Okay, ammetto che mi
ci è voluto un po' per tornare sugli schermi con roba nuova. -_-
Comunque, ecco qui: uno sclero che è scaturito da un'immagine datami dalla
descrizione di un film (Summer of Sam, che manco ho visto) e dai miei
concitati come svagati studi di Metodologia delle Scienze Sociali.
Il protagonista di questa one-shot sarà il protagonista di un racconto che
ho in cantiere da un po': New York Ekpirosis.
Per vedere il volto del protagonista:
http://i64.photobucket.com/albums/h193/Ani_Lover/Sam/laah2b.jpg
Critica
all'Induttivismo
di Noesis2
Un
tipo cade nel vuoto.
Ogni secondo dice.
“Fin qui tutto bene.”
Ad ogni metro, dice…
“Fin qui, tutto bene.”
È un anedotto.
Di quelli che ti fanno riflettere. Però non sa come finisce, cazzo.
Mica divertente.
Vi pensa con media costanza, cantilenandolo tra le labbra, sopracciglia
corrugate nel fisso pensiero di riesumare la conclusione.
Sono buffe le fissazioni.
Ti prendono dal nulla e sono capaci di non lasciarti per un intera serata.
Bryce Farrell, 17 freschi inverni sulla schiena, è seduto, beve e consuma in
un anonimo pub a New York, a cavallo tra il Bowery e Little Italy.
Inutile illudersi, il quartiere non ha niente a che fare con I Guerrieri
della Notte.
È un quartiere turistico. Tutto è attrazione. Persino l’alternativo diventa
uniforme.
Quello che passa il convento.
Bryce giocherella con il piercing sul labbro, passarci sopra la lingua, tre,
quattro, cinque volte, mentre parla con l’amico della serata.
Quel che passa il convento.
Il tipo che ha conosciuto in pub analogo e che ha detto che sì,
questo è un buon posto, dove fanno musica
seria, mica…
Il posto ricorda vagamente il CBGB, meno sporco, molta più plastica.
È fatiscente, puzza di birra e parquet marcio. Di sudore e piscio.
Perfetto.
Perfetto perché la rappresentazione stessa del tipico locale live-music.
Perfetto fino all’ultima fottuta intercapedine.
E finto, favolosamente finto.
Suggere il boccale umido, birra scura nella trachea, ed ascoltare, testa
leggermente inclinata verso il palco, giovani e magri musicisti che
scoppiettano musica dall’impianto casse.
“Come ti pare il locale, Bry?”
“Mm? Passabile. La birra non è male.”
Il fatto è: quando si viene dall’Uptown, quando si è stati cresciuti in
odore di macrobiotico, pilates ed agenti immobiliari, diventa difficile
trovare qualcosa di vero.
Di reale.
Non si può puzzare di miseria quando si usa il taxi per tornare a casa
ubriaco.
Non si può puzzare di ribellione, quando ci si scola birra scura con la
carta di credito di papà incastonata nella chiappa destra, a contatto con
jeans strategicamente stracciati da uno stilista frocio.
È facile farsi tagliare e decolorare i capelli in modo improbabile.
Traforarsi la faccia? Ancora più semplice.
Essere incazzati con il mondo e scrivere versi arrabbiati su myspace?
Una passeggiata.
Tutto, tutto maledettamente semplice.
Tutto, tutto maledettamente ovvio e scontato.
Una conclusione ovvia, per una tardo-adolescenza travagliata da psicologi
scolastici che te la menavano con la storia del
"non ha superato/elaborato la perdita
della madre”.
L’importante è saperlo. Esserne coscienti.
Ecco il trucco.
Sai la regola del gioco… Sei sveglio, e sai come funziona.
È tutta una recita.
Un ruolo, il chiodo consunto, i boots
sfondati e la maglia di rete con una scritta in vernice, rossa, lucida,
inneggiante all’anarchia.
Ricoprire un ruolo. Sapere di ricoprirlo. Essere un attore.
Attore tra i tanti.
Quanti sono come Bryce?
Quanti sono arrabbiati con i genitori, quanti con il mondo, quanti credono
che tutto sia merda?
People = Shit.
Slipknot.
Tanti. Centinaia di migliaia di kids
sparsi per il globo.
Che credono. Credono in quello che fanno e credono di essere unici.
Essì. Particolari.
Particolare nel senso che: la nostra rabbia vi fotterà tutti, stronzi.
E se non vi fotterà, ci fotteremo noi. Da soli. Per farvi schifo.
Ma Bryce trova questo dogma una cazzata.
La sua rabbia non farà esplodere un bel nulla, ovviamente, e il suo suicidio
adolescenziale non turberà il cinico mondo.
(Al massimo si potrà guadagnare un trafiletto di cronaca nera sul New York
Post. Forse.)
“Questo gruppo non suona male, eh?”
“Come si chiamano?”
“The Noisettes.”
“Mm. Sì… Mah.”
“Vero? Poi la cantante è una figa… Sai che conosco il loro manager? È nipote
di un collega del mio vecchio.”
“Non te lo succhierà mai, Billy…”
“Vaffanculo. Me lo succhieresti tu,
queer-boy?”
“Dieci dollari, prego.”
“Ma vaffanculo.”
“Reciproco, dolcezza.”
Bryce si beve la sua birra scura, giocherella con il piercing al labbro, ed
ascolta il vuoto ciarlare di William Theodore Meyers, classe 1985, cresta
bicolore e naso appuntito ornato da brufoli di dimensioni di una ciliegia.
Il suo personale traghettatore nell’universo del
emo-punk-cartonato-newyorkese.
È nel giro da più tempo di lui. Ha più esperienza, ecco.
Fa il cazzone sulle spalle dei genitori da più tempo, ecco.
Sono due tardo-adolescenti di buona famiglia. Ribelli-tipo.
Bryce ne è consapevole. Lucidamente.
Che il punk che ascolta ormai è vuoto come il cervello della nuova compagna
di suo padre.
Che i locali che frequenta quasi tutte le sere, le persone che incontra, le
sveltine nei cessi dipinti di nero e pennarello indelebile, con tipi con
frangette insopportabilmente lunghe, non sono nient’altro che sagome vuote.
Ritagli di cartone per sollazzare figli di papà viziati. Come lui.
Come in quel bel video degli Stone Sour, dove Corey Taylor canta in una
villa hollywoodiana e poi tutti i tipi che gli stanno attorno si rivelano
manichini, non persone… e poi…
Comunque.
Lo sa benissimo.
È come indossare una pelle repellente, che comunque la società tollera su di
te, finché non massacri a colpi di Winchester qualche promettente vergine in
odore di Ivy League.
Basta che vomiti in modo ordinato, dietro qualche vicolo.
Basta che papà paghi la cauzione per una notte passata nella cella di
qualche posto di polizia, dove un minorato mentale fresco d’Accademia ti
sorveglia, fissandoti con odio.
Bryce reclina la testa sullo schienale imbottito della sedia, applaudendo
educatamente la performance del trio sul palco.
Bill si sgola nel tentativo di chiamare la cantante. Poi si alza, lardo che
gli tremola sotto la maglietta dei Fall Out Boy, ristagnando nella felpa
sagomata. Color antracite.
Cristo, pessimo colore.
“Vado nei camerini. Una sveltina mi ci scappa, te lo dico.”
“Pregherò per te, fratello.”
“Va’ a cagare, Farrell.”
“Già andato. Stamattina, direi.”
“Ti ritrovo qui, pezzo di merda?”
“E dove vuoi che vada? Mi fumo una cicca e ti aspetto.”
“Ecco, bravo. E vedi di non fare cazzate. Sei ubriaco
fradicio, Cristo Santo.”
“Una novità, eh?”
“Senti, niente cazzate. L’ultima volta ci sono entrato anche io, eh. Il mio
vecchio mi ha fatto un culo così e…”
“Sì, sì. Vai, che c’hai già Willy in tiro. Guarda là…”
“Ma vaffanculo.”
Bill va. Finalmente. E Bryce si accende una sigaretta.
Scatto dello Zippo, allenato, provato almeno una decina di volte allo
specchio finché non ha preso manualità.
Tutto costruito. Tutto normale.
In quel locale è formalmente vietato fumare. Un cartello, dietro il bancone
e dietro la sua testa – Bill ha scelto un tavolo incuneato tra l’uscita
d’emergenza e il lato destro del palco – recita il monito sociale.
In ogni caso.
Sul cartello dietro la sua testa hanno disegnato una forma falloide,
accompagnata da truci minacce per chi, zelante, assurgerà al suo compito di
bravo cittadino.
Normalmente, scontatamente.
Bryce modella le labbra per far uscire un cerchio di fumo, mentre gli
addetti al backstage – un grassone cotonato ed un ragazzino smilzo, incerto
nei suoi sedici anni – smontano il palco.
La musica dell’impianto pompa Baba O’Riley
degli Who, e qualcuno, ubriaco, accenna ad un pogo.
Ovviamente.
Il fumo si disperde in volute graziose, affusolate, rattrappendosi sulla
luce al neon che illumina il tavolo.
Bryce comincia a giocare con il sottobicchiere in cartone, con stampato il
logo della Corona, quando un tipo gli si avvicina.
Un classico.
L’ha puntato per tutta la serata.
Crede anche di aver ricambiato un paio di occhiate o due, al tipo, mentre
Bill sbavava sulla cantante.
“Ciao… non ti ho mai visto qui.”
Scontato. Banale.
Cosa c’è di più banale che rimorchiare qualcuno?
Tutto normale, tutto banale, in fondo.
Il
tipo continua a cadere, giù, sempre più giù.
E ad ogni secondo dice.
“Fin qui, tutto bene.”
“No, è la prima volta che vengo, in effetti. Sono con un amico.”
“Oh.”
“E’ andato a cercare di farsi fare un pompino dalla cantante.”
“Ah…”
Ride, l’emo-boy, cercando di dimostrargli che apprezza il suo
sense of humor
Bryce sorride, come fanno gli animali.
Per un animale un sorriso è sinonimo di minaccia.
Scopri i denti.
È sinonimo di attacco, amico.
Chissà perché per gli esseri umani ha un significato opposto.
Gli esseri umani sono animali fatti al
contrario.
Bryce spezza in due il sottobicchiere, passandoci poi sotto lo Zippo. Si
annerisce, mandando una puzza nauseabonda.
“Già… non credo avrà molte possibilità. L’hai visto, no?”
“No, chi?”
“Il mio amico. Avrai fatto caso al fatto che è un cesso.”
“Mm.. non l’ho visto, veramente.”
“Davvero? Ma se hai guardato qui per tutta la serata.”
“No, io…”
“Eddai. Bryce, comunque, Bryce Farrell.”
“Con lo stesso cognome di Colin Farrell?”
“E’ mio cugino.”
“Veramente?!”
“No. Era tanto per dire… per un irlandese è un cognome molto comune.”
“Ah…cioè…”
“Senti, io me ne sto andando.”
“Oh… ah. Magari ci ribecchiamo, allora.”
“Sicuro.”
“Questo posto è cazzuto, eh?”
“Assolutamente…”
… no.
Congedarsi con nonchalance dall’emo-boy in vena di rimorchio. Ora.
Bryce si infila il chiodo, abbottona fino al collo ed esce.
Baba O’Riley nel mentre è stato abilmente sostituito da No Feelings dei
Pistols.
Proprio un locale di cartone.
(Come i Pistols. Ma almeno loro ci credevano, nella loro musica di cartone.
Eroici, in un certo senso. Burattini eroici.)
Sull’entrata, Bryce sostiene la fiamma dello Zippo nell’attacco al cartone.
Quello prende fuoco, e Bryce lo getta dentro un tubo a forma di fallo.
Cristo.
È un porta-ombrelli.
Per quella sera, quei poveri occhi, hanno visto ben troppo.
*****
Metropolitana.
Linea che va verso L’Upper West Side.
Quartiere… Chissenefrega.
Scenderà alla fermata che più gli aggrada, Bryce, e poi se la farà a piedi.
Una volante forse lo fermerà.
Documenti.
Riconoscimento.
Di cosa cazzo ti sei fatto, eh balordo? La
capisci l’inglese, sì?
Si fottano.
Bryce batte gli anfibi sul pavimento gelatinoso del vagone metro.
Cuffiette alle orecchie. Ipod da 80 giga che spara a mitragliatrice suono
sintetico.
Bend your arms to look like wings,
Funeral for a Friend.
È esagerato, inutile, con la memoria di un
laptop, gli ha detto il suo vecchio fissando imbestialito l’ordine di
consegna per pacco postale.
È il mio regalo di compleanno, ha
risposto il pargolo sfoderando un ghigno.
Tanti auguri a me.
Diciassette anni e nulla per cui festeggiare.
La tristezza per la dipartita materna e per un padre alieno è compresa nel
prezzo.
Bryce apre gli occhi.
Non è solo in quello scompartimento.
Un ragazzo, della sua stessa età, carnagione color cioccolato fondente.
Snoop Dog-addicted, visti i capi d’abbigliamento.
Lo guarda, con aria di mite disgusto.
Bryce non può fare a meno di sogghignare, e tirarsi via una cuffia.
Il
tipo continua a cadere, ancora e ancora.
Dicendosi, ogni secondo, sempre più convinto.
“Fin qui, tutto bene.”
“Cazzo hai da guardare, negro?”
“Nessuno guarda nessuno, white boy.”
“Paura. Me la sto facendo sotto, negro. Tua madre non ti ha insegnato che
non si guarda così, la gente? Oppure era troppo occupata a tirar su i tuoi
dieci fratellini?”
“Gira a largo. Sei ubriaco fradicio, cazzo.”
“E cosa sto facendo? Me no sto qui buono buono. Guarda, neanche mi alzo,
negro. Dì, ci vedi?”
“Non voglio grane, stronzo. Me ne sto tornando a casa.”
“Nel cazzo di Congo, negro?”
Si alza e sbuffa, dilatando le narici.
Non che Bryce ce l’abbia con i neri, beninteso.
Minoranze. Non si sente da meno.
Geneticamente non é messo meglio.
Okay, magari la famiglia Farrell ha più soldi…
Ma se sei cioccolato o latte, puoi essere uno stronzo comunque.
Non è il colore della pelle che ti dice quanta merda hai nel cervello.
Solo che per fare a botte serve un pretesto.
Un po’ come scopare.
Il tipo va in collisione con la faccia di Bryce, ed è subito rissa.
(Potrebbe essere il titolo di qualche canzone dei Sick of It All, riflette
Bryce mentre schiva e prende pugni, sbaglia e sferra calci.)
Tutto normale.
Una serata sbandata non può finire senza una rissa.
No?
Tutto ovvio, tutto compreso nel biglietto.
Meno l’extra.
Lo Zippo. Lo Zippo che scatta nel neon tremolante che accarezza la carrozza.
Lo Zippo che scatta tra il chiodo del punk per diletto e il giubbotto del
ghetto-boy affermato.
Lo Zippo che ha una fiamma omologata di massimo due centimetri.
Che esplode, letteralmente, addosso al tizio.
E non è due centimetri.
È un cazzo di flame che lo avvolge.
E Bryce lo sa. Lo sapeva, meglio.
Bryce sente caldo allo stomaco, al viso. Su tutto il corpo, come un alito di
vento, lieve.
È piacevole.
Come le altre volte.
Il tizio che si getta previdentemente a terra, urlando, con la giacca in
fiamme.
Il treno si arresta con una fermata brusca.
Si apre, con un tempismo perfetto, prima che l’impianto antincendio scatti.
Bryce scende, intascando lo Zippo incandescente.
Scatta via, falciando l’aria e prendendo velocità sulle scale mobili.
Poi, fuori, con l’aria ghiacciata di dicembre che gli gela la trachea.
Niente più calore addosso.
L’aria fredda ha avuto ragione della vampa di calore.
Quindi…
Trachea gelata, cuffie penzolanti, una ancora semi-attaccata all’orecchio.
Una sbronza che gli rimbalza nella testa.
(Miracolosamente non saltata via durante la rissa).
Hell Song, Sum 41, propone la playlist automatica.
Una risata che esplode trai denti.
Appoggiarsi al muro umido dell’entrata della metro, Bryce ubriaco, canta.
Nulla di normale, nulla nella norma.
… Alla fine.
All’ultimo secondo,
l’uomo apre la bocca.
Non dice nulla.
Si sfracella al suolo senza un lamento.
L’importante non è la caduta.
È l’atterraggio.
Note:
1 - Storico locale-live PunkRock di New York. Da esso sono passati e hanno
fatto gavetta tutti gli esponenti del punk americano, dai Ramones a Patti
Smith. Per ulteriori delucidazioni :
http://it.wikipedia.org/wiki/CBGB
2 – Anfibi che fanno parte del guardaroba tipicamente punk. Rigidi,
solitamente con il tacco in ferro ed allacciati fino al polpaccio. A volte
con fibbie. Molto famosi sono i cosidetti Clash-boots, portati appunto dai
membri dello storico gruppo punk inglese, The Clash.
Immagine di riferimento:
3 – Termine per indicare gli adolescenti che ascoltano musica punk-rock.
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