Dedico questa fic a Calipso, Eshty, Seimei
e Kara…vi voglio bene! ^*^
Bacini al rhum!
^*^
CON AMORE
di Cily^^
Anche
questa volta è arrivato il primo gennaio.
E
anche questa volta lo passerò da solo, facendomi compagnia con il mio
sport.
Lo sport per cui
sono nato: il basket.
Cancello il messaggio di mia madre in
segreteria.
“Buon compleanno, tesoro. Spero ti sia già
arrivato il regalo. Auguri anche da parte di papà. Ciao.”
Sì, mi è arrivato il regalo.
Un computer. Uno di
quelli che costano un occhio della testa, con tutti gli accessori più
tecnologici e inutili che esistano.
Davvero un bel regalo, non c’è che dire.
Peccato che io non lo sappia usare e non abbia la minima intenzione di
imparare.
A cosa potrebbe mai servirmi?
Io ho bisogno solo del basket.
Nient’altro.
Io e la palla.
Arancione.
Rossa.
Come i capelli di Sakuragi.
Sakuragi Hanamichi.
Un mio compagno di squadra.
Che
mi odia.
E
perché, poi? Perché la tipa che gli piace mi sbava
dietro. E che continui a sbavare quella
gallina. Io non ho tempo da perdere con lei. Come non ne ho per
tutte le altre oche che popolano la mia scuola e che non fanno altro che
osannarmi, solo perché ho un bel viso.
Tutti mi rispettano a scuola.
Perché sono bello.
Perché sono temuto.
Perché sono un campione.
Tutti mi rispettano.
Tutti tranne uno.
Sakuragi Hanamichi. L’unica persona di cui
mi importerebbe davvero avere la stima.
Già, perché lui mi odia, ma io sono
innamorato di lui.
Chiudo la porta dietro di me e, borsone in
spalla, monto in sella alla bici, non prima di aver acceso il lettore cd
che ho in tasca. Tramite gli auricolari mi arriva la voce del cantante
dei Pearl Jam. Che bella questa canzone. Mi
fa pensare a lui. All’unica persona di cui mi
importa, ma a cui non importerà mai di me.
Pedalo lentamente, ad occhi chiusi, mentre
l’aria pungente di gennaio mi schiaffeggia le guance.
E ritorno a quello che ho pensato prima. “Ho
bisogno solo del basket”.
Che
stronzata.
Che
grandissima stronzata.
Io sono solo.
I miei genitori non mi sopportano, perché
sono “terribilmente silenzioso e scorbutico”, quindi con la bella scusa
del lavoro, sono ovunque, tranne che a casa.
Di
amici non ne ho, perché nessuno vorrebbe
mai confidarsi con un inquietante tipo come me e non sono la persona che
si fida degli altri, quindi…
Sono solo.
Irrimediabilmente solo.
Ho il basket.
Però
il basket non mi può abbracciare.
Non può prepararmi un tè caldo durante le
giornate autunnali, né sedersi accanto a me sul divano, mentre
ascoltiamo il ticchettio della pioggia sui vetri.
Non può farmi ridere ad una battuta scema.
Non può darmi la buonanotte.
Non può raccontarmi la sua giornata.
Non può chiedermi di consolarlo dopo un
brutto avvenimento.
Non può accarezzarmi, dicendomi che mi
ama, che vuole solo me, che farebbe qualunque cosa pur di avermi.
Oddio, sto di nuovo immaginando Sakuragi
che fa tutto ciò che ho detto.
Devo essere proprio fuori per quell’idiota
rosso.
Sospiro nel momento in cui finisce la
prima traccia del cd, per lasciare posto a
una delle mie canzoni preferite.
Seguo la voce del cantante con la mente e, senza nemmeno rendermene
conto, sono
già a scuola. Sistemo la bici nella rastrelliera e mi dirigo verso la
palestra. Nella tasca del giaccone tintinnano le chiavi che mi ha
prestato Ayako. Che mi sono fatto prestare da Ayako,
per la precisione.
Lascio scorrere la porta pesante e inspiro
l’odore della stanza.
Un profumo più che un odore.
Profumo di buono.
Profumo di
impegno.
Di fatica.
Di sogni.
Di sguardi.
Accidenti! Ma
perché quell’idiota rosso deve sempre affacciarsi tra i miei pensieri?!
La parola “sguardi” mi fa venire in mente i suoi occhi.
Caldi.
Color nocciola, con piccole sfumature
dorate.
Sono gli occhi più belli
che io abbia mai visto.
Sono gli occhi che mi scrutano,
ricoprendomi di mille emozioni, anche se nessuno se
ne accorge.
È per colpa del suo sguardo vivo che mi
sono innamorato di lui.
Beh, non è proprio colpa…diciamo pure che
è merito del suo sguardo.
Il Do’aho mi piace anche per altri motivi,
ovvio…ma sopra ogni cosa adoro la sua vitalità, la sua energia, il suo
ottimismo. Qualità che io non ho.
Qualità che voglio acquisire da lui.
Sospiro al parquet, appoggiando la borsa a
terra.
Mi slaccio la giacca e l’appoggio sopra il
borsone. Tolgo anche la felpa pesante e l’abbandono sul pavimento. Mi
cambio le scarpe lentamente, senza fretta. Oggi potrò allenarmi in pace,
senza che i miei compagni di squadra facciano casino. Oggi siamo in tre:
io, la palla e il canestro. E, accidenti a me,
Sakuragi, che è sempre nella mia testa. Lo stesso Sakuragi che
nei miei sogni chiamo Hana.
Sospiro e arrivo alla cesta dei palloni, prendendo il primo che capita.
Di solito lo scelgo con cura, accertandomi che sia abbastanza gonfio,
che rimbalzi bene. Ma oggi non mi importa.
Non so come mai, ma all’improvviso vengo
colto dalla sensazione che non giocherò molto per questa giornata.
Che assurdità. Io gioco sempre molto.
E oggi, che ho ancora meno del solito da
fare, posso concentrarmi anima e corpo al basket.
Arrivo alla linea dei tre punti e mi
metto in posizione. Rilascio la palla con
precisione e la seguo mentre si infila nel
canestro, cadendo sul parquet con un tonfo sordo nel silenzio della
palestra deserta. Lo raccolgo e torno in posizione. Di nuovo centro la
rete. E ancora. E
ancora. E ancora.
Poi è il momento degli slam dunk, ovvero
la cosa che mi riesce meglio. Schiaccio la sfera arancione nel canestro
con forza, con rabbia. Non so se l’avete mai provato, ma essere soli il
giorno del proprio compleanno non suscita proprio bei sentimenti. Dovrei
esserci abituato in realtà, ma nessuno si abitua
alla solitudine.
Mai.
Mi alzo dopo aver raccolto la palla e,
girandomi, penso che la mia mente mi stia giocando davvero dei brutti
scherzi. Infatti vedo Hanamichi vicino alla
porta, con le mani conserte sul petto, che mi guarda con quei suoi
bellissimi occhi, di cui adesso non posso cogliere il colore. Però li ho
imparati a memoria e conosco anche la sfumatura dorata meno evidente
di quel color cioccolato.
Il mio cuore perde un battito.
Sono un baka.
Mi emoziono per un’immagine creata dalla
mia mente.
Scuoto la testa e torno a guardare il
muro.
Ma
l’ologramma è ancora lì.
Mi osserva.
Mi fissa.
Mi studia.
Sarò pazzo a parlare col vento, ma se non
lo faccio rischio di dire addio anche a quel poco di sanità mentale che
mi rimane.
“Da quanto sei qui?”
“Da un po’.”
L’immagine ha risposto.
Quindi
non è un sogno.
Quindi
io devo stare calmo e comportarmi come sempre.
“Cosa vuoi?”
“Mi piacciono i tuoi slam dunk.”
E
a me piaci tu.
Ma…un
attimo…ha detto che gli piacciono le mie schiacciate?
Allora è proprio frutto della mia
immaginazione.
Lui non lo direbbe mai.
Purtroppo.
Se
so che è un ologramma perché continuo a fissarlo?
“Perché sei
venuto?”
“E tu perché
sei venuto?”
La sua voce è calda,
calma.
Mi piace.
Mi piace da impazzire.
“Per allenarmi.”
Per dimenticare la mia solitudine.
“Anche il
giorno del tuo compleanno?”
Sa che è il mio compleanno.
E
gli importa che io sia qui ad allenarmi in un simile giorno.
Non è un’immagine.
È la realtà.
È lui in carne e ossa che mi
parla.
E
che mi dice delle cose belle.
Delle cose che per me valgono più di mille
computer.
“Sì.”
Non so perché, però non riesco più a stare
in questa palestra con lui.
Potrei fare qualcosa di sbagliato, come
saltargli addosso e violentarlo.
Sbagliato, ma piacevole,
tutto sommato.
“Ti lascio la palestra. Me ne vado.”
“Ma io non sono venuto per allenarmi.”
Lo guardo meglio.
Jeans scuri.
Calze scure.
Scarpe pesanti abbandonate accanto
a un giaccone invernale, lasciato sul
pavimento.
Felpa a collo alzo, con
la zip che dondola un poco all’estremità
della cerniera.
Decisamente
una tenuta poco sportiva.
“Allora perché sei qui?”
“Ayako mi ha detto che saresti venuto
qui.”
E
tu sei qui per me?
“Sono venuto a portarti un regalo. Non so
dove abiti.”
Arrossisce mentre dice l’ultima frase.
Si china e solo in quell’istante noto che
accanto al giaccone è posato un pacchetto.
Lo prende e si avvicina a me.
Me lo porge.
Guardo lui.
Guardo il pacchetto.
Lo prendo tra le mani.
“Grazie.”
“Prego.”
Lo scarto piano, gustando quel momento
di ansia che sto vivendo.
A poco a poco viene
alla luce una cornice.
La carta da regalo cade a terra, ma non
importa a nessuno dei due.
Un portafoto.
Nel vetro è chiuso un biglietto.
Lo leggo attraverso il sottile strato
trasparente.
Spero che tu possa conservare qua la foto di una persona speciale.
Auguri.
Con amore.
Hanamichi.
Con amore.
Lo guardo con il cuore pesante.
Pesante di gioia, perché spero di aver capito
bene.
“C’è scritto <con amore>.”
Lo dico per me, per rendermene conto sul
serio.
“Lo so.”
Sorride mordendosi un labbro.
È nervoso.
E
anche io lo sono.
“Sono innamorato di te.”
Mi guarda seriamente, torturandosi le
mani.
Sto zitto.
Non so cosa dire.
Sono troppo felice.
Però
non posso rovinare un momento simile.
Il momento più bello della mia vita.
“Anche io sono
innamorato di te.”
Sorride.
E
anche io sorrido.
Sembra stupito.
E
allora voglio stupirlo ancora di più.
Appoggio a terra il preziosissimo regalo e
lo abbraccio.
Sento che le sue braccia, dopo
un’incertezza iniziale, mi circondano la vita.
Cerco le sue labbra.
Il mio primo bacio.
Dolce.
Lungo.
Lento.
Buono.
Speciale.
Come sarà speciale ogni attimo che passerò
con lui.
=Owari=