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Pairing RuHana

Raiting Nc-17


 

Dal diario di un viaggiatore…..

The wispering – L’indovina

di Mel

 

<I° viaggio>

 

***

 

 Ho vissuto nei tempi che a voi fanno invidia, nei tempi in cui si ergevano castelli e si combattevano draghi, nei tempi in cui grandi demoni allungavano i colli squamosi, contro angeli dalle ali spiegate fino al dolore, ma ho vissuto anche prima……….nelle deserte pianure prive di vita…………ed ho vissuto anche dopo, nel caos luminoso delle metropoli…….

Io ho vissuto tutti i tempi.

Nessuno escluso e vivo ancora.

Dimoro in alto, dimoro un po’ ovunque e questa tenda è un passaggio………..

 

Amabilmente passeggio nelle mie eternità, ma non respiro.

Ho servi e serve, ma non posso parlare loro.

Potreste invidiare ciò che conosco.

Io ho visto tutto, ogni cosa, ogni singola, minuscola, insignificante cosa.

I miei occhi di diamante sfaccettato sono sempre asciutti, non posso piangere o ucciderei.

 

Insieme al respiro del tempo muovo i miei passi, guardando il ritmico oscillare del capo di un vecchio dalla barba ed il viso oblungo, come lancetta di un orologio folle ed innaturale…..

ed intanto …

ad ogni movimento colgo tutti i suoni del mondo,

ad ogni sguardo tutti i colori,

alle mie labbra tutti i sapori…

 

…………………

 

 che vita piena, fatta di sola eternità.

 

 

Ma ora, che passate di qua anche voi, prego, fermatevi.

Non chiedetevi chi sono, ma lasciatevi narrare una storia, una storia che i veli di una tenda mi sussurravano qualche tempo fa, entrate ed ascoltate, dunque……non fatevi pregare, non ne sono avvezza……

 

***

 

 

“Forza, sbrigatevi!! E tu…svegliati!” gridò raggiante Ayako

 La bella ragazza si trovava in fondo al gruppo, occupata a minacciare, con una mano armata di ventaglio, Miyagi e gli altri e con l’altra a spintonare Rukawa.

 Il sole tramontava davanti a loro, mentre la squadra dello Shohoku si dirigeva alla grande festa del tempio.

 Quell’uscita di gruppo era stata un’ idea della manager e dell’ allenatore Anzai, la squadra si trovava ormai a metà strada verso il campionato invernale, ma aveva raggiunto, finora, solo risultati insoddisfacenti.

Gli allenamenti si prolungavano estenuantemente ogni giorno di più, senza risultati, se non una stanchezza fisica e mentale quasi irrecuperabile, di tre amichevoli, due erano state perse miseramente, la coesione dell’intero gruppo sembrava solo un ricordo incerto e difficilmente esistito  ……..era impensabile affrontare delle gare ufficiali, in quelle condizioni.

Giocavano da tanto, insieme, avevano affrontato molti ostacoli uniti, ma adesso sembravano essere diventati degli estranei gli uni per gli altri, andava tutto così male…..

…il loro asso si rifiutava ostinatamente di coinvolgere gli altri nelle proprie azioni, la scarsa preparazione di Sakuragi rappresentava una minaccia in una partita vera e nessuno si sentiva più di vedere della volontà, in quel ragazzo dai capelli rossi, che arrivava in costante ritardo ad ogni allenamento e che ne scappava via alla conclusione, per sparire chissà dove…….

….il nervosismo ingiustificato del loro playmaker faceva venire meno passaggi e schemi di squadra e dava fuoco alle discussioni interminabili, che lo coinvolgevano con Mitsui, sempre pronto a rivangare i dissidi del passato in nuove risse………

…ed in tutto questo, l’ansia di Kogure e gli sforzi ferrei del capitano erano soltanto inutili……

 Così, enormemente rattristata da quella situazione, Ayako aveva capito che, prima di farli ricominciare a giocare, prima di convincerli con minacce e allenamenti forzati, avevano tutti un gran bisogno di conoscersi di nuovo, di passare del tempo insieme, di riscoprire i loro caratteri fuori dal campo, lontano da competizioni e responsabilità, per potersi nuovamente apprezzare, per poter ancora lavorare insieme, per tanto e tanto tempo, ancora.

 La festa al tempio era stata una fortuita coincidenza.

E tutto era stato organizzato con precisione, compresa la presenza di Ayako, che non solo aveva il compito di coordinare l’uscita, ma evitava anche nuove risse o peggio ancora ‘fughe’ e ‘rivolte’.

 Quella sera, si sarebbero soltanto dovuti divertire.

 

I ragazzi camminavano a passo lento fra le bancarelle, Akagi e Kogure discutevano pacatamente tra di loro sulle origini delle feste tradizionali, seguiti da Ayako che, per niente interessata all’argomento, lanciava occhiate furiose al playmaker trotterellante al suo fianco.

Mitsui li precedeva guardandosi attorno, mentre -dietro di loro- Rukawa avanzava lentamente, le mani affondate nelle tasche, l’aria assonnata e seccata, era stato praticamente costretto a seguirli e non ne sembrava affatto entusiasta.

Poco più avanti, in disparte, le stesse mani affondate nella giacca, Sakuragi camminava a testa china, senza cercare di rendersi socievole, come suo solito.

Ayako lo osservò un istante, sembrava in qualche modo distante o infastidito, immaginò che in quel momento avrebbe voluto essere con Mito, il suo migliore amico, invece che ad una festa così poco interessante, con i suoi compagni di squadra.

Insolito, da parte sua, era stato quello che le aveva fatto sprecare più energie, per essere convinto ad unirsi a loro.

Non ne aveva capito il motivo; eppure, una sorta d’incertezza le era rimasta nell’anima.

Scuotendo la bella testa mora, la ragazza sospirò; poi, incurvate le labbra in un sorriso incoraggiante, rivolto per primo a sé stessa, cercò di coinvolgerli tutti in qualche sfida fra le bancarelle.

 

Ogni sforzo sembrava davvero vano.

Che la serata fosse veramente destinata a concludersi senza alcun risultato?

Nessuno si interessava agli altri, nessuno cercava una conversazione edificante, le sfide ed i giochi delle varie bancarelle servivano solo a risvegliare la competizione e le discussioni su chi fosse il migliore.

Sembrava che ognuno non avesse altro da fare che pensare ai propri problemi, e all’inutilità di quell’uscita forzata.

 

Disperata, Ayako cercò in uno sguardo rattristato il loro capitano.

Akagi, sospirando rumorosamente, alzò le spalle in segno di rinuncia.

Abbassando la testa, la manager si arrese.

 

I ragazzi si diressero verso la fine delle interminabili bancarelle, sollevati nell’andarsene.

A pochi metri l’uscita del parco, la conclusione di quella breve -quanto inconcludente- serata.

 

Mentre camminavano rapidi, una voce li raggiunse.

 

 

“Volete conoscere il futuro?”

 

 

Si voltarono verso quelle parole, pronunciate con voce antica e dolce, ma seria.

 

Una donna, non più giovane, restava in piedi, di fronte ad una tenda bassa e larga.

Sopra di lei, un cartello di legno bianco fatto a mano.

 

Le lettere nere dicevano solo ‘Chiaroveggenza’

 

 

Un’indovina.

 

 

Ayako la osservò.

Né giovane, né vecchia.

Un’età indefinita da attribuire a quel viso pulito, solcato da qualche preoccupazione, su cui spiccavano due occhi neri come la notte scura, fondi di carbon fossile di miniera.

Uno scialle nero, sulle sue spalle fragili, ricadeva in lunghissime frange sull’ampia gonna, dal colore scarlatto.

La tenda dalla quale la figura di donna usciva era piuttosto grande, piena del colore porpora del sangue caldo, incendiata dai riflessi delle lampade tradizionali, i bordi dorati, come fili pieni pieni di piccole luccioline tutte in fila, un grande velo trasparente, lievemente rosato, celava l’ingresso ad ogni sguardo e precludeva dall’interno la visione del parco, acceso di lumi, fuori.

 La donna sollevò con eleganza il velo, in un muto invito, un sorriso poco accennato sul viso.

I campanellini fissati alla stoffa tintinnarono, i numerosi braccialetti al suo polso fecero da eco, sollevandosi nell’aria fresca della sera.

Con voce bassa, la donna li invitò nuovamente.

 

 

 “Entrate e potrete conoscere il futuro che vi attende”

 

 

Ayako le sorrise gentilmente.

“Stavamo andando via…..”

 

La donna, quasi incurante, proseguì il suo lusinghiero invito.

 

“Entrate, entrate e potrete conoscere il futuro o rivivere il passato o rivedere il presente……….per conoscervi meglio…..gli uni gli altri…………entrate dunque, giovani giocatori”

 

 

Ayako rimase affascinata.

Da donna pratica qual era, avrebbe rifiutato.

Ma quella chiaroveggente sembrava sapere esattamente cosa mancasse loro, sembrava saperlo e poterglielo offrire, proprio nel momento in cui ogni altra cosa si era rivelata inutile.

 

Che fosse una speranza concessa loro dalla sorte?

 

E poi, quella donna, come faceva a sapere che….

 

“Come fa a sapere che siamo giocatori?”domandò Miyagi

 “L’ avrà capito dalla nostra altezza……beh, dalla tua, non di sicuro”inveì feroce Mitsui, ridendo dell’indignazione del playmaker

 Ayako interruppe ogni dissidio, sentendo la piccola risata benevola della donna decise, per tutti.

 

“Entriamo”mormorò

 

E fu un ordine.

 

Si levò un piccolo coro di proteste, ma la bella manager fu irremovibile.

Voleva coltivare ogni più piccola speranza, non si era arresa e non lo avrebbe fatto mai.

Sentiva con forza, in fondo al cuore, che quella era una nuova opportunità, gentilmente offertale da qualcuno.

 

Sia mai -che da ingrata- non l’avesse accettata.

 

La donna le sorrise incoraggiante, che sapesse anche leggerle nei pensieri?

Poi sparì nella tenda.

 

La ragazza dai riccioli morbidi la seguì, con uno sguardo si accertò che la squadra la imitasse ed entrò.

In un mondo fatto di veli e penombra.

 

Al centro dell’ingresso la donna li aspettava, senza più parlare.

Enormi veli, dalle forme indefinite, pendevano dal soffitto con scintillii preziosi, miriadi di campanellini dorati cantavano una canzone antica e sconosciuta trasmettendosi il movimento, ogni volta che anche un solo velo veniva sollevato.

 

La penombra oscura avvolgeva delicata ogni cosa, i contorni meno nitidi facevano apparire ombre particolari, l’intreccio di quei veli pendenti sembrava un labirinto di seta cangiante.

 

I visi dei ragazzi si voltavano incessantemente da una parte all’altra, osservando.

 La donna li guidò, con un sorriso enigmatico.

 “Che sciocchezza” mormorò Akagi, moderando rispettosamente il tono di voce per non farsi udire dall’indovina

 “Suvvia, il futuro potrebbe sempre sorriderti!” gli rispose Kogure

 Mitsui li affiancò, le mani nelle tasche, un’aria insofferente dipinta chiaramente sui suoi tratti.

 “Io non credo a queste scemenze”esclamò ad alta voce, senza alcun pudore

 La donna li condusse lentamente per quei corridoi, scostando con il dorso delle mani ogni filo di seta ed ogni lembo di trina che scendeva dalle volte della tenda.

Poco dopo, un ambiente dalla luce soffusissima li accolse, allargandosi davanti ai loro occhi.

 Il profumo forte ed inebriante dell’incenso li stordì, mentre entravano sollevando l’ultimo velo.

 

Il piccolo salottino orientale li invitò in sé, un tappeto morbido steso a terra, spesso ed enorme, li chiamava, per offrire loro un luogo caldo dove sedersi, ad ogni angolo, quasi in ogni spazio, cuscini dalle dimensioni diverse, dai riflessi scuri ed incantatori.

Sopra il tappeto -ricoperto di cuscini- pendevano altri veli, ripiegati o lasciati liberi, lunghi o sapientemente strappati, legati da cordoncini dorati o da fili di porpora.

Mentre in fondo, su un piccolo tavolino basso ammantato di stoffa nera e morbida, una lucidissima sfera di cristallo faceva mostra di sé, regalando continuamente ai campanellini immobili i propri luminosi bagliori.

 

Con un ampio gesto della mano, la donna li invitò a sedersi di fronte a lei, attorno a lei.

 

Ayako si sedé lì vicino, piena d’aspettative, guardandosi attorno, concedendo alla propria praticità di credere alla magia, almeno per quei pochi minuti che sarebbero trascorsi.

 

Tutti presero posto, ed in breve, un attimo di silenzio risaltò assieme alla semioscurità.

 Nella quiete, l’indovina s’inginocchiò, prendendo il proprio posto dietro la sfera luminosa.

 

Alzò gli occhi neri, a guardarli.

 

 “Cosa volete conoscere adesso?”

 

Ayako cercò lo sguardo dei compagni, per decidere assieme.

Rukawa, nel suo angolo, sbadigliò seccato.

 

“Noi….”iniziò la giovane ragazza

 

“Come faceva a sapere che siamo giocatori?”insisté Miyagi, sospettoso

 

La donna rise un’altra volta, quasi infantilmente.

 “So questo e molto altro…………….perché io posso vedere tutto……..da qui…..”sussurrò, accarezzando con mani dolci la sua sfera

 “Per esempio?....”la sfidò Mitsui

 

Lo sguardo bruciante, un sorriso ironico sul viso.

Non credeva a quelle stupidaggini, non ci avrebbe mai creduto, servivano solo ad attirare sciocche ragazzine e coppiette di stupidi innamorati.

 

La donna lo fissò con i suoi occhi di carbone.

Lo fissò intensamente.

Il ragazzo dai capelli neri si sentì scrutare, come…nel profondo….una sensazione strana, ma forte e definita…..

 

Un istante dopo, l’indovina concesse la sua attenzione alla sfera, chiudendo gli occhi.

 

La sua voce bassa si sciolse piano nell’aria.

“Vedo un ragazzo, con un sogno, sì, un giovane sicuro di quel sogno e poi…il buio…..ahimé quel giovane ha perso la luce che inseguiva e prova solo amarezza, ora…….la sua vita è allo sbando, mentre spera ancora di tornare a farsi illuminare da quella luce….ma è troppo orgoglioso e non accetta mani tese e pronte…….si accontenta di vagare nell’oscurità, pur di riuscire da solo……continua ad andare avanti, cerca col cuore quella luce calda, mentre le sue mani sanno usare solo violenza…..”

 

L’indovina alzò il viso, schiudendo gli occhi sapienti.

Guardando Mitsui, senza incertezze.

 

 “Ma ora hai ritrovato la tua luce, vero? Fortunato….il tuo sogno è ancora intatto………………”

 

Gli occhi scuri di Hisashi si spalancarono d’incredulità.

 

Un silenzio rispettoso scese su di loro, esattamente come quei veli che pendevano immoti dal soffitto.

 

La donna riprese a parlare.

Per domandare.

 

 

“Ed ora, cosa volete conoscere? Il vostro passato? Il vostro futuro?”

 

 

Silenzio.

 

“Parlaci ancora di noi”chiese Ayako

 

La donna le sorrise e chiuse nuovamente i suoi occhi profondi.

 

“Vi vedo su un campo …felici……seguite un sogno…lo stesso, per tutti…………una vittoria….avete lavorato così tanto….li sento, i vostri sforzi….la mia sfera li trasmette alle mie mani, al mio cuore………avete davvero lavorato così tanto, per realizzarlo………..avete rinunciato –insieme- a tutto il resto….a tutto quanto………..”mormorò, sempre più piano, posando lo sguardo gentile su Akagi e Kogure

 

 

“….così tanto….”soffiò ancora

 

 

“…………..per un sogno di bambino ed una passione d’adolescente …e vi siete impegnati, per gli altri e per voi stessi….perché volete dimenticarlo……perché?.......”gemé quasi la donna, gli occhi chiusi, decisi

 

 

“…………..ora vi impegnate ancora…..ma scopi vuoti guidano le vostre mani e le vostre energie………..vi impegnate dunque solo per dimostrare?” chiese, aprendo i suoi pozzi neri su Rukawa

 

Poi, improvvisamente, l’indovina rise.

Felice.

 

“Vedo la vostra allegria ….sento il vostro ridere ……..la vostra vitalità fluisce dalle immagini riversatemi nella mente…..vedo voi, il vostro entusiasmo, il vostro vivere ………………………………”parole sospese

 

“…………….ed il vostro passato…………tutto il vostro passato”

 

 

Infine la donna aprì gli occhi.

Le sue iridi corvine osservarono la bella manager vicina a lei.

Per attimi interi.

 

Ayako trattenne il respiro.

 

“Una ragazza forte…………………..mi piace il tuo cuore…..non nasconderlo sotto veli di carta…..ricorda sempre, da ora in avanti, che -chi ti ha dato la vita- ti ama ancora, anche se il mare vi divide ed il cielo che guardate non ha lo stesso colore……….anche se divisi……..”

 

Ayako sussultò.

Poi abbassò la testa, i pensieri che correvano veloci nella sua bella testolina riccia.

 

Kogure la chiamò, piano, con rispetto.

 

“Ah….. – sospirò lei – voi non lo sapete ……i miei genitori hanno divorziato un po’ di tempo fa…….tutto qui……………e mia madre si è trasferita in America…”

 

Miyagi le si avvicinò discretamente.

Per sussurrarle un incoraggiamento, che portava solo il suo nome.

 

“Aya……”soffiò dolcemente contro di lei

 

L’ indovina sorrise.

 

“Non lasciare che quel tuo bel cuore pensi ancora a lungo di non poter trovare l’amore, così vicino a te……….” le ultime parole per lei

 

Così dannatamente vere.

 

Ayako finalmente sorrise.

“Oh, lo so…….lo so fin troppo bene……..” mormorò, osservando rapita un rossore intenso che colorava le guance di Ryota

 

 

Alla dolcezza seguì un minuto di delicato silenzio.

 

“Cosa riesce a vedere ancora?”sussurrò in richiesta la manager

 

 

“Oh…….molte cose, ancora…….moltissime……. – rispose, sollevando gli occhi e spaziando nella sala con il proprio sguardo di pece – sogni e speranze portate nel cuore di giovani capitani, una semplicità d’animo sconvolgente e così casta…………”

 

Senza una ragione, Akagi si sentì toccare dallo sguardo dei suoi giocatori.

Questo, quello che tutti pensavano di lui.

Le parole dell’indovina, come specchio perfetto dei loro sentimenti per quel capitano.

 

La donna, sempre gli occhi chiusi, improvvisamente esclamò.

 

“Oh….sento un’amicizia unica…..molto più profonda di quanto non si creda………oh, sì…un amore segreto….segreto persino a chi lo porta nel cuore…….quale dolcezza…………….posso dirvi ed augurarvi questo ………………….osate, giovani amanti…………….osate…….amore è felicità…………”

 

Kogure abbassò lo sguardo, sfuggendo a quello dei campanellini che ammiccavano verso di lui senza un suono.

Trovato il coraggio di rialzarlo lentamente, scrutò piano il bel volto di Mitsui, incontrò i suoi occhi profondi e dolci e non li lasciò, mentre chiarissime parole inesistenti ballavano dolci danze, sciogliendosi in una comprensione reciproca.

Quell’incanto -di sguardi sinceri e finalmente pronti- si perse al sussurrare noto della voce della donna.

 

“Oh, sì ……è così…………..vedo poi un giovane….solo……appare sempre solo, anche nelle tue immagini, vero, mia dolce sfera?……..Sì, lui appare solo, anche a sé stesso………….così perfetto, che la parola beltà sembra nata con lui….per lui……………non ritieni anche tu? Freddo come il tuo vetro, quando per giorni non ti tocco e tu non vedi per me……..”

 

“Rukawa” indovinò Ayako, sorridendo con gli altri

 

“Vive da solo con un grande obiettivo.. vero, mio dolce vetro?” proseguì la donna, persa in un mondo solo suo, gli occhi ancora serrati dietro le ciglia nere

 

“Vivi solo?” domandò, sorpreso, Miyagi

 

“Hn” rispose lui dal suo angolo, osservando la donna con i suoi occhi profondissimi e nascondendo il bel viso dietro una frangia dall’aspetto di un flutto di mare pieno di brillante petrolio

 

“Solo….ancora un poco………ancora per poco…………”

 

“Tsk” sbuffò Kaede

 

Lui di certo non si sarebbe legato a nessuno, non avrebbe mai diviso con altri il suo tempo, né il suo essere.

 

L’indovina rise leggera e sembrò farlo di quei pensieri.

Rise piano, la bella voce fresca.

 

 

“Puoi non crederci, ma tu sei fatto per amare……………lo giuriamo io ed il mio cristallo …..amerai follemente, un giorno, quasi improvvisamente………… griderai d’amore……….”

 

Un brusio esplose lievissimo fra i ragazzi.

La loro volpe.

Innamorarsi.

 

Sorrisi felicissimi sui loro volti, la trepida attesa di vedere quelle parole realizzarsi.

 

Kaede chiuse gli occhi e sospirò, così poco convinto da non trovare nemmeno il coraggio di ridere di quella sciocchezza.

 

 

 

“Ah……”

 

 

L’indovina sussultò violentemente.

Lo sguardo ancora celato, misticamente concentrato su quello che la sua sfera gli lasciava scorgere con gli occhi della mente.

 

Il silenzio si riempì di rispettosa attesa.

 

Il tempo scorreva lentissimo, battendo i rintocchi in sincrono con il respiro del mondo che sembrava, in quei momenti, essersi cristallizzato nei palpiti leggeri dei veli della tenda su di loro.

 

Un vento inesistente sospingeva la loro curiosità e, mentre un campanellino solitario tintinnava, la donna schiuse gli occhi fissando il vuoto.

Tergendosi da quegli opali neri una lacrima silenziosa e solitaria.

Fissando sempre e solo un vuoto fatto di nulla.

 

 

“Ho sentito….un grande dolore……..ed ho guardato nella mia sfera………………

 

…ho visto un uomo, un padre, a terra, morire.

 

Senza avere il tempo di parlare l’ultima volta con suo figlio, che con occhi senza vita è davanti a lui………Dio, era rientrato proprio in quel momento e l’unica parola di quell’uomo morente era assomigliata ad un rantolo senza significato……..il suo volto è impaurito, la sua anima atterrita, marchiata a vita da quell’ansimo, che sarà per sempre il testamento di un padre scomparso ………..il dolore lo attanaglia, lacerando il suo cuore a brani………lo vedo correre fuori a cercare aiuto……….può fare in tempo, si ripete…….può fare in tempo……….mentre qualcuno ride………..e viene fermato, circondato da ragazzi come lui, che lo colpiscono, sordi alle sue preghiere di figlio quasi orfano…….e lui grida che deve salvare un padre, il suo…. e loro ridono e lo colpiscono e ridono ancora, ridono sempre………………………….”

 

Un silenzio gelato nella tenda immota.

I veli piangevano per quella triste visione, gettandosi dal soffitto, il fumo dell’incenso che brucia sembrava vento del nord, soffia freddo tra di loro.

 

 

“Grida ancora dentro di sé, Dio, Dio! Suo padre sta morendo…….ma loro non si fermano ……lo vedo in un vicolo, coperto di sangue e lacrime, le sue, senza alzarsi pensa solamente, senza forze…. ‘mio padre è morto’……………….

 

…………..ed i giorni vuoti passati nel nulla, ricolmi di una colpa che non si può accettare……un solo amico accanto a lui…..e vedo come i suoi familiari lo guardano………….e pensano malignità e trovano la cattiveria di ripeterle ad alta voce, in casa sua, con l’amarezza sulla loro lingua maledetta…….

……………………………………………………………………………………

‘E’ lui, lui la sventura della sua famiglia… prima sua madre, per il suo parto difficile; poi il padre, per la sua inettitudine……..è lui, lui che li ha uccisi entrambi…lui dovrebbe morire……lui’

…………………………………………………………………………………….

e si allontanano perché non vogliono morire accanto a lui, firmano carte per pietà e spariscono”

 

La donna tacque, riprendendo respiro.

I ragazzi si guardarono negli occhi, cercandosi l’un l’altro.

 

Nessuno di loro capiva di chi stesse parlando.

 

 

Nel suo angolo di quiete e ombra, Rukawa sospirò spazientito.

Quella donna era folle e loro più di lei, perché restavano ad ascoltare i suo vaneggiamenti.

 

Girò lo sguardo distogliendolo da quell’assurda figura d’indovina e osservò i segni di sconcerto sui visi dei compagni.

Provò pietà per loro, che credevano a quelle menzogne.

 

Quante sciocchezze.

 

Impossibile attribuire ad uno dei suoi compagni quel passato, così come impossibile sarebbe stato sentir gridare lui per amore.

 

Il suo sguardo blu insofferente si staccò anche da quella vista irritante e si abbassò, sfiorando la figura accanto a sé, mentre una mano bianca copriva uno sbadiglio.

 

Un lieve movimento attirò la curiosità di quelle iridi di volpe.

Il cuore intonso di Kaede si fermò.

 

I suoi occhi risalirono veloci il proprio compagno.

Osservando profondamente turbati.

 

Un tremito leggero saliva dalle braccia del ragazzo che aveva accanto, lasciando a spasmi lievissimi tutto quel corpo, le mani si stringevano l’un l’altra, cercando di trovare sollievo al tremore continuo che le affliggeva, inutilmente, rigirandosi prigioniere di brividi intensi dal significato orrendo e pesante.

La testa china, decisa a sprofondare nelle parole che ancora vibravano nell’aria satura di freddo incenso.

 

Lì, in quell’angolo ombroso, solo lui riusciva a vederlo.

Solo lui lo osservò.

 

Non è possibile, si disse.

 

Non lo è.

 

 

E qualcosa ebbe tempo di rompersi in lui.

 

 

L’indovina spezzò i suoi pensieri, riprendendo il suo lento descrivere.

 

“………………..e vedo la carte firmate, i sorrisi ipocriti, la carità gettata con mani bugiarde e sento…la tristezza di quel ragazzo solo …….la sua disperazione mascherata da una risata vuota ……………”

 

Un brivido d’angoscia serpeggiò fra i ragazzi.

Quelle parole cominciavano davvero a non piacere loro.

 

“Di chi stai parlando?” chiese, con voce turbata, Ayako

 

“Stavolta mi sa che non ci hai preso……”scherzò Mitsui, rivolto alla donna

 

 

L’ indovina non li ascoltò, non li poteva ascoltare.

Guardava nella sua sfera e tutto il resto non importava, non la raggiungeva nemmeno.

 

Lei proseguì.

“……………………….lo vedo……lo vedo ancora un istante……….”

 

Silenzio             …    snervante   silenzio ed    attesa ….. 

…..sicuramente c’era stato un errore ……doveva esserci stato un errore……..nessuno di loro poteva avere avuto quella vita …nessuno di loro poteva aver sofferto così tanto……….

……..

 

“….lo vedo …sì….nella sua camera…….in una casa ormai vuota….”

 

 

Accanto a sé, Rukawa avvertì un singhiozzo lieve come il battito d’ali di una farfalla.

Lo sentì solo lui.

 

 

Poi, nel silenzio completo di quella tenda scura, risuonò una richiesta.

 

 

“Smettila”

 

Un tono stanco, quasi roco, profondamente rassegnato.

 

 

 

Con incredulità, si voltarono tutti verso quella voce, tranne la donna.

Lei già vedeva il viso di quel ragazzo nella mente, attraverso la sua sfera.

 

Guardarono tutti lui, nel suo angolo, fissando la sua bella testa rossa e china con occhi sgranati, il cuore in tumulto, mentre altre parole dolenti venivano pronunciate a voce ancora più bassa e distinta.

 

 

 

“………………………..lo vedo……sta..tirando pugni contro il muro della sua stanza …così forte da lasciarvi sopra il suo sangue…….e sta pensando …

…………

…………………sta pensando a come sarebbe raggiungere i suoi genitori e chiedere loro perdono………”

 

 

Hanamichi urlò con tutto il fiato disperato che aveva in gola.

 

 

“SMETTILA!! SMETTILA!!!! Lo so quello che ho fatto, lo so quello che ho pensato…..non voglio più sentirlo……SMETTILA!!!!”

 

 

La donna sospirò, aprendo su di lui i suoi occhi di vetro nero.

Lo guardò, stillando una lacrima.

 

 

“Quanta sofferenza……” mormorò l’indovina

 

 

Mentre, in un ultimo sussurro stremato, Hanamichi lo disse ancora una volta, alzando il viso completamente rigato da quelle lacrime che l’orgoglio aveva trattenuto fino ad allora.

 

“B-b-basta…..t-ti prego….smettil.a…..”

 

 

Nel silenzio ritornò a singhiozzare.

 

 

 

 

I loro cuori si gelarono.

Esisteva.

Esisteva davvero quel compagno che aveva avuto quel passato.

 

E loro non ne sapevano niente.

Non avevano mai saputo niente.

 

 

Si guardarono fra di loro, cercando una parola, anche una sillaba, che potesse servire a qualcosa.

 

Vedere Hanamichi piangere.

 

Una cosa che mai avevano creduto possibile.

Una cosa che fece loro male, profondamente.

 

Accanto a lui, Rukawa ancora non sapeva se respirare o no.

Continuava a fissare quel tremito ininterrotto che scuoteva il corpo caldo del compagno.

 

Non sapeva cosa fare.

Non aveva mai…….non aveva mai voluto confortare nessuno.

 

Ed ora che lo desiderava, mancava totalmente d’esperienza.

 

Rimase immobile.

Il cuore in pieno tumulto.

 

Ayako si odiò.

Era stata lei a costringere tutti a seguirla, ma non desiderava per loro, per lui, altro dolore oltre a quello che già doveva aver provato.

 

Sollevandosi in ginocchio, per avvicinarsi piano, mormorò.

 

“Hana…..”

 

Il ragazzo dai capelli rossi non la guardò, sostenne solo lo sguardo nero dell’indovina.

Poi si alzò veloce e corse fuori da quella stanza.

 

 

Nessuno si mosse.

Nessuno si alzò per seguirlo.

Fermati violentemente dalla convinzione di non poter fare niente lo stesso.

 

 

E Hanamichi fuggì.

 

 

E nell’entrarvi, non gli era parsa così grande quella tenda, ma vi si perse.

I veli che scendevano dal soffitto lo confondevano.

 

Li scostava, freneticamente, cercando di mettere quanta più strada possibile fra sé e quei compagni che adesso sapevano.

Nessuno doveva sapere.

Nessuno.

 

 

Nessuno doveva sapere quanto inetto fosse stato, quanto colpevole.

 

 

Ma quei tristi drappi sembravano moltiplicarsi, scendere dal soffitto a sbarrargli la strada, a tenerlo lì.

Enormi pareti di un labirinto morbido.

 

Improvvisamente, in un enorme spazio vuoto, si accorse di essere solo e perso.

 

 

 

Nel piccolo salotto, nessuno ticchettio d’orologio scandiva l’angoscia dei loro cuori.

L’indovina si era chiusa nel silenzio, come se avesse ormai esaurito ogni altra parola.

 

 

“Non è possibile…” mormorò qualcuno, trovando il coraggio di formulare per tutti quel pensiero

 

 

“Di tutti……di tutti …mai avrei pensato……..lui…….” si disse Mitsui

 

“Mi…dispiace….” soffocò Ayako, in una mano

 

 

 

 

 

Hanamichi alzò gli occhi di miele pieni di sale e si guardò attorno.

Il soffitto…il soffitto sembrava più alto e lontano….che fosse una sua impressione?

 

Un alito di vento leggerissimo sollevò appena i drappi, ma i numerosissimi campanelli non fiatarono.

Incredulo, Hanamichi arretrò di un passo.

 

 

Quella tenda non era così grande quando vi erano entrati………..

…….quei veli non così lunghi………

…..quel vento da dove veniva? …………….

 

 

Si fermò, guardandosi attorno.

Veli …veli…veli….solo veli…………………………….veli…veli….veli……………veli.

 

 

 

Solo.

Fino a che una voce non giunse a fargli compagnia.

 

 

“Ti è data la possibilità di scegliere” una voce lontana, lontanissima, udibile, ma lontana e carica d’eternità

 

Hanamichi alzò la testa, si guardò attorno.

Il viola trasparente di quei veli fu l’unica cosa che poté vedere.

 

“Chi sei?”

La domanda di rito, quella che si fa sempre, per riempire il silenzio che ci fa paura.

 

 

La voce non lo ascoltò.

 

“A te, a cui è stato tolto molto, sarà dato molto”

 

“Cosa vuoi? Che significa? Dove sei?” domande spaventate, spezzate, come respiri troppo veloci

 

“Ascolta i veli che piangono per te, scostali ed essi, custodi del tempo, ti mostreranno molte strade”

 

‘..tempo…..’

Hanamichi si soffermò su quella parola.

 

 

“Tornare indietro? Posso tornare indietro?” chiese, pieno d’agitazione

 

“Nessuno può tornare indietro, farlo sovverte gli ordini, perderesti quello che hai ora, perderesti molto”

 

“Non ho niente adesso, cosa perderei? Ti prego, se puoi …..ti supplico …fammi tornare indietro………fammi salvare mio padre”

 

“E’ successo…non può cambiare…..per quanto doloroso e ingiusto…..è già successo…..non il passato, ma il futuro, hai in mano adesso…….ed è molto più di quanto sia mai stato dato ad un uomo…….scegli bene …….”

 

Hanamichi scosse la testa, dolente.

 

“Non mi importa, non mi importa il futuro…….non potrebbe mai essere bello, con il pensiero di ciò che ho fatto…….. – rise, ironico e stanco, di sé stesso – ……di ciò che ‘non’ ho fatto……” finì in un sussurro labile

 

“So che soffri e hai sofferto, ed ora tutti sanno …….perché così doveva essere………lasciati alle spalle i problemi e scegli con serenità il tuo domani …..avanti, alzati, sei forte, scosta le tende e guarda oltre ad esse, scegli il futuro che vuoi……”

 

Hanamichi si abbracciò le ginocchia e prese respiro, non aveva più forze, né volontà.

Niente aveva attrattiva per lui.

 

Sospirò e chiuse gli occhi, la voce non lo disturbò più.

 

Improvvisamente, cacciando la tristezza, l’ira ebbe il sopravvento, ruggendo nelle sue vene lo costrinse ad alzarsi in piedi e afferrare furioso uno dei veli, strappandolo quasi.

 

Era vero, dannatamente, maledettamente vero!!!

 

La vita gli aveva tolto tutto, nel passato e nel presente, che almeno facesse qualcosa per lui nel futuro!

 

 

Scostò il primo velo e guardò.

 

Miriadi di riflessi pieni di colori, che lui non aveva mai visto esistere.

Qualcosa che non si può descrivere a parole.

Qualcosa che solo lui ha visto e che ha tenuto nel cuore.

 

Chiuse il velo e si avvicinò al secondo.

 

Turbato.

 

Anche il secondo fu aperto e osservato, intensamente, in una dirompente sensazione di confusionaria leggerezza.

Un vento tiepido e gentile, instabile e frusciante prese a spirare.

 

Hanamichi lasciò anche il secondo velo.

 

La voce lo raggiunse nuovamente.

 

“Guarda bene, guarda in fondo, non la superficie, ma l’essenza delle cose”

 

Il ragazzo dai capelli rossi annuì e si diresse più in là.

 

Dal soffitto altissimo e senza fine, grande come il firmamento, scese un altro velo di tenue lilla fiorito.

Hanamichi, con dita esitanti, lo afferrò e guardò.

 

Si morse le labbra e strinse gli occhi.

 

Ne vide un quarto e sospirò.

 

I veli finirono.

I vari destini con esso.

 

 

Hanamichi sembrava combattuto, lo era.

Profondamente.

 

Sentiva una responsabilità troppo grande, nel dover scegliere.

 

 

La voce rise indulgente.

 

 

“Avanti, sai bene cosa hai sempre cercato, non vergognarti a scegliere la felicità, fra queste sorti, tutto ciò che hai visto sarà tuo, nella vita che scegli…….oh, certo, soffrirai ancora ….perché la sofferenza è il prezzo imposto a voi uomini per essere stati creati liberi e così belli, traboccanti di sentimenti infiniti, come nessun’altra creatura……ma poi sarai felice, così tanto da toccare il cielo e tornare per raccontarlo e vivere ancora……….avanti….il tuo cuore sa, indica a me …….e vai incontro alla tua nuova vita…….un giorno lieto questo, per te, dolce ragazzo…….”

 

Hanamichi si strinse le braccia al petto, in difesa e raccoglimento.

In insicurezze emotive e razionali.

 

Aveva visto.

Aveva scelto.

 

Tremante, indicò con un dito malfermo un velo.

Il secondo.

 

 

“Questo” disse solo

 

 

Ed improvvisamente il soffitto immenso scomparve e con esso la voce ed il vento innaturali e la moltiplicazione enorme di quei veli e tutto ciò che lo aveva confuso.

E lui non ricordo più di essersi scelto, quel giorno sospeso nel tempo, il proprio futuro.

 

 

In un attimo, Hanamichi si ritrovò davanti all’ingresso, circondato dai suoi compagni, attorniato dalla loro compassione e dai loro sguardi mesti.

“Perché non ci hai mai detto niente?” domandò Kogure

“Potevi confidarti con noi, magari non tutti, ma anche con uno solo di noi” disse solo Ayako

“Pensavo di esserti amico, perché non me ne hai parlato?” sussurrò Miyagi

Hanamichi si rifiutò di ascoltare oltre.

 

Come poteva gridargli che era proprio quello il motivo, per cui non aveva parlato loro?

La compassione, la pietà, che vedeva negli occhi di tutti, lo feriva molto più del riportare in vita quel passato dolore.

 

Non voleva la loro inutile comprensione.

Non poteva niente, per lui.

Non valeva niente.

 

 

Vide vicino a sé persino gli occhi blu di Rukawa e li disprezzò.

Cattivo, furente disse loro.

 

“Lasciatemi andare, devo lavorare tutta la notte, per colpa di questa uscita al tempio, ho dovuto scambiare i turni, tutta la settimana dovrò lavorare fino all’alba, grazie mille, Ayako” mormorò sarcastico

 

 

La ragazza sgranò gli occhi, ma ebbe la forza di non dire niente.

 

Hanamichi li lasciò lì e sparì nel buio della sera.

 

L’ indovina uscì dalla sua alcova dal profumo d’incenso e andò loro incontro per salutarli.

 

Cercò di sorridere alla ragazza tristissima che era diventata la bella manager e le disse dolce.

“Tutto questo servirà……sarete ancora uniti”

 

Ayako sollevò lo sguardo.

 

“Come vorrei poterlo credere”

 

“Credi…credete…….e guardatevi attorno…….addio, giovani giocatori ………addio” salutò

 

 

Ed il giorno dopo nessuno seppe più niente di quell’indovina.

Era mai stata in quella festa?

 

Non lo sappiamo, rispondevano i più.

 

 

 

 

***

 

 

 

Ora voi potete pensare che sarei dovuta intervenire.

Ma in realtà non mi compete.

Io posso solo guardare e lasciarli fare.

 

Io guardo, guardo sempre.

Guardo solo.

 

Non trovate che vi siano, alle volte, notti che fanno piangere, guardando il cielo?

 

 

 

 

***

 

 

Ed anche quella notte, qualcuno pianse.

Mentre lavorava.

 

Solo, sulla sua terrazza, Rukawa si accusava.

Aveva visto il dolore di un suo compagno e non aveva potuto fare niente.

Cosa credeva?

Che fossero sempre stati tutti fortunati e perfetti, come lui?

 

Solo adesso, si rendeva effettivamente conto di non essere riuscito mai a provare un dolore vero.

Mai una sensazione vera e reale di disperazione.

 

Era stato così fortunato, rispetto ad altri ….così felice…..

 

Aveva trovato l’obiettivo della sua vita…..e credete che sia poco?

 

Si passò una mano sugli occhi e poi fra i capelli.

 

Hanamichi.

Sakuragi.

 

Pensò a lui, guardando il cielo, così bello da commuovere.

 

 

 

Il giorno dopo, il ragazzo dai capelli rossi si presentò in ritardo agli allenamenti.

Nessuno disse niente.

 

Akagi non lo rimproverò.

Non un pugno o una minaccia di allenamenti supplementari o giri di punizione.

 

Una tacita, muta, schifosa comprensione.

 

 

Hanamichi schiacciò con forza la palla contro il canestro.

Continuava a sbagliare e nessuno lo rimproverava.

 

Nessun ‘do’hao’ sprezzante lo raggiungeva.

Nemmeno le grida di Ayako che gli promettevano, furiose, sessioni di fondamentali.

 

Hanamichi sentì la rabbia montare, con la stessa forza di uno tsunami.

Cercò di dominarsi, per non cominciare a gridare.

 

Non voleva la loro sporca pietà.

Non ne aveva bisogno.

 

Come non ne aveva avuto bisogno prima, nemmeno ora.

 

Ma dovunque si girasse, la vedeva, odiosamente riflessa nei loro occhi umidi.

 

Mandò a ‘fanculo Kogure, per un passaggio sbagliato e si ritirò alla fine dell’allenamento.

Si avvicinò ad Ayako, certo che anche quel giorno la loro manager non lo avrebbe esentato dagli allenamenti supplementari.

 

“Se non te la senti, per oggi, possiamo saltarli…..” propose lei, inaspettatamente

 

Pensava a lui, che avrebbe dovuto lavorare quella notte.

Voleva risparmiargli qualche fatica, se poteva.

 

Quella frase la sera prima l’aveva colpita, molto più dolorosamente di quanto non avrebbe fatto una mitica testata del tensai.

Aveva pianto, quella notte, la bella manager.

Anche lei.

Pianto per lui, in segreto, pianto per averlo ferito, pianto per averlo costretto ad uscire, a ricordare e a lavorare di notte.

 

Voleva tanto fare qualcosa per lui.

Aveva pensato solo a quello.

 

Hanamichi la guardò negli occhi.

Torvamente.

 

 

Poi si allontanò da lei, urlando al vuoto della palestra.

 

 

“Ma che cazzo avete tutti quanti??? EH? SI PUO’ SAPERE??” così forte da farsi sentire fino agli spogliatoi, dove tutti si stavano cambiando

 

 

Ayako lo fissò incerta.

I ragazzi si affacciarono.

 

 

Sulla porta, Haruko seguiva la scena, sconvolta.

 

 

“COS’ E’?! VI SIETE MESSI D’ACCORDO? Non voglio la vostra pietà! Potete pure tenervela stretta….io non ne ho bisogno!!” gridò ancora, aprendo le braccia al centro del campo

 

 

“Hanamichi……” tentò di calmarlo Ayako

 

“Hanamichi, un corno………….andate tutti a farvi fottere!!!”

 

Prese la sua borsa e si diresse verso l’uscita.

 

 

Sulla soglia, Haruko lo chiamò debolmente.

 

Il ragazzo dai capelli rossi si girò la frazione di un istante.

 

 

“Fottiti anche tu” le sputò in faccia, e se ne andò

 

 

 

A casa, Rukawa pensava ancora.

Era pronto a giurare che questa volta c’era mancato troppo poco.

Affinché ridesse.

Vedere la faccia inebetita di Haruko mentre Sakuragi la mandava al diavolo …..

Sorrise, ripensandoci.

Poi sentì un morso doloroso all’altezza del ventre e ripensò anche agli urli furioso che lo avevano fatto affacciare.

 

Aveva pensato che un’altra banda di teppisti fosse venuta a fare danni ed era uscito, pronto a difendere la palestra ed invece……..

….si era sentito, lui come tutti gli altri, mandare a quel paese…..

 

 

In fin dei conti, non poteva dargli torto.

Quella pietà manifesta era eccessiva.

 

Umiliante.

 

Ed inutile.

 

Ma allora, cosa?

Se i ragazzi sbagliavano in quel modo, cosa dovevano fare?

Cosa potevano fare?

 

Non si seppe rispondere e, in una muta domanda silenziosissima, guardò ancora le stelle e poi rientrò in casa, per proteggersi dall’umidità della sera.

 

 

 

Nei giorni seguenti, Hanamichi fu intrattabile.

Il guntai lo tenne leggermente a distanza.

 

Quando era così, era meglio non farsi vedere.

Solo Mito, in disparte, seguiva lentamente il suo capobanda.

Per amicizia e fedeltà.

Per preoccupazione che quel testone, in preda all’ira, facesse chissà che cosa di avventato.

 

Lo vide calciare un bidone della spazzatura e rovesciarlo, sparpagliando i rifiuti nella strada pulita e scrollò le spalle, sospirando.

 

‘Appunto’ pensò

 

 

Agli allenamenti, Hanamichi arrivò ancora più in ritardo.

Nessuno disse niente.

Di nuovo.

 

L’ira del numero dieci non accennava a calmarsi, a trovare uno sfogo.

 

Il ragazzo dai capelli rossi prese a disturbare continuamente la partita, che aveva già interrotto con il suo arrivo.

Sbagliava appositamente le azioni di squadra, non passava la palla ai compagni, non solo alla kitsune, ma a nessun altro.

Inveiva rabbiosamente contro chiunque commettesse errori.

Come se fosse permesso solo a lui mancare i canestri o fare fallo.

 

Ayako non disse niente.

Il capitano non intervenne.

 

 

Rukawa stesso, senza una soluzione, non mormorò nemmeno un ‘do’hao’.

 

Increduli e rattristati, i ragazzi continuavano a giocare, sperando, credendo fermamente che, una volta passata la rabbia, il loro solare compagno di squadra sarebbe tornato il solito, simpatico e allegro, casinista.

 

Per ora, sarebbero stati indulgenti con lui.

Come se chiudessero gli occhi.

 

Persino Mitsui e Miyagi.

Mentre, sulla soglia della porta, Haruko non osava più farsi vedere.

 

 

Kakuta sbagliò un passaggio lungo, la palla finì in fallo laterale, invece che nelle mani sudate di Hanamichi.

 

Il ragazzo si avvicinò furibondo al compagno.

 

“Cos’ era quello?? Un aborto di passaggio? E pensare che sono stato io a lavorare fino alle 5, stamattina, io dovrei essere giustificato a sbagliare per la stanchezza, non tu …….”

 

In palestra si fece silenzio.

Ayako non alzò nemmeno lo sguardo.

 

 

Hanamichi imprecò violentemente contro di loro e, raccolte le sue cose, se ne andò prima della fine dell’allenamento.

 

 

Gli occhi di ghiaccio di Rukawa lo seguirono, profondi, fino a che l’altro non sparì nel sole del tramonto.

 

Il ragazzo dai capelli rossi si lasciò andare su di una panchina del fresco parco.

 

Dannazione!

Non riusciva a sopportarli.

Non ci riusciva.

 

 

La loro compassione lo disgustava irrimediabilmente.

Sentiva il nervosismo scorrergli al posto del sangue, nelle vene.

 

Persino Rukawa, persino la maledetta kitsune, non sembrava più la stessa.

 

Avevano passato il limite.

Il suo limite.

 

Quello imposto dal suo orgoglio.

 

Soffriva, adesso.

Soffriva, anche nel trattarli così.

Nel gridar loro contro cose che non aveva mai pensato e che invece adesso aveva detto.

 

Sapeva che, quando l’ira lo prendeva, aveva bisogno di gridare, di urlare ed inveire fino a farsi bruciare le corde vocali.

Solo quella sensazione -poi- lo faceva desistere.

 

Ma dopo, rimaneva sempre con il cuore in tumulto, dolorante, quasi fisicamente.

E la gola bruciata.

 

Sospirò con trasporto.

 

Cosa stava facendo?

Perché, poi?

 

Cosa voleva?

 

 

Strinse i pugni, pensando ancora a loro.

Decise di smettere.

 

Era ancora presto, girò lentamente per il parco fino ad imbattersi in un campetto.

Un piccolo campo recintato, ma aperto.

 

Un campo da basket.

 

Beh, aveva il necessario dietro, no?

 

Decise di fermarsi e giocò fino ad accasciarsi a terra, con il sudore caldo che gli scorreva sulla pelle bollente, con il fiato che usciva veloce dalle sue labbra aride, con la mente un po’ più libera e l’ira sedata.

Il cielo era ormai punteggiato di stelle luminosissime e piccole come lucciole.

 

 

 

Ancora sul suo terrazzo, il ragazzo dai capelli neri pensava.

Il fresco della sera, appena diventata notte, gli faceva incontrare spesso pensieri inconsulti e sparuti.

Quelli più veri, in fin dei conti.

 

 

Mai, mai prima, in vita sua, si era sentito così.

Profondamente incerto.

 

Completamente incapace.

 

Ed odiò quel ragazzo dai capelli rossi, che lo costringeva ogni notte a pensare a lui, ad un modo, uno qualsiasi, per fare qualcosa.

E non poteva crederci lui per primo, ma voleva, doveva fare qualcosa per lui.

 

Dallo stesso istante in cui, in quel soffuso salotto, con quell’indovina misteriosa -che tutto sapeva di loro e che, con voce rotta, raccontava una storia passata di immenso dolore, in quegli istanti in cui lo aveva visto tremare, accanto a sé- aveva sentito qualcosa di indefinito soggiogarlo.

 

Ed aveva lottato, per capire.

Ma niente.

 

Così aveva preferito rimanere in silenzio.

 

Perché?

 

Perché sentiva che la sua colpa fosse pesante, quel giorno?

 

 

 

 

Era dunque così tanto grave non saper abbracciare?

 

 

Lo chiese a sé e alla luna, che enorme nel cielo lo guardava, in modo strano.

 

 

Il giorno seguente, Hanamichi non si presentò affatto agli allenamenti.

Seguì solo le lezioni e non parlò con nessuno.

Yohei ancora lo seguiva sospirando.

 

Il pomeriggio trovò il tensai ancora in quel piccolo campetto scoperto per caso.

Anche se di tensai, oramai, non si sentiva più nulla addosso.

La sua eterna allegria lo aveva abbandonato.

 

Il pensare ed il soffrire avevano lacerato oramai i sottili laccetti di cuoio che reggevano sul suo bel viso un’eterna maschera allegra.  

 

Era caduta e si era infranta.

La colla dei suoi tentativi maldestri di calmarsi non era più sufficiente a ripararla.

 

Ed i giorni passavano e lui sudava in quel campetto isolato, senza amici.

E senza volerli.

 

Perché?

Perché, quel maledetto giorno, quella maledetta indovina li aveva fermati?

 

Odiava profondamente ed intensamente chi raccontava i propri dolori agli altri, solo per sentirsi mettere una mano sulla spalla.

Uomini deboli.

Ecco chi erano, quelli che amavano farsi commiserare.

E lui debole non lo era mai stato.

Non se lo era mai potuto permettere.

 

Il ruolo del ‘fratello maggiore’ di tutti lo aveva scelto lui, dopotutto.

 

Perché adesso se ne doveva lamentare?

 

Rimaneva solo il sapore acre della delusione, dell’aver creduto, sperato soltanto che le persone che aveva scelto come compagni non fossero ipocrite come tutte le altre.

 

Buone a sorridere gentilmente solo dopo, molto, molto dopo.

 

Prima, quando non sapevano, ogni ritardo agli allenamenti era sempre stato punito con un pugno del capitano.

Ogni volta che aveva pregato Ayako di risparmiargli i fondamentali, le sue parole erano state udite dai muri, ma da lei no.

Ogni volta che sbagliava, a turno Ryota e Mitsui si erano sempre sentiti in diritto di farglielo notare.

 

 

Non erano cose belle, né facevano piacere.

Ma a lui andavano bene.

Perché erano sincere.

 

Erano per lui, Hanamichi Sakuragi, matricola dello Shohoku.

Non per Hana, il povero piccolo orfano costretto a lavorare di notte.

 

 

Al povero piccolo orfano, solo sorrisi compiacenti e scuse confuse di una colpa che poi non li doveva nemmeno riguardare.

 

E adesso odiava loro e odiava sé.

Perché non sapeva cos’era giusto fare.

Perché aveva una paura folle che, con il passare del tempo, si sarebbe anche potuto abituare a quei comportamenti, ne avrebbe potuto approfittare fino a rendersi vile e falso, piangendo a comando per suscitare pietà e approvazione.

 

No.

No.

NO.

 

Lanciò con rabbia la palla contro la rete, lasciandola scuotersi a lungo nel silenzio del crepuscolo.

 

 

Scegliere.

 

Perdere gli amici?

Perdere l’orgoglio?

 

 

 

Pianse, giocando anche quella sera, mentre il buio preservava intatta la sua dignità, nascondendo le sue guance.

 

 

 

 

Un lampione solitario decise di accendersi, illuminando i pensieri di Rukawa.

Sentiva che stavano sbagliando.

 

Essere così indulgenti lo allontanava.

 

Lo avrebbero perso.

 

E non voleva.

Doveva ancora capire perché aveva sofferto così tanto, nel non saperlo abbracciare.

 

Strinse forte la ringhiera e sospirò.

Rientrando.

 

 

Frasi crudeli e sguardi cattivi.

 

Ad ognuno dei suoi compagni che lo venivano a cercare.

 

Mito si disse che si erano pericolosamente riavvicinati quei tempi, che lui sperava definitivamente passati, in cui quel ragazzo aveva solo ira dentro e frustrazione e si batteva, notte dopo notte, in risse interminabili ed inutili, mentre i suoi veri nemici ridevano nell’ombra dei vicoli deserti.

 

Vedeva il suo sguardo cambiare lentamente ogni giorno, farsi scuro come il cielo prima degli tsunami.

Vedeva i suoi tratti farsi rigidi, spezzati.

Contrarsi al suono dei suoi respiri nervosi.

 

Non doveva succedere.

Non doveva.

 

 

Mentre, in palestra, ognuno aveva accantonato i propri problemi personali e cercava un po’ di forza in uno spirito di squadra che stava lentamente rinascendo.

 

Anche quella sera, Hanamichi sparì dal mondo per rifugiarsi in quel campetto solitario.

Dopo aver passato il pomeriggio in un girare continuo, e privo di senso per le vie affollate.

Il rumore non lo faceva pensare.

Ed era un bene.

Lo era sempre stato.

 

Un modo qualunque per non impazzire di dolore.

 

 

La notte non era poi così lontana, ma lui continuava a giocare.

Insistendo, sudando, sfiancato, ma alla continua ricerca di una pace, che solo la spossatezza sembrava potergli dare.

 

Improvvisamente, un’ombra attirò i suoi sensi.

La vide passare lì accanto, poi sentì il cigolare della rete.

 

Si fermò.

 

 

La luna illuminò -giusto un istante- gli occhi blu di Rukawa.

 

Hanamichi alzò sorpreso le sopracciglia, ma non fu più di un istante.

Registrò la palla che quella volpe teneva in mano.

E sorrise.

 

Se quella kitsune imbecille voleva il campo, avrebbe dovuto conquistarselo.

 

Rukawa avanzò lentamente, posando a terra la sacca.

Probabilmente, era uscito dagli allentamenti da poco.

 

Il moro si tolse la giacca e si diresse verso il canestro, ignorandolo.

 

Hanamichi lo raggiunse.

 

“Buonasera volpe, non si saluta?”

 

Rukawa lo guardò.

Senza dire niente.

 

“Se vuoi usare il campo, devi guadagnartelo…..è così che si fa, nella vita…..ah, dimenticavo! Forse, nella mia…….nel tuo caso, non saprei……..hai sempre avuto tutto……”

 

Rukawa ignorò ancora i suoi commenti, ma si girò a fronteggiarlo.

 

“Uno one on one?”

 

“No. Una rissa. Mi piacciono di più”

 

E lo colpì.

Così forte da mandarlo a sbattere contro la rete.

 

 

Kaede si asciugò un rivolo di sangue e scattò verso di lui.

 

Hanamichi esultò internamente.

Sentiva le proprie mani desiderare, bramare violenza.

 

Era stanco delle falsità.

Voleva tutto come era sempre stato.

 

Si picchiarono a lungo.

Quasi…ferocemente.

 

Rotolandosi sul cemento gelido.

Strappandosi le maglie e la pelle.

 

Fino a che, ansanti, non si separarono.

 

 

Hanamichi respirò a fondo.

Si sentiva meglio.

 

Come da tanto non succedeva più.

 

Si rialzò.

Con lui Rukawa.

 

Il ragazzo dai capelli neri lo guardò, passandosi un braccio sul viso contuso, detergendosi il sudore.

 

“Cos’ è… adesso vuoi anche lo one on one?” chiese ironico il ragazzo dai capelli rossi

 

“Mi dispiace – aggiunse – non ne ho il tempo, devo andare a lavorare…non posso permettermi di pensare solo a giocare….devo mantenermi…” sibilò con disprezzo

 

Rukawa scosse la testa.

 

Lo immobilizzò con i suoi occhi e disse solo.

 

 

“Tu sei cambiato”

 

Hanamichi sollevò uno sguardo irato su di lui.

 

“E come fai a dirlo? Nemmeno mi conosci……nessuno di voi mi conosce………e guardate quanto poco è bastato per far cambiare voi, invece……...siete… …………..odiosi……..anche tu….sopratutto tu, Rukawa”

 

 

Kaede sgranò un attimo gli occhi e la luna misericordiosa nascose a tutti quello scintillio, di qualcosa di simile al dolore, nelle sue iridi incredibilmente azzurre.

 

Senza sapere perché, non poteva permettergli di odiarlo.

 

 

Lo avvicinò velocemente, quasi spostandosi assieme alle ombre della notte, e lo afferrò per il colletto.

 

 

“Tu sei cambiato ….non avevi mai odiato, prima……e comunque non sai farlo per bene, nemmeno adesso….”

 

 

Così dicendo, lo portò verso di sé, tirandolo furiosamente e si appropriò delle sue labbra.

Stringendo il pugno sulla stoffa, tenendolo unito a sé, violò ripetutamente la sua bocca dolce, con desiderio.

Leccando il suo sensuale sapore, continuamente.

 

Hanamichi trovò infine la forza di strapparsi da quella ‘violenza’.

E lo guardò con stupore.

 

 

Indietreggiò confusamente.

Prese la propria roba e se ne andò, correndo.

Rukawa raccolse il pallone abbandonato e si diresse verso casa, a meditare in silenzio, ancora davanti alla luna.

Hanamichi corse per i vicoli e le strade vuote.

Il freddo leggero non lo raggiungeva ed i brividi sul suo corpo non erano per la maglia corta che indossava.

 

Li sentiva partire da dentro, da un posto imprecisato sul petto.

 

Corse fino a restare senza respiro, salì le scale del suo appartamento e si chiuse la porta dietro, sbattendola e lasciandovisi andare contro.

 

Cos’era successo?

Cos’era stato?

 

 

Perché?

Perché un attimo dopo (o forse mentre) quel ragazzo lo baciava, aveva sentito l’ira arrestarsi nella sua corsa folle dentro le vene?

 

Un improvviso, quanto tiepido, senso di ………………………………..pace?

Farsi strada sotto la sua pelle, fino alla sua mente?

 

Lo aveva sentito veramente?

 

Non era stato per la rissa, che aveva permesso al suo corpo di sfogarsi?

 

Ma sì.

Ma sì.

 

Era stata la rissa.

Solo quella.

Cosa avrebbe mai dovuto provare per un altro uomo?

Anzi, la vergogna ora si mostrava a lui, nuda.

 

Si pulì la bocca con il dorso della mano, diverse volte.

E giurò vendetta.

 

Decise che, solo la sera dopo, sarebbe andato a prendersela.

 

 

***

Pensate forse che tutto ciò sia così strano?

 

Si odia e si ama.

E non si sa mai perché.

Come si vive e si muore e non si sa ugualmente perché.

 

Ne ho viste tante di persone.

Così tante.

 

Molte, così avvolte su sé stesse da non riuscire a capire dove cominciassero e dove finissero.

Molte, deboli e sole, circondante, ma sole dentro, al posto del cuore un buco nero di quelli che fanno paura alle stelle con cui parlo.

 

Altri che amano d’improvviso, quasi.

O da sempre.

 

Dipende dai punti di vista.

 

Dipende da cosa vuol dire ‘d’improvviso’ e cosa vuol dire ‘sempre’.

 

E chi lo stabilisce?

 

Non lo so io.

Non lo sai tu.

 

Non lo sanno loro.

Che sono solo due.

 

Due così.

 

 

Due.

 

 

***

 

 

 

 

Kaede si sentiva d’amare.

 

Possibile?

 

Non lo chiese alla luna quella sera.

Non lo chiese alle stelle.

Non lo chiese al vento freddo.

 

 

Lo chiese a sé.

 

La prima volta s’ignorò.

La seconda volta, si mentì.

 

La terza cominciò a cedere, a sussurrarsi giustificazioni, dalla mente al cuore e viceversa.

 

Infine rientrò in casa, dicendosi che amava.

Solo dopo aver rischiato seriamente di congelarsi.

 

 

Il giorno dopo, Hanamichi non si presentò affatto.

Passò le ore di luce a camminare e lavorare.

Aveva ristabilito turni pomeridiani, appena serali.

Aveva la notte libera, per farla pagare a quella volpe.

Maglia larga per non avere impedimenti nel massacrarlo, pantaloni neri per non lasciare che si vedesse su di sé il sangue che gli avrebbe fatto versare.

 

Si diresse a casa sua, furente.

 

Cercando di arrabbiarsi ancora di più.

Pensando ad ogni singola umiliazione, passata e presente.

Avrebbe saldato i conti, una volta per tutte.

 

Raggiunse la sua bella casa, sputando con disprezzo a terra, davanti al cancello e suonò violentemente il campanello.

 

 

Il ragazzo dai capelli neri lo vide scostando una tenda verdeacqua e gli aprì.

 

Sulla soglia, Hanamichi lo strattonò fino a riuscire ad entrare.

 

“Volpe, sono qui per ieri sera…” minacciò

 

“Pensavo fossi qui per scusarti…..” rispose vago Rukawa

 

“Che cosa? Di’ un po’… hai sbattuto contro uno degli angoli del tavolo, camminando a quattro zampe?”

 

“Che cosa vuoi?”

 

“Voglio picchiarti” rispose deciso e furente Hanamichi

 

Kaede rimase impassibile.

 

“E poi?”

 

“Cosa?”

 

“Poi, cosa vuoi?”

 

“Raddrizza quelle orecchie storte ….voglio picchiarti e poi voglio andarmene a casa a dormire……..merito di riposare…fra un lavoro e l’altro…….”

 

Rukawa sbuffò sprezzante.

 

 

“Ma ti senti?”

 

“Ehi, vuoi che cominci subito?”

 

“Sono qui, avanti”

 

 

Hanamichi ridusse gli occhi a due polle di luminosa ira e lo attaccò, sbattendolo al muro.

Cercando di incutere timore in quegli oceani di pace.

 

Strinse i denti davanti al suo viso, caricando un pugno o una testata.

 

Kaede si sporse e lo baciò.

 

 

Il ragazzo dai capelli rossi si allontanò come bruciato.

Improvvisamente blandito.

 

 

“Perché…..anche ieri……………………..p.perchè fai così?”

 

 

Rukawa non sorrise.

Lo avvicinò di nuovo, trapassandolo con gli occhi di un blu acuminato.

 

“Perché non mi piace come sei diventato……devo riportarti indietro……….”

 

“Che cazzo stai dicendo??? Sei impazzito??”

 

“No…tu sei impazzito……….vedi di calmarti….” lo afferrò e lo baciò di nuovo

 

Hanamichi lo spinse via, pulendosi la bocca.

 

 

“Do’hao” lo apostrofò calmo Kaede

 

 

Il ragazzo dai capelli rossi sentì il riflesso di un sorriso tentare di abbozzarsi, ma lo represse duramente.

 

“Com’è ….hai mandato a farsi fottere la tua inutile pietà e hai deciso di tornare alle gentilezze di una volta?”

 

 

Rukawa scosse la testa, quasi paziente.

 

“Non potevo chiamarti con un nome, che non era più il tuo…”

 

“Porca puttana, parla chiaramente!!!”

 

“Vuoi la verità?”domandò penetrante Kaede

 

 

Hanamichi si sentì di rischiare, ma era un uomo, doveva accettare.

 

Annuì deciso.

 

Rukawa lo spinse violentemente contro la parete dell’ingresso, infilandogli prepotentemente entrambe le mani fra i morbidi capelli.

Poi raddolcì i movimenti.

 

“Tu non eri più il do’hao…..perchè il do’hao che conoscevo io era sì un po’ triste e strano, ma non era cattivo…..e nemmeno così tanto do’hao…….per questo, non potevo più chiamarti così……eri un’altra persona……..che ho odiato……..adesso rivoglio indietro l’altro do’hao…………………..

………….quello che amavo”

 

 

 

Ed a tradimento lo baciò ancora.

Dolcemente, fino a fargli tremare le membra e cedere quasi sulle ginocchia.

 

 

Hanamichi tentò di liberarsi.

 

“Che cosa ne sai di quello che ero e di quello che sono?? CHE COSA NE SAI DI ME???? Tu non sai niente di nessuno, sai solo di te e di quanto sei sempre stato egoista…….come ti permett…………”

 

Kaede gli chiuse nuovamente le labbra, piegandole con le proprie al volere dei desideri sensuali.

 

Lo strinse forte e gli disse.

 

 

 

 

“Sento di amarti”

 

 

 

 

Quei baci.

Quei maledetti baci sembravano togliergli ogni forza e ogni rabbia.

 

Come li odiava.

Quanto odiava lui, poi.

 

Che glieli strappava così impudentemente.

 

Se non lo avesse potuto fermare, glielo avrebbe almeno fatto sapere.

  

“Quanto ti odio” sibilò, con gli occhi umidi

 

Rukawa gli accarezzò gentilmente le braccia e lo baciò ancora ed ancora.

 

Rispondendogli, Hanamichi ebbe solo il tempo di mormorargli in bocca che lo odiava.

 

 

Stesi sulle scale, Kaede lo teneva fra le braccia torturandolo con continue sevizie sulle labbra e sul collo.

Le mani sotto la maglia larga.

 

Mentre si sentiva ripetere in faccia il suo odio.

 

“Ti detesto, non mi toccare”

 

Ed inarcava il corpo per farsi invece raggiungere, invitante.

 

Kaede passò attentamente la lingua sulle vene che poteva vedere, accarezzandole, succhiando il loro piccolo rigonfiamento, regalando brividi e spasmi.

 

“Ti odio”

 

Fra un gemito e una stretta.

 

Spogliandolo della maglia, cominciando a tirarlo su, per ogni gradino, con fatica e molti baci.

 

 

“Smettila, io ti odio” sperando di fermarlo, di ferirlo almeno

 

Ma Hanamichi sentì solo le sue mani che lo sollevavano per la schiena, facendolo arcuare sui gradini e che così offrivano, a quella bocca crudele, i suoi capezzoli da mordere e baciare.

 

Un bacio, su ognuno di essi.

 

Le labbra di Kaede erano abbastanza grandi da coprirli completamente, uno per volta, eccitandolo.

 

Chiuse gli occhi, perso nei brividi violenti.

Agitandosi.

 

Quando tutto il suo petto fu lucido di saliva e sudore, Kaede si ritenne soddisfatto e, facendosi sputare in viso un altro ‘ti odio’, salì su con lui.

 

Lo sbatté su ogni muro libero, fino alla sua stanza.

Accarezzandolo senza lasciarlo mai, fermando la sua ira, lasciandolo mugolare piano e strusciarsi.

 

“Ti odio” e si baciavano con passione

“Ti odio” e si stringevano contro ogni parete di quella casa

 

Lo gettò sul letto assieme a sé.

 

Si liberò della maglia sottile che aveva e spinse le mani curiose sotto i suoi jeans scuri.

 

Seguì con passione ogni curva, dai fianchi ai glutei, fino alle cosce e abbassò pian piano i suoi pantaloni, sfilandoli poi dalle caviglie.

 

Sorrise, adesso che lo aveva nudo sotto di sé.

 

 

“Ti odio profondamente” sentì nel silenzio

 

 

Aveva ancora fiato da sprecare?

 

Scese rapido sulla sua intimità e la racchiuse fra le labbra.

Interamente.

 

Hanamichi si sollevò quasi, di scatto, urlando di piacere.

 

Kaede lo lasciò a contorcersi e liberò le proprie labbra, per salire con loro ad ammirare i suoi occhi infiammati.

 

Gli aprì la bocca umida con il pollice, tirando su un labbro, accarezzando la lingua, creò un varco e lo espugnò con violenza, reclinandogli indietro la testa sui cuscini morbidi.

Hanamichi ansimò, sopraffatto.

 

Poi puntò le braccia contro di lui e lo spinse via, guardando la luna che colorava d’argento il filo di saliva che univa ancora le loro bocche.

Tentò di pulirsi con il dorso della mano, ma sentì uno schiaffo leggero raggiungerlo.

 

“Non osare, do’hao” lo rimproverò Kaede “Una volta ti perdono ..due no”

 

Hanamichi lo fissò con irata debolezza.

Ma non lo colpì, non ne aveva la forza.

 

Non aveva la volontà di trovare la forza.

 

Lo vide spogliarsi completamente.

 

La sua mente che non ragionava più, da quanto aveva avvertito la pelle bruciante dell’eccitazione del suo compagno strusciarsi sul suo ventre, mentre l’altro si stendeva sul suo corpo ambrato.

 

“Ah……….ti odio, ti odio Rukawa……….” sussurrò Hanamichi, stringendogli la vita ed i fianchi

 

Kaede soffocò ancora la rivolta della sua lingua e gli accarezzò il corpo con il membro teso.

Le cosce, la vita, l’ombelico.

Tentando di affondarvi quasi dentro.

Il petto, senza mai arrivare più in alto.

 

Sentendolo, lui dagli occhi di fiamma gettò indietro la testa e mugolò un insulto, assieme ad un altro ‘ti odio’.

 

Il ragazzo dai capelli neri lo accarezzò con foga, poi dolcemente.

Gli afferrava il viso per farsi baciare la gola e poi gli mordeva la pelle, fra la spalla ed il collo, esattamente quella striscia che poi scende sulle clavicole.

 

Si bagnò le dita e cercò la linea stretta dei suoi glutei.

 

Lo violò appena.

 

Sentendosi invadere dalle sue falangi, Hanamichi sussultò, gridando.

 

“AH!! Smetti di toccarmi, io ti odio e basta, TI ODIO!!”

 

E lo stringeva a sé, con le mani e con i muscoli contratti della sua piccola apertura.

 

Kaede gli coprì le labbra con le proprie, preparandolo.

Ascoltando, nel silenzio, solo il rumore sordo delle sue dita che entravano e uscivano.

 

Eccitandosi.

 

“Ti odio…..ti odio…lasciami……non….mettermi le dita….dentro…………………” 

 

Kaede spinse a fondo, mentre gli lambiva un fianco con la lingua.

Spostandosi contro di lui, leccò il suo sesso, ma poco.

 

Non voleva raggiungesse il piacere prima o lo avrebbe avuto quando era incosciente.

Smise di giocare e lo spinse contro di sé, scivolando con le dita fuori da lui.

Un mugolio di protesta si fuse con un altro insulto.

 

 

Kaede prese le sue cosce fra le mani e le separò con cura, creandosi uno spazio, un’alcova dove posarsi con piacere.

Hanamichi aprì i suoi occhi screziati a guardare su di sé quel ragazzo dal respiro veloce.

 

Lo guardò con sfida.

 

 

“Pensi che te lo lascerò fare?” sussurrò senza forze, le mani abbandonate lungo i fianchi

 

 

“Oh sì…me lo stai già lasciando fare…..lo senti come entro?”

 

Hanamichi inarcò la schiena così lentamente da sollevarsi di poco, ad ogni centimetro che sentiva entrare.

Gli occhi definitivamente bagnati.

Il respiro che si velocizzava.

 

 

“Ti scivolo….dentro…senza ostacoli……ah………tu non vuoi fermarmi….altrimenti...altrimenti il tuo corpo non sarebbe ……..così…ah.aperto…e così nemmeno….le tue gambe……………………………….mh…fermo adesso…potrei farti male….”

 

 

Hanamichi rispose.

Un sussurro bassissimo, mentre si arcuava fino allo spasmo su quel letto già umido, guardandolo con due lame d’oro.

 

 

“……………………ti odio……………………..”

 

 

E gridò.

 

Di dolore e di pienezza.

 

 

Kaede fu gentile con lui, tenero.

Attese a lungo, senza lasciarsi convincere dai suoi insulti a prenderlo con una prima spinta violenta e dolorosa.

 

Lo baciò ancora, bagnandogli il viso con una pioggia di piccoli sfioramenti delicati.

In cambio si sentì dire ancora che lui lo odiava, con tutto sé stesso.

 

 

Dopo poco, iniziò a prenderlo.

Con cura.

 

Scavando dentro di lui una strada fatta di molto piacere.

 

Hanamichi si agitava continuamente, girando la testa alla ricerca di aria.

I cuscini stessi gli sembravano braci ardenti, mentre quel sesso rigido in sé era lava.

 

 

Chiuse gli occhi e gridò forte.

 

Di piacere.

 

Amava tutto quello.

Amava improvvisamente sentirsi così.

 

 

Pieno di lui.

 

Amava quel piacere.

 

 

Ma odiava lui.

 

 

“…………ahn …ti odio , ti odio ……….fermo…….fermati……..ah..”

 

 

Kaede lo possedé lentamente.

Assaporandolo in tutto il suo corpo.

 

 

Poi si lasciò alla passione violenta.

 

Spinse con ogni forza in lui e lo guardò sollevarsi e stringere le lenzuola e stringergli le spalle.

 

 

“…………..DIO…!!…DIO………TI ODIO COSI’ TANTO……………..TI ODIOOO……………..AAH…..AAAH………”

 

 

Perso e dannato in quel piacere.

Stringendo la sua schiena, stringendosi a lui come unica salvezza.

 

Continuando a gridare sempre più forte, fino a che non lo sentì riversarsi in sé.

 

Lo accolse con gioia.

 

Quel liquido fresco che riempiva la sua pelle ustionata dallo sfregamento.

Lo fece urlare.

 

Cercò istintivamente le sue labbra con prepotenza e allacciò i corpi per non sparire senza di lui.

 

Kaede strinse la sua carne dura e lo portò infine all’orgasmo.

 

 

Con un rantolo ancora eccitato Hanamichi si lasciò andare sul letto.

 

 

Assieme al ragazzo che aveva rubato il suo primo bacio e la sua verginità perché sentiva di amarlo.

 

E lo guardò, quel ragazzo.

Schiuse gli occhi con fatica e lo guardò.

 

E si vide fissare a sua volta.

 

 

Kaede allungò le dita e gli accarezzò qualche filo rosso e la guancia.

 

“Dimmi qualcosa”

 

 

Hanamichi lo osservò ancora, ma più attentamente.

 

I suoi occhi nocciola scuro, adesso, sembravano sforzarsi di dire……‘cosa potrei dirti se non…..’

 

 

 

 

“Ti odio ancora”

 

 

 

Kaede chiuse gli occhi e lo avvicinò a sé.

 

 

“Non te ne andare, domani mattina, devo parlarti” sussurrò direttamente nel suo orecchio e lì vicino si addormentò, assieme a lui

 

 

 

 

 

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Questo viaggio è stato difficile

Bello e difficile

Ha riaperto tutte le mie ferite

Ed ora, senza dimenticare niente, vado avanti, la notte, da solo

Mi tornano vivide e forti le scene che non ho mai potuto dimenticare

Solo alcune rimaste lì

 

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Lui si svegliò, sentendo qualcuno accanto.

Sì, ricordava.

 

Rimase in silenzio.

Immobile.

 

 

Kaede aprì gli occhi, lentamente.

Con qualcosa di simile alla confusione e alla dolcezza, mescolate assieme, si mise ad osservare la schiena ampia e bella di Hanamichi che riposava ancora.

 

Si mosse leggermente, sbadigliando piano.

 

Il ragazzo dai capelli rossi si girò allora, sempre ad occhi chiusi.

 

Kaede allungò una mano per sfiorargli il volto, ma si ritrovò prigioniero del suo sguardo.

 

Li aveva aperti così velocemente, quegli occhi, che era impossibile credere si fosse svegliato in quel momento.

 

 

Allora, aveva ascoltato la sua richiesta di non andarsene...

 

Si ritrovò a sorridere quasi.

 

Ma Hanamichi non si lasciò avvicinare.

 

 

“Parla….cosa devi dirmi?”

 

 

Kaede si accostò a lui ugualmente.

 

 

“Innanzitutto, buongiorno do’hao” mormorò, baciandogli teneramente una guancia

 

 

Lui dagli occhi nocciola lo lasciò fare, ma si irrigidì lievemente.

 

“…….tsk…‘giorno volpe”

 

 

“Stai bene?”

 

Hanamichi lo guardò senza poter evitare un’espressione interrogativa sul bel viso volitivo.

 

Kaede lo accostò a sé, accarezzandogli il ventre con una mano.

Lo sguardo serio e sereno.

 

“Tutto a posto? Non senti dolore?” chiese, in un sussurro

 

Hanamichi arrossì debolmente, intuendo i significati delle sue carezze.

 

Si spostò velocemente e mugolò un sì.

 

Kaede sorrise tra sé.

 

Lo raggiunse sollevandosi su un gomito e gli pulì la fronte dai fili scarmigliati che la ornavano disordinatamente.

 

“Dormito bene?”

 

“Mh…..”

 

 

Kaede ridacchiò piano piano.

 

Hanamichi si volse all’inconsueto suono.

I suoi occhi dorati chiedevano ‘Cosa c’è?’

 

 

“Mi hai riempito di calci, stanotte” spiegò, a bassa voce, il ragazzo moro

 

 

Hanamichi si voltò verso di lui, sul viso un’espressione che doveva essere di minaccia.

 

 

“Avrei dovuto riempirti di testate ieri sera”

 

 

Kaede tirò fuori la sua inesistente, dolce pazienza.

Scoprendola per la prima volta, anche davanti a sé stesso.

 

 

“Ma non lo hai fatto….e lo sai perché?”

 

 

Hanamichi sembrò pensarci.

Steso in quel letto con lui, vicini, intimi, come non lo erano mai stati.

 

 

“Non lo so….ancora non lo so……..”

 

 

“Quante sono le cose che non sai?”

 

“Tante, troppe”

 

“Capisco” e scorse il lucore intenso di una lacrima fra le ciglia

 

“Su, vieni qui” mormorò Kaede abbracciandolo

 

Con facilità, infilava le mani dietro la sua schiena e lo tirava a sé.

Come se non avesse fatto altro nella vita che abbracciarlo.

 

Hanamichi tentò di liberasi di lui.

 

 

“Fermo…..ehi…..fermo…..” mormorò Kaede

 

Lo strinse forte contro il proprio petto, con le sue braccia lunghe e bianche.

 

Hanamichi ancora non si calmava. 

Kaede lo raggiunse ad un orecchio e gli soffiò dentro.

 

 

“Ssssh…….lascia che ti abbracci…………l’ho imparato da così poco…………”

 

 

E riflettendo su quelle parole, Hanamichi accettò la sua vicinanza.

 

“E…e quando hai imparato?”chiese poi

 

Kaede rispose piano.

 

 

“Stanotte, con te” vergognandosene quasi

 

“Mh…..” e non disse altro, mentre Kaede proseguiva

 

 

“Mi dispiace molto non averlo saputo fare prima……..quella sera, in cui abbiamo scoperto la verità su di te ed io ti vedevo tremare al mio fianco………….mi dispiace …………..per tutto quello”

 

“Perché ti dovrebbe dispiacere?” chiese con astio, muovendosi per sistemarsi meglio sul suo petto

 

“Perché ero incapace di consolarti come avrei voluto”

 

“E perché avresti voluto consolarmi, tu, volpe?”

 

“Mi sembrava di avertelo detto ieri, mentre ti baciavo”

 

“Non ricordo…..c’era troppo caldo…”mentì a metà Hanamichi

 

Kaede rise, donandogli una stretta.

 

“Sento di amarti, ma non farmelo ripetere più”

 

“Ed io?”

 

“Tu cosa?”

 

“Io che dovrei farci, se tu mi ami?”

 

“Ricambiare….so che lo vuoi……in fin dei conti…ieri noi….”

 

Hanamichi s’infuriò spingendolo lontano, rompendo l’abbraccio.

 

“TU NON SAI NIENTE DI QUELLO CHE IO VOGLIO!! COME TI PERMETTI? IL SOLO FATTO CHE MI SIA LASCIATO SCOPARE DA TE NON SIGNIFICA NIENTE, E’ CHIARO?”

 

E fece per alzarsi ed andarsene.

 

Ma Kaede lo fermò, gettandolo sotto di sé, sul letto.

 

“INVECE SIGNIFICA MOLTO, MOLTISSIMO..PERCHE’, SE ANCHE TU VENISSI A DIRMI CHE LO LASCERESTI FARE A CHIUNQUE, IO NON TI CREDEREI!!!”

 

Rispose gridando.

La voce limpida, forte.

 

“MA COSA VUOI CHE MI IMPORTI DI QUELLO CHE CREDI TU, EH?”

 

“ALLORA DIMMI DI COSA TI IMPORTA…..AVANTI, DIMMELO TU, ADESSO!!”

 

Gridavano furiosi, entrambi.

 

 

“PERCHE’? PERCHE’ DOVREI VENIRE A DIRLO A TE?”

 

 

“PERCHE’ SAI CHE TI AMO…..CHE SOLO IO TI AMO… ADESSO    DA PRIMA     DA SEMPRE!!”

 

 

La gola gli bruciava.

Improvvisamente ricordò le parole di quella donna.

L’ indovina aveva predetto che lui, un giorno non lontano, avrebbe gridato d’amore.

 

Adesso.

 

Adesso stava gridando.

 

 Ed aveva come motivo solo quel sentimento che gli scoppiava nel petto.

 

 Strinse dunque le mani sulle sue braccia, lo guardò negli occhi felice di poter urlare il suo amore.

Era così liberatorio….

 

“AVANTI! DIMMI COSA VUOI , ADESSO, PARLA HANAMICHI, PARLAMI E DIMMI COSA VUOI!!”

 

 

Lui volse lo sguardo, la testa.

 

“AVANTI!! DIMMELO ADESSO, QUELLO CHE VUOI IN QUESTA VITA E VEDRAI SE NON SAPRO’ ACCONTENTARTI…..”

 

Hanamichi chiuse gli occhi, stringendoli forte.

 

“HANAMICHI!”

 

E lui dai capelli di fuoco cominciò a piangere.

Piano.

In lievi singhiozzi che non era riuscito a trattenere.

Proprio come quel giorno.

In quella tenda piena di veli.

 

 

 

“Io………………………..io……..cosa voglio? – la voce rotta, spezzata e difficile – io….voglio solo…un po’ di calma e…….di felicità………….

………………………………………………………………………………….solo un po’ di felicità, Rukawa”

 

 

Poi scoppiò in lacrime, coprendosi il viso con le mani.

Singhiozzando convulsamente.

 

 

 

 

 

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E tento nei miei giorni, nei miei anni di

Ricucire i brandelli

Ma il filo di seta delle mie illusioni

L’unico che posso usare

E’ troppo fragile

E continua a rompersi

Se devo ricominciare sempre da capo

Vorrei che una volta fosse davvero tutto

Da ricominciare…

 

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E Kaede lo abbracciò forte, fin quasi a soffocarlo.

Sentendolo come si aggrappava disperatamente alla sua schiena.

 

Lo strinse ancora.

 

Solo loro, in quel letto.

Così stretti, da sembrare uno.

 

Mentre Hanamichi piangeva e buttava fuori di sé il dolore e la rabbia.

Cercando di parlare, dicendo solo frasi spezzate e senza senso.

 

 

“Ti renderò felice io……ti renderò felice io, do’hao………….”

 

Ripeteva quel ragazzo dagli occhi chiari.

E convinceva sé e lui.

 

Fino a che le lacrime bollenti non si asciugarono.

 

 

Ed Hanamichi tornò a respirare normalmente.

 

Allora Kaede iniziò a parlare.

 

 

“Ieri, mi hai detto che mi odiavi, in ogni istante me lo hai ripetuto, persino mentre….ti possedevo….”

 

“L’ho detto perché …perché era vero” sbottò lui, incurante del proprio rossore

 

“Smetti di dire stupidaggini, do’hao”

 

Hanamichi lo strinse.

 

“Ma è vero…” borbottò

 

Kaede gli accarezzò la schiena, rafforzando la presa sulla sua vita.

 

“Ssssh ….non è odiarmi, quello che vuoi …..”

 

“…..”

 

“..e non è nemmeno l’Akagi, quello che vuoi …….”

 

“E cos’è che voglio, volpe?”

 

“Tsk, non mi hai fatto parlare finora, era quello che dovevo dirti….adesso ascolta e zitto, do’hao…..”

 

Silenzio, mentre il ragazzo dai capelli rossi sistemava meglio le proprie braccia attorno al suo collo bianco.

 

 

Bisbigli sommessi.

Kaede si sentiva la gola in fiamme, ma continuò a parlare per lui, a spiegargli il sogno che aveva fatto, per loro.

Sussurrando.

 

 

“Io lo so, quello che vuoi …………..una persona….che valga come una famiglia, per te…..con cui vivere, con cui mangiare, con cui parlare di tutti i colori meravigliosi che hai dentro, da prendere per mano e camminare, da guardare negli occhi e sentire che ti vuole bene anche senza dire niente, con cui dormire e sbadigliare e abbracciarsi e guardare la tv stesi nel salotto, con cui lamentarsi di dover studiare e di dover andare a scuola, con cui fissare la sveglia e tirarla nel muro la mattina dopo, con cui litigare per la cena o per il bagno o per la spazzatura da portare fuori………….qualcuno che stia sempre con te …anche quando non c’ è…………..qualcuno che ti ami …….”

 

Hanamichi lo fissò con i suoi occhi grandi e meravigliati e di nuovo liquidi.

 

“Mi piace quello che ….dici….vai avanti….” sussurrò, con un filo di voce

 

Kaede sorrise e continuò.

 

“E vuoi qualcuno accanto, perché sei stato troppo solo dentro………e vuoi un po’ di felicità, perché la meriti……..e nemmeno solo un po’…tutta la felicità che ci può essere………….nel litigare per le vacanze da scegliere e poi fermarsi con un bacio, nel fare gli stessi pensieri e sorriderne assieme, nel guardare la pioggia fuori e mettersi al riparo nel letto, in due……….e nel fare l’amore………..tutte le notti …a lungo…..per morire nel piacere e rinascere, poi, la mattina dopo in un abbraccio………………………………………………….ti piace quello che vedo adesso, do’hao? E’ quello che vuoi ? Rispondi”

 

Hanamichi annuì piano, dolcemente.

 

“E allora, cosa vuoi fare? Smettere di piangere e tornare il mio do’hao o rifiutare questo bel futuro che vedo per te?”

 

Hanamichi non disse niente.

Si strinse ancora a lui, prendendo tempo per riflettere.

 

Kaede capì ed attese.

 

Accarezzandogli la pelle ed i capelli, gli occhi che piangevano e le labbra dolci.

 

Nuvole rapide passavano nel cielo, dietro la tenda.

Nel rosa della mattina.

 

Hanamichi si passò il dorso delle dita sugli occhi e poi alzò la testa.

Deciso.

 

“E tu la conosci la persona che potrebbe avere questo futuro con me?”

 

Kaede rise piano.

 

“Anche tu la conosci….. basta non ostinarsi ad odiarla, quella persona”

 

Hanamichi strinse le mani su di lui.

 

Kaede gli accarezzò il viso ed i fili rossi sulla testa, ipnoticamente, guardandolo, sussurrando.

 

“Sai, lo hai ripetuto fino ad addormentarti, che mi odiavi ……così a lungo che stamani mi sono svegliato credendo fosse vero…….…….”

 

 

“…….io.. non intendevo proprio quello…..”

 

“Non che io badi a certe sottigliezze, do’hao …..però, vedi…..se mi dici ‘ti amo’ così…..è ovvio che mi vengano dei dubbi, no?”

 

Hanamichi rise.

 

“Solo perché hai poca fede, volpe!”

 

“..‘hao”

 

 

 

 

“Allora?”

 

“Allora cosa, volpe?”

 

“Cosa mi rispondi……lo vuoi comprare questo futuro stra-felice?”

 

“Quanto costa? Lo sai che non ho molti soldi…..”

 

“Vediamo…..innanzitutto, torni ad essere il solito do’hao allegro….levati quell’aria truce…..è di mia proprietà…..poi, direi che dieci minuti di scuse, con tutti in palestra possano bastare………….e poi………..”

 

“Poi ?” chiese curioso lui dagli occhi di fiamma

 

 

L’ira lontana.

Non ricordava nemmeno più come fosse sentirsela correre dentro.

Rukawa l’aveva cacciata, cancellata per lui.

Perché rivoleva indietro il suo do’hao da amare.

 

Da amare.

 

Qualcuno, di vivo, che lo amasse.

Per tutto quello che era.

 

Esisteva ancora.

 

 

“Poi vedremo…giorno per giorno…notte per notte, cosa puoi pagarmi…….ok?”

 

“Sei una volpe esosa……”

 

Kaede si tirò a sedere con lui.

Guardandolo.

 

 

“Avanti ….sorridimi da do’hao e fammi capire che sei tornato tu….”

 

Hanamichi lo fissò contrariato, poi sorrise.

Incerto prima, solare poi.

 

Come solo lui sapeva sorridere.

 

Kaede gli incorniciò il viso.

Loro, in un mare di lenzuola e coperte bianco perla.

 

“Adesso, dimmi che mi vuoi bene”

 

Hanamichi sorrise.

 

 

 

“Ti odio, stupida volpe”

 

 

 

Fu tutto quello che disse.

 

 

 

 

 

 

 

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Se devo ricominciare sempre tutto da capo

Vorrei che una volta fosse davvero tutto….

Da ricominciare………..

Una vita intera…..

Chiedo troppo?

 

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I ragazzi si allenavano silenziosamente.

Kaede, tra loro, che scrutava ostinatamente la porta.

 

Ayako si guardava attorno, osservando ognuno di loro.

 

E adesso, non avevano più bisogno di uscire assieme.

Non avevano più bisogno di competere, di voler primeggiare, di essere ostili.

 

Avevano capito che, tutti i loro problemi non erano niente, in confronto a quello che Hanamichi aveva passato e stava passando.

 

Ayako scrollò le spalle mesta.

Era vero.

 

Basta guardarsi intorno, per capire che non si è soli e che c’è almeno un sacco di gente, che sta sempre peggio di te.

 

E’ un pensiero che aiuta ad avere un concetto equilibrato delle proprie sventure, se paragonate ad altre, no?

 

Era solo immensamente triste perché, nonostante avesse scoperto che anche un loro caro compagno era fra queste sfortunate persone, non aveva potuto fare niente per lui, se non ottenere la sua giustificata ira.

 

Adesso, erano quasi uniti.

Mancava solo lui.

 

 

Centrando un canestro perfetto, Kaede mormorò –apparentemente con incoerenza-

 

“Ti decidi ad entrare…?” 

 

 

Hanamichi s’infilò piano in palestra.

Nessuno lo guardò.

Kaede gli annuì deciso.

 

E lui chiamò tutti.

 

E s’inchinò.

Scusandosi.

 

Ed i suoi occhi erano tornati due stelle morbide, che nulla avevano di pericoloso, se non la loro infinita bellezza.

 

Abbracciò Ayako con affetto.

Chiedendole perdono.

 

Per ogni singola cattiveria.

 

Chiedendo un pugno al capitano, per tutti gli allenamenti saltati.

 

Giocando con tutti loro, quel pomeriggio infinito.

 

 

Giocando da solo con Rukawa, quella notte, nella casa vuota di Hanamichi.

 

 

Senza potersi ancora sbilanciare troppo, lui dagli occhi grandi disse solo al suo amante sudato e dal respiro ancora veloce.

 

“Sento anch’io di volerti bene”

 

 

Un improvviso silenzio.

Hanamichi sgranò gli occhi.

 

Ricordava.

Ricordava una cosa importante, che era successa in quella tenda.

 

L’opportunità datagli da qualcuno.

 

 

 

“Kaede……io…io avevo già scelto ….il tuo amore….”

 

 

 

“Cosa stai dicendo?”

 

 

“Niente…..niente……………………………..rendimi felice…ti prego……….so davvero che lo puoi fare”

 

 

“Ma certo…..do’hao…e tu, che mi odiavi….” lasciò in sospeso

 

 

“Ti odio ancora baka….ti odierò sempre”

 

 

 

“Si dice ‘ti amo’ , scemo”

 

 

 

“Lo so, stupida volpe”

 

 

 

***

 

E loro adesso dormono.

 

E loro non lo sanno, sai?

 

Non chiederti chi parla adesso, tu che ascolti questa storia.

Hanno parlato in tanti….

 

Sai, che loro non lo sanno?

 

In fin dei conti, ogni notte le ore passano e senza accorgersene scorrono rapidissime, vanno via, mentre siamo incoscienti e sembrano solo pochi minuti.

Il giorno, la nostra vita, ha inizio ogni mattina appena aperti gli occhi…. per interrompersi, poi, ogni sera, quando stanchi li chiudiamo, stendendoci in un letto.

 

Ma non è esattamente così, non lo è per loro.

Loro, che si stendono uno accanto all’altro, loro, che dormono insieme abbracciati, dolcemente innamorati l’uno dell’altro, non lo sanno.

 

Non lo sanno e si arrabbiano.

 

Perché ogni notte, quando chiudono gli occhi pensano, con fastidio, che dormire significhi solo perdere del tempo da passare svegli con quella persona che si ha al fianco, quel ragazzo che -con un bacio- non si è portato via solo la rabbia, ma anche l’anima e tutto il resto……..

 

Ma non è così……

 

In realtà, non è così e lo sa persino la Terra, a cui ho raccontano questa storia tempo fa e che vi ha parlato all’inizio di questo racconto.

 

Loro non lo sanno, ma ogni notte quando dormono il calore e l’amore che provano l’uno per l’altro passa attraverso i loro corpi.

Dall’uno all’altro, incessantemente, in effusioni invisibili e delicate.

Speciali.

 

Passa nei loro sogni, nei sorrisi stupendi che incurvano le loro labbra addormentate, nelle mani che si stringono intrecciate ad ogni singolo dito, sulla pelle dell’altro.

E conservano tutta la loro forza, nel tenerlo legato a sé, e questo non può essere chiamato perdere tempo……..

 

Questo è amarsi credendo di non farlo….così come facevano prima….svegli e lontani l’uno dall’altro…..

…un modo nuovo…e sconosciuto…………

 

…ma è amarsi…………………..

……………….nel sonno e nella veglia……

..incessantemente.

 

 

E la Nera Signora, che ogni tanto mi accompagna passeggiando al mio fianco, non li avrà tanto presto.

 

 

Ma adesso ……….

 

…….sssssh ……..rimani in silenzio, tu che ascolti…………………

                                                                                                                              adesso lasciamoli dormire……

 

 

 

   

***Ultime annotazioni

 

L’indovina senza età, ma con il sorriso, camminava piano per una strada senza importanza.

Vide un uomo e lo riconobbe.

Fu gentile.

E lo invitò a parlare e a vedere.

E lui la guardò e la ricordò.

Parlò poi, quella notte, con la sua stellina.

 

Così, questa storia è arrivata a voi.

 

***

 

 

E l’uomo che viaggia vide la Pietà.

E poi conobbe che portava alla felicità.

 

E tutto ciò gli sembrò bene.

 

E continuò a camminare.

 

Fine…

 

 

Un bacio a tutte.

 

Dedica speciale a Naika, la mia prima, dolce (?) corrispondente.

Ricordo ancora la tua prima mail, tesoro.

L’unica volta che ho avuto gli occhi lucidi per la commozione, giuro!

 

Ero piccola e sola, ma ho trovato te e quello che scrivevi sognando e poi da lì tutto è cominciato.

 

Un piccolo dono per te e la ragazza piena piena di fantasia che sei, ok?

 

Perché anche a me hai tolto un velo dagli occhi.

E mi hai fatto scoprire un mondo nuovo e rosso e nero e pieno di parole che vogliono dire sensazioni.

 

Non lo dimenticare.

Mel

 

Note:

Il titolo dovrebbe significare “Colei che sussurra”

 

Allora so che non è molto facile comprendere tutto il senso di questa cosa…..dunque ognuno si senta libero di darle l’ interpretazione che preferisce, anche credere che l’ indovina sia la Pietà va benissimo,  però a scanso di equivoci comunico che i primi due interventi fra *** sono della Terra mentre gli altri sono del Viaggiatore stesso.

La poesia che intervalla la scena di Ru e Hana  nel letto è di  mia proprietà.

L’ ho usata perché rappresentava bene cosa stava provando e cosa aveva provato dentro Hana.

Era originariamente dedicata ad un mio viaggio a Barcellona.

 

Poi se qualcuno si sente particolarmente curioso può sempre venirmi a chiedere spiegazioni anche riguardo a cosa ha visto Hana in quei veli…ok??^___=

 

 

Naika cerca bene nel prologo ….troverai qualche nome nascosto….^___=

Un bacio al trio a delinquere al quale ho fatto un accenno sempre nel prologo…Ley sei stata così brava da capirlo?Fammelo sapere….^__^

Un ringraziamento Ely, cara, dalla stellina del prologo ^___= tu sai di cosa parlo,vero?

 

Ovviamente la saga del Viaggiatore continuerà.

Ad ogni data significativa per Naika pensavo di aggiungere un capitoletto autoconclusivo.

Spero di riuscire.

Questa prima parte mi ha dato non pochi problemi,perché ho dovuto continuare a scriverla senza sapere assolutamente come sarebbe andata a finire.

 

Ma vi pare il modo?

Sono proprio senza speranza…..ç___*

 

Questa saga è più o meno per lei…….(più o meno perché ci sono loro che vogliono i diritti…--à)

(Questa saga è nostra come tutto il resto, grazie n.d Hana e Ru)

 

 

Per la serie ‘Potevano degenerare’(edizione 2005)

 

“Vediamo…..innanzitutto  torni ad essere il solito do’hao allegro….levati quell’ aria truce…..è di  mia proprietà…..poi direi che dieci minuti di scuse con tutti in palestra possano bastare………tranne che con  l' Akagi..lei hai fatto bene mandarla a farsi fottere...non potrebbe fare altro…..solo che non so chi ne abbia il coraggio ….Mah!!!….E poi………..”


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