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Pairing Ruhana
Raiting R

Act 1 Pov Ru
Act 2 Pov Hanamichi

Nell’ epilogo nessun pov.

Ci tengo a precisare che questo secondo viaggio compiuto dal Viaggiatore non è un continuo del primo, conclusosi giustamente con la sua fine, in questo racconto è come se il mio uomo che viaggia vedesse un' altra storia, in un altro tempo parallelo, dove tutto ricomincia da capo.
E così sarà anche nella prossima fic, quando la scriverò.

Mel


 

Dal diario di un viaggiatore…

Rules – La mia legge

di Mel

 

 

<II° viaggio>

 

 

Act 1 – Together

 

La solitudine è qualcosa che si diffonde all' infinito.
Io sono qui, al centro, intorno a me vedo chilometri e chilometri di vuoto immenso.
Io, al centro, vedo un infinito vuoto che si estende attorno a me, che allontana gli sguardi, le persone, che allunga gli spazi dilatandoli lontano da me, sempre più lontano.

 

Solitudine.

 

 

Ti guardo.
Perché così ho deciso.
E quello che decido per me è legge.

Altrimenti non sarei come sono ora.

Non sarei nessuno.

Credono tutti che io abbia talento.
Sbagliano.

Ma non è un tono amaro, il mio, bensì rassegnato all’ impegno e alla fatica.

 

Ed ora che il sudore dei miei sforzi mi corre addosso ti guardo.
Perché ho deciso che, oltre quello che mostri, ci deve essere tutto un altro mondo.
Tutto un altro ragazzo.
Un altro Sakuragi.

 

E ricorda che quello che io decido è legge.

 

Il tuo viso è un caleidoscopio di emozioni.
Così veloce, così perfetto che, ammetto, non riuscirei ad eguagliarti  nemmeno studiando per anni l’ enciclopedia delle emozioni umane.
Così rapido, così mutevole.

Spesso così bugiardo.

 

Ti guardo, ma ancora non ti vedo intermente.
Mi appari sempre e solo a pezzi.

Adesso il frammento che impersoni mi fa infuriare.

Svogliato, non fai che distrarre Miyagi con le tue parole, cerchi rissa con Mitsui e con me, sorridi come uno sbruffone e ti riempi di arie che in realtà non potresti nemmeno respirare.

Giochi male, attendi desideroso una qualsiasi distrazione e quando la trovi solo un pugno di Akagi riesce a fartela mollare.

Cerco di ignorarti.
Almeno fino a quando non mostrerai altro.

Per oggi finisce qui.

Hai inserito la modalità tutto il giorno, eh?

Sbuffo e mi cambio.
Meglio andare a casa.

 

Il giorno dopo sono qui e mi domando curiosamente cosa farai oggi.
Che tipo di sorriso avrai.
Che cosa condizionerà la tua espressione.

 

E poi vedo ‘lei’*.
E capisco come ti mostrerai oggi.

 

Dannazione.

Altro giorno perso.

 

Mentre le gridi il tuo apprezzamento, mentre cerchi di mettermi in ombra, fallendo.
Penso solo che è meglio tornare a casa, non c’ è niente di bello da vedere.

Mi rilasso e guardo il mio gatto che, silenziosamente, tenta di evadere da casa mia.
Chissà dove va tutte le sere in questo inverno così piovoso e freddo…..

Mi stringo nella coperta davanti al mio camino e bevo giusto un goccio di Martini chiaro per riscaldarmi il petto ed il ventre.

Penso ancora e lei mi accompagna cantando.

 

La mia fedele serva.

Serva e  padrona.

                                   Solitudine                                           

La solitudine, che intesse arie liriche tentando di superare con i suoi virtuosismi le urla silenziosissime della mia anima che piange singhiozzando.

Ed io, indifferente a tutto questo rumore fastidioso, ascolto il ticchettio dell’orologio ed il crepitio delle fiamme.

Mi alzo e mi concedo in fondo il riposo dei giusti.

Quelli che sanno che non saranno soli nei sogni, non perché qualcuno li venga a trovare, ma perché non esisti neppure nei sogni.

E chi non esiste non può essere solo.

 

Seccato.

Oggi sì.

Sono già tre giorni che sei in modalità innamorato perso e folle.

 

Non vorrei tu diventassi come la televisione il sabato sera.

 

Monotona e irritante.
Vuota e monotematica.

 

Ed anche oggi mi ritiro da un combattimento che non mi interessa più.

 

Sono passati pochi giorni.
E siamo usciti con la squadra.
E tu hai invitato il tuo guntai.

Mi piace.

Poterti vedere così.

 

Niente donne, solo noi ragazzi.
Nonostante avrei voluto Ayako con noi, non posso lamentarmi.
Almeno ‘lei’ non c’ è.

 

E ti guardo.
Ricorda che l’ ho deciso io.
Non sei tu a farmelo fare.
Sono io che voglio farlo.

Ancora, ancora.

 

Ancora.

 

 

E adesso vedo il frammento di te che si chiama ‘amico’.

Scherzi, ridi, parli e non sei falso e sei bello.

 

Ti avvicini al tuo migliore amico, Mito.
E gli sussurri qualcosa all’ orecchio.
Ma non per scortesia verso gli altri, effettivamente la musica è alta in questo pub ed è difficile udire.

Mito ride e tu con lui.
State bene insieme come amici.

Sembrate fratelli.

So che tu vuoi questo da lui e che lui vuole questo da te.

 

Continuate a ridere e a scherzare.
Commentate le cameriere insieme agli altri e sei poco interessato.
Lo vedo.

Poi, improvvisamente, mi guardi.

Perché?

Non sono una cameriera da commentare…..

 

Ma non sembri scrutare solo i miei occhi ed il mio bel viso.
Fissi la mia bocca.

Forse perché stasera non si è mai aperta?

Poi il mio bicchiere ancora pieno ti attira.

Solo due sorsi.
E’ tutto quello che mi concedo di qualsiasi cosa non sia acqua o the.
L’ ho deciso per la mia salute di atleta ed è inderogabile.

 

Perché devi sapere che quello che decido è legge.

 

Perciò non guardarmi come se fosse un peccato mortale lasciare questa birra rossa e dolce qui nel bicchiere.

“Nh….vuoi tu?”chiedo improvvisamente

E tu alzi di scatto gli occhi su di me, li allarghi e sembri arrossire.

“Non…..non guardavo….per questo…”mormori

 

Vorrei davvero sorriderti, divertito.

Ma lei al mio fianco me lo impedisce.

 

Mi pesa sempre così tanto sull’ anima da non farmi sentire che un eterno dolore maledettamente soft.
Dannata solitudine di tutta un’ esistenza.

 

“Lo so..”dico solo e con una spinta faccio scivolare fino a te il mio bicchiere.

 

<Avanti….baciami..ne hai il coraggio?>grido quasi fra me

 

 

E tu, fissando attento i miei occhi, alla ricerca di …scherno? odio? indifferenza?......lo prendi in mano, accarezzandolo distrattamente, proteggendolo con le tue lunghe dita ambrate ripiegate attorno e lo tiri su, lo porti alle labbra, toccando lo stesso, oramai dannato, punto in cui io prima ho posato le mie.

 

Ed è quasi un orgasmo per me.

 

Così sensuale tutto quello che hai fatto solo per bere.
Sembravano carezze d’ amante.
Pochi pensieri fa se non avessi specificato che tenevi in mano un bicchiere tutto poteva essere frainteso.

Sensualmente frainteso.

 

Oscenamente quasi.

 

Ma niente di quello che fai o potresti fare mi sembrerà mai triviale.
Tu non sembri certo innocente.

Ed è questo che adoro.

Perché non lo sembri affatto con quei capelli di fiamma da inferno di peccatori, con quella pelle da dannata creatura che si è bruciata al sole, con quegli occhi da tentatore scuri come rubini da rubare.

No, non lo sembri affatto, innocente.

 

 

Lo sei.  E basta.

 

 

Sono quasi felice.
Ho visto così tanto stasera.
E mi è piaciuto ogni attimo.

Svuoti il mio bicchiere e mi guardi.
Sembra una sfida, scritta nella pergamena antica dei tuoi occhi, ma in realtà, per me, è solo appagamento.

 

Cosa pensavo di te?

Vivo, vero, mutevole, rapido, bugiardo, bello.

Oh sì, manca….devo aggiungerlo.

 

Vivo, vero, mutevole, rapido, bugiardo, bello e sensuale.

 

Vado via.
Mi alzo, pago un po’ più di ieri e lascio i soldi sul tavolo.

Con una mano saluto tutti, anche te che, vedendomi sbadigliare di nascosto, sai che non sono andato via per quello che hai fatto o detto.

 

A casa il mio gatto stasera  c’è.

Lo stringo al petto e vado su nel mio letto, dove lei si accuccia fedele e crudele e mi lascia al canto ammaliatore del silenzio.

 

 

Oggi mi sento stanco.
Senza sapere perché.
Entro a scuola e lo vedo.

Oggi non ho voglia di guardarlo.

 

Non è che io discuta le mie leggi è solo che ogni tanto prendo una pausa.

Per riordinare.

 

Come quando mi concedo una tavoletta intera al latte.

E’ la stessa cosa.

 

Ed oggi quindi non ti guardo.

Fisso la mia sfera arancione e la mia fascetta.
Entrambe mi infondono sicurezza.

Guardo il canestro ed il parquet ed entrambi mi infondono voglia di giocare.
E penso solo a giocare.

 

Con te al limitare del mio bosco di pensieri.

Né vicino, né lontano.

Ma sfumatamente presente.

 

Sto per andarmene, il vento mi annuncia che mi terrà compagnia sollevandosi al mio passaggio e nel frattempo  insegna alle foglie a ballare mentre prendo la mia bicicletta.

Ti sfreccio accanto, tu aspetti un amico, posato contro il muro freddo, ti copri la bocca con una sciarpa viola…viola, il colore dei sogni, viola, il colore delle insicurezze…il colore dei bambini…….e sembri perso nei tuoi ragionamenti strani e colorati, sì, penso siano sicuramente colorati i tuoi pensieri, l’ ho sempre pensato….. sembri tanto un arcobaleno, una delle cose belle che tutti, proprio tutti, possono vedere allo stesso modo, senza parzialità……ma adesso mi sembri spento……lievemente più grigio…….pensieri sbagliati? Difficili? Riguardano me ? Non lo dico per stupido vanto, ma non stacchi lo sguardo dal mio e ti spegni un po’ di più ad ogni secondo che passiamo uno negli occhi dell’ altro…….spero di no, Sakuragi, spero di non essere stato così cattivo da spegnere la tua allegria…..sarebbe peggio di una bestemmia….per me.

 

Vado via.
Indeciso se conservare o no anche il tuo frammento di tristezza fra tutti i sentimenti che so che puoi provare.

Non perché  tu non riesca a scurire i tuoi occhi nocciola nutrendoli di dolore.

 

Ma  perché a me piaci di più vestito di sole.

 

 

Sembri punirmi il giorno dopo e torna la tua modalità sdolcinata con ‘lei’.
Ma oggi che riprendo il mio programma devo guardarti.
E lo faccio, nonostante tutto.

 

Passano pochi altri giorni.

Sei sempre riflesso nelle mie iridi.

Segretamente.

Sono bravo, sai?

Nessuno si accorge di me….forse troppo presi a credere che io non possa riuscire a vedere attraverso questi occhi di cristallo.

O che non possa rielaborare le immagini perché non ho un cuore dove conservarle.

Sbagliano ancora.

 

Ma tu oggi sembri distante e perso.
Veloce, in lotta contro il tempo.
Nervoso e teso, ma non troppo.
Eppure più del solito.

Ti guardo.

 

Litighi con Akagi.
Non troppo pacificamente, ma gridi, strepiti.
Devi andare via prima, oggi.

Devi assolutamente.

Non ci sono mezzi termini nei tuoi occhi e nella punta della tua lingua che parla.

 

Devi andare.

 

Ma dove?

 

Ayako ti aiuta.
Anche lei sa leggere la serietà nei tuoi occhi.

Non vai via per capriccio.

Sembra….necessità.

 

E Akagi infine viene costretto.

 

Veloce esci, senza nemmeno cambiarti.

 

 

Questa sera sono ancora con lei, in casa.
Siamo annoiati un po’ entrambi, così prendo la giacca ed esco, incontro alla notte che arriva danzando sulle nubi.

 

Torno in quel pub poco frequentato che adoravo da bambino.
Non che ci fossi mai entrato, ma mi attirava.

Come quelle cose che vedi e devi per forza comprare per non pensare poi tutta la vita che hai perso un’occasione.

 

Torno lì e mi siedo ad un tavolo.

Devo, ovviamente, prima avvertire tutte le donne presenti che non ho intenzione di tradire la mia amante di sempre, la solitudine, appoggiata comodamente sulle mie spalle per intraprendere con loro una sicuramente poco stimolante conversazione su cosa mi avrebbero voluto fare appena mi hanno visto.

Penso che uno sguardo gelido ed un calcio alla sedia che mi è inutilmente al fianco vadano bene.

 

Sfoglio il menù per decidere di cosa berrò due sorsi stasera.
E trovo un succo di frutti tropicali, spruzzato di liquore al cocco, piacevolmente adatto.

 

Chiamo un cameriere qualsiasi e ordino.
Attendo, pensando a cosa mi manca da vedere in lui.

 

Passano lenti dei minuti pieni di ipotesi, poi avverto marginalmente un passo incerto.
Ignoro, poi, una mano altrettanto incerta, tremante, indecisa, quasi impaurita che mi compare davanti.

La osservo bene in pochi istanti.

Eppure ha un bel colore caldo, perché trema?

 

Alzo gli occhi.

Sono proprio un curioso viziato.

Perché mi dico sempre di sì.

 

E vedo     te.

 

 

Che mi guardi, sorpreso, incredulo.

 

 

Perché?
E’ così terribile avermi visto?

 

Ti osservo meglio.
La mano di prima non era vuota.
Hai portato tu il mio drink.

Hai una divisa addosso e non è quella della scuola, né quella della squadra.

 

Lavori qui.

 

Lavori qui, ripeto e    capisco.

 

Sai anche tu che non dovresti.
Che non potresti.

Pena l’ espulsione.

 

Ecco perché tremi.
Io adesso ti spavento veramente.
Scommetto che sei stato costretto a servirmi.
Ti hanno obbligato.
Come ti avranno obbligato oggi a venire prima facendoti lasciare l’allenamento.

Ecco perché  le tue mani tremavano ed i tuoi occhi sono così dilatati.

Sembrano due pozzi neri, la pupilla ha quasi coperto totalmente l’iride.

E’ un vero peccato.

Il tuo dolce color castagna è splendido.

 

Tu non dici niente.
Vieni richiamato dal tuo capo e devi andare.

Ed allora succede che mi implori con uno sguardo.

 

Silenziosamente annuisco, serio.

 

Vederti implorare, supplicare, mendicare è qualcosa che mi mancava, ma che avrei decisamente evitato.
E mi chiedo subito per chi o cosa tu lo stia facendo.

Non leggo la spensieratezza di una sciocchezza qualsiasi o l’ avventatezza di una bravata divertente nei tuoi occhi.

 

Serio e sbrigativo.

 

Avvolto in un riccio spinato che sembra proteggerti e ferirti al tempo stesso.
Un giorno, sono certo, saprò.

Bevo giusto due sorsi, tre, per far contento il tuo sguardo che mi cerca poi mi alzo e vengo da te, verso la cassa.

Ti pago la consumazione e tu mi porgi lo scontrino.

Lo afferro, ma non lo lasci.

Alzo su di te i miei occhi.

 

E tu, disperatamente, mi supplichi ancora una volta, con labbra tremanti, ma mute.

Io rimango immobile, leggo nei tuoi occhi la speranza e non posso fare a meno di viziarti, come faccio con la mia curiosità.

 

Mi porto l’ indice alle labbra e sussurro.

“Ssssh….”

 

Prendo il foglietto e vado via.

No, non sorridermi adesso.

Avremo tempo per questo.

Più avanti.

 

 

Di nuovo in palestra, la nostra casa dei sogni.
La nostra gabbia di fama e fatica.
Il nostro domani.

 

Giustamente ti guardo ancora.

Sembri   …seccato.

Disturbato da qualcosa.

 

Simile ad una belva indomita ti senti come …in trappola.

I tuoi occhi meravigliosi bruciano.

Come fuoco degli dei.

 

Pensi forse che io ti tradirei?

 

So che lo pensi, so che lo credi.

Il tuo corpo parla per te.

Il tuo sguardo si fa circospetto solo quando incontra il mio oceano d’ iridi.

 

Nervoso, quasi arrabbiato.

Fiero, sul piede di guerra.

Sì, sul piede di guerra.

 

Pronto allo scontro e alla lotta.

 

Pieno di luce.

Determinato.

 

Mi piace la tua combattività, ma sai che non parlerò.
E che non ti parlerò.

E mi dispiace in fondo.

Mi dispiace non poterti alleviarti la sofferente incertezza dei primi giorni, dovrai imparare a fidarti delle mie azioni e delle mie promesse…è così fra compagni, no?

Scivolo lontano da te e sento la tua tensione alleviarsi man mano che l’allenamento giunge al termine ed io rimango sempre in silenzio.

 

Ti ho già detto che quello che decido è legge.

Ho deciso che non avrei parlato e ti ho fatto anche partecipe di questa mia scelta, perciò calmati.

Anche se vederti rilucere furente non mi fa male agli occhi.

Né al cuore.

 

Il tuo indomito coraggio è senz’altro un ulteriore apprezzamento che posso muoverti.
Ed una nuova aggiunta alla mia lista di gradevoli visioni.

 

Ancora una volta lascio correre del tempo, dei giorni.
Lasciamo correre il nostro tempo così come siamo abituati a farlo con i nostri pensieri.
E se, senza dubbio, è piacevole la seconda azione non posso dire altrettanto della prima.

 

Ciò che passa non torna.

Mai.

 

E può diventare due cose.

 

O ricordo.

 

O rimorso.

 

Non ha altra scelta.
E la memoria dell’ uomo non è altro che queste due realtà incessantemente mescolate.

Ma non unite.

Sono come acqua dolce e acqua salata.

Si accarezzano, tentano di fondersi, ma sono troppo diverse.
Sono distinguibili.
Ed a seconda del nostro momento e del nostro umore troviamo ora piacevole una ora piacevole  l’ altra.

 

Io, da ragazzo solo, trovo umiliante il sapore salato dei rimorsi.

E tu non sei gentile con me, mi getti ogni ora, ogni minuto, un bicchiere davanti.

 

Acqua e sale.

 

E mi costringi a berli.

 

Rimorsi del tempo perduto.
Intermittenze del mio cuore.

 

Questa notte, non troppo lontana da quel giorno in cui mi reputavi un novello Giuda, ma abbastanza in là da averti dato la prova della mia lealtà, spio con occhio critico la fuga della mia palla di pelo grigia.

Fuori piove fitto e leggero.

Un tempo che fa uggiolare.

 

Dove sta andando il mio gatto?
Oramai sono davvero curioso.

Ed essendo viziato - in questa mia accettabile debolezza - mi alzo, prendo una giacca impermeabile ed esco; tanto a casa ho solo lei che aspetta che mi metta a letto per poter cantare le sue stonate rime malinconiche.

Almeno le lascio il tempo di ricontrollare il solito repertorio.

 

Nel silenzio inquieto di questo crepuscolo da infami passeggio dietro al mio gatto, silenziosamente.
Il suono soffice della pioggia copre i miei passi e da’ al mio micio la stolta idea di essere solo e libero.

Beh, amico mio, è vero, quando si è liberi molto spesso si è anche soli.

E non è un bene.

No, non lo è affatto certe volte.

 

Ricordo un mito.

Andromeda incatenata alla rupe.

Lo ricordo con invidia.

Anch’ io vorrei quindi essere legato?

 

Oh sì.

 

E so per certo che manderei a cagare qualsiasi novello Perseo.
Fossi stato lei avrei detto ‘Bastardo lasciami le mie catene di certezze e levati dalle palle’

 

Sorrido delle mie stesse sciocchezze in questo mare di pioggia e vedo il sedere grigio-blu del mio certosino girare per un quartiere di scantinati e ruderi.

Ed è in uno di essi che s’ infila qualche metro più  avanti.

Mi fermo, sconcertato.

Perché vedo da lontano altri due gatti fare lo stesso.

 

Ma cos’ hanno lì?

Il sindacato?

 

Al motto miagolato ‘Più topi meno croccantini?’

 

Mi avvicino.
Stra-viziato come sempre.

Beh, è uno scantinato, ma sembra….abitato…da qualcuno.
Mi accosto e vedo dalla piccola finestrina troppo alta solo l’ angolo di un divano.

Lo ammetto, vorrei entrare.

E lo faccio.

Suono piano alla porta che ho trovato sull’altro lato.

 

In fondo posso sempre dire che sono venuto a cercare il mio gatto.

Attendo un attimo.

Sì, sento dei rumori.

Umani.

 

Un giro al chiavistello e la piccola catena di bronzo mi rivela i suoi occhi dolci e mezzi addormentati.

 

Sorpreso mormoro.

 

“Do’hao?”

 

Involontariamente, lo giuro.

 

Ma tu non raccogli e mormori altrettanto stupito.

 

“Rukawa?”

 

Inclino la testa.
Devi avere davvero sonno.

Rukawa e non kitsune come d’obbligo?

 

“Cosa ci fai qui?”domandi

 

Alzo le spalle.

 

“Cerco il mio gatto”

 

Ed è vero.

 

Sorridi, incredibilmente sorridi.
E mi lasci entrare.

Lascio all’ ingresso la giacca zuppa e ti seguo per un minuscolo corridoio di legno scuro.
Entrati in salotto alzo stupito le sopracciglia, stupito veramente.

Ci sono almeno dieci o undici gatti.

Tutti diversi.

Tutti addormentati sul tuo divano, sulle coperte per terra, nelle ceste, sul  tappeto.

La stanza è piccolissima.

Solo il divano ed il tappeto appunto.

E tu.

Che con le mani nelle tasche mi guardi.

 

Indossi un paio di jeans larghi come una tuta ed una felpa da uomo.
Non da ragazzo, da uomo.
Potrebbe perfettamente essere quella di tuo padre.

Mi inviti con un cenno del mento a sedermi sulla poltrona fra i mici e poi ti accoccoli sul divano di fronte a me.

Ci fissiamo un secondo.

In silenzio.

 

Guardo attorno a me.
Una volta sola.

 

Mura ruvide, legno vecchio ed una luce soffusa che parte da dietro di te.
Ti chiederei dove sono i tuoi genitori se non li vedessi in questo stesso istante.
Ritratti in una foto nastrata di nero in un altarino pieno di candele.

Educatamente mi alzo, mi avvicino e inginocchiandomi congiungo le mani, salutandoli onorevolmente.
Poi mi riporto accanto a te.
Ed ora sono certo che quella felpa sia di tuo padre.

Mi sorridi ancora, in imbarazzo.

Poi getti lo sguardo sui gatti, uno ti sale addosso dopo aver chiesto permesso con un miagolio ruffiano.

Lo accarezzi sulle vibrisse e guardi me.

 

“Quale?”chiedi solo

 

Ed io indico subito il mio certosino che ronfa beatamente ai suoi piedi sul tappeto di lana grezza.

Lui forma un piccolo ‘oh’ con le labbra mute e poi sorride di nuovo.

 

“Dovevo sospettarlo che non era randagio….aristocratico e ruffiano come il padrone…”

 

“Ruffiano?”

 

Tu ridi, divertito.

 

“Con la palla sei un maledetto leccapiedi ruffiano, per questo lei ti fa fare sempre canestro”

 

Che discorso senza senso, ma mi fa sorridere.
E visto che lei l’ ho lasciata a casa lo posso fare.

Non ti stupisci e da perfetto padrone di casa ti alzi e domandi.

 

“Vuoi qualcosa?Pensavo ad una bella cioccolata…”

 

Annuisco.

 

Pioggia fitta e cioccolata.
E’ proprio inverno.

Ma mi piace.

 

Fisso la tua schiena che entra nel piccolo cucinotto e prepara con pochi abili gesti la nostra bevanda.

Dopo qualche minuto torni da me e mi porgi una tazza, con il piattino spaiato e totalmente diversa dalla tua, lievemente sbrecciata.

Ma a te piace quella sbrecciatura.

Ci appoggi appositamente le labbra sopra.

E bevi piano.

 

So che qui, adesso, siamo come siamo uno per l’ altro.
Lontani dalla scuola, dalla palestra, dal nostro set.

So che parleremo un po’ dopo e ci conosceremo meglio.

Con gli occhi e le parole.

E saremo sinceri.

 

E ciò mi mette felicità addosso ed un pizzico d’ impazienza.

 

Saremo noi e basta.

Niente ci obbligherà a mentire o a comportarci come ogni giorno.

Non ci sarà nessuno a giudicarci, a sorprendersi.

Domani poi, potremmo sempre fare finta che tutto ciò non sia avvenuto.

Se uno di noi ne parlerà senza il permesso dell’ altro potremmo sempre negare davanti a tutti.

E poi ho letto sulle tue belle labbra sorridenti la voglia di sincerità.

 

Fuori non mi sorridi mai.
Qui lo hai fatto già tre volte o più.

 

E sembra stasera che la cioccolata che tieni in mano invidi i tuoi occhi e ci si specchi e ci si voglia tuffare.
Evidentemente si vergogna di perdere in calore contro di te anche dopo esser stata bollita sul fuoco.

 

Sento un dolce ovattamento in questa stanza piccola e tua.

Bevi, con le ginocchia quasi al petto e i piedi vicini sull’orlo del cuscino centrale del divano.

Tieni la tazza con tutte e due le mani.

Sembri perso in un malinconico pensare lontano, con gli occhi fissi nel vuoto davanti a te e le labbra su quella sbrecciatura.

Ti riscuoti a tratti.

E mi guardi, piano.

 

Non so se si possa guardare piano.

Ma tu lo fai.

 

E mi piace essere guardato così da te.

 

Bevo i miei due, esageratamente lunghi, sorsi e scheggio il silenzio.

 

“Sono tuoi?”

 

Parlo dei gatti.

 

Lui scuote la testa.

 

“No…li invito solo nelle sere d’ inverno…fuori piove ed io così trovo un po’ di compagnia per la quale declamare la mia genialità di tensai…..”

 

Sottile la tua autoironia.

Ma chiara.

 

“Ed inviti anche il mio per sottolinearmi ancora di più la solitudine di casa mia?”

 

Sottile anche la mia.

Non c’ è che dire.

 

Ridi.

 

“E lui che accetta, io propongo, forse sa che sono un buon padrone di casa….”

 

“La cioccolata era ottima….”ammetto

 

“Grazie Rukawa…”

 

 

Bevi un ultimo sorso da quel punto bianco porcellana sbrecciata in mezzo al verde chiaro e posi la tazza sul tappeto.

Non hai un tavolino.

 

Torni seduto e ti lecchi le labbra assaporando ancora il cioccolato.

Rimaniamo in silenzio.

 

Ed io so già che tutto quello che è successo stasera -

..questa stanza, il nostro vero dialogo, i tuoi occhi d’ orzo e cioccolata, le luci soffuse ed i gatti e le coperte ed il tappeto di lana rossa e blu…

                                                                                - rimarranno indelebili nella mia memoria anche quando le mie vecchie ossa avranno smesso di sognare.

E considererò per sempre questa serata, in cui abbiamo parlato, come una conveniente contraddizione della vita.

 

Mi alzo quindi e non prendo il mio micio.

 

“So di lasciarlo ad un buon padrone di casa…” sorrido e vado via sotto la pioggia.

 

 

 

L’ alba seguente mi auguro un buon giorno con una nuova decisione.
Mi alzo e penso, scostando le tende.

 

 

 

Ho deciso di avere te Hanamichi e tu sai che è legge.

 

 

 

Entro in palestra, sentendomi amato da questo ambiente a me così caro.
Ti cerco subito e ti trovo.
Giochiamo allenandoci e mi sembri piacevolmente diverso oggi.

Immediatamente mi viene da pensare.

 

<Che aspetto deciso hai oggi... ogni volta che ci vediamo mi mostri un aspetto  diverso di te....Che tipo di ragazzo sei veramente? Voglio scoprirlo.....>

e tu per risposta ti volti e mi sorridi quando nessuno ti guarda.

 

Un brivido mi sale dal ventre al cuore.
Od è il contrario ed io ho appena scoperto che posso eccitarmi seriamente per un tuo sorriso?

 

Annuso la tua strana determinazione fino alla fine degli allenamenti.
Insieme dobbiamo pulire la palestra.

Lentamente vanno tutti via e ci sei solo tu e la struttura in ferro del canestro che ci guarda con mille occhi di riflessi di metallo.

 

Piano ti avvicini a me.

Ti sento, ti percepisco.

Mi giro verso l’orzo dei tuoi occhi ed aspetto.

 

Con delicatezza mi togli lo straccio dalle mani, accarezzandomi le dita e getti tutto a terra.

 

Alzi il viso, sorridi, mi dici che ti sei innamorato di me e che sentivi di dovermelo dire.

 

Poi t’ imponi di fare le cose per bene, fai un piccolo passo e mi baci dolcemente.

Ora è una dichiarazione completa.

 

Resto immobile.

Osservo anche il tuo frammento di ragazzo innocente e arrossato.

Il tuo vero aspetto da innamorato.

Quello giusto, quello più piacevole.

 

Ma perso come sono nelle mie fitte foreste di paradossi ti chiedo solo un po’ di tempo e vado via.

Senza risponderti e quindi senza ferirti.

 

 

Sono solo a casa.
Non ci metto molto a decidere.

Lei sta giusto per cominciare a cantarmi la mia situazione che le sbatto la porta in faccia e vado da lui.

Sotto la pioggia, seguendo le orme del mio gatto cancellate dall’acqua.

 

Piano suono e mi faccio aprire.

 

Tu mi scruti, profondamente.
Lievemente imbronciato?

Inclino la testa e chiedo.

 

“Accoglieresti anche me stasera?” accennando ai gatti che lasci entrare

 

Sembri pensarci.
Ed io, tutto bagnato, sulla soglia ti guardo, come sempre.

 

Infine sorridi.

Dolcemente.

 

 

“Ma sì, accolgo anche volpi…..due orecchie, una coda….carattere insopportabile….più o meno ci siamo…”

 

 

E ridi.

Entro e mi siedo.

Accanto a te.

Non davanti.

Non lontano.

 

 

Ti guardo e tu   arrossisci.

 

 

“Perché ?”chiedo

 

“Uff….mi guardi sempre….anche troppo…..”

 

Sorrido.

Ingannavo gli altri allora, ma non te.

Bene.

 

“Sono qui per risponderti”

 

“Va bene”

 

Stringi una mano nell’ altra, nervoso.

 

“Ti guardo da tanto….”

 

“Mh..lo so, sono già due mesi che i tuoi occhi mi imbarazzano….”

 

Ti scocco uno sguardo che significa ‘non interrompermi per favore’….

 

 

“Ti guardo da tanto ed ora posso dire con certezza che amo tutto di te…e dovrai credermi, chiaro?”

 

Incredulo ti giri.

Felice mi sorridi.

Ed annuisci.

 

 

“Bravo”mormoro

 

 

E con due dita ti faccio alzare il viso e piano, pianissimo ti bacio, circondati dai gatti.

 

E penso che da oggi in poi la mia memoria si allagherà solo dell’ acqua dolce dei miei ricordi legati a te.

E che il mio cuore non soffrirà più per le prolungate intermittenze della  mia solitudine.

 

 

Poco dopo siamo pronti ad amarci.

Stesi su questo divano in questa stanza piccola, piccola.

Ti ho spogliato sotto il tuo sguardo vigile e permissivo.

 

Io già eccitato dal tuo semplice sorriso, senza bisogno di guardarti la pelle nuda.

Tu sensuale e caldo come sempre, ammaliato dai miei occhi in tempesta.

 

 

Carezze e mani.

Ansimi e labbra.

 

 

Poco prima dell’ unione mi domandi, lentamente.

 

“Sentirò male?”

 

Annuisco.

“Un po' è inevitabile, ma dì la verità,  quando ti sei innamorato di me lo avevi preventivato, no?”

 

Ridi.

“Vero – dici schiudendo le gambe – anche se non pensavo a questo tipo di dolore..”

 

“Quello del rifiuto?”chiedo appoggiandomi contro l’ ingresso che mi offri candidamente

 

 

“S.sì……. ma è di   …gran lunga …..più piacevole …..questo…..”dici mentre entro nel tuo calore

 

E ti amo con trasporto.

Così lentamente.

Così piano che insieme non svegliamo nemmeno uno dei mici addormentati che ci circondano.

 

 

Perché tu ansimi piano e gridi con gli occhi.

 

 

E ti piace così tanto il mio amoreggiare con te che l’ alba seguente addirittura mi sposi.

 

Ti ho fra le braccia, fra la lana della coperta e quella del tappeto.

Sono felice.

Completamente.

 

Ti vedo svegliarti e pensare.

 

“Cosa pensi?”chiedo subito, viziatamene curioso

 

“Mi sono appena detto buongiorno e che ti amo”

 

“Io preferisco dirlo a te….buongiorno amore”lo rimprovero

 

Un bacio.
Tenero e leggero.

 

Improvvisamente mi alzo su un gomito.
Ti fisso.

 

“Vieni a vivere da me…”

 

Ed è come se chiedessi la tua mano.

 

In silenzio pensi ancora.
E di nuovo chiedo.

 

“Cosa pensi ?”

 

“L’ unica cosa che vorrei davvero sapere da te….. come quella volta dopo la partita col Kainan, volpe, ti sei voluto prendere metà della colpa che era solo mia…. mi chiedo allora, se ti raccontassi la morte di mio padre, se tu sapresti prenderti la metà anche di quella colpa così pesante per me…..”

 

Ti sorrido dolcemente, coprendoti con la lana fino al collo e ti abbraccio.

 

“Non posso promettere di riuscirci, ma posso decidere di amarti per tutta la vita, nonostante tutto…”

 

“E le tue decisioni hanno valore per te?”chiedi giustamente

 

 

 

“Hanamichi, le mie decisioni sono legge per me”

 

 

 

E prendendo la tua mano ti porto a casa mia.

Nella mia stanza prendo la fascetta nera che rappresenta tutta la mia vita ed il mio sforzo e baciandoti la metto al tuo polso.

 

Ed è il mio anello di matrimonio per te.

E tu accetti con un sorriso ed è come se  mi sposassi.

 

 

In un angolo vedo lei.

Stamattina la guardo fare le valigie, ci mette dentro i suoi spartiti del c***o, le catene con cui mi torturava appassionatamente, le cinghie con cui mi legava per violentarmi di notte, i suoi mattoni che amava gettarmi addosso nei momenti più felici ed impensati  e si gira disperata quasi.

Bacio ancora Hanamichi  e le faccio cenno di andarsene.

E lei esce dalla mia vita in un bel giorno d’ inverno.

 

 

Act 2 –Against

 

Insieme per la strada, alzo gli occhi e vedo ad oriente il sole che pallido sbadiglia, ad occidente la luna che ancora non vuole lasciare il dominio del cielo ad un sole così addormentato e tiepido.

E’ una cosa così strana vederli insieme.

I due astri più belli del mondo, uno di fronte all’ altro.

Ma ci capita spesso.

Ci destiamo presto.

Io ancora prima di lui perché lo devo svegliare.

E facciamo colazione e andiamo a scuola.

Quando ancora i vicoli sono pieni di fine nebbia e nessuno può vedere che lo prendo per mano.

 

Sì, ammetto, sono felice.

 

Dal giorno in cui è venuto a casa mia, a chiedermi se potevo accoglierlo come fosse un gatto.

Dalla notte in cui ha risposto al mio sì con un sì.

 

Dal momento in cui siamo divenuti amanti ed io ho concesso a lui ogni cosa sono    felice.

 

Semplicemente felice.

 

Piano lo guardo.

Non so se si possa guardare piano, ma io lo faccio.

E so che a lui piace.

 

Gli prendo la mano, la intreccio alla mia in questi vicoli deserti e sollevo le nostre dita unite indicandogli la luna ed il sole.

Uno di fronte all’ altra.

In opposizione.

In reciproco rispetto ed amore.

 

Sì, perché sono certo che nonostante tutto si amino.

Come io e lui.

Diversi eppure innamorati.

Superficialmente complementari, profondamente simili.

Perfetti insieme.

 

Ed io non mi sono mai pentito di averlo sposato quella mattina a casa sua.

Poi l’ ho visto fare un gesto strano mentre mi baciava.

Come a scacciare qualcosa o qualcuno.

 

Non so, probabilmente mandava via la solitudine.

 

So che lui è così.

Un po’ folle, un po’ poeta, un po’ solo.

 

E lo amo.

 

Sopratutto ora che mi guarda con gli occhi appena appena schiusi, e so che è rispetto per me che gli ho indicato il cielo, e mi mormora che è una cosa bella, come me e lui insieme.

Ed io non posso che essere d’ accordo.

 

Passeggiamo lentamente ancora un po’.

Gli occhi veloci di fa jogging la mattina, sfrecciando a fianco a noi, non riescono a scorgere con nitidezza le nostre mani unite o i nostri sguardi o le nostre carezze ed è come se fossimo soli.

Eppure non posso fare a meno di sospirare perdutamente.

Ecco lì l’angolo della nostra divisione.

Dietro di esso il viale popolato che porta a scuola.

Ci fermiamo sempre un attimo prima.

Separiamo le mani.

Ci auguriamo sotto voce una buona giornata, sistemandoci a vicenda i colletti delle divise o i capelli, in tocchi che più all’ eleganza badano all’ affetto per l’ altro.

E ci baciamo.

Una volta sola, solo labbra.

Per non cadere in tentazione.

 

E se scherzosamente Kaede mi vorrebbe chiamare mela di Eva sappiamo bene che lui è molto più Adamo di quello che vuol far credere.

Rammaricato lo guardo e vado.

 

Prima io, dopo poco lui.
Separati da tutti quegli studenti che stanno sulla strada dietro di me e davanti a lui.

Entriamo in classe e niente più di qualche sguardo furtivo è tutto quello che possiamo regalare l’ uno all’ altro.

Nessuno sa.

Nessuno deve sapere.

 

Almeno secondo il mio poeta.

 

Io invece….

..non so………..

 

Forse sono solo troppo poco disincantato, come dice lui prima di istruirmi sui mille usi della sua bocca sul mio corpo…

Ed anche se in quei momenti scherza so che forse non ha tutti i torti eppure io…..

 

Non so….

 

Sento solo che un giorno questa giostra riprenderà la corsa e che questo stallo d’ ignoranza, per gli altri, avrà una fine.

 

Passano due giorni.

Sono sempre felice.

Incredibilmente.

E l’inverno sta per finire.

 

Anche oggi il bacio all’ angolo e la scuola.

Poi la nostra amata palestra.

 

Siamo incredibilmente i primi.

Ci cambiamo lentamente, guardandoci.

Senza desideri immediati, ma compiaciuti di donarci ogni pezzetto di pelle.

Anche solo con lo sguardo.

 

Io mi spoglio per lui.

E lui si spoglia per me.

 

Poi mi avvicino e reclamo un bacio.

Niente di violento o erotico.

 

Un semplice bacio.

Calda rassicurazione della nostra consolidata felicità.

 

Posa le labbra su di me.

Su questa bocca che gli ha detto ti amo tante volte, tutte vere.

E lui sa che mi piace quando lo fa accarezzandomi la gola con due dita.

 

Ora, oltre la sua curiosità, ha anche me da viziare.

E spesso non si risparmia.

 

Lo amo così tanto.

 

Improvvisamente sentiamo dei passi.
Ci scostiamo e riprendiamo a vestirci.
Separatamente.

 

E’ Ryota.

 

Il mio buon amico di sempre.
Lo saluto sorridendo e lui mi guarda stupito prima, sospettoso poi.

 

Perché?

 

“Hana, ogni giorno che passa non riesco ancora a convincermene…..tu e Rukawa, il tuo nemico, insieme soli senza nemmeno un livido, dimmi la verità è successo qualcosa?”

 

Sorrido ancora, silente ed enigmatico.

Vorrei tanto dirti che lui non è più il mio nemico.

Vorrei proprio.

 

Evidentemente stai scherzando.

In squadra nessuno ha chiesto molto, solo battutine, su me ed il mio koi che non litigavamo più come prima.

 

Akagi ha sicuramente apprezzato.
Rido piano.

 

E mentre finisco di vestirmi Kaede mi passa a fianco, dando le spalle a Miyagi, mi sorride e va via.
Veloce, dopo due chiacchiere con Ryota, lo raggiungo.

Lui fa appena in tempo a sussurrarmi quasi solo con le labbra.

 

“Il mio nemico….”

 

Che tutti arrivano ed iniziano i nostri allenamenti.

 

No.

Non tuo nemico.

 

Tuo e basta.

 

Un altro giorno, un altro allenamento.
Un altro giorno, un altro allenamento.

Di nuovo Ryota interrompe il dialogo silenzioso dei tuoi occhi e dei miei sorrisi mentre ci spogliavamo a vicenda, con mani dolci e calme.

“E no, davvero non ci credo!!!Sono già tre giorni che arrivo qui dopo di voi e non mi tocca dividervi rischiando la pelle……mi dite che cosa è successo? Vi siete innamorati per caso??”

E ride.

Ma a me fa male il cuore.

 

Sì.

Ci siamo innamorati e tu non hai il diritto di riderne come fosse una sciocchezza.

 

Questa sciocchezza ha salvato Kaede dalla solitudine e me dalla malinconia.
Vivevamo due vite a metà che l’altro ha provveduto a riempire.

Io di parole il suo silenzio.

E lui di spazio vuoto e calmo i miei pensieri.

 

Io lecco via da lui il sale dei rimorsi e lui mi regala l’ acqua dolce dei ricordi più belli.

 

Per me è la rinascita, non una sciocchezza.
Sono risentito.

 

E so che questo fuoco oggi non si spegnerà nel silenzio.

 

Ti prego Kaede, perdonami.

 

 

“Sì, siamo innamorati, stiamo insieme” dico con voce ferma e dolce insieme

 

Gli occhi di Ryota si fanno più scuri poi nuovamente chiari.
Ride, ancora.
Fastidiosamente.

 

“E’ uno scherzo vero, Hana?”

 

Pensi che voglia prendermi gioco di te, eh?
Ne avresti diritto.
In fondo dinanzi a questo mondo è una cosa immorale e strana.

Grottesca.

 

Io trovo più immorale pronunciare falsi giuramenti in abito bianco davanti ad un prete e rinnegare nei fatti e nel cuore chi si era deciso di amare.

Trovo più grottesco mettere al mondo dei figli e sposarsi solo per la parvenza di una dignità incrinata e sudicia.

 

 

“No, io amo Kaede e Kaede ama me”

 

 

Dico ed è vero.

 

E adesso finalmente non ridi più, Ryota.

 

Mi guardi con ….sconcerto.

 

Poi mi offendi.

 

 

“Non ci credo”

 

 

Dovrei odiarti, sai?

Ma il mio poeta personale dice che non ama tanto il nero dei miei occhi quando lo faccio perciò…

 

Mi avvicino.

 

“Cosa vuoi per crederci?”domando

 

E lui sembra pensarci.

“Una prova!Fai tu, ma bada che non mi basta che lo abbracci  o che lo chiami per nome e lui ti risponda…”ti porti le braccia incrociate al petto

 

Sembri certo di poter ridere ancora di me.
Ma io non ho intenzione di farti svilire i nostri sentimenti.
Per quanto ti potrebbero risultare poi inaccettabili.

Mi tiro indietro e mi avvicino al mio koibito.

 

“Kaede”lo chiamo

 

Seriamente fisso i suoi oceani che la notte mi fanno avvampare di desiderio e piacere.

E gli sussurro.

 

 

“Kaede, baciami”

 

 

Silenzio.

 

 

Ryota attende e tu ti diverti a farlo aspettare.
Lentamente ti giri verso di me.

 

So che non sei tenuto a farlo.

So che non avrei dovuto.

So che avresti ragione a dirmi di no.

 

Ma leggi nei miei occhi la serietà e l’ importanza che ha per me, ti prego.

 

Io..io ho bisogno, necessità, che qualcuno mi dimostri anche così di amarmi.

Ti prego.

 

Non deludermi, non ferirmi.
Sai benissimo che grande insicurezza mi porto dentro.
Quanti graffi e quanti rifiuti.

 

Sì, lo sai.

Lo sai fin troppo bene.

 

Mi hai osservato così a lungo…

Sorriderei al pensiero se tu non ti fossi avvicinato a me.

Al mio corpo che già ti anela.

 

 

Sorridi morbidamente.

A me.

 

 

 

 

 

“Solo?”domandi

 

 

 

 

 

Ed io, inclinando il viso per offrirmi meglio, ti sono ad un soffio.

 

Ti chini e mi fai tuo.

Possiedi il mio respiro, la mia bocca ed infine la mia lingua.

Lentamente.

 

Mentre mi chiudi nel tuo abbraccio e tutto avviene con la naturalezza che solo la consuetudine porta.

 

Ed è quanto di più bello e piacevole il mio intero essere abbia mai fatto.

 

Al margine dei miei sensi avverto dei rumori, ma Kaede mi distrae abilmente con l’ ultimo, lento affondo e mugolando soddisfatto mi separo da lui.

 

Immediatamente dopo il suo sguardo affettuoso cerco il viso di Ryota.

Ed accanto a lui vedo tutti i nostri compagni.

Sono entrati mentre….Kami….

Non posso proprio fare a meno di arrossire.

Me lo dice sempre Kaede che il colore rosso deve decisamente avere un debole per me….

 

Lievemente a disagio cerco di capire cosa pensano.

Ma i loro occhi interdetti e le linee dure delle labbra non sembrano collaborare.

 

“Allora è davvero così….”mormora infine Ryota, passandosi una mano fra i corti capelli

 

“Cosa è successo ?”chiede Mitsui, guardando Miyagi

 

“Niente….semplicemente visto che non litigavano più come un tempo gli ho chiesto se fosse cambiato qualcosa e Sakuragi mi ha detto che sta insieme a Rukawa….ho chiesto loro una prova e penso l’ abbiate intravista anche voi….

 

Sakuragi?
Perché Sakuragi?
Non ero Hana per te, Ryota?

Dov' è finito il tuo Hana detto ridendo?
Quell' 'Hana' così confidenziale che faceva ingelosire la mia volpe?

 

Ed io passo ad uno ad uno i loro volti.

Lo sconcerto è senz’ altro il sentimento che più ha peso insieme al silenzio.

Il vicecapitano inoltre è arrossito leggermente, mentre la durezza riprende a dipingersi sui tratti di Akagi.

 

Un sorrisetto ironico sfiora le labbra di Mitsui ed io sento un brivido lungo la schiena che non riesco a spiegarmi.

E nessuno dice niente.

 

Nessuno cancella con un sorriso quest’ imbarazzante parentesi di quiete malata.

Improvvisamente il capitano getta su di una panca la sua borsa e fa sobbalzare le altre matricole.

 

“Bene, smettete tutti di perdere tempo e cambiatevi. Dobbiamo allenarci”

 

Ed io e Rukawa, ignorati e pronti scivoliamo in palestra mentre sento, prego sia solo immaginazione, un’ altra bassa risata ironica.

L’ allenamento ha inizio ed i miei pensieri vengono portati via dalla fatica.
Ma solo fino all’ inizio di una partita di prova.

Un silenzio innaturale ci ha accompagnati fin qui.
L’ aria stessa sembra ai miei polmoni sempre più pesante e densa.

Non sento alcun desiderio di ridere né di scherzare.
Corriamo silenziosi come ombre dietro ad una palla.
Scattiamo di lato, cerchiamo insistentemente il canestro, ci passiamo il pallone.

O io almeno cerco di farlo.

Fra le mie mani la ruvida sfera arriva sempre meno spesso.

E Kaede, se la vuole, deve rubarla.

 

Un sudore freddo e spiacevole mi scorre addosso, attaccandomi fastidiosamente la maglia addosso.

 

Ed in mezzo a questo mare di muta sopportazione una matricola come noi improvvisamente si ferma, girandosi verso Akagi.

 

“Capitano, non riesco proprio a giocare con questi due froci davanti agli occhi !”sbotta

 

E sento di nuovo quella risatina bassa e ironica.
Mentre il mio cuore si ferma ed il pallone cade a terra, come fosse la mia anima congelata.

Poi il ragazzo che ha parlato viene colpito da un pugno del capitano.
Io riprendo un battito, giusto uno.

Ma Mitsui mi toglie anche l’ ultimo respiro che mi rimane.

“Ehi, capitano, vedi di andarci piano con i pugni, sai che ha ragione!!”la voce seria di chi non scherza affatto

 

Mi sembra di non riuscire a capire più niente.

Eppure, ironicamente sordo ai miei voleri, il mio udito avverte anche l’ ultimo brandello acido di questa conversazione allucinante.

La voce di Akagi, dura e ferma, graffiante sulle pareti delicate della mia testa.

 

“Ve lo dirò una volta sola, aprite bene le orecchie!!Vedete di giocare, deficienti!!Abbiamo un sogno, abbiamo un campionato, lo sto inseguendo da due anni  e sia ben chiaro a tutti che non mi farò fermare da niente, nemmeno da due omosessuali e se quegli omosessuali mi servono ho tutta l’ intenzione di usarli, chiaro?”

 

Nessuna difesa per noi.

Per me e Kaede.

Per il nostro amore.

 

 

Nient’ altro che condanna  e   mera   sopportazione.

 

 

Perché     siamo       utili.

 

 

 

Il nocciola dei miei occhi perde luce.
Lo so, lo sento e per poter credere di non aver perso il cuore assieme alla palla che rotola lontano da me, evidentemente disgustata come tutti loro, mi volto lentamente per cercare il mio unico amico.

 

 

E per la prima volta in tutta la mia vita vedo il mio poeta sconvolto.

 

 

 

Ancora nessuno parla.
Il mio sguardo casualmente cade su Ayako.
Lei non ha visto negli spogliatoi, ma è una ragazza intelligente.
Avrà capito.
Ci osservava fin da prima, con qualcosa di simile alla curiosità.

Ma il suo ventaglio non si muove.

Ed improvvisamente capisco che nemmeno lei difenderà il nostro amore.

 

 

Che siamo soli.

 

 

 

Contro tutti.

Contro tutto.

 

Un brivido mi avvolge ancora.
Scuoto la testa e cerco di mandarlo via.
Disperatamente.

 

La partita riprende.
I movimenti mi escono lenti.
Non gioco più con convinzione.

 

E Mitsui ancora ride.
Con voce bassa.

 

 

Lentamente quest’ agonia giunge al termine e tutti insieme siamo ora negli spogliatoi.

Scena del primo atto di questa tragedia.

Di comune accordo, con un muto dialogo di sguardi, io e Kaede prendiamo le nostre cose e ce ne andiamo.
Avremo tempo a casa per fare la doccia.

 

Kaede apre la porta e dopo di lui sto per uscire io quando…

 

Ancora quella risatina bassa, gutturale.
Quel suono sinistro.

 

Mitsui si volta e mi richiama.

 

Un nota ampiamente ironica nella sua voce saccente, un sorriso malvagio sul viso.

 

“E dimmi tensai……..adesso chi è di noi due il baciapiselli?”

 

La domanda stagna lenta nell’ aria e mi pugnala con precisione.
Mentre la matricola che ci ha offesi in campo ride sguaiatamente.

 

Non rispondo.
E sto per andarmene.

 

Ma Mitsui non vuole lasciare il lavoro a metà.

Mi ha solo fatto sanguinare prima.

Adesso deve reciderla totalmente l’ aorta che ho nell’ anima.

 

 

“E vedi di non chiamarmi più Mitchi, razza di checca, anzi, non chiamarmi proprio”

 

Ed io vado via.

Sbandando nel corridoio dove Kaede ha ascoltato tutto e dove mi ha aspettato in silenzio.

Non può dire niente.

 

Non può difendermi né difendersi.

 

Non possiamo niente.

 

 

Ed è l’ impotenza che mi uccide realmente.

Pochi passi fuori, nel crepuscolo oscuro.

Ed io singhiozzo piano.

 

Ho cercato…tentato di …..ma..

 

Le lacrime mi bruciavano dentro troppo forte.
Ho dovuto farle uscire per non incendiarmi, perdonami Kaede.

 

Mi fermo.

In mezzo alla strada deserta e scura.

 

Piangendo alzo gli occhi su di te.

 

 

“Perdonami”

 

Mi guardi, non riesco a leggere nei tuoi occhi.

I miei sono troppo allagati di dolore salato.

 

Chino la testa e ti chiedo ancora perdono.

Io  ho   sbagliato.

 

 

Ho creduto.

 

 

In un’ amicizia che poteva superare le diversità.

 

 

Io ho   fallito.

 

 

 

Ed ho tirato anche te nell’abisso con me.

Te che avevo giurato di amare e rispettare quando mi hai sposato.

 

 

Piango ancora.
Gocce enormi mi rotolano dagli occhi.

 

“Perdonami”

 

 

L’ ultimo soffio di tutta la voce che mi è rimasta.

 

E tu sei un poeta troppo buono.

Mi tiri una manica, mi avvicini a te, portandomi all’inizio di un vicoletto appartato e mi stringi forte.

Così forte come capisco di avere irrimediabilmente bisogno.

 

Mi togli anche l’ ultimo respiro ed io sarei felice di poter realmente morire fra le tue braccia.
Qui posso dimenticare tutto quanto di sporco e crudele ci hanno gridato contro.

Cerco la tua bocca ed ancora ti mormoro di perdonarmi.

E tu accetti tutto.

Le mie scuse e la mia lingua.

 

Ed il mio cuore che batteva selvaggio da quel bacio in palestra riesce finalmente a calmarsi un po’.
Silenziosamente mi acquieto contro di te.

 

Sento le tue belle dita lunghe passarmi sul viso e tergerlo dal fiume che mi ha inondato la pelle, delicatamente.
Se potessi farei le fusa.
Come i gatti che ancora adesso accogliamo insieme quando passiamo la notte a casa mia.

 

Siamo da te ora, a dividere la doccia abbracciandoci.
Il calore dell’ acqua bollente non basta a nessuno dei due.

Ed io piango ancora.

 

Sperando che tu non capisca dove finisce l’ acqua dolce del getto e dove cominciano le mie lacrime salate.

Ma con uno sguardo di rimprovero mi fa desistere dall’ inutile inganno.

 

Dio, come ho bisogno di te.

 

Stringimi.

 

Forte.

Sotto l’ acqua.

Sotto la crudeltà che ci hanno gettato addosso.

 

Così come io stringo te per nasconderti agli sguardi colmi di disgusto che tutti ti hanno rivolto.

Li ho visti, li ho sentiti.

Ed ho udito un suono come di ghiaccio che pericolosamente s’incrina.

Dolorosamente.

 

Il tuo ghiaccio.

 

Sotto l’ acqua restiamo abbracciati, affidando il dolore al calore che tutto scioglie.

Prendendoci teneramente cura dei nostri animi feriti.

Io ho in mano il tuo e tu fra le braccia il mio.

 

 

Ceniamo.
Senza ridere, senza parlare.
Se potessimo anche senza respirare.

Il sederci sul divano è un abile tentativo di distrazione.

Non ho mai ringraziato così tanto che la televisione impedisca di pensare, sommergendoci di immagini e suoni e colori.

Ma io è come se non la vedessi.

 

Non posso ancora credere.

Non posso proprio.

 

I miei occhi sbarrati, aperti, fissi nel vuoto cercano una risposta nelle pieghe dello spazio circostante.

 

Ma solo il silenzio mi risponde e quando lo sguardo di Kaede mi accarezza il viso spengo la tv e prendendolo per mano andiamo a dormire.

Ci stendiamo vicini, senza ingaggiare alcun incontro romantico.

La mia mente è così lontana che non credo riuscirei a far provare piacere a Kaede né a provarlo a mia volta.

Finiremo per farci male.

Così lo tiro piano a me.

Ed ancora abbracciati creiamo con i nostri corpi un’alcova sicura dove le nostre piccole anime possono riposare un po’, come pulcini ciechi e senza piume in un mondo sferzato dal vento.

 

Mentre sento in lontananza ancora quel ridere ironico e cattivo.

 

 

Il giorno seguente le ore di lezione passano presto.
Come refoli in attesa che arrivi la vera tempesta.

 

In silenzio, vicini, ci dirigiamo in palestra, in ritardo di pochissimo.

E davanti alla porta chiusa dello spogliatoio ci arriva un frammento di discorso.

 

E’ di Kogure la voce più bassa.

 

“…….ragiona Mitsui non possiamo non farli giocare….. non possiamo vietare loro di far parte della squadra…”

“E allora mettiamoli come riserve..”la proposta di una matricola interessata solo a guadagnarsi facilmente un posto da titolare

“Non possiamo!! Dimentichi che solo Rukawa è in grado di fermare Sendoh e Maki….di lui non possiamo proprio fare a meno…”risponde Ryota

 

E me?

 

Ryota come puoi….?

Eravamo ……amici?

 

Oh certo, comprendo.

Adesso come farai a credermi quando ti dirò che capisco cosa senti per Ayako.
Come potremo continuare a confidarci.
Prima parlavamo di loro.

Ayako e Haruko.

 

Ora tu dovresti parlare sempre di Ayako, ma io non tradirei Kaede nemmeno con una sillaba su di un’alta persona.

Io ho lui e lui ha me.

Basta.

 

Ma adesso?

Basteremo in due contro tutti voi?

 

Concetto orrendo e crudele.

 

Noi contro di voi.

 

Eravamo una squadra.

KAMI, ERAVAMO UNA SQUADRA!!!!

SIAMO ANCORA UNA SQUADRA!!!!!!!!

 

Siamo ancora una squadra??

 

Sento le lacrime riprendere consistenza dietro i miei occhi.

Kaede mi guarda.

Mi appoggia una mano sul braccio, scende fino alle mie dita tremanti, che non hanno ancora trovato il coraggio di aprire questa porta e di affrontarli e mi mormora.

“Se cacciano via te, me ne andrò anch’ io, insieme per tutta la vita, te l’ ho giurato Hana, non ti libererai di me”

 

E sorrido del tuo tentativo di strapparmi un attimo di felicità.
E un’ ondata di calde lacrime mi ha avvolto quando ho capito il tuo tenero e maldestro tentativo di farmi ridere.

Kami, quanto ti amo.

 

L’ amore è un sentimento meraviglioso.

Perché dobbiamo soffrire così allora?

Perché tutti dobbiamo soffrire così?

 

Improvvisamente la voce di Akagi cattura la nostra attenzione e quella di tutti gli altri giocatori, tacitando le loro proteste.

 

“Ora basta!!!! In campo sono compagni come gli altri, la vittoria conta su tutto!!!!Tutto, chiaro?Poi come si divertano in privato o che passatempi abbiano alla squadra non deve interessare, ci siamo capiti?”

 

 

Ed io sento veramente le forze scivolarmi via.

Il cuore che si fa lento.

Seviziato a morte da tutto ciò.

 

Tremo e non riesco a capire.

Eppure è così facile….. perché non comprendono?

 

Perché ?

Perché ?

Perché ?

 

Kaede, perché ?

 

 

“Kaede – mi volto una luce allibita e quasi folle mi brilla negli occhi per il dolore – Kaede nessuno, nessuno di loro ha provato, nemmeno per un istante ad immaginare che noi, noi ci amiamo…………………….Dio, Kaede, perché? Perché?”

 

Ed il mio è solo un sussurro maledetto ed infinitamente triste.

In risposta lui scuote la testa, rassegnato e mesto.

E le mie lacrime scorrono velocissime fino al mio mento.

 

In un solo, bruciante sentiero così simile ad un calvario.

 

Lentamente faccio a lui cenno d’ entrare e mi allontano per calmarmi.

Lui sparisce oltre la soglia ed io dietro la palestra mi asciugo il viso e raccolgo fra l’ erba i cocci di quello che rimane delle mie speranze.

 

Poi rientro e mi cambio in uno spogliatoio vuoto, che sa dell’ acredine stagnante di quei discorsi troppo codardi per essere pronunciati davanti a me.

Getto furioso la maglia sulla panca.

Ed esco.

 

 

In palestra mi accoglie il silenzio.
Akagi si avvicina per tirarmi uno dei suoi pugni.
Lentamente lo schivo.

Pensava forse che non ne sarei stato capace?
Se può picchiarmi è solo perché io gliel’ ho sempre permesso.

 

Con un luccichio ironico e disperato negli occhi gli mormoro.

 

“Cos’è?? Non ti fa schifo toccarmi? Strano! Comunque vedi di non sciuparci, io e Kaede ti dobbiamo servire per il campionato, possibilmente interi, giusto?”

E nel silenzio prendo il mio posto in campo sotto il canestro, evitando lo sguardo di rimprovero di Kaede.
So che non avrei dovuto.

 

Ed una voce non si fa scrupolo a ricordarmelo.

 

“Ehi, frocetto, porta rispetto, chiaro?!Di te possiamo perfettamente farne a meno…”

 

Mitsui.

Come sempre.

 

Sforzandomi lo ignoro.
Concentrando la mente sul gioco che riprende.

Primo anno contro secondo e terzo.

Mi sembra di rivedere al rallentatore la partita di ieri.

Io e Kaede che dobbiamo impegnarci come fosse uno scontro vero.

 

Lo vedo costretto ad inseguire la palla per sperare di averla fra le mani.
Ed io?

Io sono stato assegnato alla marcatura di quel bastardo.
Lo ho di fronte.

Mi sorride.

Tento di stoppare un suo tentativo di canestro.
E riesco.

Infuriato si volta.

 

“Ehi, mantieni le distanze!! Non vorrei ti eccitassi strusciandoti contro di me…..che schifo…!”

 

Di proposito lo ha gridato quasi.
Inveendo ferocemente contro di me.
Facendo finta di sputare in terra.

 

Cosa credi Mitsui, che basti toccare qualcuno per eccitarsi?

Che tu possa, anche solo lontanamente, farmi provare quello che Kaede riesce a farmi sentire anche solo con uno sguardo intimo ed intenso?

 

Sbagli.

 

Sbagli veramente.

 

Scuoto la testa e ti ignoro.

Il gioco riprende.
A fatica riesco a sfiorare palla un paio di volte.
Sono solo, sotto canestro avversario, chiamo un compagno.

Vengo ignorato.

 

E lui perde la palla contro Kogure.

E gli avversari guadagnano così altri due punti.

 

Ora, della partita non mi interessa niente.
Assolutamente.

 

Il dolore che mi mozza il fiato è composto d’ odio e disprezzo.
Gli stessi motivi per i quali il mio compagno di squadra ha preferito perdere palla pur di non passarla a me.

Sento che la rabbia sta per dominare tutti i miei sensi.

 

Scuoto ancora la testa.
Lasciando scivolare a terra gocce di sudore che sembrano lacrime non versate.

 

Il gioco riprende ancora poi Ayako fischia.
Improvvisamente mi volto.

 

Kaede è a terra.

 

Velocemente mi avvicino.

Mitsui in piedi lo fissa con …soddisfazione?

 

Non posso credere che….non posso credere che ….lo abbia …

 

No..

 

Mi inginocchio accanto a lui.
Piano gli chiedo se sta bene, se è tutto a posto.
E lui alza un angolo di labbra.

Sta bene.
Un po’ dolorante.

 

Mi rialzo.
Fronteggiando con ira gli occhi neri come carbone di Mitsui.

 

“Problemi? Non temere non te l’ ho sciupato…potrai continuare i tuoi giochetti con lui ….ovviamente non davanti a noi….spero avrai almeno questa decenza…”

 

E’ troppo!

Credono forse che io non abbia un limite???

CREDONO FORSE CHE NON SAPREI FARMI RISPETTARE?????

Ho steso teppisti molto più forti, partecipato a risse violente.

Saprei riempire questo posto di schizzi di sangue.

Il loro.

 

 

Ma non lo farò.

 

ANCHE SE KAMI SA QUANTO NE AVREI VOGLIA IO NON LO FARO’.

 

Perché credo ancora in quella cosa chiamata amicizia.

Nonostante tutto.

Credo ancora in una comunanza di persone chiamata squadra.

 

Perché rovinerei il sogno di quell’ egoista di Akagi e di quel codardo di Kogure.

Perché farei chiudere il club e butterei al vento gli sforzi di tutti.

Compresi quelli di Kaede.

 

Perché obbligherei lui e me a cambiare scuola e forse città.

 

Perché non sarei degno di rispetto ai suoi occhi.

Perché la violenza non è mai la soluzione.

Perché io non voglio essere rispettato solo per i miei pugni.

 

 

Perché voglio comprensione.

 

 

Sincera.

Reale.

Fraterna.

 

 

Furente mi volto verso Kaede.

 

“Io vado a casa, per oggi, a dopo”

 

Ed ignorando tutti esco.
E lui non mi ferma.

 

Perché ha capito cosa sento dentro.
Perché sa che rimanendo qui sarei presto diventato un facile burattino fra le mani dell’ ira.
Perché sa che presto li avrei presi a pugni.

Tutti.

Nessuno escluso.

 

Ed ho preferito lasciare la palestra.

 

 

E adesso oltre l’ impotenza mi pesa addosso anche la convinzione che niente più cambierà.

Che sarà questa quella che chiamerò squadra per i prossimi due anni.

 

 

 

La sera arriva lenta, agonizzante come i miei pensieri che incantati come un disco difettoso mi ripetono le crudeltà che ho sentito in questi due giorni d’ inferno.

Con qualcosa di simile al sollievo sento la porta aprirsi.

Mi sono pentito solo di aver lasciato Kaede lì da solo.

Qui a casa ho cominciato a temere per la sua incolumità.

Anche se una parte di me sa che lui è forte, nonostante tutto.

 

 

Lo raggiungo.
Il suo viso non mostra espressioni.
Mi sembra di essere tornato al tempo in cui eravamo estranei l’ uno per l’ altro.

Non mi piace.

 

Mi inquieta.

 

 

Non ceniamo.

Capisco che, paradossalmente, lui mi vuole parlare.

 

Pazientemente lo aspetto in salotto.
Si siede al mio fianco, ma non mi guarda.

 

Non sopportandolo rompo questo silenzio.

 

“Cosa pensi Kaede?”

 

E voglio la verità.

 

 

“Non dovevo ascoltarti…Hana”

 

Sospiro e so di cosa parla.

Del mio ‘Baciami’ che ha innescato questa folle agonia.

 

“D’ accordo…è colpa mia!Pensavo che sarebbe andata diversamente…”

 

Improvvisamente il suo viso si volta mentre alza impercettibilmente la voce.

“E cosa speravi ti dicessero? Ben fatto ? Dio, ma come siete carini insieme? Sveglia Hana, viviamo nel mondo reale……ma il tuo problema è che ti fidi troppo degli altri, conti su di loro e guarda come vieni ripagato…..tsk!”

Lo comprendo, ma non condivido fino in fondo.

“Lo so che non viviamo nel paese delle meraviglie, cosa credi?? Ma non si può nemmeno far affidamento solo su sé stessi come fai tu….. che tu voglia o no si vive in mezzo agli altri e devi rendere conto di alcune cose alla società….non puoi vivere solo in funzione di te….io.. io non posso…….non ci riesco……”

 

Riprendo fiato.
Gelidamente mi squadri.

 

“Bene, allora vivi in funzione degli altri, ma non venire a piangere da me se ti ricompensano così….”

 

Hai la lingua affilata, volpe, lo sai?

 

“….Come potevo sapere…….che proprio loro.. anche loro…sono nostri amici Kaede……..”

 

“Amici?”chiedi stupito, alzando un sopracciglio

 

“Sì……lo sono……lo erano forse….non so….. io non…è come se fosse un incubo…..”lascio uscire disperato

 

Ma tu non hai pietà adesso.

Né per loro, né per me.

 

Ti alzi, improvvisamente.

 

“Guardiamo in faccia la realtà Hana, guardiamola bene!!!La nostra è una situazione difficile, che non viene e non verrà accettata dalla maggioranza delle persone e tu cosa fai? Ti convinci che loro siano diversi dagli altri!!!!!! Certe volte sei davvero un do’hao!!”

 

Mi alzo anch’ io.

Lo fronteggio.

 

“Ma sono i nostri compagni….volevo…volevo dividere con loro la mia…la nostra felicità!”

“E cosa è cambiato ora che l’ hai divisa? Hai sentito anche tu cosa hanno detto, come ci hanno chiamati….”

“Lo so! Ho sentito!C’ ero anch’ io! …..Uff….e allora secondo te cosa dovevo fare quel giorno quando Ryota….”

 

“Dovevi semplicemente rimanere in silenzio, ma a quanto pare è impossibile per te….!”

 

Ti sei girato mi dai le spalle ora, in piedi in questo salotto spoglio.
Mi dai le spalle, fisicamente, spiritualmente.
Non mi tendi una mano.

“Ah certo e tu, impeccabile come al solito, non hai mai colpe!Dico bene?”

 

“Si che ne ho, razza di do’hao….avrei dovuto ignorarti!”

 

“NON CAPISCI PROPRIO NIENTE” gli grido contro

 

Riprendo fiato un attimo e poi urlo ancora.

Urlo per non sentire il mio dolore ridere come i miei ‘amici’.

 

“Sei proprio una stupida, stupida, STUPIDA volpe!!!!Io volevo solo smettere di mentire, smettere di nascondermi da tutto e da tutti,  almeno con loro, con i compagni che reputavo tali, con le persone che consideravo importanti per me e per te……credevo avrebbero capito ed invece…basta sono stufo di tutta questa storia …..io l’ ho fatto solo perché ero stanco, stanco, STANCO, CAPITO??!!? E NON DEVO GIUSTIFICARMI CON TE PER QUESTO!!!”

 

“OH, tu eri STANCO? Pensa un po’ fra sei mesi come sarai STANCO di sentirti chiamare frocetto baciapiselli….”

 

Le tue braccia conserte sono ironiche come la tua voce.

 

“SEI UN BASTARDO!!!CREDI DI STARE MALE SOLO TU????TU ALMENO SEI L’ASSO DELLA SQUADRA…io invece…. – volto la testa – sono certo che presto troveranno una scusa per sbattermi fuori….di me non hanno bisogno…….”

 

“Ti ho detto di non lamentarti con me di questo……….voglio essere sincero con te….. te la sei cercata, Hana …te la sei proprio cercata stavolta”

Con le lacrime agli occhi guardo l’ insensibilità del mio unico amico in questo momento e con rabbia scappo in cucina.

 

“VAFFANCULO KAEDE”

 

Sbatto le mani sul tavolo, dannatamente impotente, furioso con loro, con lui, con me.

Kami!!

Dove abbiamo sbagliato?

 

DOVE, CAZZO, DOVE???????!?

 

Macchie trasparenti ed irregolari cominciano a bagnare il tavolo, mentre ancora lo prendo a pugni come fossero tutti loro.

Piango.

Forte.

Spezzando a metà ogni respiro.

 

Così non sento la sua voce la prima volta che mi chiama.
Era solo un sussurro, ora è quasi un grido.
E lui è lì sulla porta, con il mio nome nella voce.

Tristemente mi guarda, mentre mi volto.

Lascia andare le braccia lungo i fianchi e mi sorride, timidamente.

 

“Hana, dai, vieni qui”

 

Ed io senza neanche pensare mi muovo.

Un passo.

Lo guardo.

Ho bisogno di te, Kaede.

Un altro passo.

Piango le ultime lacrime.

Voglio la sicurezza delle tue braccia attorno a me.

 

Davanti a te sono senza difese ora mentre alzo lo sguardo lucido.

 

E tu annulli la distanza e mi prendi per mano.
Più precisamente per manica, come adori fare.
Mi tiri verso il salotto, sul divano sgualcito e ti siedi assieme a me, accanto a me, attorno a me.

 

Allarghi le braccia e finalmente mi accogli.

 

E tutto sparisce.

Urla, dolore, quella risatina bassa.

 

Sento solo una silenziosa pace.
Che viene da te e me uniti.

 

Piano mi culli, accarezzandomi i capelli, mormorandomi mezze scuse all’ orecchio.
Mi lascio abbracciare dal tuo calore confortante e sospiro.

 

Poi lentamente alzo il viso dal tuo petto e ti  fisso intensamente.

Rispondimi adesso, amore mio, perché per me è vitale.

 

“Kaede….”

 

“Dimmi..”

 

“Tu….tu avresti veramente …ignorato la mia richiesta? Tu non avresti dimostrato di fronte a tutti che….mi ami…se ti fosse stato chiesto …direttamente?”

 

Pieno di ferite  aspetto solo che la tua dolce lingua le lecchi per portarmi sollievo.

 

Passa un minuto in cui cerchi la verità in te stesso poi scuoti la testa.

“No, no, non ci sarei riuscito – ammette ad occhi chiusi – è questa la mia colpa, la mia debolezza. Dannazione Hana, tu sei tutta la mia debolezza, la mia dolce, stupenda debolezza”

 

E mi stringi fortissimo, mentre chiudo anch’ io gli occhi e mando giù sul viso un’ultima lacrima.

 

 

Non so quanto tempo abbiamo passato qui.
Perdonami Kaede, perdonami.
Io ti ho deluso.
Ed ho deluso anche me stesso.
E anche loro.

 

Ma non mi pentirò mai di essermi innamorato di te.

Mai.

 

Che mi condannino.

Che Dio mi lasci a bruciare in un inferno di fiamme e fuoco.

Che mi strappino via la vita a morsi ed insulti.

 

Ma mai, mai, aprirò queste labbra per bestemmiare dicendo che il mio amore per te è stato il mio più grande errore.

 

 

Lentamente sento che la stanchezza sta per chiedermi tributo di tutte le grida e le lacrime che ho lasciato uscire.

 

Ma tu mi parli e so che saranno frasi importanti.
Devo ascoltarle.

 

“Hana io e te non avremmo dovuto litigare….abbiamo sbagliato….. vuoi sapere cosa penso realmente ?”

Senza interromperlo con la voce annuisco, contro il suo petto caldo e umido delle mie gocce salate di poco fa.

“La verità è che sapevamo fin dall’ inizio che la nostra relazione non sarebbe stata accettata e che, nel migliore dei casi, sarebbe stata considerata solo una cosa momentanea, una follia passeggera, un passatempo destinato a finire presto……sarà bene cominciare a farci le ossa con queste idee, Hana, loro non saranno né i primi né gli ultimi, lo sai vero?”

 

Ed hai ragione, mio poeta.

Perfettamente, dannatamente ragione.

 

Lo sapevo, lo sapevamo entrambi.

Ed ora non possiamo che convincercene.

Solo che io ancora…speravo…credevo…

 

Lo sapevo eppure non volevo …

 

Perché adesso tra pensarlo e vederlo c’è di mezzo un mare…….

 

 

….. di dolore…..

 

 

..per me e per te.

 

 

Mi dispiace.

Davvero.

 

Hai ragione tu.

Non avrei dovuto parlare.

Non avrei affatto dovuto.

 

“Perdonami….Kaede….mi dispiace, io non avrei dovuto quel giorno….eppure quando…quando l’ ho sentito ridere di noi, del nostro possibile amore io…….. non volevo che lo sminuisse….ti prego, perdonami”

 

“Capisco, non preoccuparti…..”

 

Poi ti avvicini con aria maliziosa al mio orecchio.

E mi lasci scivolare dentro.

 

 

“Non sai quanto mi ha eccitato baciarti davanti a tutti…..”

 

 

Ed io sorrido.

Finalmente.

 

 

Ti abbraccio stretto, saziandomi con il tuo calore.

Poi ti prendo per mano e ti porto su con me.

 

Penso ti chiederò perdono anche con il corpo stasera.

Ho bisogno di sentirti profondamente.

Ho bisogno di capire che, nonostante tutto quello che diranno, io oramai ti appartengo totalmente.

 

Ho bisogno del tuo calore anche nel ventre.

Del tuo seme bruciante che mi fa gridare di piacere.

Dei tuoi occhi piantati nei miei mentre mi possiedi.

 

Ma ancora un’ unica incertezza mi tormenta.

 

Mi stendo sul letto con te.

Accarezzandoti.

Poi cerco la tua bocca e lì sopra mormoro la mia ultima domanda.

 

 

“Per te….anche per te, Kaede, la nostra è solo una follia passeggera, una cosa destinata a finire ?”

 

 

Destinata a spegnersi in una fiammata rovente così come è iniziata?

Rispondimi ti prego.

 

 

Io ho scommesso tutto in questa relazione.

 

 

Tutto.

 

 

 

Ma tu non mi rispondi a parole.

Che razza di poeta sei?

Sorrido.

 

Mi spogli, mi baci e mi hai come ogni volta.

 

Spingendo così a fondo da farmi gridare fin dal primo movimento.

Entrando così dentro da credere che tu ti sia perso in me.

 

Con ardore mi penetri senza fermarti, neppure una volta.

Mi costringi al piacere in modo sublime.

Mi strappi qualche altra lacrima.

Felice stavolta.

Appagata.

 

A tratti premi forte il fondo del mio interno ed è un dolore sottile che mi fa rabbrividire di passione.

Uniamo le nostre labbra.

Ti stringo forte attorno ai fianchi con le cosce e tu riesci subito a darmi ancora più piacere.

 

 

E’ questa la tua risposta.

Una notte che non potrò mai dimenticare.

 

La prima in cui mi chiedi permesso ben due volte.

 

Durante la quale dici solo che vuoi sia la prima di tante.

 

 

 

 

E mai poesia sarà più bella di quella che il mio corpo ed il tuo hanno creato stanotte cucendo insieme le loro anime.

 

 

 

 

 Mestamente sereno.
Ecco come mi sento oggi.

 

So che Kaede è con me.
Per sempre.
Per tutto il tempo concessoci.

E così sopporto silenziosamente lo sguardo incuriosito di Ayako.
Il suo non fare niente.
La sua     indifferenza   per il nostro dolore.

 

Sopporto il visibile, perenne  imbarazzo con il quale Kogure ci rivolge la parola ogni volta.

 

Sopporto Ryota, il mio amico, che, seguendo il pessimo esempio del suo senpai, decide di aggiungere i propri insulti ai suoi.

Dolorosamente.

 

Ignoro.

Mi rendo come sordo.

Faccio il mio gioco.

Passando quando posso la palla al mio Kaede.

 

Sopporto e ignoro.

Ma mai avrei immaginato facesse così male.

Che fosse così difficile.

 

Inutile mentirmi.

Io non sono abituato a questa vita.

A tutta quest’ indifferenza.

Quest’ odio.

 

 

Sospiro e mi dirigo con gli altri nello spogliatoio.

Mi cambio velocemente.

Prendo le mie cose, aspettando Kaede.

 

E loro iniziano a conversare.

 

Come se noi non fossimo qui.

 

Con voce fintamente curiosa Mitsui chiede a Miyagi.

“Chi sa chi dei due lo prende….”

 

Gli altri ridono.

Che sciocchezza, penso, scuotendo le mie ciocche carminie.

 

Ryota risponde.

“Secondo me è Sakuragi, Rukawa morirebbe piuttosto”

 

Altre risate offensive.

 

Mitsui espone quindi la sua ipotesi.

“No, secondo me è Rukawa, se Rukawa solo ci provasse a mandarglielo su Sakuragi lo ucciderebbe!”

 

Vedo la durezza del viso di  Akagi per niente scalfita da queste affermazioni mentre Kogure arrossisce vistosamente.

L’ ira di nuovo mi muove.

 

In mezzo allo spogliatoio sbatto il mio armadietto.
Seccato da queste illazioni di pessimo gusto.

 

“Sono io a concedermi, la cosa vi crea qualche problema?”

 

“Nessuno !– risponde soddisfatto il numero quattordici della mia fottutissima squadra – Ma mi chiedevo dov’ è andato a finire l’orgoglio di cui eri così fiero…... adesso che abbiamo scoperto che oltre a baciarglielo te lo fai pure mettere in culo…”

 

Altro scherno.
Le loro sadiche risate che ci frustano come boia in fila su un patibolo che chiamavo amicizia.

 

Ma non permetterò a nessuno di offendere il nostro amore riducendolo ad un atto osceno e volgare.

 

Seriamente mi avvicino e vedo tutti prepararsi a dividerci.

Anche Akagi alza la testa.

Ma io ho già promesso a me stesso di non toccarlo.

 

Così lentamente lo colpisco solo con le parole.

 

 

“Io amo Kaede e non c’ è nessuna umiliazione nel lasciarsi amare da chi ti vuole bene Mitsui”

 

 

Vedo un moto di disgusto nei suoi occhi, ma non mi importa.

 

 

“Tsk, sì come no, io ucciderei chiunque ci provasse anche solo una volta”

 

 

La tua mente è propria chiusa.

A senso unico.

E’ inutile parlare con te.

 

Ti guardo, ma la voce bella e profonda di Kaede ci ferma, tutti.

 

 

“Andiamo a casa Hanamichi, loro non possono capire il significato di quello che dici, comprendono solo parole come prendere o ricevere, non sanno cosa vuol dire dare o donare, non conoscono amore e non lo sanno mostrare, né a se stessi né ai loro ‘amici’, non sprecare il tuo fiato inutilmente”

 

“Hai ragione”e gli sorrido sospirando

 

 

Ed insieme stiamo per uscire.

Da dietro la porta, che sto per chiudere, mi arriva comunque la risposta bruciante di Mitsui.
Dopo che le parole del mio koi hanno fatto tacere tutti lui trova ancora l’odio per gridarmi contro.

 

“Tutti i vostri bei discorsi non cambiano niente……capiamo solo che lui è contento di essere quello che fotte e non quello fottuto!!! E' così!!!Ti fai mettere sotto da lui…eh?E ti piace, vero, Tensai dei froci?”

 

Lentamente lo squadro con un disprezzo che raramente ho provato.
I miei occhi si fanno stretti come fessure incrinate.

 

“Mitchi     vaffanculo” sibilo

 

E vado via, ma lui afferra la porta e la apre, urlando nel corridoio.

 

“Credo che prima di me ci andrete voi ora che tornate a casa, no?”

 

Ed il mio limite di sopportazione viene spezzato da queste ultime sillabe.

 

Velocemente torno indietro, rientro, sbatto Mitsui contro Miyagi e mi chiudo la porta alle spalle, sbattendola dopo che Kaede è rientrato con me.

Nel mio margine visivo anche Ayako che, attirata dalle urla, è rimasta in corridoio ad ascoltare.

 

 

“Adesso ascoltami bene, bastardo, ascoltatemi tutti. Non è quel coso lì a darmi piacere, anche se me ne dà e me ne dà tantissimo ogni volta, la mia felicità è sapere che ho lui sopra di me, una persona che mi ama, che me lo sa dire, che me lo vuole dimostrare al di là delle parole, nonostante tutti i miei difetti!!!  IL MIO PIACERE E’ LUI, IL SUO PROFUMO, L’ODORE D’ AMORE DI KAEDE……. Ma voi forse non capirete mai!!!Ma questo non vi da il diritto di sminuire il nostro sentimento o di gettarci addosso le vostre cattiverie gratuite. Lasciateci in pace e basta.BASTA!!!”

 

 

E veramente nel silenzio stavolta andiamo via.

Senza girarci indietro.

 

 

A testa alta.

 

 

 

Perché noi non abbiamo sbagliato.

No.

 

 

NO.

 

 

 

 

Ma pagheremo.

Anche senza aver fatto niente.

Cazzo, pagheremo!!!!

Per il peccato di cui ci accusate.

 

Pagheremo.

 

Ma non riuscirete a rendere un fantasma il nostro amore.

 

 

Non senza uccidere uno di noi.

 

 

NO!!

 

Il nostro amore vivrà e se pagheremo sarà solo perché, in questo mondo di dolore, abbiamo peccato di troppa felicità.

 

Questa è la mia ultima parola.

Il mio ultimo pensiero prima che tutto il mio universo siano le iridi orgogliose di Kaede.

 

 

Mi guarda con approvazione.

Le mie parole gli sono piaciute.

 

E’ orgoglioso di me  ed io sono felice.

 

 

Lentamente torniamo a casa.

Mano nella mano.

Sotto le stelle.

Con le spalle vicine, le labbra sulla guancia dell’ altro, sull’orecchio, sul collo.

Proteggendoci dal fiato freddo di questa fine d’ inverno che ha tentato di congelare i nostri sentimenti.

 

E lui scherzando mi mormora.

“Allora il mio 'coso' non ti dà poi tutta questa soddisfazione ….potrei offendermene……”

 

Ed io sorrido, malizioso.

Giocando.

 

“Puoi sempre darmi dimostrazione stasera, invece di arrabbiarti”

 

E tu ridi.

Ed erano giorni che non lo facevi.

 

“Nh..ci sto! Sempre detto di appianare pacificamente le divergenze…”sussurri alla luna

 

E ti tiro a me, passandoti un braccio attorno alla vita.

 

“E chi ti dice che io voglio che sia una ‘discussione pacifica’?”

 

E la luna, delicatamente arrossata, ci sorride dal cielo di perla nero.

 

 

 

 

 

E questa è la vita che va avanti.
Solo un minuto siamo riusciti a farli tacere.
Continuano, scioccamente.
Sperano di infrangere, distruggere.
Lo stesso.
Anche se oramai sanno che offenderci, umiliarci o gridare non servirà.
Non fermerà la nostra ‘follia’, come la chiamano pudicamente.

 

Sono disperato e non so come fare, ma vado avanti.

Vedo inesorabilmente, giorno dopo giorno, Kaede ricominciare a chiudersi in sé.

E non è un bene.

 

Solo a casa riesco a farlo aprire.

Con troppa fatica.

 

E’ tutto sbagliato, ma deve andare così, evidentemente.

 

Lui aiuta me ed io aiuto lui.

 

Abbiamo deciso di ignorarli e lasciare che il tempo porti l’ abitudine o porti proprio via i ricordi, non so cosa augurarmi.

Ed anche se è così difficile per me, che non ho mai conosciuto la freddezza dell’ indifferenza, l’ appoggio del mio compagno è determinante.

Mi passa accanto, cerca di sfiorarmi quando sto per cedere ad una provocazione, quando sto per perdere il controllo.

Ed io, solo per parvenza, scherzo ancora un po’ con lui, rompo sempre un po’ quel gelo che lo avvolge per non dar modo al lago nel suo petto di congelarsi completamente, fino a diventare così duro da non essere più frangibile.

 

 

Stoicamente resistiamo.

 

 

Perché insieme siamo felici.

 

 

Stoicamente andiamo avanti.

Rafforzandoci negli abbracci.

Piangendo magari.

Insieme o da soli.

 

Ma poi asciugandoci il viso sempre un po’ più forti di prima.

 

Ed innamorati.

 

Sempre più.

Fino alla fine di questo mondo.

E’ il giuramento con cui ci siamo sposati.

E ne terremo fede.

 

 

Nessuna legge varrà mai come quella che ci siamo imposti noi in questo amore.

MAI.

 

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E possiamo solo sperare
che qualcuno
rompa quest' incantesimo
dolceamaro
lasciato cadere

su di noi


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E passano pochi altri giorni.
Pochissime settimane.
Una o due.

 

Ed è una tortura ben pensata il nostro dover fare attenzione.

Nessun gesto lasciato al caso.

Mai.

O loro parlano.

 

Non posso più marcarli con convinzione, vedendo i loro volti disgustati, sentendo i loro rimproveri marci d’ odio.

Non posso più proclamarmi geniale, neanche quando lo sono davvero.

O le parole di Mitsui mi farebbero affondare.

 

Tranquillo solo a lezione.

Per ritegno, per conservare la loro reputazione, solo per questo, non hanno sparso la voce.

Non vogliono, evidentemente, che il loro club venga additato come un' accozzaglia di checche e froci senza palle.

 

Attenti a nascondere qualsiasi sguardo fra noi, qualsiasi attenzione, qualsiasi gesto gentile per non vedere le nostre buone intenzioni diventare oscenità in mano alle loro menti perverse.

Nessun saluto quando entriamo.

Nessun saluto quando usciamo.

 

Indifferenza.

 

Sperando che ciò ci fermi, che ciò ci uccida.

 

E sbagliano ancora.

Come fin dall’ inizio di tutta questa storia d'agonia.

 

Ed anche se ogni allenamento è come morire e solo passare la soglia di casa nostra rappresenta la rinascita, andiamo avanti.

 

Senza vergogna.

 

Con una forza che davvero un tempo né io né lui avevamo.

Diversi eppure uguali.

Cambiati dentro.

 

Mentre inseguiamo il sogno di giocare insieme in America, terra delle libertà.

Di      tutte     le libertà.

 

 

<<>> ~ <<>> ~ <<>> ~ <<>> ~ <<>>

 

Lost in the arms of destiny

 

Bittersweet

 

 

 

 

And I need you

 

 

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Epilogo

 

 

Ed eccoci all’ inizio della primavera.
Marzo.
Quasi la fine di un anno.

Il secondo.

 

Loro due sono in palestra, soli, prima di tutti gli altri.
Hanno saltato le lezioni e per trovare intimità e pace, lontano dagli sguardi malvagi, si sono cambiati, hanno giocato ridendo.
Si sono seduti contro il muro caldo del primo sole.
Ed ora si abbracciano.

 

 

Perché fra le braccia di quel destino dolceamaro, che si sono trovati davanti, l’ unica cosa di cui hanno bisogno è l’ uno dell’ altro.

E basta.

 

 

E non sanno che tutta quella che chiamavano la loro squadra sta venendo da loro, in palestra, prima del tempo dovuto.
Perché Akagi e Kogure sono venuti in visita.

Casualmente si sono ritrovati tutti e hanno deciso di andare subito negli spogliatoi, per cambiarsi e giocare insieme come ai vecchi tempi.

Senza fare troppo rumore.

Perché di motivi di ridere non ne hanno più.
Ne hanno solo per pensare.

E molti hanno pensato e continuato a pensare in segreto e qualcuno ha quasi deciso.

 

Ma nemmeno loro sanno che cosa cambierà.

Tutti insieme stanno per entrare in palestra quando Ayako li ferma.

 

“Fermi e guardate chi c’ è di là..”dice bisbigliando

 

E li vedono.

 

Sakuragi e Rukawa.

 

Hanamichi e Kaede.

 

Abbracciati dolcemente, contro il muro, in una tale tenerezza che offenderli di atti osceni sarebbe una bestemmia ed una calunnia per tutti i tribunali del mondo.

 

Ed in silenzio capiscono che forse quel destino dolceamaro sta chiedendo a loro, tutti loro, di osservare e basta.

Per provare finalmente a capire.

O forse per poterli schernire ancora...che ne sanno di quello che succederà?
E' la prima volta che si soffermano realmente a guardarli....

 

Hanamichi, appoggiato al petto del tuo ragazzo, sdraiato fra le sue gambe, accarezza distrattamente quelle braccia bianche e forti che lo stringono.

Scende sulle mani, sulle dita.

In un modo così naturale.

Sembra l’ abbia fatto per un’ esistenza intera.

Solo quello.

 

Accarezzare le mani del suo compagno.

E ci riesce con un amore tale da lasciarli senza fiato.

 

Come li si può chiamare sbagliati, adesso?

 

Ma Hanamichi parla e l’ eco basso della palestra porta fino a loro ogni sillaba.

 

“Ci aspetta un altro allenamento …Kaede io non so più….se riesco a farcela….tu sai che io non sono fatto per l’ indifferenza….mi conosci……e se un tempo venivo volentieri qui perché avevo il basket e te e loro…... adesso……da così tanto..”

 

Improvvisamente si sentirono egoisti.

Falsi amici.

 

 

“Lo so Hana…per te dev’essere sicuramente più difficile, ma ne abbiamo parlato e parlato….e abbiamo pensato e sofferto e …..quant’altro…no?”

 

Avevano sofferto?

Avevano parlato?

 

Già, come una coppia che affronta le difficoltà.
Insieme.

 

“Sì….sopratutto il quant’ altro….. – un tentativo penoso di sorriso ricordò loro di chi era la colpa di quei riflessi morti di labbra piegate che erano i rari sorrisi del loro compagno più allegro – eppure mi fa sempre più male…ogni volta di più………siamo una squadra….sono la    nostra    squadra……”

 

E videro passare la dita lunghe di Kaede fra quei capelli, con gentilezza e devozione.

Tentando amorevolmente di calmare, di lenire il dolore chiaramente dipinto in quel viso ambrato.

 

Un sospiro.

Atrocemente inconsolabile.

 

“Lo so, ma ricordati che non sei solo, non sarai mai solo. Io ci sono.”

 

Dolcissima dichiarazione.

Di un poeta che loro non avevano mai neppure sentito parlare così a lungo.

 

Silenziosamente osservarono Hanamichi girarsi fra quelle braccia, afferrare con le dita la maglia leggera  del suo compagno e stringerla e nascondersi contro il rosso della divisa.

Nascondersi contro quel collo morbido e forte.

Contro di lui.

Con occhi chiusi e ciglia frementi di sofferenza.

Con un mugolio doloroso.

 

 

“Io  ho  solo  voglia  di  nascondermi”

 

 

Un sussulto per loro.

Per tutti.

Quella debolezza.

 

Loro l’ avevano creata per quel ragazzo.

 

 

Le mani di Kaede rafforzarono la loro presa, iniziando a passare consolatrici sulla schiena ampia sopra un numero dieci bianco ed innocente.

 

“Non devi! Loro non saranno i primi né gli ultimi a comportarsi così, a gettare via la nostra amicizia, lo sai anche tu ed è bene abituarci”

 

 

Gettare via la loro amicizia.

Sbagliato.

L’ avevano semplicemente calpestata ed i più audaci ci avevano anche sputato sopra.

 

Rukawa si era sempre quindi considerato loro amico?

Non lo sapevano.

 

Ma Hanamichi sì.

 

“Lo so Kaede, lo so, ma non voglio che anche tu debba pagare perché io mi sono innamorato di te”

 

Timida confessione di tenere a lui più di tutto.

 

Un lieve risata.

 

“Che stupidaggini stai dicendo? Prima di tutto io sono Kaede Rukawa!”

 

“E questo che significa?” divertito Hanamichi si tira su

 

“Che, inderogabilmente, sono stato io il primo ad innamorarmi …” un mormorio di scherno ed un sorriso

 

“Volpaccia…!Vuoi sempre essere il primo…….. sei malato di protagonismo!!”

 

E si stringono.

Ridendo.

 

Alle loro labbra fanno specchio quelle di Ayako, Ryota e Kogure.
Che sorridono di riflesso.

Proprio di riflesso, senza riuscire ad impedirselo.

 

“Silenzio, do’hao!!Kaede Rukawa deve dirti una cosa importante..”

 

“E cosa, bella volpe?”

 

Sorrisi complici.

 

Mentre neanche Hanamichi si attendeva quelle parole.

 

Ma Kaede le dice lo stesso.

 

“Che io, Kaede Rukawa, ti amo più di quanto tu o loro possiate anche solo immaginare”

 

E con due dita gli alza il mento, come quella notte con la pioggia fra i gatti, e lo bacia.

Un unirsi caldo e umido di labbra e basta.

 

 

Mentre Mitsui si chiede irrazionalmente se mai qualcuno nella sua vita si dichiarerà a lui con tutto quell’ amore.

 

 

E Hanamichi sorride, ancora ad occhi chiusi, dopo quella carezza.

Ed è così bello con le labbra piegate, così dolce che Ayako si porta una mano alla bocca per soffocare la commozione e la vista le si appanna.

 

Quella meravigliosa creatura innamorata prende quindi la mano nivea del suo compagno di vita e piano risponde.

 

“Anch’ io …non sai quanto…….. tu hai preso metà delle mie colpe,  io sono libero stando con te e non importa che per loro sia un gioco o un orrore, so solo che se sarai con me ogni giorno non mi importerà di nient’ altro, nemmeno della mia stessa vita….”

 

Timida dichiarazione di un ragazzo che mette la propria vita in mano all’altra metà separata del suo stesso cuore.

 

Colpe?

Metà delle sue colpe?

 

Quali colpe poteva mai  aver avuto in quella sua breve vita Hanamichi?

 

Divise a metà?

Allora.. troppo pesanti per essere portate da solo?

Che colpe erano?

 

Ma la domanda doveva essere un’ altra.

 

Lo avevano mai conosciuto abbastanza da sapere, o anche solo immaginare, che colpe erano?
Figurarsi, a suo tempo non sapevano nemmeno che si era innamorato!

 

“Non dire stupidaggini do’hao, io ho bisogno di te”

 

Detto tirandolo a sé, ancora contro il proprio petto.

Intrecciando le gambe e le mani.

In una comune volontà d’ unirsi.

 

“Quanto ancora avrai bisogno di me?”

 

Che domanda tenera, pensò Ayako.

 

“Per il resto della mia vita, sciocco….quindi mi servi vivo”

 

E Hanamichi di nuovo si tira su, sorridendo in un modo così adulto ed intenso.

 

“Perché? Potresti portarmi per sempre nel tuo cuore se dovessi morire per te o per il nostro amore……….sarebbe romantico, volpe, veramente tanto…….”

 

Oh sì, lo sarebbe, pensa Ryota.

Lo sarebbe davvero.

 

 

Ma Kaede non sembra d’accordo.

Lo guarda freddamente.

 

“Quanto sei do’hao”

 

Poi gli prende il viso fra le mani e gli accarezza una guancia con le labbra, scendendo fino all’orecchio.

Sussurrandogli cose che nessuno, nemmeno l’ eco della palestra può udire e portare.

 

Ad unico indizio il rossore intenso che comincia a colorare la pelle d’oro di Hanamichi.

 

E poi la sua risata.

Vera.

Felice.

 

Come in quei tempi persi nel turbinare di un destino dolceamaro.

 

E quella nuova di Kaede.

 

Inventata proprio tra le braccia di quel destino ancora dolceamaro.

 

E la voce di Hanamichi è la fine di tutto quell’ ipotizzare.

Lascia poco all’ immaginazione.

 

 

“Beh, certo…quelle cose non le potresti fare con il mio ricordo..”

 

E di slancio si abbracciano.

 

 

Mentre Ayako, lentamente entra in palestra e avvicinandosi li saluta.

Ha notato come si sono separati in fretta.

Come scottati.

 

E sorride dispiaciuta.

 

Sorride a loro.

Li guarda e di nuovo parla con loro.

 

Ha deciso di accettarli.

Poco importa cosa penseranno gli altri.

 

Sono suoi amici.

 

E li accetta.

 

 

E dopo di lei gli altri si fanno avanti.
Anche i due neo universitari in visita.

E Kaede capisce che li hanno osservati.

Che erano nascosti ed hanno visto e sentito.

 

Ma è così grato di questa intromissione nella sua privacy come non lo è mai stato in vita sua.

 

Ed è Kogure che ride con loro, senza più imbarazzo, sinceramente felice per loro.

 

Ed è Ryota che in silenzio si avvicina e posa una mano sulla spalla del suo amico di sempre.

E lo guarda negli occhi e senza parole chiede scusa.
Per quelle avrà tempo dopo.

E con voce bassa sussurra ad entrambi.

 

“E adesso voglio consigli da voi per far cadere Ayako ai miei piedi”

 

Ma ad Akagi tutto ciò non sembra interessare.
Il suo sogno oramai è finito e di quello che è stato e sarà a lui non importa.

Mentre Mitsui, solo, guarda tutti.

 

E si chiede se lui può accettare.

 

No.

Errore.

 

Si chiede se gli altri ora potranno accettare le sue scuse.
 

NO.

NO.

Errore ancora più grave!

Perdonare?

Accettare?

 

Ma che scuse e scuse, non ha intenzione di scusarsi!!

Loro stanno sbagliando.

Pervertendo gli ordini naturali delle cose.

 

 

E guarda come sono felici nel farlo, porca miseria!!

 

 

E pensa che probabilmente, costretto a rimanere lì, nonostante ancora li guardi torvamente (ma è solo invidia secondo gli altri), forse verrà conquistato anche lui.

E forse ammetterà, una volta nella vita, che non attendeva altro che la resa.

 

La propria.

 

Ma forse.

 

Forse.

 

Sono 'se' e sono 'ma'.

Per ora li ignora.
Li osserverà di nascosto.
Non accetterà.
Forse si limiterà a sopportare senza condividere.
E forse lo farà in silenzio.

 

Ma ancora è solo un forse, il suo.

 

Lo sa solo quel destino dolceamaro se diverrà realtà.


Bittersweet

 

Ma Hanamichi sembra voler dire qualcosa.

Forse ha sofferto troppo per credere ora, per accettare un cambiamento del genere.
Perché non aveva mai letto le avvisaglie di tutti.

 

Un cambiamento non è mai  improvviso, ma è una ragnatela che s’ intesse di pensieri di puro livello inconscio, che più sono profondi, più fanno sembrare repentino il mutamento.

E bello, non dimentichiamocelo.

 

Ma Kaede non permetterà al suo compagno di rovinare tutto.
Sa che poi se ne pentirà e gli vuole troppo bene per fargli fare sciocchezze simili.

Così lo stringe e davanti agli altri gli accarezza le labbra con le dita.

Come fa sempre a casa prima di penetrarlo.

 

Ed Hana arrossisce ed ora il coraggio per parlare non lo ha più.

 

“Però! Bel modo di farlo stare zitto! Sembra piacevole” ride Ayako, felice

 

Ed inizia un nuovo allenamento.

Chiamato ‘nuova amicizia’.
Per tutti coloro che li hanno accettati.

Non tutti, ma già molti.
E sembra un bel sogno.
E forse lo è.

Ancora un po' amaro, ma bello.

 

Mentre Kaede ha il suo ultimo pensiero di poeta, guardando negli occhi la felicità del suo Hanamichi.

 

 

<Tu  sei  la mia decisione  e sai, con certezza, che quello che decido è legge per me……….tu sei il mio ruolo, la mia regola….. sopra la legge degli altri …..

la mia legge sei tu >

 

 

 

 

***
E l' uomo che viaggia vide la solitudine che non sa cantare ed i colori che la possono riempire.
Rosso su oro dentro castagno chiaro ed orzo.

E poi vide lo scherno.
Maschera grottesca.
Arma bianca, ma non per questo pulita.

E vide lo scherno divenire comprensione, aprendo gli occhi e allargando i cuori.

Ed infine capì quanto infinitamente più potente fosse la legge del cuore di quella degli uomini.

E ne fu felice.

Visse, dunque, e viaggiò
Ancora.

E continuò a camminare.
***

 

 

 

Fine

 

 

 

 

Wow!Finita!!
Ben in anticipo.
Essendo questa la saga per Naika a lei è ovviamente dedicata.

Buon compleanno, bimba!

Da Mel, che spera gradirai.

Auguri di cuore!!!!!!
Grazie ancora per il tuo regalo per me.
Spero di aver ricambiato, ma non per dovere, ovvio!
E' stato tutto piacere scriverla.....pensando a te...^___=
 

Baci Mel, alla mia prima, speciale, corrispondente.

 

 

Note:

Con Rules intendo i ruoli sociali, quelli imposti dalla società.


*Con 'lei' intendo sempre Haruko Akagi
 Con lei intendo la solitudine.
 Sempre.

So che in Giappone ai ragazzi minorenni non è consentito entrare in locali ed ordinare alcolici, ma visto che mi serviva, ho fatto uno strappo alla regola....chiudete un occhio...

Gli avvenimenti temporali sono un po' sfasati, anzi del tutto incasinati....non fateci caso e chiudete un altro occhio....(ma così non possono leggere più >.< nd Hana Eh eh eh non tutti hanno la mia fortuna nd Megane-kun_ke_ha_quatt'occhi!!!!!!)

Inoltre chiedo venia alle numerose fan di Hisashi pu!!!!
Mi disp....di solito lo uso nel ruolo peggiore, ma non è intenzionale....è solo che spesso mi serve un pg dal carattere forte e lui è perfetto, ma giuro che la prox volta che mi capita lo uso in maniera meravigliosa....ok?
Non sembra, ma io in realtà amo Sashi-kun......e leggo volentierissimo le fic su di lui!!!!!!

Poi, oh kami, ci sono un sacco di riferimenti, ne cito solo alcuni...
..Les intermitténces  du coeur (intermittenze del cuore) sono un passaggio fondamentale della poesia di M. Proust..
..il mito di Andromeda e Perseo, che penso tutti conoscano (grazie indubbiamente a Saint Seiya)...
...i versi centrali, metà presi e metà ispiratimi da una canzone meravigliosa 'Bittersweet' appunto.......

All' interno della fic poi pago un grande tributo con due frasi di due miei amici, Kain e Ila.....spero che un giorno la leggano e capiscano che sono state persone importanti nonostante poi le strade della vita separino spesso e volentieri.....

E credo sia tutto....
Oh, dimenticavo.....

Ho cambiato nuovamente indirizzo mail.....se volete potete scrivere a MelKaine@libero.it
Grazie Ria!!!!!


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