lui di essere sostenuto. Se non bastava amarlo con tutto se stesso, non sapeva che altro fare. Era spaventato, e piangeva.

Vassilj toccò di nuovo quel punto sul proprio zigomo. Anton non piangeva mai in sua presenza, ma sempre più spesso era costretto a fughe precipitose in altre stanze. E anche quando piangeva da solo, Vassilj riusciva a percepire l’odore umido e amaro delle lacrime sopra il suo viso. Percepiva la diversa consistenza del suo respiro, il diverso ciclo delle vibrazioni attorno a lui. Era sempre stato molto sensibile agli stati d’animo delle persone, ma da quando aveva iniziato a perdere gli occhi li sentiva molto più chiaramente. Le vibrazioni di Anton di solito lo avvolgevano come una fitta rete di sostegni. Sapeva quando lo stava guardando anche attraverso un muro, perché sentiva il suo amore correre verso di lui, ininterrottamente, ma era troppo orgoglioso per abbandonarvisi, grato. Aveva cominciato a respingerlo, a farlo tornare indietro non più avvolgente, ma tagliente come una lama appuntita, per ferirlo. E Anton sanguinava, sanguinava le sue lacrime immeritate.

Anton faceva qualsiasi cosa per compiacerlo. Non aveva mai cambiato profumo, né tipo di sapone, né balsamo… sapeva quali odori piacevano a Vassilj e faceva in modo di conservarli sempre. Aveva spostato i mobili della casa perché si potesse muovere comodamente. Gli regalava abiti di cui sapeva che apprezzava la consistenza, la morbidezza del tessuto, e che avessero quel buon odore di cose belle e ben fatte. Si faceva in quattro per lui, e se avesse potuto regalargli un occhio, o anche tutti e due, glieli avrebbe dati ben volentieri.

Ma tutte quelle attenzioni lo facevano sentire un invalido, un incapace. Non era in grado di riconoscere con se stesso che quelle mille premure c’erano sempre state, anche prima, ma che paradossalmente con entrambi gli occhi al loro posto non le aveva mai viste.

Si alzò dalla poltrona e si diresse allo studio senza quasi aver bisogno del bastone. Chiamò Anton, ma nello studio non c’era più. Aprì la porta in fondo alla parete e fu colpito dalla luce forte che entrava dalle due portefinestre. Si muoveva talmente piano che Anton, seduto sul letto con la testa fra le mani, non lo udì per un po’. Vassilj rimase fermo a fissare la sua forma scura circondata dalla luce. Ancora vedeva i contorni, se erano molto nitidi, ma il pensiero che giorno per giorno la sua vista calava lo spingeva a trattarsi da cieco anche se un po’ vedeva ancora, e a giacere per ore al buio senza altro suono che quello dei balletti con cui aveva calcato le scene in tutto il mondo.

- Anton- chiamò piano. Il fruscio gli disse che Anton era saltato dallo spavento.

- Vas…-

- Stai piangendo?-

- No…- rispose Anton con voce rotta; non ce la faceva, era più forte di tutta la sua volontà: quando Vassilj glielo chiedeva non riusciva a trattenersi.

- Smetti subito, Anton-.

- Sì, sì, certo…-

Anton si asciugò via le lacrime dal viso con forza, come se volesse strappare via anche le guance che le avevano accolte.

- Perché stavi piangendo?- Il tono di Vassilj era duro, perentorio, quello di un genitore severo che sa già la risposta, ma vuole che il bambino confessi.

- Perché… mi dispiace vederti in quello stato…-

- Ti dispiace che io sia un handicappato? Provi pena per me, Anton?-

- No, no! Mi dispiace che… tu ti abbatta e… stia lì, al buio… solo…-

- Non sono mai solo, ci sei sempre tu con me. E poi… cos’altro dovrei fare, secondo te, incapace come sono?-

- Non sei… non sei incapace… secondo me…-

- Strano, Anton, a me sembra che tu me lo ricordi ogni momento, che ho bisogno di aiuto. Sei sempre lì, appresso, sempre intorno…-

- Ma, Vassilj…- Anton ricominciò a piangere piano, ferito dalle sue parole. Eppure lui… non faceva nulla di male. Lo amava, e cercava di fare del suo meglio per farlo stare bene. - Non voglio mica… infastidirti, lo sai…-

- Allora fammi il piacere, stammi lontano. Lasciami un po’ in pace, Anton, lasciami respirare-.

- Ma… va bene. Allora… vado a fare una passeggiata-.

Anton uscì in fretta, camminò svelto, a testa bassa, fino al parco cittadino. Le foglie rosse decoravano il prato, in lontananza sentiva il fruscio dei rastrelli dei giardinieri. Chiuse gli occhi e si concentrò sui suoni, sugli odori. Lo faceva spesso, ormai, per capire cosa provava Vassilj, ma non era capace di sviluppare i sensi quanto lui. Quando erano in una stanza buia, distanti, Vassilj capiva dal rumore del suo respiro e dal calore che irradiava il suo corpo se era eccitato e se aveva voglia di fare l’amore.

Anton si strinse nella giacca. C’era un venticello fresco. Fare l’amore con Vassilj… all’inizio, quando aveva cominciato a perdere la vista, aveva cercato di dargli piacere in molti modi, e Vassilj aveva condiviso i suoi giochi, le sue esplorazioni. Ma poi… come tutto, anche quello si era rovinato. Anton sapeva cosa piaceva a Vassilj, e lo assecondava anche se non ne aveva del tutto voglia. Il corpo di Vassilj lo faceva impazzire, la sua pelle diafana che si arrossava al tocco di un dito, e poi tornava candida come neve un secondo dopo, il suo fisico modellato dalla danza e il suo vigore selvaggio. Adorava lasciarsi possedere da lui, anche se ultimamente era solo possessione, e nient’altro. Solo sesso, lui si sforzava di dargli di più, ma ogni tentativo cadeva nel vuoto. Gli dava fastidio… era soffocante… nascose di nuovo la testa fra le mani. Eppure se Vassilj l’avesse lasciato la sua vita sarebbe finita. Sarebbe morto nell’istante preciso in cui Vassilj l’avesse mandato via.

Due anni prima aveva seguito con trepidazione la sua tournèe russa in attesa dell’esibizione nella sua città. La danza l’aveva sempre appassionato, ma quell’uomo dal corpo flessuoso e aggraziato, ma allo stesso tempo virile e forte l’aveva rapito fin dal primo momento. E quando si era trovato davanti a lui, per avere un autografo, grazie ad un conoscente che conosceva il proprietario del teatro, Vassilj gli aveva sorriso. Gli aveva chiesto il suo nome, e gli aveva detto se voleva raggiungerlo nella sua stanza d’albergo, più tardi. Anton era arrossito e aveva farfugliato qualcosa prima di capire che l’aveva detto per scherzo. Poi, qualche tempo dopo gli era arrivato un invito per l’apertura della stagione a Mosca… e aveva scoperto che Vassilj si ricordava del suo nome e di lui, e aveva proposto al suo agente di assumerlo come proprio assistente. Anton seppe che le voci che aveva sentito erano vere. Aveva avuto molte storie con i propri assistenti, e li licenziava quando era finita. Anton accettò, felice che Vassilj si interessasse a lui, anche se fosse stato per una notte sola… ma poi si scoprirono innamorati, sul serio, uno dell’altro. Vassilj sapeva essere dolcissimo, tenero come un cucciolo. Erano stati felici. Si amavano… fino al giorno dell’incidente. Ma se adesso Vassilj l’avesse cacciato si sarebbe ucciso. Non c’era niente che avesse senso senza di lui.

Quando ritornò, trovò la cena già pronta, riscaldata nel microonde. Vassilj l’aveva fatto da solo per dimostrargli che ne era capace, ci avrebbe scommesso. Ne fu ferito.

Mangiarono in silenzio, Anton sapeva che sarebbe scoppiato a piangere se avesse aperto bocca, ed era terrorizzato di sentire da Vassilj che non lo voleva più.

Poi Vassilj andò nella propria stanza e si preparò per la notte. Mezz’ora dopo Anton bussò alla porta, in accappatoio.

- Sì?-

- Vassilj… vuoi che resti nella tua stanza, stanotte?-

Vassilj cercò a tastoni il copriletto e lo scostò. Respinse la mano di Anton protesa ad aiutarlo.

- Tu vuoi restare?-

- Se… se tu ne hai voglia-.

- Tu vuoi restare?-

- Lo sai, Vassilj… sì che voglio. Ma…-

- Allora resta-.

Vassilj allungò la mano verso il suo viso, sfiorandolo fino ad accarezzarlo sulla nuca. Lo attirò a sé e lo baciò. Anton si eccitò immediatamente, e si diede da fare per soddisfare anche Vassilj. Quando furono pronti, Anton si inginocchiò sopra il bacino di Vassilj e si lasciò scivolare sopra il suo sesso eretto, prendendolo dentro con tutta l’abilità che aveva. Vassilj gemette, e Anton si inarcò di più all’indietro. Sentiva un selvaggio piacere quando facevano l’amore, sentiva che in quel momento Vassilj non poteva rinfacciargli nulla… vedente o cieco non importava in quei momenti, quando l’unico senso che non era annebbiato era il piacere.

Nonostante ciò anche il piacere diminuiva. Perdevano la passione, perdevano il desiderio. E presto avrebbero perso anche l’amore. Anton si sarebbe lasciato umiliare fino in fondo, avrebbe accettato di essere solo un compagno di sesso per Vassilj, era pronto ad accettare, pur di non perderlo, di stargli vicino anche se l’altro non voleva.

Vassilj si girò su un lato mentre non aveva ancora finito di venire. Anton si stese dall’altra parte, e cercò di sfiorargli la schiena con le mani aperte. Poi si azzardò a stringergli i fianchi. Vassilj si scrollò le sue mani di dosso, e, un minuto dopo, Anton corse in bagno singhiozzante. Vassilj si sentì una merda, e maledì i suoi già maledetti occhi che gli stavano accecando anche il cuore.

 

- Ti senti meglio, ora?-

- Certo-.

- Ti va di dormire un po’?-

- Sì, provo a dormire-.

- Allora a dopo-.

Anton baciò Vassilj sulla fronte. Quel giorno non stava molto bene. Aveva avuto diversi capogiri, e Anton l’aveva convinto a mettersi a letto. Lo lasciò solo e quando ritornò qualche minuto dopo lo trovò addormentato.

Fu una voce concitata che svegliò Vassilj. C’era qualcuno in salotto con cui Anton stava parlando. La stanza da letto era buia, ma Vassilj la conosceva come le sue tasche. Si alzò e andò alla porta senza alcun rumore. Aveva imparato ad essere molto silenzioso, non faceva rumore neppure quando urtava gli oggetti: era un pupazzo di peluche a molla che faceva solo un leggero “puff” impercettibile per le orecchie umane.

In salotto Anton era solo. Parlava al telefono, e piangeva. Di certo stava parlando con il suo amico Gregor, di sicuro l’aveva chiamato per sfogarsi del rapporto con lui. Probabilmente si sentiva frustrato perché voleva mollarlo ma non se la sentiva di abbandonare un povero cieco a se stesso. Vassilj si stizzì. Socchiuse la porta e sedette sulla chaise-longue ai piedi del letto. Lì c’era il secondo telefono, e c’erano ancora le cuffie che aveva collegato l’altro giorno per parlare con il suo ex agente. Era stata una conversazione lunga e si era stancato di tenere la cornetta in mano.

Sedette, infilò le cuffie e trovò il tasto per ascoltare al primo colpo. Il leggerissimo “bip” provocò un’interruzione nelle chiacchiere di Anton e Gregor.

- Sei stato tu?- chiese Anton.

- A fare che?-

- Non l’hai sentito?-

- Ma cosa?-

- Oh, be’… niente, me lo sarò immaginato-.

- Lui dov’è adesso?- Vassilj intuì che “lui” poteva essere solo lui stesso.

- Sta riposando. Oggi non si è sentito bene…-

- E ora come sta?-

- Sta riposando, ti ho detto-.

- Avete… discusso anche oggi?-

- No… non abbiamo litigato, noi… non litighiamo. Sono solo… discussioni, sono normali…-

- Ma non è normale che scoppi a piangere ogni volta che ne parliamo-.

- Non… non ce la faccio a trattenermi… io… sono terrorizzato, Gregor, lo sai… è… è colpa mia se lui è scontento, ma… non so che cosa fare…-

- Anton, secondo me lui se ne approfitta. Si approfitta della sua malattia e ti tratta da schifo, senti, dovresti fargli capire che…-

- Ma non posso! Lui sta già male per conto suo, Gregor, che cosa dovrei fare? Non posso imporgli i miei problemi da niente, non posso!-

- Problemi da niente, Anton? Si vede lontano un miglio che stai male, e stai peggio di lui. Lui ha tutti che lo coccolano, tu lo vizi e ti lasci strapazzare, ma a te chi ci pensa?-

- Non è importante! Ora l’importante è lui, deve riprendersi!-

- Sono sei mesi che deve riprendersi, ma intanto quello che non mangia niente e piange in continuazione sei tu. Ti stai sacrificando per lui!-

- Gregor! È quello che voglio! Lui ha bisogno di me! Io devo… devo… voglio che ritorni felice come un tempo-.

- Secondi me è più felice ora che può sfogarsi su di te-.

- Smettila, Gregor!- Anton tirò su col naso. - Per lui… la danza era tutto. Viveva per danzare! Come ti sentiresti tu?-

- Senti, mi spiace tanto per lui, e tutto il resto, ma non devi annullare la tua vita per questo! E tu? Che posto occupavi prima e che porto occupi ora nella sua vita, se la danza era tutto? Ti accontenti del posto di fanalino di coda?-

Vassilj sentì un tuffo al cuore. Fin dall’inizio aveva ripetuto ad Anton che la danza era la sua vita e che per lui non c’era niente altro. E Anton gli era restato accanto sostenendolo, senza pretendere di venire prima di nulla, accontentandosi di un posticino al freddo lontano dal fuoco. E lui se ne accorgeva solo ora.

- Gregor, io lo so che mi ama! E anche io lo amo, cosa credi? Se lui è felice, lo sono anche io. Ora non può più essere felice per la danza, e io devo fare qualcosa…-

- Tu gli daresti un braccio, anzi tutti e due se ne avesse bisogno. Ed entrambi gli occhi, e tutto il tuo sangue… gli regaleresti tutto, e lui non ti ringrazierebbe neanche-.

- Io non ho bisogno di nulla di ciò che serve a lui. A me gli occhi non servono… glieli darei volentieri, Gregor!-

Anton scoppiò si nuovo a piangere. Non era tanto dalle sue parole, quanto dal suo tono che Vassilj si stava rendendo conto delle cose che Anton aveva mandato giù per amor suo.

- Anton, non puoi continuare così. Ti sta distruggendo, va’ via finché sei in tempo!-

Vassilj trattenne il fiato. Anton pianse ancora più forte.

- Ma cosa dici? Che cosa dici? Non posso andare via, non posso lasciarlo così!-

- Senti, Anton, puoi trovare moltissime persone anche più qualificate di te che possono prendersi cura di lui, meglio di come puoi fare tu. Non devi farti degli scrupoli per questo, altrimenti non ne uscirai mai!-

La voce di Anton divenne un sussurro. - Ma non posso. Lui per me è come la danza per lui. Lo sai, Gregor. Se mi manda via muoio. Non voglio stare senza di lui!-

Vassilj si sfilò le cuffie con un gesto secco. Strizzò gli occhi per non piangere a sua volta. Gli veniva da piangere perché si era comportato come un malato viziato dalla sua malattia. Anton l’aveva servito e aveva sopportato per amore. Non per pietà o senso del dovere. Anton diceva che sarebbe morto senza di lui. Lo vide, improvvisamente, con l’occhio della mente. Era vero, era dimagrito molto da quando lui aveva cominciato a perdere la vista. Lo sentiva, quando gli toccava il viso. Sentiva il suo respiro più affannoso di una volta. Lui credeva di stare male, ma aveva cercato di distruggere Anton, invece. E l’aveva accusato di volerlo lasciare. Di volerlo abbandonare solo e infelice. Dio, com’era stato stupido!

Sentì che Anton riagganciava. Tornò in fretta a letto, ma Anton attese un po’ prima di andare da lui, il tempo di farsi passare i singhiozzi. Quando entrò nella stanza, Vassilj alzò la testa.

- Ah, sei sveglio!- sorrise Anton.

- Chi c’era di là?-

- Quando?-

- Poco fa. Ti ho sentito parlare-.

- Ah! Ero al telefono-.

- E con chi?-

- Con Gregor-.

- Ah, con Gregor-. Anton si fece piccolo piccolo. - Gregor, Gregor… molto bene. Lo ami?- chiese a bruciapelo Vassilj.

- Co… cosa?-

- Ti ho chiesto se lo ami. Se ami Gregor con cui passi le giornate al telefono-.

- Vassilj, ma perché fai così?-

- Rispondi! Lo ami? Vorresti andare a letto con lui?-

- Come puoi dirlo? Vassilj, perché dovrei volere…-

- Innanzitutto perché lui è giovane, e bello, e poi non è un invalido a cui badare-.

Anton ebbe uno scatto. - Smettila, Vassilj! Sei cattivo!-

- Guarda che per me non c’è nessun problema se te ne vuoi andare… forse è meglio…-

Anton provò un intenso dolore al cuore. C’era una piccola incrinatura che lo faceva soffrire, e ora Vassilj con le sue lunghe dita stava cercando di allargare ancora di più la ferita.

- NO!- gridò Anton. - Ti prego, Vassilj, ti prego, non mandarmi via! Io… ti prego, fammi restare, non m’importa se non mi vuoi più, ti curerò, ti guaderò da lontano… non ti darò fastidio, davvero… se ti va… puoi… puoi chiamarmi quando ti va di… stare con me. Non cacciarmi, Vassilj, posso fare quello che vuoi, posso accettare tutto, ma non mandarmi via, no... ti prego…-

Vassilj abbassò la testa. Anton non amava le relazioni sessuali. Non gli piacevano i rapporti occasionali. Li detestava, gliel’aveva detto molte volte, e lui lo sapeva bene. Che cosa doveva esserci nel suo cuore per spingerlo a svendersi così, ad umiliarsi volontariamente solo per potergli stare accanto nella mezz’ora che serviva per un orgasmo?

Anton attese che lui parlasse, tremando da capo a piedi. Poi ruppe il silenzio, troppo nervoso per aspettare. - Mi… manderai via, allora?-

Vassilj non rispose subito. Sentiva il suo tremito incontrollabile attraverso il letto su cui entrambi erano seduti.

- Non ti darò mai più fastidio, Vassilj…- sussurrò ancora Anton. Pronunciare il suo nome, in quel momento, serviva per ricordarsi della persona che amava più di se stesso. Per darsi la forza di resistere e di sacrificarsi per lui. - Vassilj…-

Vassilj tacque ancora. Farsi odiare, ecco cosa aveva cercato di ottenere. Insultare Anton, la sua purezza, la purezza del suo amore con insulti ed insinuazioni non degne di lui. Suscitare in lui una reazione che una volta tanto gli gettasse in faccia dolore e cattiveria, e invece… le vibrazioni d’amore attorno a lui erano raddoppiate. Gli leggeva dentro come su un libro aperto: Anton pensava di non fare abbastanza, di non essere abbastanza per lui. E stava decidendo di accettare tutto quello che lui voleva dirgli per farlo sentire meglio. Fino al totale disprezzo per se stesso.

- Anton…- mormorò, e non si stupì della sua reazione, del vederlo quasi illuminarsi mentre sentiva pronunciare il proprio nome da una voce tanto amata. - Io non sono più quello di un tempo-.

Anton tacque a sua volta, soppesando le parole. Sapeva che c’era dell’altro.

- Ormai non ci vedo più. E se non è così, comunque fra poco sarò cieco. Sarò un invalido davvero. Non posso più danzare. Non sono la persona di cui ti sei innamorato-.

Vassilj sentì il respiro di Anton incresparsi in un sorriso. Ne fu stupito; non se l’aspettava.

- Non voglio dirti se hai ragione o torto… non voglio sapere dove vuoi andare a parare. Vassilj. Non m’importa se amo il te stesso di un anno fa o quello di adesso… so che ti amo, e se lo so io, tu puoi solo accettarlo. Oppure mandarmi via, ma non cambierò idea. Lo sai che non posso-.

Vassilj si passò una mano sul viso. - No, non lo so- disse stancamente. - So solo che sono un povero cieco e che non posso importi di badarmi per sempre, nemmeno… nemmeno se credi di volerlo tu stesso-.

- Allora ti prego, ti prego, non impormelo… lascia che decida io-.

Vassilj tacque.

- Vassilj!- lo chiamò con urgenza Anton, la voce talmente bassa che poteva essere un refolo di vento. - Lo sai, lo sai… se servisse a qualcosa io… io ti darei tutto, tutto… ti darei i miei occhi, se potessi farti tornare a danzare! Ti darei le mie gambe e le mie mani, il mio sangue, tutto, tutto…-

- Non ne ho bisogno…-

- Ma… ne ho bisogno io…- sussurrò Anton, con un’uguale nota di stanchezza nella voce, di chi ormai è sconfitto nella causa a cui tiene di più al mondo, e getta il suo ultimo proiettile senza convinzione, tanto per non averlo sprecato.

Vassilj si voltò verso di lui, a colpo sicuro. Non poteva giurare di fissarlo negli occhi, ma almeno Anton poteva guardarlo in faccia.

- Non ho bisogno che tu mi dia nulla… i tuoi occhi mi sono più utili sul tuo viso che sul mio, o peggio in una scatola… e il tuo sangue mi è più utile nelle tue vene, davvero… e poi… non vorrei rovinare l’aspetto che ricordo di te… non potrei mai più vederti, lo sai…-

Anton lo guardò con un’espressione confusa. Vassilj mosse la sua mano finché non trovo quella di Anton sul letto, e la strinse. Anton sussultò; era un gesto che ormai non faceva più da mesi, ormai.

- Anton, tu hai ragione, su tutti i fronti, ma anche io ho ragione su una cosa: sono un povero, povero invalido. Ma non negli occhi, qui, nella testa: sono uno scemo che ha l’amore di una persona meravigliosa e gioca al grand’uomo. Io non ti merito, Anton, non dopo quello che ti ho fatto-.

- Non mi hai fatto niente, Vassilj- sussurrò Anton, mentre una calda, morbida sensazione si diffondeva nelle sue membra, al suono di quelle parole che Vassilj non gli rivolgeva più da tanto.

Vassilj voltò la sua mano e la strinse di nuovo, palmo a palmo.

- Portami fuori- disse Vassilj con un sorriso. - Portami fuori da questa orribile tomba. Mi servono i tuoi occhi, ma sul tuo viso, per guidarmi. Portami fuori di qui-.

Vassilj percepì un moto di pura gioia invadere Anton; la sua voce suonò tanto squillante quanto non era mai stata da sei mesi a quella parte.

- Vuoi uscire davvero, Vassilj?-

Vassilj sorrise e annuì. - Hai vinto tu, Anton-.

- Non era una battaglia, Vassilj. Volevo solo renderti felice, non m’importava di vincere o perdere…-

- Appunto, e ora hai vinto. Portami fuori-.

Anton l’aiutò a cambiarsi e a mettersi il cappotto. Vassilj frenò le sue premure dove riusciva da solo, e Anton lo lasciò fare attento a seguire ogni suo movimento.

Vassilj gli accarezzò la guancia mentre uscivano. Non volle accettare il braccio di Anton per strada, ma gli chiese aiuto quando ne aveva bisogno. Anton sembrava volare ad un palmo da terra; Vassilj immaginò il sorriso che finalmente illuminava il suo viso smagrito, e fu travolto da una sensazione talmente euforica ed elettrizzante che dovette fermarsi di colpo sul marciapiede.

La mano di Anton, solerte, fu subito sul suo braccio. - Che c’è, Vassilj? Ti senti male?-

Ma Vassilj non sentì le sue parole. Era stordito. E per la prima volta capiva.

Quella sensazione era la stessa che aveva provato in centinaia di teatri sparsi per il globo. Quando l’ultima eco della musica finiva ed il pubblico iniziava ad applaudire, era la stessa identica sensazione. Quella di avere dato ai suoi spettatori un’emozione purissima, la stessa che loro avevano cercato ma a livelli ben più alti, quasi a livello trascendente. La sensazione di aver scommesso tutto contro niente e di avere vinto senza aspettarselo il tesoro più ricco del mondo.

Ecco, era questo ciò che aveva sentito immaginandosi il sorriso di Anton, del suo Anton. Aver dato tutto se stesso per un ritorno non garantito, e di aver vinto più di quanto immaginava. Giocare il tutto per tutto. Lo sbaglio di un passo provato e riprovato era la stroncatura sicura della critica, era un fallimento personale dopo duri allenamenti… e il sorriso di Anton era lo stesso tipo di attesa senza sicurezza, anche dopo aver capito, non era certo che Anton sarebbe rimasto e l’avrebbe amato ancora…

Gli fu tutto chiaro, e, ora che lo sapeva, gli sembrò addirittura stupido. Lui per me è come la danza… aveva detto Anton a Gregor, al telefono. Tutto lì. Adesso sapeva che il sorriso di Anton poteva essere come l’applauso del suo pubblico. Anzi, era già così. Così semplice… era per l’applauso finale che danzava. Ecco.

- Vassilj, rispondi… che cos’hai?-

Vassilj si riscosse, sorridendo. Gli strinse le dita che aveva posato sul suo braccio.

- Sto bene, Anton. Non sono mai stato meglio-. Si portò la sua mano alle labbra e le baciò dolcemente. Anton era stupefatto.

Sedettero su una panchina, e Vassilj si strinse a lui. Poggiò la testa sulla sua spalla.

- Raccontami-.

- Cosa?-

- Quello che vedi. Ti ho detto che mi servivano i tuoi occhi-.

- Vedo… una persona che conosco. È… diversa da come la ricordavo. Ma è cambiata in meglio. Sembra emanare luce, ma ora è una luce più pura di quella di prima. Ora sembra che non voglia più soffocarla, né trattenerla, come prima. È… la persona più bella del mondo. E io la amo-.

Vassilj sorrise. - Cosa stai guardando?-

Anton abbassò gli occhi. - Guardo te- sussurrò, e lasciò che le dita di Vassilj sfiorassero le sue labbra, e che il volto dell’uomo si chinasse sul suo baciandolo. Lo baciò a lungo, prendendosi tutto il tempo che voleva, sfiorando le sue labbra dolcemente, con tutta la tenerezza di cui era capace. Rimbalzando le sue vibrazioni avvolgenti con altre altrettanto avvolgenti che facevano battere il cuore di Anton talmente forte che lo sentiva anche lui.

Vassilj si staccò, appoggiando la fronte sulla spalla di Anton. Poi parlò, e la sua voce vibrò attraverso il corpo dell’altro.

- Anton, ti amo-.

Vassilj spostò leggermente la testa sul petto di Anton, proprio sopra il cuore, e chiuse gli occhi godendosi l’applauso.


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