Disclaimer: i personaggi di questa fic non sono miei e non solo non ci guadagno niente ad usarli.
Note: Voglio che sia chiara una cosa! Io avevo scartato questa cosa (e soprattutto quello che verrà dopo) ma ho commesso il TERRIBILE errore di raccontarlo comunque a Clanes.
Prendetevela con lei!!


Cronache

parte III

di Naika


Dal Libro delle Arti e dei Misteri
I Segreti del Ghiaccio, del Fuoco, dell’Aria e della Terra.
Paragrafo terzo.

Esistono formule conosciute soltanto dall’estinta stirpe dei mari, segreti suggellati dal silenzio di ere lontane, misteri sepolti dalle sabbie del tempo, racconti divenuti leggenda.
Esse siano dominio e privilegio dei maghi del Nord.
Che essi usino le ore di luce per lo studio degli antichi codici e le ore del buio per le arti arcane.
La loro saggezza cresca nei secoli scivolando attraverso il tempo trasparente e limpida come l’acqua.
Le sirene e gli unicorni sussurrino per i sapienti dei ghiacci le parole necessarie allorché il prodigio si compia.
Non vi sarà confine, ne ostacolo.
Non avrà significato l’impossibile.
L’uomo dimenticherà l’irrealizzabile.

Esistono dolori che squarciano le carni e dilaniano le anime.
Esistono malattie che scivolano sotto la pelle aspirando la vita con bramosia.
Ai figli dell’aria sia data la conoscenza di ogni rimedio.
Ai guaritori alati sia concesso di sanare le ferite, di lenire il dolore.
I grifoni raccoglieranno per loro le erbe medicinali che crescono sui pendii più alti.
Non vi sarà morte, ne agonia.
Non avrà significato il dolore.
L’uomo dimenticherà la sofferenza.

Esistono fiamme in grado di bruciare l’aria e il ghiaccio.
Esistono fuochi capaci di distruggere qualsiasi nemico, di abbattere qualsiasi barriera.
Ai signori del Sud sia data la forza di proteggere il mondo.
Ai loro guerrieri sia nota l’arte della spada e dello scudo.
I draghi saetteranno nel cielo al loro richiamo offrendo il loro fuoco come arma, le loro scaglie come protezione.
Non vi sarà paura, ne nemico.
Non avrà significato il terrore.
L’uomo dimenticherà le guerre.

Esistono enormi lande dal manto verdeggiante.
Esistono frutti dal sapore dolce e animali dalla carne ricca.
Ai protettori della Terra sia data l’intelligenza naturale.
Per i loro allevatori non sia mistero il migrare delle mandrie e della stagioni.
I cervi piegheranno i loro lunghi colli flessuosi per offrire la propria carne.
Gli alberi lasceranno cadere i loro frutti tra le grandi mani scure.
Non vi sarà fame, ne abbandono.
Non avrà significato la carestia.
L’uomo dimenticherà la miseria.

Dal Libro delle Arti e dei Misteri


Capitale del regno del Fuoco
Quarantanovesimo giorno del quinto millennio dal Patto di Zagor

Rukawa lo fissò senza cambiare minimamente espressione.
Eppure Hanamichi scorse nitidamente il lampo che gli accese lo sguardo e si preparò alla lotta.
“Non è una cosa che sta a te decidere” gli fece notare freddo, il re del Nord, mentre i suoi occhi blu sfumavano in un intenso grigio ghiaccio.
Hanamichi strinse i pugni contro i fianchi trattenendo a malapena l’impulso di far partire un gancio contro quel viso perfetto.
“Forse non mi hai capito...” ruggì minaccioso mentre i suoi occhi scintillavano di rabbia repressa.
Ma non ebbe il tempo di terminare la frase.
Veloce come una saetta Rukawa era scattato in avanti afferrandolo per i polsi, schiacciandolo sotto il suo corpo, il viso a pochi centimetri dal suo.
“Forse sei TU che non hai capito” gli disse con voce pericolosamente bassa avvicinando ancora il volto fino quasi a sfiorargli le labbra con le proprie.
Hanamichi si contorse nella sua presa cercando di liberarsi senza successo.
Il volpino gli era sembrato meno muscoloso di lui ma a quanto pareva quella grazia leggera che incantava in ogni suo movimento celava un unico fascio di nervi dalla forza incredibile.
“Domani tu mi sposerai...” gli sussurrò gelido Rukawa “...e poi come vuole il rituale ti concederai a me!” disse stringendo di più la presa sui suoi polsi fino a strappargli un flebile gemito di dolore.
“Sono stato chiaro?” minacciò con occhi gelidi mentre l’aria nella carrozza diventava improvvisamente fredda.
Hanamichi ebbe quasi l’impressione di sentire lo scricchiolio con cui le cellule di ossigeno si cristallizzavano in piccoli frammenti di ghiaccio.
Strinse con forza la mascella mentre sollevava lo sguardo, il proprio potere che ruggiva nelle vene contorcendosi con furia, scintillando attorno a lui in una instabile, minacciosa, aura carminio.
“Mai” gli ringhiò contro, sprezzante.
Era un lottatore e un guerriero sapeva di essere in una posizione di svantaggio.
Per quanto non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura doveva almeno essere sincero con se stesso e accettare il fatto che, se non fisicamente, il ragazzo che lo sovrastava, la superava di molto in quanto a potere magico.
Inoltre il volpino era nella SUA capitale, nel SUO elemento mentre lui era lontano migliaia di chilometri dai suoi amati vulcani e il suo potere ne risentiva.
Gli occhi del suo nemico e futuro sposo passarono violentemente dal grigio azzurro ad un’accecante bianco argento.
Gli era impossibile sostenere quelle iridi luminose mentre il suo corpo tremava per il freddo che cominciava a cristallizzare sulle leggere tende di pizzo.
Bastò quell’attimo di distrazione perchè accadesse.
Hanamichi spalancò gli occhi.
Così incredulo da non riuscire nemmeno a reagire.
Le labbra dell’imperatore schiacciavano le sue.
La sua lingua tutt’altro che fredda, anzi quasi ustionante nell’abitacolo piombato nel gelo, gli accarezzò le labbra, serrate appena in tempo.
Il suo primo bacio.
Cercò di spostare il capo senza successo intrappolato com’era contro la parete della carrozza.
La presa sui suoi polsi si strinse ancora facendo scricchiolare le ossa e costringendolo a socchiudere le labbra per gemere permettendo così alla all’altro di infilarsi nella sua bocca.
Rukawa gli spinse la testa indietro mentre affondava dentro di lui con violenza facendo aderire il proprio corpo al suo, modellandosi su di lui.
Il rossino mugugnò agitandosi forsennatamente peggiorando ulteriormente la situazione dato che quel suo movimento permise a Rukawa di posizionarsi tra le sue gambe.
Sentiva la rabbia bruciargli nelle vene.
Non era mai stato umiliato in quel modo da nessuno!
Eppure non riusciva a liberarsi.
Richiamò il fuoco che gli scorreva nelle vene, fece appello a quel poco di calore che sorgeva dalle profondità di quelle terre ghiacciate invocando la sua magia.
L’avvertì esplodere contro il suo nemico e per una frazione di secondo ebbe l’impressione di avercela fatta ma poi ogni cellula, ogni singolo, minuscolo, fiocco di neve librò il suo canto candido risplendendo per il suo re.
Sussultò sotto quel colpo come se avesse ricevuto uno schiaffo mentre Rukawa gli spingeva il ventre con il suo, contro il piccolo sedile imbottito. 
La situazione stava decisamente peggiorando anche  perchè cominciava a trovare un che di non propriamente disgustoso in quella lingua ipnotica nella sua bocca.
Gliela morse con rabbia scacciando quel pensiero ottenendo finalmente che Rukawa si staccasse da lui con un lamento di dolore.
Si pulì la bocca contro la manica della camicia fissandolo con odio.
“Lurido bastardo come hai osato!!” ansimo ancora provato per l’attacco subito e per gli effetti di quel bacio.
Sentì lo stomaco rivoltarsi mentre la mente gli ricordava maligna il calore di quella bocca, le sensazioni date da quella lingua sapiente.
Sputò con rabbia come se potesse con quel gesto carico di disprezzo liberarsi anche di quei pensieri assurdi, delle tracce del suo sapore che gli erano rimaste sulle labbra gonfie.
Se prima Rukawa era arrabbiato a quel gesto divenne letteralmente furioso.
Lui che non aveva mai perso la pazienza con nessuno, che era noto per la sua freddezza tanto da meritarsi dai suoi stessi sudditi appellativi quali ‘cuore di ghiaccio’ esplose letteralmente.
Con un gesto secco, quasi violento, del capo gli lanciò contro il suo potere congelandogli mani e piedi contro il divanetto su cui era seduto.
“Ascoltami bene figlio del fuoco” ringhiò con voce bassa, ogni parola una lama di ghiaccio.
“Tu mi appartieni! Di te posso fare quello che meglio credo!” gli disse cupo, minaccioso, avvicinandoglisi nuovamente.
“Se mi va di toccarti....” sussurrò posandogli una mano sul petto e cominciando a slacciargli i bottoni della giacca per poi far scivolare le dita sul tessuto della camicia fino alla cintura dei pantaloni.
“... se mi va di baciarti...” mormorò mentre la mano scendeva tra le sue gambe ad accarezzarlo e lui abbassava nuovamente il viso sul suo volto per leccargli le labbra.
Hanamichi scostò il capo di scattò con un ringhio basso, simile a quello di una belva, e l’imperatore gli fece scivolare la bocca lungo al guancia deviando dal suo percorso originario solo per finire a stuzzicargli il collo con le labbra.
“... se mi va di sentirti ansimare...” Rukawa stinse la presa sul suo sesso sotto il tessuto dei pantaloni strappando un ansito al rossino che si morse le labbra con rabbia.
“... o se mi va di farti gridare...” gli soffio nell’orecchio il suo aguzzino prima di afferrargli il lobo tra i denti e tirarglielo con forza strappandogli un gemito di dolore tra le labbra contratte.
“... sono libero di farlo!” disse massaggiando con forza il suo sesso finchè con soddisfazione non lo vide stringere gli occhi, mugolando, nel tentativo di non farsi travolgere dalle sensazioni che gli stava regalando.
Gli slacciò i pantaloni, sfiorandogli la pelle dorata con dita curiose.
Aveva cominciato per dargli una punizione, lo scopo di quel suo gioco era insegnargli l’ubbidienza ma dopo averlo assaggiato...
... non poteva fare a meno di desiderare quella pelle bruciante, nuda sotto il suo tocco.
Avrebbe voluto che il suo prigioniero smettesse di mordersi le labbra per poter sentire quella voce calda spezzarsi di piacere per le sue carezze.
Infilò una mano nei pantaloni, scivolando sensuale sulla sua pelle calda, morbida e rigida allo stesso tempo.
Rischiava di perdere di vista l’obbiettivo principale, si stava eccitando.
“Hai capito?” mormorò piano al suo orecchio la voce leggermente roca.
Hanamichi sussultò con violenza nel sentire le dita fredde del compagno sul proprio corpo.
Gli occhi gli pungevano pericolosamente per l’umiliazione che l’altro gli stava infliggendo ma s’impose di ignorare il suo tocco, la sua mano, il desiderio che ogni frammento del suo corpo gli gridava...
“Ti ho chiesto se hai capito?” gli chiese Rukawa la voce non più gelida, ma profonda, voluttuosa mentre spingeva la sua mano giù dentro i pantaloni in modo da serrarla sul suo membro.
Lo sentì spingere inconsapevolmente il ventre verso di lui con un lamento.
“Non ho sentito?” gli fece notare il volpino cominciando un lento massaggio sulla pelle calda del ragazzo che si agitava sotto di lui mentre l’altra mano scivolava sotto la camicia slacciata.
Il desiderio di poterlo toccare, di avere di più da quella belva che si ostinava a resistergli rischiava di fargli perdere ogni freno.
Sentirlo spingere il ventre contro di lui gli aveva strappato un ansito di piacere che fortunatamente era sfuggito al ragazzo dai capelli rossi, la sua tortura stava diventando un’arma a doppio taglio, se solo non fossero stati nella carrozza...
“No...” gemette Hanamichi, il respiro affannoso, spezzato dai gemiti che faticava sempre più a trattenere mentre si aggrappava disperatamente a tutto il suo orgoglio per non cedere.
Rukawa strinse con più forza la mano sul suo sesso dando alla sua carezza un ritmo intimo, profondo.
Il rossino cominciò a tremare tra le sue braccia.
Resistere alla voce insinuante, al fiato leggero che gli accarezzava la pelle bollente, a quelle labbra che sembravano volerlo marchiare a fuoco con i loro baci a fior di pelle a quelle dita che lo stava toccando dove nessuno era mai arrivato, diventava sempre più difficile.
Ormai ansimava pesantemente mentre quella mano non faceva che salire e scendere spingendo sempre di più sulla sua carne bollente.
“Io.... non.... appartengo...” rantolò, le parole che uscivano difficoltose tra i respiri pesanti, non ebbe modo di terminare la frase che il suo corpo fu scosso da un brivido violento mentre un lungo gemito gli sfuggiva dalle labbra martoriate dai suoi stessi denti.
Chiuse gli occhi per non vedere Rukawa portarsi la mano candida alla bocca per leccare le tracce dell’orgasmo che gli aveva strappato.
Il ghiaccio che lo aveva intrappolato si sciolse scomparendo in un baluginio di scintille mentre Hanamichi si accasciava contro il divanetto cercando di riprendere fiato e di recuperare il suo orgoglio andato in frantumi.
“Riuscirò a domarti” gli promise Rukawa mentre la carrozza si fermava nell’ ampio piazzale dinanzi al castello.
Scese dalla vettura sbattendo il piccolo portellino con rabbia terrorizzando il paggio che era andato per aprirlo inconsapevole di che cosa era appena accaduto all’interno della carrozza reale mentre Hanamichi riusciva a coprirsi appena in tempo con il mantello.

“Ohi, ohi” mormorò Akira vedendo il volto furente del suo sovrano che si dirigeva a passi spediti verso l’ingresso.
“Come temevo hanno litigato” borbottò Akagi che stava scendendo in quel momento dalla propria carrozza nell’ampio piazzale dietro al castello mentre gli stallieri che erano accorsi ad accudire i cavalli del re si facevano da parte inchinandosi in fretta dinanzi alla faccia scura del loro signore.
Mitsui che cavalcava accanto ad Akira fissò, invece, la carrozza reale, sorpreso.
L’imperatore del Nord era sceso con uno sguardo tale da gelare sul posto chiunque fosse stato così sfortunato da incontrarlo sulla sua strada.
Quello che lo stupiva era che non avvertiva minimante il potere del suo giovane signore.
Se l’imperatore del Nord era tanto furioso dovevano aver litigato.
E se avevano litigato era impossibile che Hanamichi non avesse richiamato la sua magia, per quanto questo gesto potesse essere avventato. 
Quindi le soluzioni erano due.
O il rossino aveva vinto lo scontro o la bomba stava per esplodere.
Quando l’intera carrozza reale si ridusse in un cumulo di cenere leggera Mitsui sorrise tra se.
Aveva avuto la sua risposta.

Akira e i suoi uomini riuscirono a coprire il ‘piccolo incidente’ avvenuto nel piazzale mentre Akagi si preoccupava di calmare gli unicorni che erano fuggiti e Mitsui si gravava dell’ingrato compito di calmare il suo re.

“Quel lurido bastardo figlio di una...”
“Hanamichi!!” lo fermò Mitsui con tono grave.
“Non ti sembra di esagerare! Insomma che cosa ha detto di così terribile?”
gli chiese sinceramente sorpreso.
Non aveva mai visto il giovane principe così sconvolto.
Mai.
“Non è quello che ha detto ma quello che ha...” s’interruppe di scatto accasciandosi su una delle poltroncine imbottite della suite che gli era stata riservata mentre le sue guance si tingevano di porpora.
Il suo capo delle guardie lo fissò sorridendo, a quel punto non aveva più bisogno di chiedere spiegazioni al suo signore.
C’era un solo argomento capace di zittirlo in quel modo.
Il sesso.
Dietro quella facciata di sbruffonaggine, dietro la fiammante capigliatura rossa, Mitsui sapeva che il ragazzo più giovane nascondeva un animo innocente quasi quanto quello di un bambino.
Gli si sedette accanto posandogli una mano sulla spalla con gentilezza.
Infondo, oltre ad essere il suo capo delle guardie, era anche un suo amico e non gli piaceva vedere quella luce spaventata negli occhi dorati del principe.
“Lasciami solo Hisashi per favore ho bisogno di pensare” mormorò Hanamichi scuotendo il capo mestamente mentre chiudeva gli occhi e si appoggiava stancamente allo schienale della poltrona.
Il capitano lo fissò in silenzio per alcuni minuti prima di alzarsi con un sospiro.
“Come volete maestà” mormorò tornando al tono formale mentre si riassettava l’abito da gala e usciva silenziosamente dalla sala.
Una volta fuori tuttavia si guardò intorno alla ricerca di un paggio.
Doveva esserci qualcosa che poteva fare per il suo principe, non voleva vederlo angustiarsi così!
Fermò uno dei camerieri in livrea che passava con le braccia cariche di lenzuola fresche di bucato e gli chiese di indicargli la stanza di Akira.
Lui era l’unico che poteva dargli una mano.
Il ragazzo con la divisa bianca e argento del regno del ghiaccio lo accompagnò per una lunga serie di corridoi fino ad una grande porta dove bussò un paio di volte con solennità.
Un uomo piuttosto anziano che doveva essere il cameriere personale di Sendoh gli aprì prima di farlo accomodare in un ampio appartamento arredato in modo piuttosto variopinto rispetto al resto del castello.
Non dovette attendere molto che un Akira piuttosto scarmigliato e ancora in accappatoio uscì in mezzo ad una nuvola di vapore dalla porta che doveva condurre ai suoi bagni personali.
“Credevo che fossi andato a parlare con Rukawa” gli chiese Mitsui alludendo ai capelli bagnati.
Akira annuì cupo “Perchè credi che mi sia servito un bagno bollente?” gli disse prendendo l’asciugamano che il maggiordomo silenziosamente gli porgeva per strofinarsi i capelli scuri.
“Di cosa volevi parlarmi?” gli chiese lasciandosi cadere con noncuranza su una delle poltroncine del salotto.
L’accappatoio bianco gli scivolò negligentemente su una gamba ma il ragazzo non parve accorgersene o comunque non gli diede peso.
Mitsui scostò lo sguardo che era stranamente scivolato su quella pelle chiara prima di lanciare un’occhiata significativa al maggiordomo.
Akira sollevò un sopracciglio sorpreso ma ordinò all’uomo di uscire dalla stanza.
“Allora?” chiese quando il suo servitore si fu richiuso la porta alle spalle.
“Si tratta di Hanamichi” disse serio.
Doveva trovare una soluzione a quella situazione assurda e l’unico che poteva aiutarlo era il capo delle guardie imperiali.
Akira annuì “L’avevo immaginato. Si tratta del rituale vero?”
Fu Mitsui ad annuire questa volta prima di emettere un flebile sospiro.
“Se sa che ti ho raccontato questa cosa mi ammazza” borbottò tra se prima di continuare rivolto al suo interlocutore che si era fatto tutt’orecchi.
“Hanamichi è vergine” mormorò.
Akira corrugò la fronte.
“Bhe questo l’avevo capito da come ha reagito a quello che gli ho detto sulla nave. Se avesse avuto qualche esperienza con un uomo non si sarebbe scandalizzato tanto” ragionò con una scrollata di spalle.
Mitsui però scosse il capo.
“No, non hai capito. Intendo proprio vergine” disse sottolineando la parola.
Akira lo fissò immobile per alcuni secondi con gli occhi spalancati.
“Vuoi dire che non ha mai...” Mitsui scosse il capo in segno di diniego.
“Ma... mai, mai????” insisté l’altro incredulo.
Insomma Hanamichi era splendido ed era figlio di un re, le occasioni non potevano essergli mancate!!
“Hanamichi è un disastro con le ragazze e poi suo padre l’ha sempre tenuto impegnato con gli allenamenti alla scherma, con i suoi doveri in quanto unico figlio maschio e via dicendo” gli spiegò Mitsui che cominciava a pensare che il suo re sapesse da tempo che l’eclissi lunare sarebbe giunta in quegli anni e che avesse fatto in modo di tener lontano il rossino da ogni possibile contatto in modo da consegnarlo ‘puro’ al suo sposo.
“Incredibile!” sbottò Akira ancora frastornato dalla notizia “e io che credevo che voi figli del fuoco faceste scintille a letto..” mormorò quasi sopra pensiero.
Mitsui si trattenne dal dargli la risposta pungente che gli era salita alle labbra solo perchè aveva bisogno del suo aiuto.
“Dev’esserci qualcosa che possiamo fare...” disse speranzoso.
Akira si sollevò dalla poltroncina cominciando a passeggiare avanti e indietro.
“Non possiamo impedire che facciano l’amore” disse serio fissando l’altro.
“Ma perchè???” chiese Mitsui scattando in piedi. “Potremmo imbrogliare non credi? Macchiare il lenzuolo di sangue senza che debbano per forza...” non terminò la frase imbarazzato dall’immagine che gli aveva proposto la sua mente.
Akira scosse il capo cupo “Dimentichi che questa è la capitale dei maghi, uno qualsiasi dei nostri sudditi, persino il meno dotato potrebbe fare un incantesimo di visione sul sangue del tuo principe per rendersi conto dell’inganno”
Il capitano delle guardie del Sud si lasciò cadere sulla poltrona con un sospiro.
“Lo violenterà capisci? Hanamichi è troppo orgoglioso per lasciare che Rukawa lo possegga senza lottare, finiranno per odiarsi a vicenda”
Akira smise di passeggiare prendendo a giocherellare con la cintura del suo accappatoio.
Mistui aveva ragione.
Quello non era certo un bel modo per iniziare un matrimonio.
Eppure che cosa potevano fare?
Rukawa non poteva assolutamente esimersi dal seguire il rituale alla lettera.
Takano e quei bastardi dei suoi seguaci non aspettavano altro.
D’altronde non poteva nemmeno permettere che il suo amico avesse un consorte che l’odiava.
E anche se lo conosceva da poco gli spiaceva anche che Hanamichi soffrisse.
Infondo quando sarebbero stati sposati sarebbe diventata sua responsabilità la protezione di entrambi i suoi sovrani.
Si arrovellò il cervello per alcuni secondi prima che i suoi occhi si illuminassero.
“Ma certo!!” esclamò fissando Mitsui.
“Possiamo drogarlo!” spiegò sollevando immediatamente una mano per frenare le obiezioni che l’altro stava per fare.
“Pensaci un minuto, è l’unico modo, possiamo preparare una droga che ammorbidisca il suo animo in modo da renderlo consenziente. In questo modo Rukawa non sarà costretto a violentarlo, il tuo principe al massimo se la prenderà con noi e vedrai che dopo che si saranno conosciuti meglio diventeranno persino amici!” disse soddisfatto.
Aveva seguito con molta attenzione lo scambio di sguardi che si erano lanciati quella mattina sul pontile il suo re e Hanamichi.
Era sicuro che tra loro ci fosse un forte carica attrattiva, si trattava solo di fargliela scoprire.
Probabilmente se il matrimonio non fosse stato solo l’indomani, se quei due avessero avuto più tempo, sarebbero finiti spontaneamente l’uno tra le braccia dell’altro e allora lui avrebbe dovuto rischiare l’assideramento ogni dieci minuti per impedire al suo Signore di ‘consumare’ prima della cerimonia.
Sorrise tra se a quel pensiero scuotendo il capo divertito, tutto sommato forse gli era andata meglio così.
“E dove troviamo questa droga?” gli chiese Mitsui con tono scettico distraendolo dai suoi pensieri.
Aveva ponderato silenziosamente tutte le possibilità.
E nonostante ci pensasse e ripensasse la soluzione che Sendoh gli aveva proposto sembrava davvero l’unica possibile.
Akira sorrise raggiante.
“La preparerò io! Ero uno dei primi nel corso di filtri e pozioni inoltre uno dei mie aman....” s’interruppe sorridendo sornione all’altro che fece finta di non aver sentito “comunque non temere ci penso io! Stanotte verso l’una vieni qui, ci recheremo ai laboratori e produrremo quello che ci serve!”
Mitsui lo fissò sorpreso.
“Perchè stanotte?” chiese ricevendo in risposta un sorriso che non gli piacque per nulla.
“Quello che vogliamo fare è vietato da almeno tre delle nostre costituzioni” gli spiegò “se ci beccano ci chiudono in prigione e buttano la chiave!”
Mitsui lo fissò con gli occhi spalancati in silenzio, incredulo. 
Si passò una mano tra i capelli scuri con un sospiro prima di alzarsi.
Poco male avrebbe corso il rischio.
“ A stasera allora” mormorò prima di accomiatarsi.

Quella notte Mitsui ripercorse la strada fatta quel pomeriggio non senza qualche difficoltà.
Riuscì tuttavia a giungere agli appartamenti dell’altro capitano senza farsi notare da nessuno, scivolando tra le ombre come una spia provetta.
Bussò piano un paio di volte e poco dopo un Akira sorridente gli aprì indicandogli con un cenno del capo di entrare.
Il capitano delle guardie imperiali gli diede una tunica bianca e argentea tipica dei paggi, prima di condurlo di nuovo in corridoio e da lì in una grande sala.
Camminarono per diverso tempo passando attraverso grandi stanze sontuose aprendo e chiudendo una tale quantità di porte, portoni e porticine che Mitsui perse l’orientamento quasi immediatamente.
Dopo quella che gli sembrò un’eternità e un paio di soste che furono costretti a fare, nascondendosi dietro le tende o qualche altro rifugio occasionale, per non farsi beccare da qualche servitore o addirittura da qualche gendarme, Akira estrasse da sotto la veste una lunga chiave dorata che infilò nella toppa di quella che sembrava una porta come tante altre. 
Gli bastò tuttavia pronunciare una parola a fior di labbra che l’uscio rilucè prima che la serratura emettesse un piccolo scatto che rimbombò nel corridoio silenzioso, concedendo loro l’ingresso nell’ampia sala.
Un enorme tavolo di legno massiccio su cui un’infinità di alambicchi e contenitori strani facevano bella mostra di se occupava il centro della stanza mentre tutte e tre le pareti, a parte quella di fronte a loro che era dominata da una finestra che dava sul mare, erano ricoperte da grandi armadi a scaffali su cui migliaia, milioni, di libri e contenitori erano disposti con ordine.
“Come faremo a trovare quello che ci serve?” chiese sottovoce Mitsui gironzolando per la stanza cercando di leggere il titolo di qualcuno di quei volumi, i più dei quali erano in una lingua a lui sconosciuta.
L’aria era satura dell’odore della carta e della polvere, inframmezzata dal profumo delle erbe appese ad asciugare sotto la grande finestra.
Un rumore di pagine sfogliate attirò la sua attenzione su Akira che aveva prelevato un libro che sembrava più consunto e antico degli altri appoggiandolo sull’apposito leggio.
Hisashi lanciò un’occhiata alle rune eleganti  che adornavano le pagine di fine pergamena corrugando la fronte.
Per lui quella era solo una coreografica accozzaglia di strani simboli. 
“Riesci a leggere quella roba?” gli chiese sorpreso.
L’altro gli lanciò un’occhiata torva in tutta risposta.
“Tu riesci a tirare di spada?” gli disse sfottendolo.
Mitsui scosse le spalle.
In effetti aveva fatto una domanda stupida, era logico che il capitano delle guardie imperiali fosse anche un esperto in antichi codici in quella terra in cui il valore si misurava con la conoscenza e non con la forza guerriera. 
“Ecco! Questa è la formula che ci serve!!” esclamò dopo aver sfogliato varie pagine, fermandosi su una che portava in alto a destra l’ennesima sequenza di rune incomprensibili tracciate però con un rosso vivo.
Le lettere si intrecciavano una sull’altra con grazia come se si stessero abbracciando, sfiorandosi delicate per poi arricciarsi le une sulle altre.
Sì quella doveva per forza essere la formula che serviva loro.
Akira cominciò ad impartire ordini al compagno facendogli recuperare i vari ingredienti per il filtro che stava preparando.
“Ci siamo quasi” disse Akira tutto soddisfatto osservando il liquido che aveva assunto un intenso colorito rosato all’interno dell’ampolla di vetro che teneva con delicatezza tra le lunge dita.
“Sull’ultimo scaffale alla tua destra, in alto, ci dovrebbe essere uno scrigno dorato” gli disse indicandogli vagamente un angolo della stanza mentre faceva roteare delicatamente il contenitore di vetro per far sciogliere i vari componenti.
Mitsui recuperò l’oggetto prima di portarglielo.
“Questo?” chiese osservando lo scrigno che sembrava ermeticamente chiuso.
Akira annui appoggiando la pozione sul tavolo prima di pulirsi le mani sulla veste e osservare l’oggetto.
“Solo ai membri della famiglia reale e ai più alti funzionari imperiali è concesso di conoscere la parola magica per aprire questo scrigno” gli disse prima di chiudere gli occhi e poggiare le dita sulla scatola.
Mitsui lo osservava a qualche passo di distanza, immobile, aspettando. 
“Qui dentro è custodito il più potente degli afrodisiaci. Parecchi secoli fa un nobile di alto rango lo usò per circuire la principessa imperiale e il re del tempo decise di porre il divieto sulla sua formula. Ogni testo che la conteneva venne bruciato ma i maghi conservarono quest’ultimo campione sigillandolo in questo scrigno per le generazioni future” gli raccontò prima di mormorare un’unica parola che vibrò nell’aria cupa della stanza, illuminata solo dalla luce tremolante di una candela.
La serratura dello scrigno emise un flebile ‘clack’ mentre il coperchio dorato si alzava rivelando il suo prezioso contenuto.
Due sacchettini di velluto rosso cupo chiusi con un laccio dorato.
Sull’uno una splendida F ricamata in oro sull’altra un’elegante M.
Akira corrugò la fronte fissando prima il libro e poi lo scrigno.
“Che cosa c’è?” gli chiese Mitsui perplesso.
“Dovrebbe essercene uno solo!” mormorò Akira sempre più accigliato.
“Come sarebbe a dire uno solo?” chiese Mitsui che cominciava a preoccuparsi.
Akira consultò il libro corrugando di nuovo la fronte.
“Qui dice che per incatenare la propria lei è necessario versare tre misure dal sacchetto contrassegnato con la F” gli spiegò prima di tornare a fissare la scatola.
“Ma Hanamichi è un maschio!” gli fece notare Mitsui.
Non potevano aver passato ore in quella stanza scura solo per scoprire che l’incantesimo aveva successo solo sulle donne!!!
E quel maledetto libro specificava proprio “lei”.
“Ma certo che sciocco!!” esclamò Akira battendosi una mano in fronte con un sorriso prima di allungare la mano e prendere il sacchetto contrassegnata con la M.
“F sta per Femmine e M per Maschi! L’incantesimo è lo stesso a parte l’ingrediente finale!”
disse misurando in un piccolo cucchiaino la quantità necessaria della fine polvere dorata.
“Ne sei sicuro?” chiese il capo delle guardie del sud sempre più preoccupato per la sorte dell’amico che avrebbe dovuto bere quella cosa.
“Ma certo non può essere altrimenti!” gli disse Akira con un sorriso radioso prima di fissare il misurino che aveva usato.
“Credi che ne basteranno tre per uno come Hanamichi?” chiese scettico.
“Infondo il libro parla di ammaliare una persona normale, non tiene conto dell’eventuale potere magico della persona in questione”
Fissò di nuovo il sacchetto prima di scuotere le spalle e versare altri tre cucchiaini di polvere dorata al suo interno. “Meglio andare sul sicuro” gli disse prima di rimettere tutto al suo posto e chiudere la pozione preparata con un tappo di sughero.
La consegnò ad Hisashi che fissò il liquido, divenuto trasparente dopo l’aggiunta dell’ultimo componente, con la fronte aggrottata.
Versare il suo contenuto nel bicchiere di Hanamichi non sarebbe stato difficile per lui.
Il dubbio che lo assillava era un’altro.
“Siamo sicuri che non l’avveleneremo?” sussurrò mentre seguiva il suo complice per i lunghi corridoio silenziosi che li avrebbero riportati alle loro stanze.
“Sta tranquillo!” gli disse Akira fermandosi quando giunsero finalmente dinanzi alla porta dei suoi appartamenti.
Aprì l’uscio fermandosi sulla soglia “E poi al massimo Fujima saprebbe resuscitare anche un morto” disse con una scrollata di spalle regalandogli un ultimo sorriso ammiccante e una strizzatina d’occhio prima di sparire dietro la spessa porta di legno, lasciando un allibito Mitsui immobile dinanzi all’uscio chiuso.
“Speriamo bene” mormorò sfiorando delicatamente la tasca in cui aveva riposto il filtro prima di guardarsi attorno e scivolare nuovamente tra le ombre.

Continua...



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