DISCLAIMER: I pg sono tutti miei, solo miei e ne faccio quello che voglio *_________*

NOTE: Questa storia è nata come una oneshot, ma visto che mentre scrivevo mi sono venute altre idee (come accade sempre -_-‘’) si è allungata un pochino é_è.. speriamo in bene -_-‘’

DEDICHE: Alla mia dolce metà che ha insistito tanto per questa storia, nonostante sia piuttosto banale ç_ç. Grazie per la fiducia… grazie per tutto amore mio… Speriamo ti piaccia é_è

 


 

Come back home

di Sakuya

 

CAP I: Il letto

 

 

Non  so cosa fare, non so dove andare, non so niente… non ho un passato, non ho un futuro, niente di niente… voglio solo dormire, ho sonno, freddo e fame, ma il sonno, quello è il più forte…

Potrei cercarmi un posto… c’è una casa abbandonata da queste parti… meglio di così…

Voglio solo che tutto finisca, tutto passi… voglio dormire, dimenticare tutto almeno nel sonno, cancellare il dolore e dimenticare… solo questo…

Mi appoggio sul letto, chiudo gli occhi… e poi il nulla.

 

 

POV KILLYAN

 

Casa dolce casa, è questo che si dice di solito no?

Tornare a casa, dopo tre mesi di assenza, però, non è affatto facile, non perché mi mancherà ciò che ho lasciato, ma per quello che troverò. Solo silenzio, vuoto e ricordi che non voglio rievocare…

Il soggiorno negli Stati Uniti mi ha fatto bene, mi serviva per staccare da tutto, per mettere una pietra sul passato, e ci sono quasi riuscito, è il quasi che non va bene…

A volte credo che la vita non sia fatta solo di dolore, e mi aiuta in questo pensiero, il fatto che un tempo, qualche anno fa, anche se mi sembrano secoli a dire il vero, ero abbastanza felice.

Ero un ragazzino con una famiglia normale, una casa, dei fratelli e delle passioni, insomma, che motivo avevo di confessare tutto ai miei?

Credevo forse di essere compreso, accettato e stretto tra le braccia con un bel “E allora? Ti vogliamo bene Killyan!” Probabilmente, ma la realtà è stata ben diversa. Cacciato di casa a diciassette anni, ‘semplicemente’ perché mi sono azzardato a dire a mio padre che, forse, alla fine, non sarebbe stato male avere un figlio gay, di certo meglio che drogato o ladro. Da lì è cominciato tutto, e tutto è finito.

La parvenza di serenità che avevo, si è volatilizzata, nel momento stesso in cui gli ho detto che suo figlio non era drogato né altro, ma era gay, irrimediabilmente ed inequivocabilmente gay. Mia madre, poverina, si è presa anche un ceffone in pieno viso perché ha provato a farlo ragionare. Non che lei mi abbia mai accettato, ma è l’unica che a tutt’oggi mi parla. Sono passati otto anni, mio fratello è sposato, e ha un figlio, mia sorella minore fa l’università, cosa che io non ho potuto fare a causa della mancanza di soldi, e nessuno di loro, mio padre in testa, si azzarda a rivolgermi la parola, nessuno alza il telefono a mi chiama, del resto, io non lo faccio con loro.

Ho provato un paio di volte a chiamare mio fratello ma sua moglie mi ha attaccato il telefono in faccia dicendomi che non dovevo più disturbare. Mia sorella vive ancora con i miei, ma quando chiamo la mamma, rigorosamente mentre papà è al lavoro o fuori per altro, lei nemmeno mi dice di aspettare, semplicemente chiama mamma con una voce scura…

Mi chiedo cosa succederebbe se mi ammalassi o morissi. Importerebbe qualcosa a qualcuno? Non credo.

Non si può dire che abbia veri amici, non perché sia asociale, ma semplicemente perché non riesco ad aprirmi completamente con nessuno. Del resto, l’unica persona con cui l’ho fatto mi ha lasciato.

Una storia come tante, inizia con un gran fuoco, e poi si spegne con un soffio di vento.

L’ho amato tanto, tanto davvero, un po’ perché era la mia prima storia seria, un po’ perché lui era tanto, tanto bello, un po’ perché mi faceva sentire speciale.

Un bel giorno mi ha detto che non mi amava più e che era finita. Durata complessiva, dalla prima volta in cui l’ho conosciuto, alla giorno in cui se n’è andato, un anno, sette mesi e 24 giorni.

Sono caduto in uno stato di depressione senza pari, tanto che piangevo ogni giorno, senza motivo, mentre parlavo del più e del meno cominciavo a piangere. Il mio capo, l’unico che possa definire amico davvero, mi ha preso a calci e mi ha portato lui stesso da uno psichiatra. Ho parlato per un’ora buona prima di vedermi assegnare una bella terapia di antidepressivi e tre settimane di riposo e svago assoluti. E’ un buon medico, mi sta a sentire e mi lascia parlare a ruota libera, del resto è il suo lavoro. All’inizio credevo di stare bene, credevo che tutto fosse migliorato, ma poi, dopo neanche due mesi di terapia, il mio ex è stato trasferito nella mia stessa sede della compagnia in cui entrambi lavoriamo. Siamo tutti e due impiegati in uno studio pubblicitario, e lui, dopo essere stato promosso, ha avuto la direzione di un’importante campagna, di cui si occupa tutt’ora, ed è stato spostato nella mia stessa sede. La mia gioia credo abbia raggiunto un valore così prossimo al meno infinito che la cosa ha stupito persino me.

Non ero innamorato di lui, non molto almeno, più che altro mi faceva male tutto quello che lui rappresentava. Un continuo rifiuto, uno dopo l’altro, da tutti quelli con cui venivo in contatto, o a cui, stupidamente, mostravo il vero me stesso, anche se in modi diversi. Quando ho avuto la possibilità di andare negli Stati Uniti per tre mesi a condurre una campagna in loco, ho colto l’occasione al volo, e sono letteralmente scappato da tutto e tutti.

Stanotte torno dopo questa assenza che può sembrare breve o lunga a seconda dei punti di vista, ero tentato di rimanere lì, tanto più che avevo ricevuto una proficua offerta di lavoro, ma ho rifiutato, anche se non so perché esattamente, credo di essere un po’ troppo attaccato a tutto il mio mondo, o almeno a quello che io considero tale.

Ed eccomi qui davanti al mio minuscolo appartamento al piano terra di una palazzina alla periferia di Ginevra, quello che chiamo casa, anche se non l’ho mai sentita come tale, è da quando ci vivo, il posto in cui tornare, il luogo in cui dovrei sentirmi al sicuro... peccato non sia affatto così…

Il buio mi accoglie, l’odore dell’aria viziata, la luce spenta, so che mia madre l’altro ieri è venuta a sistemare tutto, ma comunque le finestre non vengono aperte da giorni, e tutto quest’odore stantio rende più vecchio tutto quello che mi trovo di fronte.

Anche senza accendere la luce so perfettamente che il divano è di fronte a me, sulla destra c’è la finestra, il tavolo che uso per lavorare, stracolmo di oggetti, matite, gomme da cancellare e tutti i miei ‘ferri del mestiere’, la piccola libreria, e sulla sinistra il cucinino diviso dall’altro ambiente da un muretto basso che ho trasformato in tavolo, con tanto di sgabelli da un lato.

Poggio la valigia a terra e, senza neanche accendere la luce o aprire la finestra, mi infilo direttamente nella porta che mi si trova di fronte e che si apre sul piccolissimo andito su cui si affacciano il bagno e la camera da letto. Quest’ultima è l’unica stanza che ritengo essere decente. Ho voluto mettere per forza un letto matrimoniale, nonostante lo spazio non fosse moltissimo, più che altro per sentirmi adulto, perché ho sempre creduto che ‘i grandi’, quelli che quando avevo dieci, dodici anni, ne avevano ventiquattro come me adesso, nelle loro belle case da adulti, rigorosamente lontane dai genitori, avessero dei grandi, immensi, letti a due piazze su cui potessero girarsi comodamente quando dormivano da soli, e non aver problemi quando erano in due.

Ero sciocco, ingenuo come tutti i bambini sono.

Sarebbe stato bello vivere ancora con mamma e papà, trovare magari la cena quando torno dal lavoro, con qualcuno che mi chiede come sia andata, e allo stesso tempo, non sarebbe male avere qualcuno che divide con me questo letto, che ho scoperto essere troppo, troppo grande quando si è soli, come io sono.

Getto la giacca sulla sedia che c’è accanto alla porta, e solo quando sono completamente dentro la stanza accendo la luce, e tutto solo per rimanere senza fiato.

Un ragazzo, un bellissimo ragazzo, è beatamente addormentato sul mio letto, i vestiti sono gettati a terra, sparsi su tutto il pavimento, un braccio ricade mollemente abbandonato sul cucino, la mano gli sfiora quasi le labbra leggermente dischiuse e rosse, l’altro è accanto alla testa, la schiena scoperta, il lenzuolo gli copre appena i fianchi lasciando intravedere i reni, l’inizio del fondoschiena, però… la cosa che mi colpisce di più, mentre osservo ipnotizzato l’alzarsi e l’abbassarsi ritmico della sua schiena, sospinta in alto dal respiro leggero, sono i suoi capelli, sparsi sul cuscino come per formare la cornice perfetta di un quadro altrettanto unico: soffici capelli candidi, lunghi fino alle spalle, ancora umidi.

Non ci posso credere… non è possibile… che ci fa un tizio nudo nel mio letto… senza che io abbia fatto niente???

Mi scuoto e scrollo la testa come per riportarmi alla realtà. Mi avvicino delicatamente, cercando di non svegliarlo, poi mi ricordo, miracolosamente, che questa è casa mia e lui è un intruso, altro che non svegliarlo!

“Ehi! Ehi tu, svegliati!” Gli metto una mano sulla spalle ed il calore che emana il suo corpo in un attimo mi riscalda le mani rese fredde dalla bassa temperatura esterna.

Lui apre appena un occhio e si passa la mano sull’altro, per cercare di mettere a fuoco chi si trova davanti e chi è stato l’essere che abbia osato svegliarlo. Ha un’aria insolitamente tenera, molto simile ad un bambino che viene svegliato durante un sogno particolarmente felice.

“Che vuoi?”

“Che voglio? CHE VOGLIO??? Spero tu stia scherzando, vero?? Che diamine ci fai qui?”

“E tu che ci fai?”

Ogni traccia di sonno sembra completamente scomparsa dai questi suoi occhi rossi come il sangue. E’ un albino, un bellissimo albino dagli occhi rossi come il fuoco ed i capelli bianchi come la neve. Un calore bruciante e una freddezza paralizzante. Quale di queste due prevarrà in questo ragazzo? Anche se dalle sue reazioni non ho molti dubbi a riguardo…

“Ma sei scemo o cosa??? Alzati immediatamente dal mio letto!”

“Non è tuo, questa casa è abbandonata.” Alza le spalle con una noncuranza disarmante, non so se spaccargli la faccia a pugni o gettarlo sul letto e farlo urlare di piacere… no beh, forse è più realizzabile la prima ipotesi…

“Questa casa non è abbandonata! E’ mia! Sono stato fuori per lavoro… un attimo… non devo giustificarmi con te!! Alzati e sparisci, forza! E poi come sei entrato??”

Alza di nuovo le spalle e fa per alzarsi.

“Il vetro era rotto. Le case che sono abitate non hanno vetri rotti.”

Guardo il punto che ha indicato lui, ed effettivamente, il vetro della finestra è rotto, ma che ne so che non l’ha rotto lui? Anzi è probabile proprio che l’abbia fatto!

“L’hai rotto tu il vetro,vero??”

“Idiota!”

Mi dice solo questo e poi si alza, nudo come mamma l’ha fatto, mostrandomi tutte le sue meravigliose grazie, ma qualcosa non va, perché le gambe non gli reggono, e prima ancora che possa rendermi conto di cosa succede, lo sto stringendo forte a me, impedendogli di rovinare a terra e farsi male.

“Hai la febbre stupido, e pure alta!”

“Lasciami!” Si dibatte tra le mie braccia ma evidentemente la febbre deve averlo indebolito parecchio, perché tutti i suoi tentativi sono piuttosto vani.

Lo rimetto nel letto e lo copro con il lenzuolo e altre tre coperte.

“Fuori ci saranno dieci gradi sotto zero e tu ti metti a dormire con i capelli bagnati? Ma sei scemo o cosa?”

“Avevo sonno.” La sua voce è particolarmente burbera, ma si capisce chiaramente che è per l’imbarazzo della situazione.

Effettivamente… cosa sto facendo esattamente? Mh, vediamo… sto mettendo un tizio, di cui neanche conosco il nome, che si è introdotto in casa mia mentre ero via, a dormire nel mio letto, perché ha la febbre, e probabilmente ora andrò in cucina  preparargli qualcosa di caldo, sempre che ci sia qualcosa… altrimenti, uscirò e comprerò dei dadi da cucina e delle verdure per preparargli un brodo… sì, non c’è che dire, sono davvero impazzito…

“Riposati, vedo se in cucina c’è qualcosa…”

“Se è davvero la tua casa dovresti saperlo cosa hai in cucina. Non è casa tua, confessa.”

Apro la bocca pronto ad insultarlo ma scuoto la testa e sbuffo esasperato, andandomene diretto in cucina. Lo ammazzo prima che guarisca se continua così…

Torno indietro e mi infilo per metà attraverso il vano della porta… almeno devo sapere il nome di quello che mi manderà in carcere per omicidio di primo grado, no?

“Come ti chiami?”

“Wolf.”

“Come ti chiami?”

“Wolf.”

Lo dice in un modo che… mi sta prendendo in giro??

“No tesoro, i cani fanno woff woff, ma dai ci sei andato vicino…”

“Idiota!”

“Ok, Wolf… io sono Killyan.”

Non aspetto risposta e mentre sento il fruscio delle lenzuola e delle coperte che vengono alzate, evidentemente a coprirgli il viso, me ne vado in cucina e stranamente, dopo interi mesi, canticchio la sigla di un anime giapponese che mi piace.

Quando torno, dopo aver scoperto con mia grande gioia, che mi madre mi ha lasciato il frigo e il congelatore pieni zeppi, Wolf, sempre che questo sia il suo vero nome, anche se decisamente credo di no, dorme pacifico e rilassato, coperto fino al mento.

“Ehi… ehi svegliati…”

Lui apre un occhio sonnacchioso e mi viene di nuovo quella tenerezza di prima… posso cacciare uno che sta male? No, certo, anche se potrebbe essere un ladro, una maniaco, un assassino, un serial killer…

“Mh…” mugola e basta, mentre si mette e a sedere ed è ancora nudo…

“Stupido… dovresti metterti qualcosa addosso…” Poggio il vassoio in terra e apro l’armadio prendendo un pigiama. Fortunatamente tutti i miei vestiti invernali sono ancora qui, è stato un bene partire col caldo e tornare col freddo…

“Tieni, metti questo…” Gli porgo un pigiama di quelli pesantissimi e lui mi guarda storto, come se gli avessi appena dato un coltello dicendogli di tagliarsi le vene.

Si veste di fronte a me, senza il minimo imbarazzo, probabilmente non si rende conto di essere così eccitante, e anche se lo sa, di certo non potrebbe mai pensare di essere finito in casa di uno a cui piacciono gli uomini…

Anche lui è stato molto, molto imprudente, potrei essere un maniaco o un serial killer, ma sembra quasi che tutto questo a lui non interessi. Non sembra il tipo che si fida ciecamente del prossimo, ma allo stesso tempo… non credo sia uno sprovveduto, tutt’altro, ma credo fortemente sia molto, molto ingenuo, almeno su certe cose…

“Quanti anni hai?”

“Abbastanza.” E’ ancora più scontroso di prima, non voglio farmi gli affari suoi, ma è normale che mi interessi di uno che dorme nel mio letto, no?

“Abbastanza quanti? Anche se sei minorenne non me ne frega niente, non ti preoccupare, è per fare due chiacchiere.”

“19… tu? Sei vecchio vero?”

“24… vecchio un corno!”

“Te li poti male, ne dimostri almeno 30...” Me lo dice con la stessa noncuranza con cui si dice che la luce è spenta, mentre si siede di nuovo sul letto, prende il piatto e comincia a mangiare.

Davvero dimostro trent’anni? Ehi, ma scherziamo?? Apro la bocca per ribattere ma, di nuovo, esattamente come prima, non esce nessun suono se non uno sbuffo molto forte. Ma perchè semplicemente non lo prendo a calci e lo butto fuori di casa?

Dai Killyan, è malato, ha la febbre, un culo da urlo… ehm... no, non credo questo dovrebbe essere uno dei motivi che mi spinge a tenerlo qui… ma che ci posso fare? Sono fatto di carne e ossa anche io, non sono certo un santo! E credo che nemmeno vorrei esserlo...

“Mangia…” mi limito a dirgli dopo questa lunga pausa riflessiva, e mi sembra di vedergli nascondere un sorrisetto beffardo mentre porta il cucchiaio alle labbra e mangia la minestra.

“Almeno sai cucinare…”

“Almeno?”

“Beh, nel resto, per ora, mi sembri scarso… gentilezza meno di zero, educazione non ne parliamo, ospitalità poi…”

“Ehi brutto marmocchio, vuoi che ti butti fuori? Sai, sei in casa mia, posso farlo come e quando voglio…”

“Ecco vedi? Mi dai ragione ogni istante che passa…”

“Tu…”

“Sì?” Mi sorride angelicamente mentre rimette il piatto sul vassoio che è a terra e si distende di nuovo nel letto, proprio come se io non ci fossi!

“Ehi quello è MIO!”

“Beh, allora ci stringeremo, mica vorrai farmi dormire per terra vero?”

“C’è il divano, e credo che ti vedrà fargli compagnia!”

“Vedi che sei proprio villano?”

“Tu, brutto ragazzino…” Mi tuffo sul letto e su di lui con tutta l’intenzione di dargli un bel pugno e magari una bella lezione, ma invece… mi ritrovo a fargli il solletico, mentre lui ride come un matto.

Stop… che sto facendo?

Non lo so… ma qualsiasi cosa sia è divertente, perché più lui ride, più io sto bene, mi sento rilassato e tranquillo come non mi succedeva da mesi, forse addirittura da anni… c’era sempre qualcosa che non andava, persino poco fa, mentre rientravo in casa ero triste nel farlo, ma adesso… mi sembra di aver dimenticato tutto, l’universo sembra avvolto da una sorta di nebbia che lo nasconde, fino a che non arriva il sole che cancella la nebbia e tutti gli angoli bui… sarà così anche ora? Perché?

“Basta! Ahahah… mi… mi arrendo… ahahahahahahah”

“Bene, perfetto… vado a farmi la doccia. Al mio ritorno voglio ritrovarti messo in modo che ci possa entrare anche io nel letto!”

Davvero voglio dormire con lui?

Sì.

Perché?

Non lo so… ma perché devo scoprirlo per forza adesso?

“Ok, ok…”

Accenna una specie di piccolissimo sorriso e io faccio lo stesso di rimando, per la prima volta da mesi sorrido spontaneamente, o meglio, lo faccio realmente… sorrido davvero convinto di quello che sto facendo.

Mi alzo e recupero un pigiama dallo stesso cassetto da cui ho preso quello che ho dato a lui, poi mi infilo in bagno, scoprendo che gli asciugamani sono stati lavati di recente… di nuovo mamma…

Beh, anche se non mi accetta… la mamma è sempre la mamma no?

Sorrido un po’ più apertamente di prima, anche se adesso che sono solo nessuno può vedermi… e in questo momento il rumore della televisione che viene accesa in camera da letto mi ricorda che non sono solo davvero…

Però, quello che questo realmente significa, forse, devo ancora scoprirlo, e rendermi conto anche se, poi, è davvero così.

Quando rientro in stanza il marmocchio già dorme, i capelli sparsi sul cuscino, gli occhi chiusi, tutto il suo corpo rannicchiato e raggomitolato, quasi avesse paura di occupare troppo spazio. Mi stendo dalla mia parte e mi fisso a guardarlo, cosa racchiudano questi occhi ancora devo capirlo, così come devo riuscire a capire cosa mi sta succedendo, perché un ragazzo che non conosco sia in grado di farmi sentire bene, e soprattutto, di farmi sorridere…

 

Apro gli occhi e… sono di nuovo solo… solo in questo letto troppo grande per chi è solo. E’ stato un sogno? Un angelo è venuto a trovarmi per dirmi che presto sarebbe cambiato tutto? Oppure, molto più probabilmente, il mio desiderio di avere qualcuno al fianco ha fatto sì che dietro eventi che credevo reali, si celassero visioni oniriche… ma perché?

Mi alzo e vado diretto in bagno, ma un rumore proveniente dalla sala da pranzo mi fa cambiare direzione… forse non è stato poi tutto un sogno…

Entro e quasi svengo, rimango senza fiato esattamente come ieri, o forse, anzi sicuramente, molto peggio di ieri…

“Che… che… che hai….!”

Wolf si gira, solo i pantaloni del pigiama addosso, i riscaldamenti accesi, ed un sorriso grande come una casa gli rallegra il volto.

“Ti piace?”

Dire che sono basito non è altro che un semplice e banalissimo eufemismo per spiegare l’espressione di puro sconcerto che sono sicuro si possa vedere ora sul mio volto.

Un ritratto gigante di me a mezzo busto, con la casacca del pigiama semi aperta adorna la parete di fronte alla porta su cui mi sono fermato… e sono certo che ieri non ci fosse…

“Che… hai… fatto?”

“I gessetti erano su quel tavolo…” come a giustificarsi, sempre con l’espressione burbera che ho capito assume quando si sente in torto od in imbarazzo, Wolf indica il mio tavolo da lavoro, sui cui effettivamente, c’erano dei gessetti, come colori a tempera, ad olio, e molto altro ancora.

“Ma…”

Mi avvicino con la bocca spalancata e lo sguardo fisso sulla parete e devo ammettere che come artista questo ragazzino ha davvero un futuro brillante, ma… perché diamine sulla mia parete?????

“Allora?” Il suo sguardo pieno di aspettativa si fissa nel mio e davvero non so che dire, ma come sempre, in questi casi, dico la cosa sbagliata.

“Sei impazzito o cosa??”

Il sorriso gli muore sulle labbra, un ciuffo di capelli sfugge dalla coda e gli va a coprire una parte del volto, che china, mentre sento che qualcosa cade a terra, e per un attimo ho la tremenda sensazione che sia il suo cuore o qualcosa del genere.

“Lo cancello subito…” comincia a rovistare sul tavolo alla ricerca di qualcosa che possa essergli utile, e io mi sento un vero verme, e non importa affatto che lo conosca da nemmeno ventiquattro ore e che non so chi sia… mi avvicino e lo abbraccio con un solo braccio da dietro, all’altezza delle spalle.

Lui si irrigidisce per un secondo, e per lo stesso tempo ho la tentazione di togliere il braccio per non venire rifiutato anche da lui, ma subito, per mia fortuna si rilassa, e con lui anche io.

“Lascialo, è molto bello… solo… non me l’aspettavo ecco…”

“Non sei costretto a tenerlo… ora lo tolgo…”

“No! Davvero Wolf, mi piace! Scusa, non ci so fare molto con le persone…”

“L’ho capito, è da ieri che ti dico che sei un disastro.”

“Ehi!” La mia voce è giocosa e l’altra mia mano corre a fargli il solletico per un attimo solo, il tempo di sentire la sua risata lieve e dolce, il tempo di sentire il cuore un po’ più leggero, anche se non capisco il perché.

Per un momento mi sembra di sentirlo rilassarsi contro di me, ma forse è solo una mia impressione, anche se, purtroppo, non posso assolutamente esserne certo, in ogni caso il telefono mi distoglie da questo pensiero e rompe la strana atmosfera che si era creata tra di noi.

Vado a rispondere ma gli sorrido, e lui fa lo stesso mentre sistema i gessetti che ha usato per disegnarmi. Non so bene come abbia fatto, ma è riuscito a mescolare i colori giusti, creando l’esatta tonalità dei miei capelli biondi e dei miei occhi azzurri, i primi presi da mio padre, di origine norvegese, i secondi da mia madre, di origine francese. Strana accoppiata la loro, e strano risultato io.

“Pronto?”

La voce di mia madre dall’altra parte mi fa ricordare che sono tornato a casa davvero, anche se mi sembra di stare vivendo un sogno.

Mi chiede come sto, a che ora sono rientrato, se è andato tutto bene, se ho mangiato e tutte quelle cose che chiede una madre, la ringrazio per la casa, gli asciugamani, il cibo e il frigorifero pieno, lei non fa altro che dirmi che non c’è niente di cui ringraziare e poi aggiunge che mi verrà a trovare la settimana prossima, quando mio padre tornerà al lavoro dopo qualche giorno di ferie, preso per rilassarsi dopo un periodo particolarmente stressante.

Mentre sento la sua voce parlare mi chiedo come reagirebbe se, venendo qui, trovasse Wolf, ma allo stesso tempo mi dico che magari lui non sarà più qui tra una settimana, non so nemmeno cosa farà domani, se lo troverò di nuovo accanto a me al risveglio, o se avrà preso i suoi vestiti e se ne sarà andato.

Sono talmente assorto dai miei pensieri da accorgermi a stento che mia madre mi saluta in tutta fretta, avendo sentito mio padre salire le scale.

La saluto a mia volta e poi guardo Wolf, un tenue sorriso gli increspa le labbra, sembra quasi volersi scusarsi per aver udito la conversazione, ma sinceramente, poco mi importa, in fondo, per tutto il tempo ho pensato a lui… che diavolo mi sta prendendo?

“Che mi hai fatto?”

“Eh?”

Lui mi guarda senza capire, ed effettivamente non ci sarebbe niente da capire, la mia domanda è più che semplice da comprendere, almeno per il mio piccolo, stupido e antipaticissimo cervello che ha fatto tutto un suo ragionamento, ignoto persino a me, e che Wolf dovrebbe, ma ovviamente non può, capire.

“Niente, lascia stare.” Gli sorrido appena e lui mi guarda preoccupatissimo avvicinandosi e puntando i suoi meravigliosi occhi nei miei. Non avevo mai visto qualcuno così preoccupato, e non avevo mai visto due occhi così rossi, il colore che solitamente si assegna all’amore e alla passione, ma anche al sangue…

“Ti ho fatto male prima? Ho fatto qualcosa che non dovevo?”

Sembra abbia quasi paura che anche solo accostandosi un passo, un minuscolo passo di più, potrebbe ferirmi o farmi chissà che. Le mie braccia si muovono da sole andando a circondare il corpo di questo dolce coniglietto, perché è questo che sembra, un piccolo coniglietto bianco che ha paura di tutto… nonostante fino a poco fa facesse lo spavaldo e cercasse di apparire sicuro e tracotante.

“Non mi hai fatto niente… solo che… hai un posto in cui andare?” Che domanda del cazzo è? Uno che se ne va in una casa che crede abbandonata, può avere un posto in cui stare??

Alle mie parole si stacca da me e dal mio abbraccio, mi sembra che si sia irrigidito, mi guarda e si scusa dicendo che ne andrà subito. Lo abbraccio di nuovo e gli dico di rimanere dov’è.

“Visto che non hai un posto… perché non rimani qui?” Sono impazzito? Mettermi in casa un perfetto sconosciuto, qualcuno che non ho mai visto, che non so chi sia e cosa abbia alle spalle. Beh… nel sonno non mi ha ucciso, violentato o derubato, quindi… non so perché mi stai fidando così ciecamente proprio io che non mi fido mai di niente e di nessuno, non lo so davvero…

I suoi occhioni si allargano per lo stupore e lo vedo pronto quasi a saltarmi in braccio, ma si ferma e assume quella sua aria da schiaffi, con un sorriso birichino che gli disegna le labbra.

“Ovvio che rimango! Questa è casa mia dopotutto!”

Scoppia a ridere ed io faccio finta di volerlo strozzare, così lui corre via ed io dietro di lui per inseguirlo intimandogli di fermarsi o sarà peggio per lui.

Non mi ero mai sentito così… sereno… sembra quasi che tutto quello che ho sempre provato, tutti quei sentimenti che credevo facessero parte del mio stesso essere non fossero mai nemmeno esistiti. Forse questo è solo un sogno e il risveglio sarà ancor più duro di ogni altra prova abbia dovuto superare, ma… finché posso vivere in quest’atmosfera di impalpabile ma consistente pace, perché pensare al peggio?

Acciuffo il coniglietto scappato e mentre ride e si contorce sotto il mio solletico sento che biascica qualcosa di diverso dal solito “basta!”. Mi fermo e lo guardo rendendomi conto che continuo a sorridere senza sosta da diverso tempo, cosa per me molto strana.

“Che c’è piccolo? Non ho capito…”

“Al... mmmhh...”
“Cosa? Scusa non ho capito…”

“Al… mmmhh…”

“Wolf… non capisco…”

“Aljoscha… mi chiamo Aljoscha…”

La sua voce è dolce ed imbarazzata, ma questa semplice parola, il suo nome, ha suscitato in me qualcosa che non credevo possibile. Lo prendo tra le braccia e lo stringo forte, mentre sento che lui si rilassa nella mia stretta e si appoggia contro di me.

“E’ un bellissimo nome piccolo.”

“Mi prendevano sempre in giro…” Le parole arrivano più o meno dal mio petto, quindi deduco che la sua bocca sia grossomodo a quell’altezza.

“E perché? E’ così bello!”

“Dicevano che… sembravo una donna…”

Una donna? Ma se il solo vederlo nudo mi ha causato non pochi problemi?

“Ehi piccolo guardami… - il suo viso ha un’espressione così dolce in questo momento – non sembri affatto una donna… ti assicuro che… ehm… sei molto mascolino ecco…”

“Ma che dici?”

Gli posso dire che sono gay e che in questo preciso istante sto cercando di trattenermi, pensando alla flaccida signora che vive al piano di sopra, dall’avere un’erezione causata dalla sua estrema vicinanza? Forse dovrei… e se scappasse? Un attimo… Killyan… che cazzo dici?

“Sei eccitante…” Ok, il cervello mi è andato in pappa…

“Sono che? Ma smettila!” Il suo sorriso allegro e divertito mi fa sentire che all’improvviso c’è un buco al posto del cuore. Che avevi pensato Killyan? Credevi di poter unire le vostre solitudini? Per farne che? Per sentire se il sapore della solitudine è diverso in due? Sai perfettamente che non è così.

“Scusa… - un sorriso appena accennato, vorrei davvero che mi credesse - … ehm… che vuoi fare?”

Lui mi guarda per un attimo, un solo attimo in cui sembra scrutarmi fin dentro l’anima. Che vuoi trovare Aljoscha?

“Che c’è?”

“Niente! Allora.. programmi per il resto della giornata?”

Lui continua a guardarmi con uno sguardo inquisitore,  cerco di comportarmi come se nulla fosse, ma ho come la tremenda sensazione di non riuscirci affatto.

“Dopo… ora… mi dici che hai? Sei strano… hai una specie di… velo sugli occhi…”

Un velo sugli occhi che mi impedisce di vedere oltre me stesso, capire che non si può sempre avere ciò che si desidera, ma soprattutto, che non sempre la felicità è per tutti, perché la felicità è un dono prezioso e raro, una reliquia a cui non tutti hanno il permesso di accedere…

“Anche se non mi credi, quello che ho detto è vero… Sono gay e tu mi piaci molto… per me sei molto eccitante.” Ok, almeno adesso, caro stupidissimo Killyan, puoi ricominciare a piangerti addosso su quanto la tua vita faccia schifo e su quanto tu sia sfigato. Peccato però che la sfiga te la vai a cercare.

Aljoscha rimane per un attimo perplesso, senza sapere cosa esattamente fare o dire, glielo leggo negli occhi, però dopo un attimo… E’ come se realizzasse quello che ho detto ed allora… arrossisce completamente e tutto il suo bellissimo viso si accende di un’intensa tonalità porpora che contrasta con i capelli bianchissimi ma si accorda alla perfezione con i suoi occhi color del sangue.

“Killyyyyaaan! Non prendermi in giro!”

“Non ti prendo in giro…” Mi avvicino di un passo, ma lui non si tira indietro, anzi, rimane fermo dov’è e mi fissa negli occhi, sono certo che sta cercando di scorgere nei recessi del mio cuore, nelle profondità nascoste di quella cosa che tutti dovremmo avere, ma che molti non hanno, ossia l’anima. Di nuovo ti chiedo: cosa credi di trovarci Aljoscha? La verità assoluta? Io non la posseggo. La mia verità? Non la nascondo, te l’ho mostrata, non devi cercarla troppo in fondo.

Alj arrossisce ancora di più e poi abbassa lo sguardo con evidente imbarazzo. Io mi fermo dove mi trovo, non un altro passo, perché credo che la sua reazione sia più che esauriente.

“Io… cioè… scusa… non ho… scusa… non so…”

“No, scusa tu, non preoccuparti… senti… se… insomma… volessi…io potrei…”

“Mi insegneresti davvero?”

Che dovrei fare io? Cerco di scorgere il suo sguardo sotto i capelli ma non c’è bisogno che cerchi con troppa insistenza perché lui alza il viso, ora raggiante, benché ancora rosso come un peperone, e mi guarda speranzoso.

“Insegnarti?”

“Io vorrei, ma… non sono capace… quindi… se mi insegni… poi posso baciarti senza problemi!”

Per un attimo lo shock è tale da lasciarmi senza parole, con la bocca leggermente aperta per lo stupore e lo sguardo fisso su Aljoscha. Lui vuoi cosa?? No, sto sognando… oppure mi sta prendendo in giro… non è possibile che lui voglia che io… no… davvero no…

“Alj… ehm… scusa… Aljoscha… scherzi?”

“No! Perché dovrei? E poi mi piace se mi chiami Alj… mi piace il mio nome detto da te…”

E a me piaci tu… ma questo me lo tengo chiuso ben bene nel cervello…

Vuole davvero che gli insegni a baciare? Ma sopratutto… vuole davvero baciare me???

“Tu… ehm… sei gay anche tu?”

Lui inclina la testa da un alto e mi guarda poi sembra farsi pensieroso e corruga leggermente le sopracciglia.

“Non lo so a dire il vero… non ho mai avuto il modo di pensare a certe cose… ma… credo che mi piacciano di più gli uomini sì… perché?” Perché?? Come perché? Io per aver detto una cosa del genere sono stato cacciato di casa a calci nel sedere! Mh… lo mangerei di baci tanto è tenero e sincero…

“Ah… e perché vorresti baciarmi?”

“Beh… perché sei bello e perché… visto che sei in casa mia… posso rivendicare su di te ogni diritto!” Ridacchia e poi mi fa una linguaccia mentre io non posso far altro che sorridere. Come accade da ieri sera… mi sento davvero troppo bene quando sto con lui…

“Ah sì… ma visto che tu sei in casa mia…”

Mi avvicino, stavolta sono deciso ad andare fino in fondo, vada come vada… voglio solo un bacio… voglio assaggiare le sue labbra… al diavolo tutto il resto!

“E quindi?”

Lo abbraccio stringendolo intorno ai fianchi, così forte da non farlo scappare… mi hai stuzzicato piccolo, adesso ne pagherai le conseguenze…

Alj mi guarda tranquillo, certo che da me non potrà ricevere altro che… che cosa posso dargli io? In questo momento un bacio passionale, ma poi? Dopo un bacio cosa c’è? Tutto… oppure niente…

E perché voglio così tanto baciare un ragazzino che conosco da ieri?

Mando al diavolo le testa e tutti i pensieri scollegati che seguono e lo bacio.

Non so se ho mai baciato così dolcemente ma passionalmente qualcuno… forse sì… ma adesso… sento solo la sua bocca che sa di biscotti (deve aver mangiato quelli che mia madre mi ha preparato)… l’odore dei colori ad olio che si mischia al suo… la sua lingua che, inesperta e dolce, si muove contro la mia, senza sapere bene cosa fare, o almeno, senza che la mente lo sappia… perché sento il suo corpo… reagire al mio… abbracciarmi… come io faccio con lui… appoggiarsi a me… mentre io faccio lo stesso… e poi… ancora il bacio… lungo, appassionato…

Ci separiamo leggermente ansanti, Alj ha le guance arrossate e gli occhi lucidi, le labbra gonfie ed umide per il bacio… è ancora più bello così…

“Mh… sì… ho capito…” Lo guardo e sono io a non capire, poi le sue parole di prima mi ritornano alla mente colpendomi.

<Mi insegneresti?> Voleva solo gli insegnassi come si bacia… come se fosse una cosa che si impara a comando, con l’esperienza sì, ma un bacio dato per imparare… che significato ha?

Mi sorride dolcemente e poi lo vedo avvicinarsi, mettendosi sulle punte, fino a che le nostre labbra si toccano di nuovo, e stavolta è lui ad iniziare il bacio, è la sua lingua a chiedere l’accesso alla mia bocca, ad accarezzarmi, a toccarmi, anche se ancora non è molto sicuro di quello che fa…

<… poi posso baciarti senza problemi!>

Il resto della frase di prima si accende nella mia testa come se fosse un’insegna luminosa e, al suo fianco, un’altra insegna… CRETINO!

Sei un coglione Killyan!

Lo abbraccio stretto e di nuovo lo bacio, lui prende sicurezza ed io mi lascio andare… come andrà a finire la giornata? Sono combattuto tra il voler vedere il letto, ed ovviamente Alj nudo sopra di esso, oppure fare una visitina alla doccia, con Alj che si lava ed è cosparso di simpatiche goccioline di acqua che potrebbero far pensare ad un altro liquido…

Driiiiinnnn!!

Il suono del telefono fa sobbalzare entrambi e siamo costretti a separarci malgrado nessuno dei due ne avesse voglia, nonostante i miei polmoni ringrazino vivamente il trillo del cellulare.

“Killyan… ciao, allora sei tornato? Tutto bene il viaggio? Domani ti voglio al lavoro!”

Nemmeno riesco a dire pronto che la voce del mio ‘amato’ capo mi assale e mi fa tornare in mente che l’idillio in casa con Alj può durare per sempre… devo rientrare al lavoro… e indovina un po’ Kill? Chi c’è al lavoro oltre al capo?

Il tuo caro, carissimo, amatissimo ex fidanzato … che sarà molto felice di vederti e di comportarsi come se vi foste lasciati in pace e da buoni amici. Certo, da ottimi amici, tanto che sei andato in depressione per colpa sua!

“Sì, ok… Dopodomani allora, ok, ciao capo.”

Mentre le immagini di quel carissimo ragazzo mi vorticavano in testa il capo ha continuato a parlare, non ho capito molto quello che ha detto, so solo che dopodomani devo tornare al lavoro.

“Che palleeee!!”

“Killyan… tutto bene?”

“Mh… si scusa Alj, era il mio capo. Dopodomani devo tornare al lavoro.”

“Ah… ecco… scusa…”

“E di che? Però… ho ancora oggi e domani per insegnarti bene come si bacia… anche se prima sei stato… eccezionale…” Gli faccio un occhiolino mentre sorrido maliziosamente e lui arrossisce di colpo… e di colpo è tutto scomparso. Questo ragazzo riesce davvero a calmarmi e farmi un gran bene… come farà?

“Devo fare pratica…”

“Mi sa di sì…” Gli sorrido come prima e mi avvicino nuovamente a lui, lo prendo per un polso e lo porto sul divano dove entrambi ci sediamo, leggermente abbracciati. E’ bello sentire il suo calore…

Un brivido lo percorre da capo a piedi e solo ora mi ricordo che è a torso nudo ed io in pigiama.

“Alj… tu avevi la febbre ieri… adesso ti vai a fare un bel bagno caldo, senza lavarti i capelli o ti ammali di più! Poi vai nel mio armadio, prendi dei bei vestiti pesanti, e torni qui, ti va?”

“Ma…”

“E non fare quel musetto! Su corri, che poi ci vado io in bagno. Intanto preparo il pranzo. Che ti va?”

“Non lo so, fai tu.”

“Ok, tanto mamma mi ha lasciato il frigo pieno.”

“Ma… se adesso vado via…”

La frase interrotta a metà ed un altro brivido me lo fanno stringere più forte tra le braccia, ma non sono molto sicuro che sia solo perché ha freddo che lo abbraccio così stretto…

“Cosa?”

“… I… ehm… le… lezioni…”

“Oh… già… Beh… diciamo che dopo pranzo ti bacerò così a lungo e così tanto che chiederai pietà…” Gli sorrido di nuovo maliziosamente e lui arrossisce un po’, ma una luce di desiderio gli illumina gli occhi. Ok Kill… ti dovrai fare una bella doccia fredda dopo…

“Volo!” Mi sorride ed alzandosi in piedi mi da un leggerissimo bacio sulle labbra, prima di scappare verso il bagno e la camera da letto.

Ma che stai combinando Kill? Ti metti a baciare uno sconosciuto? E poi? Che pensi di fare?

Vuoi portartelo a letto? E stai facendo tutte queste storie solo per una scopata? E se fosse di più? Ma non avevi detto basta con qualsiasi tipo di relazione per un bel po’? Perché lui è così diverso? Solo perché è dolce? No, forse no… ed allora perché?

Non so c’è risposta alla mia domanda, anche mentre preparo meccanicamente il pranzo, la mia mente è focalizzata su Aljoscha, sull’acqua che sento scorrere, sul suo viso… sui suoi baci…

“Fatto…”

Mi volto mentre sistemo la pasta nei piatti e mi ritrovo davanti Aljoscha con una mia felpa che gli sta almeno due volte ed un paio di jeans che ha arrotolato sia attorno alle caviglie che attorno ai fianchi. Ma sono così grasso?

“Ma sei tu ad essere sotto peso, o sono io ad essere una barca?”

“Ehm… no… io… scusa… avrei messo i miei, ma… non li ho trovati…”

“Li ho messi in lavatrice stanotte, mi sono svegliato per andare in bagno e ho tolto tutto.”

“Oh… scusa… non voglio darti disturbo…”

“Ma smettila! Siediti e mangiamo dai!”

Lui sorride leggermente imbarazzato e poi si siede sullo sgabello cominciando a mangiucchiare dal piatto che gli ho messo davanti. Sorridendo per la tenerezza del suo viso mi siedo al suo fianco e faccio lo stesso.

Il pranzo è scandito solo dal rumore dei piatti e delle forchette, alternati a muti sorrisi e scambi di sguardi, ma non è un silenzio pesante da sopportare, è più una sorta di pacifica calma in cui tutto sembra trovare una sua dimensione… e forse la sto trovando anche io, anche se sembra così strano dirlo…

Alj si offre di lavare i piatti mentre io vado a farmi una doccia veloce, dopo tutte le sue raccomandazioni sullo sbrigarmi, sul fatto che non bisogna fare il bagno dopo aver mangiato, e tutti questi discorsi che mi fanno sorridere per la preoccupazione mista ad autorità che colora la sua voce.

Mentre mi lavo ripercorro questo giorno e mezzo e mi rendo conto è davvero poco che conosco Alj, eppure… mi sembra di conoscerlo già da tanto… chissà perché…

Mentre rifletto su quanto la vita sia strana sento la porta del bagno aprirsi e l’acqua del lavandino cominciare a scorrere.

“Kil… posso chiamarti Kill? Mi lavo i denti ok?”

“Sì per entrambe le cose!”

Avrei una gran voglia di uscire ed abbracciarlo per poi trascinarlo sotto l’acqua con me… ma non sono molto certo della sua reazione, e soprattutto… non sono uno che va col primo che incontra… di solito… anche se… stavolta è diverso… potrei persino pensare di farlo.

Poi mi rendo conto di una cosa. Ci ho già pensato.

E questo che significa?

Sono stufo delle domande insensate della mia testa, così, dopo che Alj è uscito dal bagno salutandomi, esco a mia volta, mi asciugo e con solo l’accappatoio addosso vado in camere a scegliere i vestiti. Opto per un vecchio paio di jeans comodi e un po’ malandati, larghi e sformati, ed un lupetto a collo alto. Credo di essermi vestito in maniera abbastanza tranquilla, non voglio essere provocante, ma nemmeno sciatto. Perché lo faccio? Basta domande!!!

Entrando in sala trovo Alj seduto sul divano un po’ rannicchiato con il telecomando in mano mentre fa zapping. Prima di avvicinarmi ritorno in camera e porto con me una bella coperta, mi avvicino a lui e poi lo copro.

Lo sguardo stupito prima, e dolce poi, che mi rivolge è un ringraziamento più che sufficiente, ma ugualmente la sua voce riempie l’aria.

“Grazie…”

“Di nulla… posso?”

Lui mi fa di sì con la testa ed alza la coperta quel tanto che mi permette di sedermi accanto a lui, abbracciandolo, e rimanere coperti per bene.

“Che vedi?”

“Non c’è niente…”

Gli sorrido e lui fa lo stesso, prendo il telecomando e spengo la televisione, e senza alcun preavviso lo bacio dolcemente. Lui ricambia con entusiasmo… sembra quasi averci preso gusto…

“Passiamo il pomeriggio così?”

Io sorrido di nuovo ed annuisco… che bel modo di passare il tempo…

Effettivamente tutto il pomeriggio lo trascorriamo abbracciati sul divano, baciandoci e facendoci le coccole, ogni tanto accendiamo lo stereo, ma più spesso stiamo in silenzio, a crogiolarci nel calore della coperta e dei nostri corpi vicini.

Stanotte Alj dormirà di nuovo con me, e così sarà fin quando non avrà trovato un posto in cui stare. Non so niente di lui, conosco solo il suo nome e la sua età, ma i suoi occhi rossi mi dicono molto più di qualsiasi altra parola potrebbe fare.

E poi… il mio grande letto… non è poi più così grande…

 

 

FINE CAP I