Il motivo per cui è nata Cremisi è difficile da trovare in poche parole. Un po’, probabilmente, perché ho sempre voluto scrivere un racconto fantasy, un po’ perché ho sempre voluto scrivere un racconto con ruoli molto netti. Un po’, perché il fantasy e i ruoli sono importanti, ma alla fine conta di più più l’ispirazione. E io l’ho seguita.

Come tutti i racconti che ho scritto e che scrivo, la trama è già ben delineata, scritta per punti sul mio taccuino. Non ci sarà la possibilità che “non sappia più cosa scrivere” o che interrompa la narrazione di punto in bianco. So quant’è brutto leggere un racconto che non si concluderà mai e, se credete alla mia parola, questo di certo non sarà la fine di Cremisi (ho finito racconti ben più lunghi ‘^_^).

Se avete voglia di scrivermi commenti, opinioni, critiche o altro, sul sito c’è la mia mail.

Buona lettura ^_^/




 


 

 

Cremisi

 

Capitolo II

 

di Dicembre

 



 

Le scale che Zir gli aveva indicato per raggiungere le stanze del padrone s’erano rivelate essere anguste, dai gradini pericolanti e malfermi, tanto che Nyven, dovette appoggiare le mani alle pareti più volte per non cadere. Ed erano infinite. Chiocciola dopo chiocciola, sembravano non terminare più. Finalmente, dopo almeno un’ora dall’inizio della salita, Nyven trovò una porta a fermargli la strada: probabilmente la porta d’ingresso.

In realtà era tutta diversa da come se l’era immaginata: era piccola e impolverata, in legno. Il chiavistello era divelto e il lucchetto arrugginito. Sembrava la porta di una cantina abbandonata, piuttosto che l’entrata alle stanze di qualcuno.

Aprendola scricchiolò e lasciò cadere anni di polvere e sabbia che probabilmente nessuno s’era mai dato la briga di pulire. Nyven iniziò a tossire, mentre quella nuvola gli imbrattava la pelle e gli penetrava negli occhi.

La stanza nella quale entrò era vuota, se non per del mobilio accatastato ad una parete e una cassapanca sulla parete opposta. Del suo padrone neanche l’ombra.

Nyven si chiese se, per caso, avesse sbagliato strada, ma subito scartò l’idea: non avrebbe potuto, le scale andavano in una sola direzione. Pensò che forse Zir lo aveva preso in giro, forse lo aveva mandato da tutt’altra parte.

Del resto, era l’unica spiegazione possibile, fra quelle quattro mura non c’era nessun padrone, né per altro avrebbe potuto vivere lì nessuno che si fregiasse del titolo di mago.

Si guardò un attimo intorno, indeciso sul da farsi, anche se la cosa più sensata gli apparve quella di tornare indietro e chiedere a Zir quale fosse la strada giusta per le stanze del padrone.

Guardò quel luogo per un’ultima volta, indugiando un po’ più a lungo sulla cassapanca. Non era un peccato lasciarla lì abbandonata, quando aveva tutta l’aria di essere di fattura pregiata?

“In effetti, è un peccato”

Nyven si girò di scatto verso la voce che aveva sentito provenire alle sue spalle, ma non vide nessuno. La porta malandata era come l’aveva lasciata.

Si girò di nuovo per vedere chi avesse parlato, ma la stanza era quadrata, non c’era luogo dove nascondersi.

“Mio signore?” Nyven mantenne la voce ferma, ma si avvicinò alla cassapanca. Che la voce provenisse da lì dentro?

Sollevò il coperchio e, di nuovo, udì la voce di prima, che rise.

“Mi credi così piccolo da entrare lì dentro?”

Nyven si spaventò all’udire di nuovo quella voce profonda così vicino a lui da sembrare gli stesse parlando all’orecchio. Lasciò andare il coperchio della cassapanca indietreggiando d’istinto. Dalla cassapanca si sollevò una nuvola di polvere.

“No…” rispose Nyven “No, mio signore… E’ che non la vedo”

“Certo che non mi vedi, non sono lì” disse l’altro “Tu piuttosto, perché sei laggiù?”

“Ho preso le scale che m’ha indicato Zir, signore” disse Nyven mortificato.

Era poco importante chi gli avesse indicato la strada, quando questa era sbagliata. Probabilmente il padrone era molto infastidito dal non vederlo ancora da lui.

Per un po’ la stanza ripiombò nel silenzio e Nyven non poté fare altro che girarsi intorno alla ricerca di quella voce. 

Era bassa e molto calda, ma lo terrorizzava.

Da dove proveniva? Sembrava che gli parlasse da vicino, ma lì non c’era nessuno. E sembrava gli parlasse da destra, o forse da sinistra. Ma all’inizio l’aveva pensata dietro di sé.

Quella voce era in tutta la stanza.

“Prendi quelle scale e vieni da me. In fretta”

Nyven si guardò in torno. Quali scale? Non c’erano scale in quella stanza

“Qu…” ma la voce lasciò il posto allo stupore. Di fianco alla cassapanca, Nyven scorse la sagoma di alcuni scalini. Si avvicinò per vederli meglio, prima era sicuro non ci fosse niente.

O forse sì?

Erano gradini trasparenti - difficili da vedere con un occhio distratto - che scomparivano oltre una piccola apertura sul soffitto. Li avrebbe notati se ci fossero stati prima…

Appoggiò il piede sul primo gradino per cominciare a salire le scale, ma di nuovo, si fermò stupito: il suo piede era zuppo d’acqua.

Nyven fece un passo indietro. I gradini non c’erano sicuramente quando era entrato nella stanza e l’acqua non può reggere il peso di un uomo. Che senso aveva che fossero comparsi dei gradini fatti d’acqua?

Nessuno, ma quella era l’abitazione di un mago, era altrettanto sciocco farsi così tante domande e non salire velocemente. Avrebbe ottenuto – come unico risultato – quello di fare arrabbiare il proprio padrone per il suo ritardo.

Eppure…

Si rese conto di avere paura, molta più paura di tutte le altre volte in cui aveva conosciuto un nuovo padrone.

 

Salì quelle scale d’acqua più lentamente di quanto avesse voluto, temendo, ad ogni scalino, di cadere. Eppure, gradino dopo gradino, l’acqua lo reggeva benissimo.

Arrivato in cima alle scale Nyven, non riuscì a trattenere lo stupore. Si ritrovò immerso in una foresta pluviale, dove – dall’acqua sulla quale camminava – crescevano alberi nodosi che s’intrecciavano a rami di altri alberi. Le foglie enormi e le liane che si tuffavano in acqua, impedivano di vedere se ci fosse qualcuno lì ad attenderlo, oppure se, ancora una volta, fosse arrivato nel luogo sbagliato. Alcune ninfee rosse e gialle galleggiavano vicino ai suoi piedi. Nyven si chinò per vederle meglio, ma all’incresparsi dell’acqua toccata dai suoi piedi, le corolle dei fiori si chiusero, in difesa.

“Le spaventi”

Nyven sussultò “Si… Signore?”

“Vieni avanti”

Il ragazzo fece qualche passo, senza avere idea di dove si stesse dirigendo.
Sentì un fruscio sopra di lui, probabilmente un battito d’ali.

“Segui i pesci, loro sanno dove mi trovo”

Nyven guardò l’acqua sotto di lui e vide numerosissimi pesci nuotare in un'unica direzione. Li seguì. Sperò di non dover fare troppa strada: era certo che le ginocchia non avrebbero retto molto più a lungo.

Poi i pesci scesero più in profondità, e Nyven non li vide più, ma non era necessario: il suo padrone era davanti a lui.

Il ragazzo chinò in fretta la testa.

“Mio signore…” cercò di mantenere la voce ferma “Scusate se l’ho fatta aspettare”

L’altro non rispose e lo squadrò, a lungo. Il silenzio si fece insopportabile quasi subito e Nyven spostò il peso da un piede all’altro, sperando che il rumore dell’acqua potesse alleviare quella paura ingiustificata. Non era la prima volta che si trovava di fronte ad un nuovo padrone, non era forse così?

Ma i rumori della foresta erano ovattati, l’acqua sotto i suoi piedi sembrava un’eco lontana. C’era il suo respiro, ma non era sufficiente a calmarlo. Non poteva parlare, perché non era stato interpellato, ma moriva dalla voglia di fare qualcosa – qualunque cosa – pur di sentire un rumore conosciuto.

Finalmente, l’altro parlò “Sei bravo a controllarti”

“Mi scusi signore?”

“Conosco altri che avrebbero parlato. Dunque è vero ciò che si dice del Crocevia Sud: gli schiavi sono davvero i migliori del Regno”

“Io farò quel che m chiederete di fare, signore”  

L’altro sorrise, ma Nyven, pur non guardandolo in viso, ebbe la chiara sensazione che quello fosse un sorriso di scherno.

“Sai leggere, ragazzo?”

“Conosco bene la lingua ufficiale del Regno, signore. So leggere il dialetto di Droà e capisco bene i dialetti dell’ovest, ma non so pronunciarli.” Nyven arrossì leggermente “Ho più volte provato, ma il mio accento è così forte che non venivo capito”

“E come mai uno schiavo conosce e sa leggere la lingua ufficiale?”

“Il penultimo…” ma poi Nyven si corresse, pensando a Tocua “Il terzultimo padrone era un cartografo, signore. Mi ha insegnato a leggere le mappe, a disegnarle. E con lui ho letto molti libri di esploratori e viaggiatori, per poter disegnare mappe complete”

Il mago annuì.

“E sei mai stato oltre i confini del Regno?”

“No signore, mai. Ma ho incontrato molti viaggiatori provenienti da ovest. Mai nessuno proveniente da est”

“Nessuno mai è andato o venuto dall’est”

“Ma ho sentito che Giqiath la Sagg…”

“Conosci Giqiath la Saggia?” lo interruppe il mago.

“Ho solo sentito dire che è una regina di un regno lontano, nell’est, signore. E che sia l’unica ad essere venuta sin qui… Non l’ho mai conosciuta, però”

Irìyas sorrise “E’ venuta qui trecento anni fa”

Nyven arrossì: “Non lo sapevo signore…”

La stanza ricadde nel silenzio e solo in quell’istante Nyven si accorse di non avere assolutamente idea dell’aspetto della persona con la quale stava parlando. La voce del suo padrone gli imponeva di tenere la testa china, impaurito in quella stanza d’acqua. Ma ora che il silenzio era tornato, il ragazzo osò guardare davanti a sé.

Irìyas sorrise.

Era seduto su una poltrona per metà immersa nell’acqua. Aveva un libro appoggiato sulle gambe che teneva accavallate e una mano appoggiata sul libro. La pelle era così chiara  che Nyven si chiese se fosse bianca.

Alzò ancora lo sguardo, osando arrivare fino al volto. I capelli nero corvini gli ricadevano sulle spalle e sul viso, nonostante fossero in parte legati. Gli occhi erano così verdi che Nyven si sentì in colpa nel guardarli apertamente, e subito riabbassò lo sguardo.

Esistevano, dunque, anche gli occhi color dell’acqua? Nyven, in vita sua, non ne aveva mai visti.

Forse s’era sbagliato, forse erano solo occhi celesti che, col riflesso dell’acqua intorno a loro, catturavano un po’ di verde.

Alzò di nuovo lo sguardo e non ebbe dubbi: erano verdi e, divertiti, aspettavano che lui facesse qualcosa.

“Signore…Posso farvi una domanda?”

“L’hai appena fatta”

Il ragazzo si zittì subito “Oh…”

Nyven spostò il peso prima su uno, poi sull’altro piede, cercando di trovare una posizione comoda fra quel disagio che dilagava.

Sentì il padrone sorridere. Sapeva benissimo lo stato in cui Nyven si trovava: non era propriamente paura, non era propriamente panico. In effetti, il ragazzo, non riuscì a capire esattamente cosa si agitasse nel suo animo.

Incomprensione. Per il suo nuovo padrone, affabile ma gelido. Non violento, a gesti o parole, ma apparentemente piuttosto aggressivo.

Fascino. Perché l’uomo di fronte a lui sembrava in estremo controllo di tutto quello che stava accadendo lì intorno, sapeva dove nuotavano i pesci e sapeva dove si trovava anche quando Nyven non era di fronte a lui. Ed era seduto su una poltrona immersa nell’acqua, senza peraltro essere bagnato.

“Sai perché sei qui?”

“Per servirvi” rispose prontamente.

“Sai perché ho preso te e non qualcun altro. Per quella cifra, a dire il vero, avrei potuto acquistare braccia ben più muscolose, più adatte ai lavori pesanti”

Nyven diede un rapido sguardo ai suoi muscoli che sapeva non essere molto grossi. Chinò il capo.

“Forse…” alcuni l’avevano voluto per il suo corpo. Ma non fece in tempo a finire la frase.

“Perché ti ho fatto rasare i capelli?”

Nyven scosse la testa “Erano forse sporchi?”

Il padrone sospirò, apparendo esasperato.

Appoggiò il mento su una mano e guardò Nyven a lungo. “Davvero nessuno si è mai accorto di niente?”

Il ragazzo alzò lo sguardo, confuso “Di cosa, signore?”

L’uomo seduto picchiò il palmo contro il libro in grembo, seccato.

“Che ignoranti! Ignoranti e certamente sciocchi!” disse stizzito. Poi si strinse nelle spalle “Tanto meglio. Questo agevola me”

Nyven era molto confuso.

“Non capisco, signore…”

“Irìyas”

“Cosa?”
”Chiamami col mio nome”

“Sì, sign…” Nyven s’ammutolì.

“Che cosa spegne il fuoco, Nyven, lo sai?”

Il ragazzo aggrottò la fronte “L’acqua”

Di nuovo si ritrovò quegli occhi verdi addosso. Irìyas indugiò un po’ su di lui e poi si alzò dalla poltrona. Prese un bicchiere appoggiato su un tavolo che Nyven non aveva notato prima e con questo raccolse un po’ d’acqua dal pavimento.

Indicò il camino – e ancora una volta Nyven avrebbe giurato che prima non c’era nessun camino nella stanza – e vi buttò l’acqua. Il fuoco si abbassò leggermente, ma subito l’acqua evaporò, lasciando nuovamente spazio  alle fiamme.

“Che cosa spegne il fuoco, Nyven, lo sai?”