Cremisi

 

parte VIII 

 

di Dicembre

 


 

Irìyas era completamento immerso nell’acqua, ma ugualmente non si bagnava. I suoi capelli neri fluttuavano sulla superficie e lui guardava con occhi assenti la stanza che lo circondava.

Lasciò che l’acqua entrasse in contatto con la sua pelle.

Sorrise, gli faceva solletico.

Non dubitava mai del suo operato. Dubitare, così gli aveva detto il Saggio Alem, significava rallentare nell’incedere.

Rallentare nell’incedere…Lui davvero non se lo poteva permettere. Gyonnareth sarebbe arrivato di lì a poco. Lui avrebbe dovuto essere pronto a tutto.

Eppure, se non del suo operato, dubitava. Prese con le mani un po’ d’acqua e lasciò che gli scorresse lungo le braccia. Dubitava di cosa?
Non ne era sicuro. Se su quello che faceva non aveva alcun dubbio, forse sul modo?

No. Aveva pensato a lungo su come raggiungere il suo obiettivo. Non aveva dubbi a riguardo. C’era una sola cosa che voleva nella sua vita e ora Gyonnareth gliel’avrebbe impedito.

Non poteva che opporsi al drago.

A lungo aveva parlato con la Bianca e a lungo aveva parlato con Gyofinan che sapeva essere dalla sua parte. Non dubitava sul modo.

Sospirò.

Dubitava su Nyven, su chi Nyven fosse. Sapeva bene quali fossero i suoi dubbi, ma ammetterli lo infastidiva terribilmente.
Perché quel ragazzo lo preoccupava così tanto?

Da semplice schiavo al Crocevia, si era rivelato qualcos’altro. Ma inconsapevolmente.

Quindi non era una macchinazione ordita contro di lui, non era una forza estranea che cercava di indebolirlo dall’interno. Era solo una forza sconosciuta.

Chi era davvero il ragazzo?

Il Saggio Alem gli avrebbe suggerito di diffidare, ma il Saggio Alem era morto.

Irìyas non riusciva a diffidare di Nyven.

Si chiese se quella fosse una debolezza dovuta alla sua ormai scarsa abitudine nell’interagire con gli esseri umani, ma poi scosse la testa e sorrise. Il suo intuito gli aveva permesso di dominare la quasi completezza delle arti magiche, perché metterlo in dubbio proprio ora?

Forse aveva davvero ragione Mamir: era sempre meglio non aver a che fare con gli esseri umani.

Sebbene lui stesso appartenesse di fatto allo stesso genere, nella realtà la sua abilità nell’utilizzo delle arti magiche aveva modificato sia il suo essere che il suo modo di vivere.

Poteva diventare mago chiunque avesse l’abilità innata di dominare la magia, la scuola poteva solo insegnare come usarla. Chi entrava nella casta dei maghi perdeva l’appartenenza alla propria specie. Un mago era più longevo di un uomo, i suoi sensi erano più fini e i suoi movimenti più veloci.

Irìyas conosceva bene questa distinzione, ma sapeva altrettanto bene che erano gli umani ad aver più facilità di altri ad imparare le Arti Magiche e, di conseguenza, a sfruttare la loro dote, grande o piccola che fosse.

Irìyas si perse fra i pensieri di ciò che era stato, lasciandosi catturare dal fondo della vasca

Il Saggio Alem, uno degli anziani della Cerchia Accademica, l’aveva preso sotto la sua ala protettrice sin da subito. Lui e altri nove. Alcuni di loro, però, abbandonarono l’Accademia prima di avere il congedo ufficiale: la cerchia degli anziani non caldeggiava né aiutava nessuno dei suoi discepoli. Li indirizzava e li conduceva lungo la via che gli stessi allievi avevano scelto, ma se qualcuno esprimeva la volontà di andarsene, era libero di farlo.

L’Accademia non era una scuola; di scuole ne era disseminato il Regno. L’Accademia accettava solo pochi e non tratteneva nessuno. Era proprio a causa di questa politica attuata dagli anziani da secoli, che l’Accademia ormai aveva un prestigio ed un nome che non aveva pari. Solo i migliori, solo coloro che avevano trovato il perfetto equilibrio fra se stessi e l’ambiente, potevano concludere il loro percorso.

Irìyas era stato all’Accademia per sette anni. Aveva finito il suo percorso evolutivo in quattro, e poi era rimasto col Saggio Alem per raffinare l’Alchimia. O almeno questa era la scusa che aveva trovato.

La realtà diversa. Irìyas aveva ben altri progetti: l’Alchimia la conosceva, per lui e per Hado - il suo migliore amico - c’era l’Est. Inesplorato, sconosciuto.

Irìyas aveva come unico desiderio quello di andare a Est.

Il mondo conosciuto finiva a Nord con le Colonne, a Sud, tutto il territorio di Droà confinava con la Fine del Mondo. A Ovest c’erano altri due regni, che Irìyas conosceva fin troppo bene. Ma nessuno era mai andato ad Est, nessuno conosceva cosa ci fosse al di là del confine. Chiunque avesse tentato di attraversarlo non aveva fatto ritorno. Nessun esploratore era mai arrivato per raccontargli alcuna storia.

La sua storia, Irìyas, voleva scriverla da sé.

Solo una donna, la regina di un paese lontano, che si faceva chiamare Giqiath arrivò. E l’unica persona che sapeva come fosse arrivata Regina Giqiath delle terre dell’Ovest era il Saggio Alem.

L’anziano era consapevole di cosa Irìyas volesse da lui. Il ragazzo non teneva il suo sogno celato. Era troppo sfrontato per tenere il segreto e sapeva fin troppo bene che nessuno, a parte lui, avrebbe potuto avere un sogno tanto ambizioso.

Anche Hago lo coltivava e nelle loro serate invernali, prima di spegnere la luce per addormentarsi, progettavano di andare insieme ad Est. Hago non aveva mai avuto le qualità magiche di Irìyas, non aveva il controllo degli elementi e dello spazio, ma era un perfetto alchimista. Tutto, nel laboratorio aveva voce e senso. Suppliva così alle sue carenze nell’Arte Magica.

Sideas, un ragazzo che come percorso aveva seguito il Militare e che in soli cinque anni l’aveva concluso, prendeva spesso in giro Hago per le mille boccettine che tintinnavano nelle sue tasche.

Una nuova parola rispondeva il ragazzo.

Ogni alchimia, per Hago, era una parola.

Poi un giorno il Saggio Alem fece vedere qualcosa ad Irìyas: una pergamena.

Era mattina, erano nel chiostro dell’Accademia.
Alem gli svelò il suo mistero.

Il pomeriggio dello stesso giorno, Alem morì. E come una matassa che non smette più di sfilarsi, accadde tutto di lì a poco.

 

“Irìyas?”

Il mago riemerse dall’acqua.

“E’ arrivato un corvo messaggero”

“So già il messaggio che porta”

Zir mosse il naso per sistemarsi gli occhialini “Non vuoi leggerlo comunque?”

“Arriverà Sideas, fra due giorni” sospirò “Temo di sapere anche il motivo che lo conduce qui”.

Irìyas si alzò dall’acqua e cominciò ad asciugarsi “Ma se pensa di poter prendere Nyven con sé, si sbaglia”

“Ci serve ancora?”

Irìyas annuì, impercettibilmente “Non t’incuriosisce?”

“Cosa? L’arrivo di Sideas?”

Irìyas non rispose e scrollò le spalle, come chiaro segno di voler essere lasciato solo. Non si riferiva all’arrivo di Sideas.

Non avrebbe mai ceduto Nyven, anche se a chiederlo era un suo vecchio compagno di scuola.

Dopo quel pomeriggio in cui tutto era finito e il suo sogno aveva inevitabilmente preso una forma diversa, niente l’aveva più incuriosito. La noia che aveva generato il suo stato attuale, il suo intuito e la consapevolezza di non poter andare ad Est l’avevano sempre schiacciato, placidamente. L’aria si era fatta densa intorno a lui e tutto si muoveva disordinatamente.

Con Nyven, invece, qualcosa era cambiato.

C’era qualcosa nel ragazzo che Irìyas non riusciva a spiegare, un fondo cremisi nel suo spirito che il mago trovava caotico. E questo lo confondeva.

C’erano domande cui non sapeva rispondere, e un senso d’attesa e anticipazione che pensava dimenticato.

 

Lo trovò disteso sull’erba, appisolato sotto i raggi di un sole troppo debole per lui

“Prenderai freddo…”

Nyven si mise a sedere, di soprassalto “Io …Non…” biascicò ancora fra i fumi del sonno.

Il padrone si sedette di fronte a lui e l’osservò.

“Ho fatto qualcosa di male?” disse il giovane preoccupato.

Il mago sorrise “L’hai fatto?”
”No… o almeno, non credo. Ma è così raro vedervi…”

“A non far niente?”

“Sì…. Cioè, no. Non intendevo quello, non mi permetterei” Nyven era in piena confusione. Da un placido dormiveglia s’era ritrovato Irìyas di fronte e questo lo agitava moltissimo.

Sospirò, cercando di tornare padrone di sé.

Irìyas sorrise.

“Quando sei diventato schiavo?”

“Io sono nato schiavo, signore”

“Lo erano anche i tuoi genitori?”

Nyven si strinse nelle spalle, non sapendo rispondere: “Non lo so. Credo di sì, perché così m’è stato detto, ma a dire il vero, non lo so”

Era piuttosto frequente che i figli di schiavi venissero portati via, ancora in fasce, dalle braccia dei genitori. Questo permetteva alla madre di non doversi occupare del figlio e di poter lavorare meglio.

I bambini poi venivano cresciuti, a seconda della città in cui vivevano, da diverse comunità, o da alcune nutrici che se ne prendevano cura, per poi essere venduti appena in grado di fare qualcosa, come entrare nelle cave d’avorio – minuscole – oppure tessere seta d’oro i cui fili erano troppo sottili per delle mani adulte.

“Qualcuno t’ha insegnato a leggere, a scrivere, persino a disegnare mappe… E’ piuttosto insolito”

“E’ vero, ma i miei padroni avevano bisogno che leggessi per loro o che li aiutassi con il lavoro. Il cartografo non vedeva più molto bene, perciò si serviva dei miei occhi per dipingere mappe dettagliate.”

“Hai imparato bene?”

“Mi piaceva molto leggere e disegnare. Avevo la possibilità di leggere quello che mi pareva, una volta che il mio padrone era andato a letto, purchè non avessi consumato l’olio delle sue lampade. Ma al chiaro di luna si legge benissimo”

Irìyas alzò le sopracciglia. La notte di droà era dominata da una luna enorme, azzurra e luminosa. Quand’era piena, la luce che emanava era sicuramente sufficiente per leggere. Lì più a nord, invece, la luna azzurra si vedeva poco. Il cielo del nord era occupato da una luna più piccola, rosso intenso, che illuminava poco la notte delle città.

Il mago osservò il ragazzo a lungo, senza dire niente, poi allungò la propria mano, col palmo rivoltò all’insù.

L’avvicinò al viso di Nyven e d’improvviso accese una fiammella di fuoco. Le pupille del ragazzo si dilatarono così tanto che i suoi occhi apparvero neri. Sussultò.

Non emise un grido, né un gemito, ma rimase  immobile e terrorizzato, a fissare il fuoco.

Il mago strinse il pugno e il fuoco si spense. Nyven, ugualmente, rimase con lo sguardo fisso di fronte a lui. Si accorse solo dopo che una lacrima gli rigava il volto.

Irìyas lo attirò a sé,  continuando a fissarlo. Solo quando la sua testa fu appoggiata sulla sua veste, Nyven capì che il padrone gli stava accarezzando il viso e i capelli, per calmarlo.

Com’era possibile? Parlavano normalmente, sull’erba del giardino e, in un attimo, il terrore s’era impossessato di lui.

Che cosa aveva fatto Irìyas?

Il mago sospirò, senza dire una parola. Se qualcuno l’avesse guardato negli occhi forse avrebbe letto una nuova consapevolezza, ma lì in giardino non c’era nessuno. Nyven piangeva, nascosto fra i suoi vestiti.

Il mago ora sapeva dove andare a cercare per sapere chi fosse quel ragazzo dai capelli cremisi.