Come il primo sole del mattino, come una notte senza luna

fanfic yaoi di Alastor

grazie per i suggerimenti a Mukuro

 

 

Siate indulgenti! È la mia prima fanfic yaoi e non garantisco i risultati. Fino a questo momento avevo sempre scritto fanfic tradizionali su DragonBall o su Yuu Yuu Hakusho, ma per il mio primo “serio” lavoro yaoi ho scelto un manga che mi ha appassionata solo di recente e con effetti contrastanti, ovvero “BERSEK” di Kentaro Miura.

Ok… fine delle chiacchiere superflue e vediamo che cosa ha partorito la mia mente malvagia!

Tutti i diritti sui personaggi citati appartengono ai legittimi proprietari.

Fanfic scritta senza fini di lucro.

 

 

- ACT I  -

 

Le Midlands non erano mai state tanto belle come in quelle settimane di calma che preludevano alla grande battaglia per la conquista di Dordrey. Il sole caldo, l’erba verde, la gente che attendeva un evento straordinario, ma intanto coccolava e adorava i mitici guerrieri della Squadra dei Falchi, agli ordini del bel comandante, venuto su dal niente, ma con il portamento del più nobile dei cavalieri di sua maestà. L’imbattibile Grifis, il Falco Bianco delle Midlands.

Al suo fianco, come sempre, i fidi generali. Gatsu dalla spada infallibile, il pavido, ma imprevedibile Kolkas e la giovane Lady Caska, unica donna della Squadra, al comando di mille guerrieri.

In quel pomeriggio tranquillo Grifis e Gatsu si era spinti a passeggiare e discorrere delle tecniche della battaglia ormai prossima fino ai limiti del bosco vicino al castello nel quale erano alloggiati. Vederli così, spalla a spalla, faceva uno strano effetto. Gatsu, come al solito, non aveva curato il suo abbigliamento e indossava un vecchio paio di pantaloni di pelle e una comoda e ampia casacca, che lasciava scoperto il petto muscoloso. Grifis invece si sarebbe trovato a proprio agio anche nel salotto di una delle innumerevoli dame che bramavano anche solo un suo sguardo o un suo sorriso, ivi compresa la dolce e ingenua principessa Charlotte.

Grifis gesticolava con animazione, mentre cercava di spiegare nella maniera più chiara le sue intenzioni e i suoi progetti. Si era accalorato e aveva deciso di dimostrare con ogni mezzo a Gatsu che tutto era possibile e che espugnare la fortezza sarebbe stato un gioco per lui e per la Squadra.

Gatsu lo ascoltava quasi annoiato, approvando solo quando l’amico parlava di uccidere e massacrare un certo numero di soldati per avere in pugno la vittoria. A colui che sarebbe diventato di lì a poco “il guerriero nero”, poco importava di lunghe manovre di accerchiamento e di fine strategia e tattica. Attaccare e sconfiggere, questa era la cosa importante.

Lasciare che Grifis realizzasse il suo sogno per poi essere libero di andare alla ricerca del proprio. Grifis intanto aveva preso un bastone e stava disegnando nella terra polverosa lo schema che aveva in mente e che, secondo le sue intenzioni, si sarebbe rivelato infallibile.

 

- Quando fa così sembra più un bambino che un comandante! – pensò Gatsu indugiando con lo sguardo carico di ammirazione sui capelli dell’amico, sulla sua fronte spaziosa, sugli occhi vivaci e sulla bocca… una bocca carnosa e invitante.

 

Ma questo non era un pensiero degno di un guerriero e si riscosse quasi subito, lasciando che fantasie atroci, di nemici decapitati e squartati e di canti di vittoria, prendessero il sopravvento.

 

- Gatsu! Gatsu! Tu non mi ascolti! Ti conosco! Lo vedo che sei annoiato! – urlò Grifis nell’orecchio dell’amico, che, distratto dal bel paesaggio e dall’idea che presto avrebbe lasciato i compagni con i quali aveva trascorso gli ultimi anni, aveva smesso di ascoltare.

 

- Non è vero Grifis! Ti ascolto sempre! È solo che oggi sono stanco! Mi sono allenato fino a tardi ieri sera!

 

Il viso di Grifis era così vicino al suo che Gatsu ne poteva sentire il respiro caldo e profumato.

 

- A volte non sembra nemmeno un guerriero! – pensò Gatsu – Profuma come una donzella di corte!

 

Al pensiero di Grifis vestito di pizzi e crinoline, Gatsu scoppiò in una sonora risata e si lasciò cadere all’ombra di un albero dalla chioma gigantesca.

 

- Che cosa ti fa ridere tanto? – gli chiese Grifis sedendosi accanto a lui con la grazia innata che lo contraddistingueva ovunque andasse – Cosa c’è di tanto buffo?

 

- Pensavo a te… - iniziò a spiegare Gatsu, senza accorgersi del lampo appena passato nello sguardo del suo capitano – Pensavo che a volte sei amabile come una fanciulla e mi sono messo a ridere!

 

- È un’idea che trovi ridicola? – gli chiese Grifis con la consueta serietà e prendendo di nuovo la sua aria da bambino determinato.

 

- Un po’ sì! – rispose Gatsu intrecciando le mani dietro la nuca e chiudendo gli occhi – Non sei una debole fanciulla da difendere o da corteggiare! No… pensandoci non saresti proprio adatto in quel ruolo! – continuò a scherzare – Sei un conquistatore tu… non qualcuno che deve essere conquistato!

 

Quel discorso non piacque a Grifis, ma il gioco iniziato era capitato troppo a proposito per perdere un’occasione del genere.

 

- Allora… vuoi dire… - continuò Grifis appoggiandosi su un braccio e fissando Gatsu con i suoi occhi ipnotici – che per averti dovrei sconfiggerti? Se non ricordo male l’ho già fatto una volta e da allora mi appartieni… l’hai detto tu stesso… avrei potuto fare di te quello che avrei voluto… un mio soldato, un mio servo… UN MIO AMANTE!

 

Con queste ultime parole la voce di Grifis si perse in un soffio mentre le sue labbra si avvicinavano a quelle di Gatsu.

Il guerriero saltò in piedi con uno scatto felino. Guardò Grifis che era rimasto semi sdraiato e finalmente colse quel balenìo strano nei suoi occhi.

 

- Tu sei pazzo! Ma cosa ti viene in mente! Con te non si sa mai dove finisce lo scherzo e quando fai sul serio! Sei assurdo quando fai così! – sbottò ad un tratto.

 

Poi, senza aggiungere altro, gli voltò la schiena e si inoltrò nel bosco, per tornare al castello. Foschi pensieri si agitavano nella sua testa e non di tutti riusciva a mantenere il controllo.     Grifis rimase ancora qualche attimo seduto sotto l’albero, poi si alzò e iniziò a camminare nervoso.

 

- Non mi scapperai alla prossima occasione Gatsu! Ti voglio! – bisbigliava torcendosi le mani – Ti avrò! Voglio il tuo corpo… voglio che sia mio e mi appartenga! Sarà mio! – aggiunse con la decisione che gli era solita. Sguainò la spada e iniziò a decapitare innocenti cespugli che incontrava sul suo cammino.

 

Mentre passeggiava ancora un po’, per smaltire l’ira, si ritrovò in una piccola radura vicino all’albero. Un cavallo baio pascolava tranquillo, mentre su un soffice tappeto d’erba riposava una fanciulla. Non era vestita come una dama di corte, ma nemmeno come una contadina. Sembrava più una guerriera oppure un’avventuriera, come a volte capitava di vederne in quei paesi.

Giaceva supina, una mano sugli occhi e una sul petto. A vederla così, indifesa e ignara, sembrava quasi un folletto dei boschi che avesse smarrito la strada. Grifis la osservò per qualche attimo, ma una figura indistinta a pochi passi dalla ragazza lo distrasse. Un serpente, uno di quelli velenosi che spesso frequentano i boschi, arrotolato in una pozza di luce solare. Se la ragazza, nel sonno o al risveglio, si fosse mossa, il rettile l’avrebbe morsa sicuramente.

Grifis si avvicinò silenzioso alla scena, estrasse la spada che portava sempre con sé e con un colpo netto e silenzioso staccò la testa del rettile dal suo corpo. Si era aspettato di vederla schizzare a una certa distanza, ma non fu così.

La fanciulla sconosciuta, nell’attimo esatto in cui lui era partito all’attacco, aveva estratto da un fodero celato nel petto, un pugnale dalla lama durissima e affilata e con quello aveva trafitto la testa del serpente, conficcandola nel terreno. Grifis appariva fortemente stupito.

 

- Al cospetto di quale straordinaria creatura ho l’onore di trovarmi? – chiese rinfoderando la spada e sorridendo come era solito fare in presenza di una donna, per meglio affascinarla.

 

- Forse dovreste dirmi prima il vostro nome e il vostro titolo, mio signore – fu la laconica risposta – Oppure il Falco Bianco delle Midlands è esonerato da queste basilari consuetudini?

 

- Se già conoscete il mio nome, Milady, non mi rimane altro da fare che confermare la mia identità! – rispose stupito – Sono Grifis, il comandante della Squadra dei Falchi.

 

La fanciulla gli sorrise, si alzò in piedi, riassettò il corsetto, reinserì il pugnale nel fodero e si accinse a risalire a cavallo. Era già in groppa e si stava allontando, quando volse la sua cavalcatura, tornò sui propri passi e china sul collo della bestia sussurrò a Grifis parole misteriose.

 

-  Avremo modo di conoscerci noi due… al castello…

- Dimenticavo – aggiunse mentre si allontanava – E’ vero e meritato quel che si dice di voi!

 

- E cosa si dice di me nelle vostre terre, signora? – chiese Grifis ora che si era ripreso dalla sorpresa di quella strana scena.

 

- Che siete bello come il primo sole del mattino, terribile come un mare in tempesta e inquietante… inquietante come una notte senza luna… addio!

 

     Grifis rimase in piedi nella radura a guardare la fanciulla che intanto procedeva in direzione del castello.

Sorrise.

 

 

 

- ACT II -

    

Quella sera al palazzo del re, con disappunto della regina, si sarebbe tenuta una grande festa. Il motivo di tale gioia era l’arrivo di un ospite inatteso a palazzo. Una donna, che pochi avevano visto, ma che tutti sapevano essere nel cuore del re e, se non nel suo cuore, sicuramente nel suo letto e comunque tra i suoi collaboratori più fidati.

Il re aveva amato la sua prima moglie, la madre della principessina Charlotte, di un amore sincero e maniacale, ma questa donna, si diceva nei corridoi di palazzo e nei salotti delle dame, possedeva le arti adatte per irretire qualsiasi uomo.

Era capace, narravano i pettegolezzi dei bene informati, di lasciare spossato e sfinito un guerriero e in molti avrebbero pagato chissà che cosa per far riposare il proprio membro virile, del quale tanto erano orgogliosi, tra le zanne affilate del dragone di fuoco.

Si diceva, infatti, che un elaborato tatuaggio percorresse la gamba destra della donna fino a giungere all’inguine. Si trattava di un dragone scarlatto, simile a quello delle stampe orientali portate da alcuni mercanti che avevano raggiunto l’estremo oriente, che partiva dalla caviglia, si snodava lungo il polpaccio e la coscia, per schiudere le sue fauci proprio sotto il suo ombelico. Le delizie di quell’amplesso inusitato risvegliavano la fantasia anche di coloro che ormai da tempo avevano dimenticato le gioie e i piaceri della carne.

Come non bastasse questo manto di mistero a dipingere una figura dalle tinte fosche, la donna in questione, si era saputo, era stata per molto tempo alla corte dei Tuder. Era la spia più fidata che il re avesse mai avuto ed era proprio grazie alle informazioni da essa raccolto che la grande battaglia per riconquistare Dordrey stava per avere luogo. Finito il suo compito, la dama era rientrata a palazzo e veniva accolta come una regina.

Si diceva, ancora, che fosse giunta da sola a corte, in groppa ad un cavallo, senza né scorta né carrozza.

Si diceva anche che il suo seguito fosse stato sterminato da una compagnia di briganti o da un mostro dalle dimensioni mostruose, sulla strada che da Dordrey portava al palazzo. Ed anche questo contribuiva a creare un personaggio da leggenda.

L’aspettativa di tutti era alle stelle e quando essa entrò nel grande salone centinaia di occhi si volsero ad osservarla. Sguardi  di dame, affilati come pugnali, ansiose di confrontare il proprio aspetto con il suo per scoprire di uscire vincitrici da quello scontro. Sguardi di uomini lascivi e insinuanti, vogliosi e lubridici. Speranzosi di cogliere un bagliore della sensualità celata dall’ampio e ricco costume che la dama indossava.

L’araldo balbettò nell’annunciare il suo arrivo, ma si riprese subito. Batté il bastone di legno decorato sul pavimento e schiarì la voce.

- Mi- Milady Sinsothe di Darkmood! – concluse con una sorta di ululato.

 

     La sala piombò in un silenzio assoluto. Nessuno si mosse incontro alla dama per accompagnarla al cospetto del sovrano, come era consuetudine a corte, ma questo non sembrò stupirla. Milady conosceva fin troppo bene la fama che la precedeva e nessuno si sarebbe arrischiato a mettersi nella posizione di spiacere contemporaneamente al sovrano, per aver ardito alzare lo sguardo sulla sua favorita, e alla regina, per aver mostrato di riconoscere il ruolo importante che essa rivestiva. Nessuno… a parte una persona che non avesse niente da perdere e fosse talmente necessaria al sovrano da essere al di sopra di ogni punizione. Fu così che Grifis si scostò dalla folla di gentiluomini, avanzò verso Milady Sinsothe e le porse il braccio.

     Un brusio impercettibile si alzò dalla folla di ventagli e camicie trinate.

I loro costumi, così ricchi ed elaborati, il loro aspetto spavaldo e sicuro, l’alone di complicità e mistero generato dagli sguardi e dai sorrisi che si scambiarono, niente di tutto questo sfuggì ai cortigiani curiosi e sempre attenti ad ogni minimo cambiamento dell’atmosfera a palazzo, pronti per poterne approfittare a proprio vantaggio.

 

- La superbia e la lussuria che vanno a rendere omaggio al potere corrotto! – sussurrò qualcuno, più coraggioso o sventato di altri.

 

Ma queste parole non turbarono l’incedere cauto ed elegante della coppia, che pure se ebbe ad udirle non lo diede a vedere. Grifis e la sua dama giunsero ai piedi del trono. Qui il giovane lasciò che essa si inchinasse dinanzi ai sovrani, poi si ritrasse in silenzio, mescolandosi alla folla di nobili e dignitari.

 

- Venite mia cara! Venite al mio fianco! Siete preziosa come il più abile degli squadroni del mio esercito! – le disse il sovrano in modo che tutti udissero quelle parole scandalose.

 

Il vecchio monarca aveva innalzato la dama al rango di favorita di fronte a tutta la corte. Nessuno poteva più nutrire dubbi sulla sua importanza e il suo potere.

 

- Che le danze abbiano inizio! – comandò il re stendendo lo scettro dinanzi a sé e al tempo stesso scoccando a Milady uno sguardo che non lasciava dubbi su come avrebbe gradito proseguire la serata nelle proprie stanze.

 

La regina non sopportò oltre. Addusse un lancinante mal di testa e si ritirò nei suoi appartamenti. La principessa Charlotte invece avrebbe voluto che quella serata durasse in eterno. Suo padre era distratto, la regina sua matrigna se ne era andata e lei aveva ballato tutta la sera con il capitano Grifis senza che nessuno le prestasse attenzione, poiché tutti erano presi da quello che stava avvenendo preso il trono.

     La notte era calma e per niente fredda quando il re congedò la corte e, accompagnato da Milady, si allontanò. Charlotte tornò nella propria stanza con un sorriso beato sulle labbra e tutto sembrò seguire il proprio corso. Nessuno aveva notato che durante la serata Milady Sinsothe non aveva tralasciato di seguire ogni minimo movimento di una persona che si trovava nel salone.

 

     […]

 

In una taverna tra le più semplici, lo stato maggiore della Squadra dei Falchi trascorreva le ultime ore della serata, prima di ritirarsi negli alloggi a riposare. Seduti attorno a un lungo tavolo, riscaldati dal calore del fuoco del grande camino centrale, Kolkas e Judo disputavano l’ennesima partita a carte con Gaston. Pipin li osservava con attenzione, centellinando la birra nel gigantesco boccale che una procace fanciulla gli aveva porto poco prima. Caska sorvegliava la porta nella speranza di vedere entrare il capitano, mentre Rickert si era addormentato con la testa sulle sue gambe e lei non aveva avuto cuore di svegliarlo. Quel ragazzino avrebbe potuto essere suo fratello e quello era l’atteggiamento con il quale lui le si era sempre rivolto. Accarezzava i suoi capelli e intanto non perdeva di vista la porta.

Anche Gatsu si era unito agli altri. Rideva delle successive sconfitte di Kolkas e faceva il tifo per Gaston, il quale, senza succeso, cercava di conquistare un’altra delle allegre fanciulle che animavano la taverna.

Nessuno, nemmeno Judo che era il più sveglio di tutti, si era accorto che il capitano sbirciava frequentemente la porta. Anche lui sperava che Grifis lasciasse le stanze dorate del palazzo per raggiungere i suoi uomini, i suoi compagni e, perché no, la sua famiglia.

 

- Siamo tutti prigionieri di un sogno di nome Grifis! – pensò Gatsu e la sua mano corse all’elsa del pugnale che teneva alla cintola. Perché si sentiva irritato all’idea di Grifis in compagnia delle dame di palazzo? No… non era quello che lo faceva montare in collera! Si trattava di altro, di un profondo senso di abbandono, dell’idea di restare senza quella luce che solo lui era in grado di emanare. Quella luce che lui avrebbe presto abbandonato per cercare la sua strada. Ma come vivere senza?

 

     Le torce avevano annerito il soffitto basso della taverna e l’aria per Gatsu si era fatta irrespirabile. Judo e Kolkas erano immersi in una discussione lunga e noiosa sul valore delle carte che avevano giocato e Gaston si lamentava per l’ennesima volta di aver perso la paga che ancora doveva riscuotere. Senza dire niente a nessuno Gatsu se ne uscì dalla taverna, facendo entrare un soffio di vento gelido e sollevando le debole rimostranze di colore che sedevano accanto all’entrata.

Si inoltrò nella notte nera come il suo mantello e dopo aver camminato pochi minuti giunse in un punto che gli era noto, dove il muraglione del castello era facile da scavalcare. Si inerpicò come un grosso, ma agile scoiattolo e atterrò con leggerezza dall’altra parte del muro di mattoni. Le sentinelle non avevano udito alcun rumore e continuavano a scambiarsi a gran voce avvisi sull’ora e la tranquillità del percorso che stavano sorvegliando.

 

- Principianti! – sentenziò Gatsu avviandosi verso una porta secondaria che aveva appena adochiato e sembrava poco robusta. Certamente avrebbe ceduto a una sua spallata.

     In effetti la porta non era delle più salde e non oppose resistenza. Con sorpresa di Gatsu essa girò sui cardini senza il minimo cigolio ed egli si trovò ai piedi di una scala a chiocciola di pietra che saliva verso i piani alti del maniero.

 

- Nascosta nell’intercapedine delle mura del bastione! – si disse Gatsu toccando la pietra fredda e un poco umida e iniziando a salire i gradini – Molto probabilmente conduce alle stanze di qualche personaggio importante che si è procurato così una via di fuga!

 

     La scala proseguiva la sua regolare ascesa per molti gradini. Quando ormai aveva deciso di tornare indietro, chiedendosi anche per quale motivo si fosse spinto fin là, Gatsu si trovò di fronte una nuova porta, che sembrava di legno ancora più fragile della precedente.

 

- Si tratterà di uno stratagemma per renderla simile a un arazzo o qualcosa del genere! – intuì il guerriero, che, abituato ad assaltare castelli e fortezze aveva acquisito ormai una certa competenza in passaggi segreti e trabocchetti.

 

Cercò a tastoni una maniglia, ma non ve ne era traccia. Evidentemente si trattava di una di quelle porte che potevano essere aperte solo dall’esterno. Gatsù cavò fuori un coltellino dalla lama sottile e si mise a seguire il profilo dell’apertura e con soddisfazione riuscì a far saltare il meccanismo che ne regolava l’apertura. Si trovò così in un corridoio silenzioso. Si addossò a una parete non appena le sue orecchie percepirono un rumore di passi, leggero ma distinto.

Nell’ombra nessuno sarebbe stato capace di scorgerlo, eppure una figura di donna si fermò a pochi passi dal suo nascondiglio. La dama portava una candela che emetteva una luce appena percettibile, sufficiente per illuminarle il viso e per consentirle di non inciampare. Si era fermata e sembrava lo stesse guardando, anzi, gli aveva sorriso. Un sorriso di sfida. Poi due parole ferirono il silenzio: “Non verrà!” e la dama riprese il suo cammino.

Gatsu stentava a credere che ella si fosse rivolta proprio a lui, ma come spiegare quella strana frase? Chi non sarebbe venuto? Grifis? Grifis non avrebbe raggiunto i suoi compagni per quella notte? E come poteva sapere lei? Il suo era stato solo un veloce pensiero. Non dette troppo peso all’episodio e lo giudicò una mera coincidenza, eventi ben più strani accadevano in quel periodo.

Proseguendo la sua indagine del corridoio, ben presto scorse una lama di luce sotto una delle porte che si affacciavano su entrambi i lati. Si avvicinò e vide che la porta era appena accostata. Quale imprudenza in un luogo in cui anche i muri avevano occhi e orecchie. L’occupante della stanza doveva essere o molto sicuro del proprio isolamento o molto sciocco.

Gatsu si avvicinò ancora e vide… vide qualcosa che non si sarebbe aspettato e che gli fece ribollire il sangue, senza che ne capisse il motivo.

     Una donna, nuda, si trovava in mezzo alla stanza. Aveva un asciugamano bianco attorno ai fianchi e con un altro panno si stava detergendo il corpo, usando l’acqua calda che prelevava da un recipiente messo a scaldare sul fuoco e che stemparava con quella di una brocca presente nella stanza. Ai suoi piedi quel che restava di un sontuoso abbigliamento da festa e dei gioielli. Era la stessa donna che aveva incontrato poco prima. Parlava… ma con chi stava parlando, se nella stanza lui non riusciva a scorgere nessuno? Si risolse ad aspettare per vedere che cosa sarebbe successo.

 

 

-         ACT III –

 

 

- Le attenzioni di un re sono un onore per molte dame… ma io trovo i suoi amplessi noiosi e non posso evitare di sentirmi insozzata dal suo corpo a contatto col mio – disse la dama, senza smettere di pulirsi con il panno inumidito - Questo però non è buon motivo perché rimaniate nascosto dietro le cortine del mio letto ad osservarmi… Milord! – aggiunse, con un tono di voce dolce e al tempo stesso duro, la dama spogliata.

 

- Chiedo perdono! – rispose una voce, seguita dal rumore di un corpo che si spostava sul materasso e da quello delle tende del letto fatte scorrere.

 

- Grifis? – sussultò Gatsu dietro la porta trattenendo un grido di sorpresa – Lui? Qui? Perché?

 

     Il capitano della Squadra dei Falchi era scivolato fuori dal letto della misteriosa signora e le si era avvicinato. I capelli d’argento, trattenuti da un nastro color pervinca, gli ricadevano sulle spalle inanellati e ribelli. Si scostò una ciocca che gli metteva in ombra lo sguardo malizioso e proseguì:

 

- Mi chiedevo quando sareste rientrata nelle vostre stanze, Milady. Ero talmente preoccupato che sarei venuto a cercarvi... non è prudente aggirarsi da sola in questo palazzo!

 

- Vi ringrazio della cortesia, signore, ma qualcuno sarebbe sicuramente corso ai miei richiami se mi fossi trovata in pericolo. Temo, al contrario, di trovarmi adesso in una situazione alquanto minacciosa.

 

Grifis assunse un’espressione di sincero rincrescimento.

 

- Comunque siete perdonato proprio in virtù della vostra gentile preoccupazione! – lo rassicurò la donna con voce un po’ beffarda, coprendosi con una vestaglia pesante, bordata di pelliccia – A cosa devo la vostra visita?

 

Il capitano dei Falchi indossava ancora lo splendido abito che al ballo gli era valso i complimenti di molte dame. Si avvicinò alla donna, le pose le braccia attorno al busto, sfiorandole le guance con le maniche ornate di pizzo della sua preziosa camicia. La trasse a sé e le disse parole che Gatsu potè udire chiaramente:

 

- Questo pomeriggio, quando ci siamo visti nel parco, avete detto che ci saremo conosciuti meglio qui a palazzo… posso avere l’ardire di chiedere il vostro nome signora?

- Solo se promettere di non ridere!

- Lo giuro sul mio onore! – fu la risposta seria e posata – Posso conoscerlo adesso? Vi chiamerei “Milady” anche se foste una semplice cameriera, ma la curiosità mi rode, devo ammetterlo. Fin dal momento in cui l’araldo vi ha annunciata ho sentito il folle desiderio di chiamarvi per nome, non di usare il vostro titolo, sognora di Darkmood!

- Ebbene... siate meno prolisso ed otterrete lo stesso risultato! – disse tra le risate Lady Sinsothe, lasciandosi stringere ancora un poco – Il mio nome è Chastity... “castità”... strani scherzi del destino, non trovate?

 

Con queste parole la dama rise e si liberò dall’abbraccio di Grifis, che la guardava ammirato. Mai prima di allora aveva conosciuto una donna del genere.

 

- Trovo che si debba fare il possibile per onorare il proprio nome, ma soprattutto si debbano seguire le proprie inclinazioni, Chastity...

- Non sei un poco indelicato a rivolgermi un simile discorso?

 

In poche battute Grifis e la signora erano passati da un “voi” molto formale a un “tu” che lasciava presagire che la loro familiarità avrebbe esplorato altre sfere oltre a quella del linguaggio.

 

- Forse… ma non chiedo di meglio che essere messo alla prova per mostrarti tutta la delicatezza che possiedo!

- Al momento, mio signore, possiedi solo una cosa di troppo!

- E che cosa?

- Gli abiti!

 

     I due si avvicinarono al letto e vi franarono letteralmente sopra, soffocando una risata spontanea. La vestaglia di Chastity era finita sul pavimento di legno e il fuoco del caminetto vi gettava sopra bagliori affilati. Grifis si spogliò lentamente ed ogni capo del suo vestiario che cadeva a terra era un pugnalata per Gatsu.

Perché poi? Che diritto aveva lui di sentirsi geloso? No… non geloso… TRADITO! Ecco quale era la parola che non riusciva a visualizzare nella sua testa. Si sentiva tradito. Quella donna sapeva che lui era nel corridoio, non aveva dubbi. Non riusciva a capire come, ma ella aveva percepito la sua presenza e sapeva che lui stava cercando Grifis e quelle parole erano più che chiare. Lei sarebbe arrivata prima alla preda, perché lui era già nella sua trappola.

     Il guerriero rimase ancora un po’ a spiare i due amanti.I sospiri si susseguivano ai lamenti e ai mugolii di piacere. Chastity, per sua stessa ammissione, aveva conosciuto molti uomini, ma nessuno le aveva mai trasmesso il fuoco e la passione di quel giovane comandante. Sotto la spinta del suo corpo sentiva la sua anima, o quel che le restava, piegarsi paga e felice. Le veniva quasi da pensare che finalmente avrebbe potuto darsi a qualcuno senza secondi fini, senza voler ottenere qualcosa in cambio, ma l’illusione durò solo il momento di un soffio.

Aveva chiuso gli occhi e giaceva supina mentre Grifis si muoveva su di lei. Voleva assaporare ogni goccia di quel calore che la faceva sentire viva, ma non ne fu in grado. All’improvviso un dolore simile a quello di un colpo di spada le attraversò il corpo, partendo dalla caviglia destra per scorrere fino al suo ventre. Il tatuaggio con il dragone, realizzato con una tecnica molto particolare, che lo faceva apparire solo al raggiungimento di un determinato calore da parte del corpo, era vivido e malignamente splendente.

Grifis si accorse di quella apparizione e sembrò rimanere ipnotizzato dal gioco illusorio per cui si trovava a muoversi al ritmo delle spire del rettile fantastico. Non cessò di accelerare il proprio ritmo, fissando il tatuaggio che sembrava ingoiare il suo membro, stringerlo e serrarlo, come pronto a tagliarlo via con un solo morso delle sue fauci affilate.

Chastity non ebbe tempo di porsi domande in proposito. Un attimo prima distingueva l’espressione soddisfatta del suo compagno, un attimo dopo davanti ai suoi occhi si illuminava una sfera di luce, netta contro la penombra della stanza come una palla di pece infuocata scagliata durante un assedio notturno e nel mezzo di quella sfera vide un gioiello rosso come il sangue tra le mani di uno sventurato, bendato, il cuo volto era celato da un elmo o da una maschera di ferro.

Ancora l’ansimare di Grifis misto al suo, quel ritmo forsennato di dolore e piacere e poi un secondo lampo le tolse il respiro e le fece contrarre tutti i muscoli. Grifis emise un gemito e una nuova visione si schiuse dinanzi agli occhi di Chastity. Questa volta aveva visto un corpo scarnificato, indifeso, torturato tenuto in alto sopra molte teste da un demonio armato di ascia. Le sue unghie penetrarono nella schiena di Grifis, il suo gemito divenne un urlo rauco di piacere e terrore e ancora una visione, più netta delle altre. Le apparve un cavaliere vestito di una candida armatura, si dibatteva in un lago di sangue, ne era sommerso. Il gorgo purpureo si richiudeva sopra di lui. Ad un tratto esso riemergeva dall’oscurità, vestito di nero, tra le grida di molti soldati. Grida di terrore, non di lotta.

 

- L’ho trovato! – si disse Lady Sinsothe, scorgendo per la prima volta con chiarezza il bejelit al collo di Grifis. Poi riprese possesso dei suoi sensi e si lasciò coinvolgere dalla passione di quell’incontro.

 

     Grifis e Chastity continuavano i loro giochi, incuranti del fatto che le tende del letto non fossero tirate e che chiunque si fosse aggirato per il corridoio avrebbe potuto sorprenderli e tradirli, riferendo al re che la sua favorita concedeva ad altri il proprio corpo.

Gatsu lanciò un’ultima occhiata alla stanza, soffermandosi sulla finestra, poi se ne andò silenziosamente, ripercorse il corridoio buio, riaprì la porta nascosta, ridiscese la scala a chiocciola e si trovò all’aperto. Respirò a pieni polmoni, prima di fare il giro del parco. Quando si fermò si trovava precisamente sotto una finestra, dalla quale trapelava il sottile lucore di una candela o di un camino. In quella stanza Grifis si stava perdendo tra le braccia della spia venuta da Dordrey. Gatsu si addossò ad un albero e rimase in attesa. Conosceva molto bene le abitudini del Falco.

 

 

-         ACT IV –

 

 

- A vederlo così non sembra tanto pericoloso! – sussurrò Milady  scostando i capelli di Grifis per mettere in luce la fronte serena abbandonata sul suo cuscino. Il suo petto si alzava e si abbassava con regolarità e il bejelit con esso. Con un braccio le cingeva la vita, come per impedirle di scappare.

 

Avevano giocato per gran parte della notte e si erano reciprocamente trasmessi intense emozioni. L’alba sarebbe sorta tra qualche ora, ma non li avrebbe trovati insieme, lo sapeva e ne provava rammarico. Ma non era un suo compito provare sentimenti. Fino all’ultimo aveva sperato di sbagliare, ma adesso che soppesava tra le dita il gioiello del re conquistatore non poteva avere altri dubbi. Le visioni, il tatuaggio che aveva risposto al calore, il senso di totale abbandono, l’impressione di essere risucchiata in una voragine, erano tutti chiari segnali. Lo aveva trovato e questo doveva bastarle.

Si alzò facendo meno rumore possibile, ma non fu abbastanza silenziosa. Grifis si svegliò e si tirò a sedere sul letto. Si guardò intorno assonnato, si stropicciò gli occhi e sbadigliò.

 

- Adesso dovresti andare! – gli disse Milady senza preamboli, ma dolcemente – Non credo sia giusto che attenda ancora là fuori. Sarà furioso!

- Cosa vuoi dire?

- Non vorrai farmi credere che lui non ti stia aspettando… non dopo questa notte!

- Vuoi dire che Gatsu… lui…

- Non conosco il suo nome, ma se parli di quel tipo un po’ rozzo, vestito di scuro… sì… ti aspetta ormai da qualche ora sotto questa finestra. Evidentemente conosce le tue abitudini!

 

Grifis assunse un’espressione pensierosa. In quel momento avrebbe preferito restare in quella stanza, insieme a quella donna semi-sconosciuta con la quale aveva diviso la notte e il letto, tornare a baciarle il collo e i seni, piuttosto che affrontare un Gatsu irato.

 

- Non è arrabbiato…

- Co-cosa? E tu come fai a sapere…

- … che stavi pensando a questo? Ti si legge in viso quello che provi! È un peccato che uno di voi due non sia una donna… avreste molti meno problemi! Ma cambia qualcosa il fatto che sia un uomo?

- N-no…

- Lo vuoi forse di meno per questo?

- No! Ma lui…

- Lui adesso sa! Va’ da lui… raggiungilo!

 

Grifis la guardò per capire meglio che cosa provasse in quel momento, ma non riuscì a decifrare il sorriso che si era imposta.

Si rivestì con cura come era sua abitudine, si assicurò che il bejelit fosse al suo posto, poi aprì la finestra. Si volse a salutare Milady con un sorriso e un gesto della mano, al quale lei rispose con un cenno amichevole.

- Ci saranno ancora... altre notti come questa? – le chiese.

 

     Chastity si limitò ad un segno di diniego con la testa.

 

- Lo immaginavo... – sospirò Grifis con una strana sfumatura di rimpianto nella voce. Poi aggiunse:

- Mai più?

- Questo non posso dartelo per certo... forse... un giorno!

 

     A queste parole il viso di Grifis si illuminò di nuovo. Le sorrise e si lasciò cadere nel parco senza il minimo rumore, aiutandosi con i rampicanti del giardino salivano fino al davanzale. Fece solo pochi passi, poi un’ombra poco rassicurante gli si parò davanti.

 

- Anche tu hai l’abitudine di fare passeggiate in piena notte Gatsu? – gli chiese Grifis con tono neutrale, cercando di passare oltre l’amico.

- Sì… ma non cerco di cacciare nei guai i miei amici passando la notte con l’amante del re!

- Come sei fiscale! Io non ti chiedo conto di come ti diverti, o sbaglio? Lasciami andare dunque… se non hai cose più interessanti da dirmi.

 

Grifis lo aveva scostato e Gatsu sentì che la sua pelle bruciava dove lui l’aveva toccata. Allungò il braccio destro, acchiappò il polso di Grifis e gli torse il braccio dietro la schiena, avvicinandolo al suo petto.

 

- Non dovresti mostrare le spalle al nemico Grifis. Può essere pericoloso.

- Non vedo alcun nemico qui Gatsu! – gli rispose l’altro portando il mento sopra la spalla, la bocca estremamente vicina a quella di lui.

 

Gatsu esitò un momento di troppo a tirare indietro la testa. Le loro labbra si sfiorarono appena, ma la tempesta di passione era già innescata. Il giardino era deserto e su di esso si affacciavano solo gli appartamenti di Lady Sinsothe. La sua finestra però era chiusa e buia, forse stava dormendo.

I giardinieri avevano avuto ordine di ripulire quella porzione del parco, ma la stessa Milady aveva ordinato che raggruppassero le foglie nell’angolo più nascosto e riparato dal vento. Proprio verso quel mucchio accogliente Gatsu stava portando Grifis, ma no… non lo stava portando... si stavano avvicinando entrambi a quello che prometteva di essere un morbido giaciglio. Non c’era disparità tra loro. Si volevano ed era un caso che fossero due uomini.

Grifis si era liberato dalla stretta di Gatsu, lo aveva fissato negli occhi e lo aveva baciato di nuovo, senza toccarlo, senza abbracciarlo, senza sfiorargli i capelli o la fronte. Nessun contatto al di là di quello delle loro labbra.

Si baciarono a lungo, senza fretta. Curiosi di capire fino in fondo le sensazioni che stavano provando.

Gatsu avrebbe voluto strappare a Grifis il ricco gilet trapuntato di perle, sfilargli i pantaloni stretti impreziositi dai nastri di seta cremisi, liberare la sua pelle dall’involucro di stoffa che la teneva prigioniera. Aveva iniziato ad armeggiare con i primi bottoni, in maniera goffa, rude, rischiando di farli saltare uno dopo l’altro.

 

- Gatsu… mmh… - un bacio fermò le parole in gola a Grifis – Non così… - gli disse respingendolo dolcemente – O il mio guardaroba diventerà inutilizzabile!

 

     La sua risata argentina e spensierata si fermò nelle orecchie di Gatsu come il canto di un usignolo. Era questo che aveva voluto sentire da quella volta che avevano giocato con l’acqua nel tiepido sole di un mattino ormai fin troppo lontano.

Allora aveva guardato il corpo di Grifis inondato di luce come si guarda la reliquia più cara e fin da quel momento aveva desiderato arrivare a toccarlo, ma non lo aveva mai fatto, per paura di non riuscire a staccarsi da lui. Si sentiva ridicolo per aver provato gelosia pochi attimi prima. Niente poteva togliergli la gioia di quanto stava dividendo con Grifis e per quanto poco restasse ormai della notte, era deciso a sorbire ogni goccia di piacere che quel corpo avrebbe potuto dargli.

Gatsu aveva attirato Grifis a sé. La loro forza era pari, ma i loro corpi erano così diversi. Quello di Grifis così sottile e seducente, giocava a nascondino sotto i capi del suo vestiario che cadevano ad uno ad uno. Dove aveva già visto quella scena? Era la stessa che aveva spiato nella camera di quella donna. Non voleva che si ripetesse uguale. Voleva un Grifis tutto suo. Gli fermò la mano che stava slacciando i bottoni della camicia. Grifis lo guardò con ari interrogativa. Gatsu gli fece calare le braccia lungo i fianchi con dolcezza e, senza guardarlo, si tolse la pesante imbracatura alla quale affidava la sua inseparabile spada. Grifis lo guardava enigmatico, chiedendosi cosa mai avesse in testa il suo compagno, ma forse aveva ben capito fin dove i sarebbe spinto il loro gioco.

     Gatsu si tolse il pesante mantello nero. Lo distese sul giaciglio di foglie, ma quando Grifis fece per distendervisi sopra lo fermò di nuovo.

 

- Non ancora! – quasi lo pregò di non allontanarsi da lui.

 

     Si inginocchiò al suo cospetto come si trovasse di fronte ad un altare o al tesoro tanto cercato. Grifis mosse le mani per carezzargli i capelli ispidi, ma di nuovo Gatsu le strinse tra le sue e le fece riscendere lungo i fianchi.

 

- Non ancora… dopo… - gli sussurrò mentre con gesti impacciati gli slacciava la cintura che stringeva i pantaloni alla vita e i bottoni. La stoffa cadde ai piedi di Grifis con un fruscio sommesso e lui allontanò i pantaloni come se stesse uscendo da un piscina di acqua limpida. Indossava ancora la sua camicia candida, ma un po’ stropicciata, che gli arrivava poco sopra le ginocchia.

Tra le pieghe di quell’indumento Gatsu lasciò che le sue mani carezzassero la pelle tesa del petto e dell’addome di Grifis. Con piccoli cerchi concentrici il suo massaggio scese sempre più in basso, a raggiungere l’inguine. Grifis chiuse gli occhi e alzò il viso al cielo. Gatsu non si soffermò. Scese ancora, a sfiorare le sue natiche per passare ad abbracciare le cosce in una stretta fremente, il viso appoggiato ai suoi addominali tesi. Lo sentì tremare tra le sue braccia.

 

- Che hai? – gli chiese con una nota nuova e dolce nella voce, alzando appena gli occhi.

- Freddo… - gli rispose Grifis lasciando scivolare il suo sguardo sognante negli occhi di lui - … non vuoi riscaldarmi?

Gli sorrise.

 

     Gatsu si alzò in piedi a sua volta. Superava in statura di Grifis di una decina di centimetri. Si liberò con pochi gesti abili della casacca di cuoio e degli stivali pesanti. I pantaloni non tardarono a raggiungere il resto dell’abbigliamento. Era nudo, nella notte autunnale appena tiepida. Scosso da un’eccitazione nuova, che tutto il suo corpo mostrava. Grifis sembrò trascurare il membro eretto, lo sguardo deciso di Gatsu e si concentrò sulla sua pelle.

 

- Quante battaglie abbiamo combattuto insieme? – gli chiese Grifis avvicinandosi, girandogli intorno e toccando una delle innumerevoli ferite che coprivano la sua pelle, lasciandosi accogliere dall’abbraccio sicuro di quel corpo muscoloso.

- Eravamo insieme… - gli rispose Gatsu, riprendendo a vagare tra le pieghe della casacca di Grifis per sciogliere anche gli ultimi baluardi che lo separavano dall’agognata conquista.

 

     Questa volta fu Grifis a fermare il suo slancio. Con un rapido sgambetto lo fece cadere sul mantello disteso sulle foglie e gli fu sopra in pochi istanti. I suoi capelli biondo argento, resi umidi dalla guazza, che cadeva leggera come una coltre, sfioravano il torace di Gatsu. Le labbra di Grifis scesero lungo gli addominali scolpiti, risalirono a solleticare i capezzoli duri, ridiscesero per percorsi fantasiosi e immaginari, affinché nessuna porzione di pelle potesse lamentare scarsa attenzione. Quando la discesa della sua testa divenne chiaramente inesorabile Gatsu non potè trattenere un gemito di piacere.

 

- Ti piace così? – gli domandò Grifis con una voce che a Gatsu era sconosciuta

- S-sì… ancora… ti prego!

- Mi piace quando mi preghi! Fallo ancora!

- Ti prego! Ti prego! Ti prego… continua!

 

     Ogni nuovo affondo di Grifis generava un gemito, un lamento a stento trattenuto, un singulto nell’altro.

 

- Sei mio! – sussurrò Grifis mentre la sua bocca toccava la pelle delicata e sottile del pene di Gatsu – Sei mio… solo mio… - e le sue labbra si chiudevano dolcemente su di esso, la lingua lo solleticava con pazienza, i denti lo premevano senza fare male, ma scatenando scosse elettriche lungo tutta la sua schiena.

 

     Fu un attimo solo, poi Gatsu iniziò a sperimentare quello che gli era stato negato nella notte della sua prima battaglia, ma i ricordi tornarono alla memoria, senza argini che potessero trattenerli.

 

- BASTA! Basta! Ti prego! No… non voglio! – iniziò a dire con la voce di un bambino, sempre più alta, mentre la sua mano cercava la spada a pochi passi di distanza. L’incubo del gigante che lo aveva violentato anni prima era di nuovo presente, acceso, indimenticabile e ora Grifis era un orco da uccidere, non una fonte di piacere.

 

     L’altro se ne accorse. Si fermò un attimo, si inginocchiò e sciolse il nastro che legava i suoi capelli. Prese le mani di Gatsu tra le sue, le legò con il fiocco di seta, senza stringerle, affinchè egli fosse libero al minimo movimento e gliele spinse oltre la testa.

- Sei mio... ricordi? Non ti farò del male... mi pregherai ancora di non smettere?

 

     Gatsu annuì. Grifis riprese a leccare, torcere con dolcezza, lasciar scorrere ritmicamente le sue mani e la sua bocca per tutta la lunghezza di quel membro poderoso, che gli riempiva la bocca. All’improvviso si fermò e guardò Gatsu nella penombra fosca, sotto quel cielo di stelle senza luna.

 

- Amami… - gli disse - …e lasciati amare! Non ti chiedo niente! Voglio solo essere parte di te e voglio che tu sia parte di me… non voglio che tu mi debba niente… TI VOGLIO! – E ancora gli si stringeva contro, si lasciava cadere sul suo torace, mentre i suoi capelli gli coprivano la schiena.

 

     Gatsu sentì che qualcosa era cambiato in lui. Non gli importava chi fosse Grifis, che fosse un uomo. Lasciò che la sua mano si perdesse nell’argento di quella massa di capelli morbidi, lasciò che le lebbra sfiorassero la sua fronte. Cercò la sua bocca e la premette contro la propria, la lingua attorcigliata a quella di Grifis seguiva il ritmo della sua mano che, fattasi strada tra le cosce dell’altro, aveva preso con delicatezza il pene dell’amante e lo stava carezzando, stringendo, premendo. Il movimento si fece più rapido. Su e giù, su e giù, sempre più veloce. Un misto di sospiri, saliva e gemiti accompagnava i suoi movimenti. Poi si sollevò a sedere sul giaciglio, scostò Grifis, lo fece sedere di fronte a sé e gli allargò le gambe, con dolcezza. Non si scambiarono nemmeno una parola, non ce ne era alcun bisogno.

     La sua bocca ingoiò il membro eretto e duro. Lo leccò con avidità, riconoscendo il sapore della donna che era stata con Grifis prima di lui e questo gli fece male.

 

- Dimmi che lei non è stata niente per te!

 

     Grifis sulle prime non capì cosa volesse dire Gatsu con quelle parole.

 

- Sai di lei! – aggiunse Gatsu – Tutta la tua pelle  ha il suo odore. Il tuo pene profuma di lei, la tua bocca, le tue mani sanno di lei, chiamano lei... dimmi che non è stata niente!

 

     Ma non gli lasciò il tempo di rispondere. Prese i suoi capelli con la mano destra, li strinse e gli strattonò indietro la testa per baciargli il collo e il petto, per mordergli i capezzoli, leccarli e morderli ancora, mentre la sua mano correva lungo il pene. Lo fece sdraiare di nuovo supino e si sedette sul suo petto, facendo forza sulle braccia e sulle gambe lo obbligò a prendere di nuovo in bocca il suo membro, a succhiarlo e Grifis accettò, mentre con le mani gli stringeva le natiche e le sue dita giocavano con il suo sfintere, provocando repentini movimenti in avanti del bacino di Gatsu.

Gatsu chiuse gli occhi, continuando a muoversi ritmicamnte avanti e indietro, mentre la bocca di Grifis si stringeva ad ogni spinta un po’ di più, premendo, accogliendo, succhiando con avidità. Le prime gocce di liquido seminale erano uscite, segno dell’imminente eiaculazione, quando Gatsu si ritrasse. Voleva di più.

     Si inumidì il dito medio e l’indice con la saliva, poi strinse Grifis a sé e gli fece scivolare la mano lungo la schiena.

Le sue dita iniziarono a solleticare l’ano di Grifis, per prepararlo ad accogliere il suo pene, rigido e ingrossato dall’afflusso di sangue. Lo volse sulla schiena, gli aprì le gambe e si preparò a penetrarlo, senza ulteriori premaboli.

 

- Prendilo... subito! – riuscì a dire Gatsu in un sospiro – Sei pronto?

 

Voleva vedere il suo volto, ma era impossibile cogliere l’espressione di Grifis nell’oscurità, ma la sua testa si mosse in segno di diniego e lo sguardo tornò ad essere quello del Falco bianco, duro e spietato.

     Grifis si girò, inarcò la schiena e si pose quasi in ginocchio. Il suo pene era eretto e la pelle lucida di sudore. Gatsu capì e si lasciò scivolare tra le sue gambe divaricate e glielo prese in bocca, stringendolo con le mani. Il calore di quella cavità, il movimento ritmato delle dita, il freddo della notte, generarono in Grifis una forza nuova. La sua anima, il suo cuore adesso non avevano alcun motivo di nascondersi.

 

[...]

 

Now it’s dark…

 

Into the night

I cry out

I cry your name

Into the night

I search out

I search out your love

Night so dark

Where are you?

Come back in my heart

So dark

So dark (*)

 

[...]

 

     Grifis spinse il proprio pene nella bocca di Gatsu. Poi, quando sentì che stava per venire, si sciolse dal suo abbraccio e lo cercò ancora una volta nel buio. Era proprio quello che aveva voluto da sempre, da quando lo aveva incontrato.

     Si inginocchiò di fronte a lui, gli prese le caviglie e le appoggiò ai suoi fianchi. Si chinò su di lui, leccò la base del suo pene, poi si spinse oltre, sollevando ancora il bacino di Gatsu. Inumidì con la lingua il suo ano e lo penetrò con tutta la sua forza. Adesso quello che gli interessava era solo il proprio piacere.

 

[...]

Into the night

Shadows fall

Shadows fall so blue

I cry out

I cry out for your name

Night so dark

Where are you?

Come back in my heart

So dark

So dakr

So dark (*)

[...]

 

     Sentiva la voce roca di Gatsu che chiamava il suo nome, un’invocazione a un dio, un continuo canto di piacere, un lamento di terrore misto ad estasi, un grido lontano. Ma lui cosa stava provando non sapeva dirlo.

     Sentiva il potere che scorreva nel suo corpo. Sentiva di nuovo quel calore intenso e impossibile da frenare. Si sentiva vivo, vivo ancora una volta. Niente poteva essere negato al Falco Bianco e nessuno avrebbe potuto porre un freno al suo sogno.

     Il bejelit risplendeva sinistro nell’oscurità, quando finalmente la sua furia esplose.

     Ricadde tra le braccia di Gatsu.

     Il Falco aveva volato al limite delle sue possibilità quella notte.

 

[...]

 

Nel vano della finestra della camera di Chastity una figura inquietante li osservava. Presto fu raggiunta da un altro spettatore.

 

- Milady… che piacere rivederti dopo così tanto tempo! – disse lo sconosciuto a voce molto bassa, per non farsi udire da nessuno.

 

- Niente ti obbliga ad essere gentile con me… BOID! – rispose gelida Lady Sinsothe – Come vedi ho fatto quello che mi avevi chiesto. Ti ho trovato il Falco di Luce… colui che entrerà a far parte del regno delle tenebre… il nuovo membro della vostra nefasta congrega.

 

     Il mostro con gli occhi cuciti e il viso scarnificato cercò di sfiorare con una mano scheletrica il volto di Chastity.

 

- Non farlo! – gli disse scostandosi e il suo grido era quasi un urlo – Non osare mai più toccarmi! Non farlo mai più!

- Preferisci che mi trasformi in qualcosa di meno ripugnante? – vuoi che torni ad essere come il giorno in cui... in cui sei stata sacrificata a noi? – le chiese Boid, volgendo verso di lei il volto orrendo, solcato da qualcosa che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere un sorriso.

    

Le toccò la nuca, dove, nascosto dai capelli ormai ricresciuti, si poteva scorgere una sorta di tatuaggio dalla strana forma. Sembrava quasi un ragno e adesso stava sanguinando. Questa volta Milady non si ritrasse a quella gelida carezza, ma guardò il demone con aria sprezzante.

 

- Tu non potrai mai essere meno ripugnante ai miei occhi Boid… io non dimenticherò mai… non posso dimenticare! – e la sua voce si spense in un singulto mentre riusciva ad appoggiarsi al gelido muro della stanza.

 

- No... non potrai mai dimenticare! – le disse Boid – Ma tornerai… Tornerai… tornerai da noi per partorire il figlio delle Ali delle tenebre! – aggiunse prima di celarsi nell’oscurità che lo aveva generato.

 

     Milady lo guardò mentre si allontanava e a quelle sua ultime parole si pose istintivamente una mano sul ventre.

 

- Suo figlio! – si disse, guardando Grifis che giaceva accanto a Gatsu, l’uno soddisfatto per aver ottenuto l’ennesima conquista, gli occhi sbarrati a contemplare il primo sole del mattino, l’altro felice e spossato, con gli occhi chiusi, a godersi uno degli ultimi sonni prima della sua futura esistenza, oscura come una notte senza luna.

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Soundtrack “Into the night” from Twin Peaks – all right reserved