Per Ria, Nausicaa, Angie e Calipso.
Il collegio parte
VII
di Greta
Mark si staccò
immediatamente, spingendo Alexander contro il muro e riportando la giusta
distanza tra i loro corpi.
Come diavolo gli era
venuto in mente?
Abbassò la testa sul
petto, i capelli a coprirgli gli occhi. Ne aveva combinata un’altra, la più
grossa di tutte, non c’è che dire. Perché lo aveva fatto? Perché aveva
voluto inscenare quella pantomima?
Non era un idiota
completo, era chiaro anche a lui che non era stato solo il rispondere alla
sfida di quest’altro Stoddard, no, non era stato solo questo. Era come se
avesse voluto punire Richard…
Sorrise senza rialzare la
testa: punire? E perché mai quella doveva essere una punizione per Richard?
Probabilmente il piccolo lord era pure contento di essersi finalmente
liberato di lui…
“Ancora vivo?” si sentì
chiedere dalla voce maliziosa del ragazzo che aveva ancora di fronte.
Rialzò la testa di
scatto: già, Alexander era ancora lì. Vide quel viso avvicinarsi, quelle
braccia ritornare a circondargli il collo, quella bocca cercare la sua…
Un bacio, rapido come una
carezza, invece di quelle lunghe e violente battaglie che avevano sempre
combattuto fino a quel momento.
Eppure si scansò
ugualmente.
Il sorriso del compagno
non si incrinò:
“Più tardi vengo a
trovarti nella tua stanza. Credo proprio che dovremmo parlare…”
Mark lo guardò rendendo
palese, appositamente, più disprezzo di quanto non provasse. Ma ancora una
volta quel ragazzo lo sorprese, mostrandosi inattaccabile:
“E’ inutile che mi guardi
con quegli occhioni da cane in cerca di coccole…” lo stava infatti prendendo
in giro Alexander, pur non potendo aver frainteso l’odio nel suo sguardo
“…ho detto che dobbiamo parlare… prima!”.
Poi, dopo avergli
accarezzato velocemente le labbra con la punta delle dita, si era diretto
verso la porta, agitando allegramente una mano in segno di saluto.
Mark si ritrovava in una
situazione già vissuta: seduto per terra, i gomiti sulle ginocchia e la
testa affondata tra le mani, combattuto tra l’orgoglio e l’amore.
C’era Richard e c’era
Alexander. E poi c’era lui, incapace di capire in cosa fosse andato a
cacciarsi e cosa fosse giusto fare… se continuare, come aveva fatto sino ad
allora, a seguire i propri sentimenti, oppure se decidere che era giunto il
momento di riscuotersi, e difendere la propria dignità smettendola di
anelare a qualcosa che fino a quel momento gli aveva causato solo sconfitte.
Si rialzò con uno sforzo,
e si incamminò verso la propria stanza. Sapeva che una doccia non avrebbe
cancellato tutto quello che era accaduto, però il pensiero dell’acqua che
gli sferzava il viso, mentre il sapone gli accarezzava la pelle, sembrava
promettergli l’illusione di un momentaneo benessere.
Si sentiva un’altra
persona, mentre si cambiava per la cena. Certo, adesso avrebbe dovuto
riaffrontare tutti quanti nel refettorio, ma tutto sommato in quel momento
era meglio incontrare chiunque in pubblico, viste le cose inaspettate
che accadevano non appena si ritrovava da solo con qualcuno.
Si sedette ad un tavolo
insieme ad altri compagni di corso, tutte persone che conosceva poco e che
non lo avrebbero tediato con chiacchiere e domande.
La cena trascorse
tranquilla. Mark solo a metà del pasto diede un’occhiata agli altri tavoli
della sala, accorgendosi che Alexander chiacchierava amabilmente con dei
ragazzi dell’ultimo anno in uno dei gruppi più animati, e che di Richard
sembrava non esserci alcuna traccia.
Qualcosa gli si strinse
nello stomaco, qualcosa di pericolosamente simile ad un senso di colpa…
Tornato nella propria
stanza, si stese sul letto con il libro di economia, cercando di
concentrarsi sullo studio. Leggeva e rileggeva le stesse righe, forzandosi a
porre attenzione a quello che doveva studiare, a quelle stupide teorie
economiche che dovevano giustificare la crisi mondiale del 1929.
Accese una sigaretta. Non
gli piaceva fumare nella stanza chiusa: di solito si sdraiava sul davanzale
della finestra, facendo in modo che il fumo uscisse all’esterno.
Ma questa volta si
trattava di una situazione di emergenza.
Sentì dei colpi leggeri
contro la porta. Per un istante pensò di non rispondere… temeva di saper fin
troppo bene chi avrebbe trovato dietro la porta. Ma non era una cosa da Mark
Grant.
Non si sollevò dal letto,
mentre grugniva un generico invito ad entrare.
“Mi sembra che avessimo
un discorso in sospeso…”
La voce di Alexander
aveva il solito tono malizioso, mentre il ragazzo si avvicinava fino a
sedersi sul letto, accanto a lui.
Mark assunse una smorfia
ironica:
“Non sei soddisfatto
dello spettacolo offerto in palestra?” gli chiese senza distogliere lo
sguardo dalla pagina che continuava a fissare da mezzora.
Delle dita sottili
invasero il suo campo visivo, appropriandosi del libro, chiudendolo e
poggiandolo sullo scaffale accanto al letto.
“Davvero la mia presenza
non ti suggerisce niente di meglio?” quella voce bassa adesso era
pericolosamente vicina al suo orecchio.
Finalmente portò lo
sguardo negli occhi azzurri dell’altro:
“Avevo capito che volevi
parlare…” notò, accentuando l’ironia.
“Quello possiamo farlo
anche dopo… abbiamo tempo, no?” e Alexander poggiò le labbra sul suo collo,
sdraiandosi su di lui.
Era una sensazione
rilassante, era incredibilmente facile lasciarsi catturare da quei baci, e
tutto sommato era abbastanza stanco da non trovare nulla in contrario a
quello che stava accadendo.
Perché ogni volta doveva
comparirgli davanti agli occhi il volto di Richard? Il piccolo Lord aveva
avuto quell’Anderson, perché lui doveva farsi tutti quei problemi?
Non aveva obblighi verso
nessuno, da Stoddard aveva avuto solo rifiuti… non aveva senso respingere
qualcosa che poteva farlo stare meglio, anche se per poco…
Accarezzò i capelli di
Alexander, poi gli allontanò il viso in modo da fissarlo negli occhi:
“Tu lo sai che non ti
amo, vero?” gli disse, cercando di rendere il suo tono il più duro
possibile.
Alexander sorrise
divertito:
“Non l’ho mai preteso… e
per me non è un problema”.
Mark sollevò un
sopracciglio:
“Questo non fa onore a
nessuno di noi…”
Ma l’altro sembrava
trovare ogni sua parola incredibilmente buffa…
“Non c’entra affatto
l’onore… vogliamo entrambi la stessa cosa, una serata diversa. Per ora, io
mi accontento di questo…”
Mark scosse la testa:
“Per ora?”
Alexander era di nuovo a
pochi centimetri dal suo viso:
“Perché porre limiti alla
provvidenza? Magari un giorno capirai che in me puoi trovare più di quello
che Richard potrà mai darti…”.
Non era un discorso
rassicurante, ma a lui bastava che fossero d’accordo sulle premesse.
“Spengi la luce”.
Le settimane seguenti, la
vita di Mark continuò lungo quello strano binario.
In realtà lui non faceva
nulla, accettava senza starci troppo a pensare quello che gli arrivava
addosso.
Le rare volte che qualche
domanda fastidiosa gli attraversava il cervello, faceva in modo di
allontanarla, dedicandosi allo studio, all’attività sportiva, alla musica.
Spesso in queste circostanze, il giradischi acceso si era rivelato un ottimo
mezzo per sovrastare il rumore dei pensieri molesti… e poi c’era Alexander.
In qualche modo si stava
affezionando a lui, a quel loro strano rapporto.
Sapeva che, nonostante
tutto, non ne era innamorato, ma gli piacevano i suoi scherzi, la sua
allegria, l’acutezza e la perfidia delle osservazioni con cui quest’altro
Stoddard era in grado di levare la pelle alle persone… e poi c’era quello
che succedeva a luci spente, quel calore, quell’affetto, quella passione che
lui, nel silenzio e nel buio, poteva far finta appartenessero ad un altro.
Sapeva bene che non era
giusto, che non si stava comportando in maniera corretta, ma poi la sua
coscienza trovava una ipocrita tranquillità ripensando a quella sera in cui
avevano chiarito cosa era ad unirli.
“Ancora sveglio?” la
figura sdraiata accanto a lui si sollevò, sporgendo una mano verso la
sveglia:
“Sono solo le tre… vuoi
che contiamo le pecore insieme?”
Mark non rispose, ma
allungò il braccio verso le sigarette, accendendosene una.
Alexander gliela sfilò
dalla bocca:
“Fumi troppo!” lo
rimproverò, prima di riaccoccolarsi sulla sua spalla “Cosa c’è che non va?
Vuoi che contiamo i piccoli Richard che saltano la staccionata?” continuò,
cercando di mantenersi serio, ma con la voce che tradiva il divertimento.
“Sei davvero molto
spiritoso…”
“Spiritoso e
spaventosamente intelligente: non mi sfuggono gli sguardi che gli lanci. Ma
dimmi… come mai Richard sembra così arrabbiato con te?”
Mark si sollevò,
appoggiando la schiena alla spalliera del letto:
“Forse non gli piace che
mi scopi il cugino, non pensi?”
Alexander scoppiò a
ridere, come se lui avesse detto la cosa più comica del mondo:
“Dubito molto che la cosa
possa interessargli, sarebbe molto più plausibile che la sua arrabbiatura
fosse dovuta alla mia opera tentatrice e traviante sul suo integerrimo
compagno di collegio…”.
“Non dire stronzate…”
“Non le dico… tu, un
esempio per la ricca borghesia inglese, trascinato nel fango dal marciume
nascosto nell’aristocrazia tarata…”
“Sembra una buona trama
per un articolo a sfondo sociale”.
Alexander sorrise,
riappropriandosi nello stesso tempo di quello che gli spettava della
coperta, e che Mark si era inavvertitamente tirato dietro.
“Dopodomani avrò l’esame
di Fisica, speriamo bene…” cambiò argomento.
“Come diavolo ti è venuto
in mente di inserirla nel piano di studi, se la odi?” Mark era sempre
piuttosto perplesso davanti alle incoerenze del giovane Stoddard.
“Non è vero che la odio…
è che non la capisco. In questo modo sono costretto a studiare…”
“Un ragionamento che non
fa una piega!” ribatté lui, sbadigliando.
“Torna a stenderti, il
sonno ti è ritornato… dovresti ringraziarmi”
“Posso farlo, ma non
starebbe a significare che la tua conversazione è soporifera?”
Alexander rise
maliziosamente:
“Preferisco questo al
contare i piccoli Richard che saltano la staccionata!”
Sorrise anche Mark, prima
di riaffondare sotto le coperte, con Alexander di nuovo accoccolato contro
il suo fianco e quel calore che sembrava tranquillizzarlo.
Quando la mattina dopo
Mark si svegliò da solo, non si stupì più di tanto. Accadeva spesso che
Alexander si alzasse prima di lui, per tornare indisturbato nella propria
camera.
Uscì sbadigliando.
Nonostante la doccia che si era appena fatto, si sentiva stanco e assonnato.
Una smorfia gli si
dipinse sul viso: probabilmente l’attività notturna stava dando i suoi
effetti… eppure questo pensiero non gli portò la tronfia soddisfazione che
in genere qualsiasi ragazzo della sua età associava alle proprie performance
amatorie… anzi, un fondo amarognolo gli rendeva queste considerazioni
particolarmente sgradite.
Nel refettorio c’era
pochissima gente. Si sedette al tavolo vicino alla finestra, una tazza di tè
forte e bollente tra le mani.
Perso nei suoi pensieri,
non si accorse immediatamente del ragazzo che gli si era seduto di fronte.
“Potresti passarmi il
limone?”
Mark sobbalzò
leggermente. Voltandosi si ritrovò davanti un viso che gli sembrava in
qualche modo noto.
Prese il piattino con il
limone e il piccolo coltello, e glieli allungò, riprendendo poi a bere e a
giocare con il toast ancora intatto.
“Scusami se sono
indiscreto, ma tu sei Mark Grant, vero?”
Annuì con studiata
noncuranza, eppure questo approccio lo stupiva un po’: era da troppo poco
tempo ad Oxford per venir riconosciuto da qualcuno come una celebrità a cui
presentare i propri omaggi.
Lo guardò meglio: sì, era
sicuro di averlo già visto, forse si trattava di un ragazzo che aveva
affrontato in palestra…
Era alto, robusto ma
asciutto, dai capelli castani, la carnagione scura e due brillanti occhi
verdi. Un bel tipo, poteva dirlo in maniera del tutto spassionata.
“Brian Eastley… ho la
stanza vicina alla tua”
Mark sorrise, anche se
era stato solo un rapido guizzo della bocca, che non aveva raggiunto gli
occhi.
La stanza vicina alla
sua, questo spiegava il fatto che quella faccia gli fosse nota. Adesso
doveva solo capire cosa diavolo volesse da lui.
Il ragazzo gli piantò
addosso uno sguardo deciso, lo sguardo di una persona che non era abituata a
temere o a sentirsi in soggezione davanti a nessuno:
“Mi dispiace che la
nostra prima conversazione debba trattare un argomento così spiacevole, ma
mi trovo nella situazione di dovermi lamentare del rumore che proviene dalla
tua stanza”.
Mark si sentì preso in
contropiede. Alla StGeorge’s nessuno avrebbe osato rivolgersi a lui in quel
modo, nessuno avrebbe osato anche solo sollevare lo sguardo su di lui… e
invece questo tizio si permetteva di usare quel tono calmo e piano, come se
si stesse rivolgendo ad un bambino di sei anni?
“Cercherò di abbassare il
giradischi… ovviamente non pensavo che la musica si sentisse anche nelle
altre stanze” rispose secco, con l’aria di dare pochissimo peso alle parole
che gli erano state rivolte.
“Sicuramente le pareti
sono sottili” ribadì l’altro “ma il problema non è solo il giradischi… non
mi sarei lamentato solo per quello. Io la notte ho bisogno di dormire,” di
nuovo quegli occhi dritti nei suoi “e tutto sommato penso di potermi
risparmiare la diretta delle tue evoluzioni amatorie…”.
Mark ricambiò quello
sguardo diretto:
“Non ti permetto di
rivolgerti a me con questo tono” ribatté, mantenendo la calma per puro
sforzo di volontà.
L’altro riprese a
mescolare il proprio tè con calma.
“A me non importa
assolutamente nulla di come impieghi le tue nottate…” posò il cucchiaino, e
sollevò la tazza con la mano sinistra “…ma non mi sembra esagerato
pretendere che rispetti la tranquillità degli altri studenti. Cerca di
essere meno rumoroso, e io sarò l’ultima persona a presentare lamentele.
Come ti ho detto, della tua vita privata, come del resto di tutto ciò che
può riguardarti, non mi interessa assolutamente nulla”.
Mark impiegò qualche
istante per convincersi che quelle parole gli erano state rivolte davvero,
poi, sforzandosi di imitare quel tono da conversazione amichevole, sibilò:
“Sai che non ti spacco il
naso solo perché siamo in un ambiente pubblico?”.
L’altro accennò un
sorriso:
“Non ti preoccupare, la
tua fama ti ha preceduto, non è necessario che mi dimostri la tua forza”
bevve ancora un sorso di tè “… ma non mi tiro indietro se hai proprio hai
voglia di risolvere la questione in maniera ‘ordalica’…”.
“Mi hai letto nel
pensiero…”
“Ok. Subito? Oppure
preferisci lasciarmi assistere alla mia ultima lezione?”
Da fuori poteva sembrare
una conversazione assurda: due persone che si stavano mettendo d’accordo per
picchiarsi a sangue ma che per farlo usavano un tono da vecchi compagni di
club.
“Che cosa è successo?”
La voce di Alexander era
evidentemente preoccupata, del resto Mark sapeva che impressione doveva dare
il suo viso, stavolta conciato davvero male.
Sbuffò senza rispondere,
anzi, girandogli le spalle e coprendosi con le coperte.
Ma quest’altro Stoddard
non era meno testardo del primo. Alexander si sedette sul letto e gli mise
le mani sulle spalle, forzandolo a voltarsi.
“Sei pieno di lividi… non
ti sarai picchiato con qualcuno?!”
“Mi sono già
disinfettato, e comunque non è niente. Un semplice scambio di idee… e vedi
di non comportarti da mammina premurosa!”
“Già, Mark Grant, il
duro, l’invincibile, l’inattaccabile…” Alexander si interruppe, e anche se
il tono di superiorità e sufficienza del compagno gli sembrava estremamente
fuori luogo, in qualche modo capiva che era solo una estrema forma di
orgoglio.
“Spero che il tuo
avversario stia peggio di te…” mormorò piano.
“Su questo puoi
scommetterci!”.
In realtà erano conciati
male entrambi: lo scontro con Brian Eastley si era dimostrato più duro del
previsto, del resto, pur avendo la stessa altezza, l’altro era certamente
più muscoloso di lui.
Fortunatamente, quando
era arrivato allo stremo delle forze, avevano deciso di interrompere lo
scontro, in qualche modo accettando il pareggio finale.
Alexander cominciò a
spogliarsi, poi si infilò nel letto accanto a lui, appoggiandogli
delicatamente la testa sul petto.
“Non credo di essere in
forma, stasera. Puoi anche andare via”
Mark aveva usato un tono
gelido e insultante. Ma era la sua difesa, il modo per far capire al
compagno che fra loro non era cambiato e non doveva cambiare nulla. Niente
smancerie, niente sdolcinatezze. Erano stati d’accordo sin dall’inizio. Solo
‘sano esercizio’, niente di più.
“Non ti preoccupare,
rimango solo perché non ho voglia di rifarmi il corridoio gelido fino alla
mia stanza… Comunque, Mr Grant, vorrebbe rivelarmi cosa ha portato alla sua
odierna tenzone?” ribatté Alexander, volendo sapere e, nello stesso tempo,
desiderando alleggerire la tensione.
Mark sorrise, questo era
uno dei pregi del compagno, il riuscire a stuzzicarlo mettendolo di
buonumore.
“Se te lo dicessi,
capiresti che ne sei in qualche modo la causa…”
Il ragazzo si sollevò sul
gomito per guardarlo:
“Non posso crederci! Ho
un ammiratore segreto e avete duellato per aggiudicarvi i miei favori…”.
Scoppiarono entrambi a
ridere, nonostante il fermo proposito di Mark di rimanere impassibile ad
ogni provocazione.
“Abbassa la voce!” lo
rimproverò poi.
“Mi sembra che altre
volte il mio tono fosse stato ben più alto… e non ti sei mai lamentato!”
ribatté Alexander maliziosamente.
Mark scosse la testa, ma
cedette alla tentazione:
“E’ stato proprio questo
il motivo del contendere: il mio vicino di stanza si è lamentato per i
rumori notturni… dice che non riesce a dormire”.
“Si trovasse anche lui
qualcosa da fare!” Alexander non sembrava per nulla imbarazzato dalla
situazione.
“Beh, il nostro scontro
ha portato ad un accordo: io cercherò di fare meno rumore…”
“Non avresti dovuto
interpellarmi, prima?” fu subito interrotto, ma lui riprese facendo finta di
non aver sentito:
“NOI cercheremo di fare
meno rumore, e lui si comprerà dei tappi per le orecchie”.
Alexander scosse la
testa, sorridendo:
“Questa soluzione mi dice
che non lo hai messo a tappeto! In ogni caso… qual è l’altisonante nome del
nostro pudico perbenista?”
“Lo ritieni importante?
Comunque si chiama Brian Eastley…”
Non fece in tempo a
terminare di pronunciarne il nome che il compagno si era drizzato a sedere
sul letto…
“QUEL
Brian Eastley?”
Lui scosse la testa…
“L’unico che conosco,
perché?” chiese con noncuranza. Perché diavolo doveva colpirlo il fatto che
il tipo rispondesse a quel nome?!
“E’ un mio compagno al
corso di Fisica, è considerato la punta di diamante della ricerca al Trinity,
un ragazzo molto intelligente…” si interruppe strizzandogli maliziosamente
un occhio “…e non è niente male!”
A Mark venne da ridere, e
tutto sommato questa frase gli permise anche di tirare un sospiro di
sollievo.
“Molto intelligente?
Sicuramente molto forte… eravamo entrambi a pezzi quando abbiamo finito di
‘confrontarci’…” si interruppe notando che l’altro sembrava completamente
perso nei propri pensieri “…ehi, Alexander, mi ascolti?”.
“Eh?! Sì… senti, tanto
per sapere come devo comportarmi a lezione, lui sa chi è l’altra persona
artefice di quei rumori?”.
“Oh, ohhhh… e così vieni
a letto con me ma il tuo cuore è di qualcun altro…”.
Pur nella luce soffusa
che invadeva la stanza, a Mark non sfuggì l’espressione tesa e triste del
volto di Alexander, mentre il ragazzo sussurrava:
“Magari… magari fosse
così, Mark!”
Improvvisamente scese il
silenzio.
Non c’era niente da
aggiungere… quanto sentiva il bisogno di accendere una sigaretta, ma non
poteva farlo, oppure avrebbe tradito il proprio nervosismo. Chiuse gli
occhi, sentendo Alexander riappoggiarsi sui cuscini, spingendo la testa
sulla sua spalla…
Come sarebbe stato tutto
più semplice se Richard non fosse mai esistito!
Il pomeriggio seguente
fece una cosa che non faceva da tempo.
Dopo le lezioni, e dopo
aver sistemato il materiale per l’ennesima tesina, si preparò e raggiunse il
maneggio dell’Università.
Si fece sellare un Hunter
irlandese, e si allontanò dagli edifici scolastici.
Lanciò il cavallo al
galoppo sulla discesa che portava al fiume sul quale si svolgevano gli
allenamenti di canottaggio.
Il vento nei capelli gli
dava un senso di libertà e onnipotenza.
Si fermò quasi
sull’argine: vide la squadra di canottaggio vogare al ritmo degli ordini
impartiti dall’altoparlante del capo equipaggio. Il movimento sincronizzato
dei remi era quasi ipnotizzante. Per qualche istante si perse ad osservare
le increspature prodotte sulla superficie dell’acqua, non pensando a nulla
in particolare, ma sentendosi stranamente soddisfatto, come se sentisse
sulla pelle l’impressione di sicurezza e forza che doveva suscitare in chi
lo osservava dall’esterno.
Quasi non si accorse che
qualcuno gli era arrivato accanto.
“Probabilmente quest’anno
ci rifaremo, nella regata contro Cambridge…”.
Non vedersi, ignorarsi
per tanto tempo, e poi parlare di futilità, come se non si fosse condiviso
nulla?
Sì, sembrava che fra lui
e Richard tutto dovesse sempre seguire vie del tutto particolari.
“Abbiamo avuto la stessa
idea…” replicò dopo qualche istante, accennando alle loro cavalcature “Una
gara a chi arriva prima al campanile?” propose, indicando con la testa il
campanile diroccato che dominava il fiume dal culmine della collina.
E come al solito, l’unico
modo per stare insieme era essere contrapposti, in competizione…
Partirono al galoppo
serrato: entrambi i cavalli salivano agilmente, anzi… sembravano volare sul
manto verde. Il rumore degli zoccoli, dei loro incitamenti, fece alzare in
volo gli stormi di passeri nascosti tra i fili d’erba.
“Primo!” urlarono in
coro, mentre i cavalli sbuffavano nuvole bianche e calde nell’aria gelida.
Rimasero ancora in
silenzio, guardando il paesaggio sottostante.
“Come stai, Richard” Mark
mormorò piano, senza voltarsi verso il compagno.
Era una domanda sciocca,
non c’era alcun dubbio, ma era come se quello sguardo spento e quell’aria
stanca lui li sentisse chiaramente come delle conseguenze di ciò che stava
accadendo tra loro.
Stoddard si prese del
tempo per rispondere. Per qualche istante Mark pensò anche che non avesse
udito la domanda, ma non era così.
“Non lo so. Non so come
sto…Come sempre, credo”. Richard si interruppe: “Tu, piuttosto, sei felice?”
Felice? Era una parola
che non descriveva il suo stato, questo era certo.
“Lo sai bene… non posso
certo dire di avere quello che desidero”.
L’altro si voltò verso di
lui con gli occhi sbarrati, carichi di… orrore? Disgusto? Beh, qualcosa di
simile…
“Che ti prende?” gli
chiese, non riuscendo a spiegarsi quella reazione.
“Cosa mi prende? Pensavo
che tu avessi trovato quello che cercavi in Alexander…” si sentì sibilare in
risposta.
“Alexander?! Che diavolo
stai dicendo!”
Perché Richard faceva
finta di non sapere benissimo che quello che stava accadendo con il cugino
era dovuto solo al suo rifiuto?!
“Sei davvero un… non ho
mai conosciuto una persona spregevole come te!”
Cosa? Anche questo doveva
sentirsi dire?!
“Se stai per ricominciare
i paragoni con il Grandissimo Paul Anderson, sappi che non ho la minima
voglia di starti ad ascoltare” gli replicò gelido.
Non voleva sopportare
ancora un’altra conversazione di quel genere… perché in quel momento l’unica
cosa che si sentiva di fare era scendere da quello stupido cavallo, tirare
giù pure Richard, e fargli capire una volta per tutte chi era dei due il più
forte.
Per evitare qualsiasi
tentazione, spronò la propria cavalcatura e si lanciò al galoppo giù dal
declivio.
Il rumore dietro le
spalle, gli fece però capire che anche l’altro stava scendendo giù dalla
collina. Non si voltò indietro, mise gli speroni addosso al cavallo, e in
pochi minuti si ritrovò da solo ai margini della boscaglia.
Quando rientrò al
maneggio era ormai buio, l’ora della cena passata da un pezzo. Era
arrabbiato con se stesso per essersi, ancora una volta, lasciato prendere
alla sprovvista da quel ragazzino viziato, per essersi ancora una volta
lasciato influenzare dal loro incontro.
Dopo aver lasciato
l’Hunter allo stalliere, si diresse lentamente verso il dormitorio.
Nel corridoio deserto, il
rumore dei suoi stivali sembrava amplificato.
Afferrò la maniglia, ed
entrò nella propria stanza: senza accendere la luce, appoggiò i guanti e il
frustino sulla scrivania, poi si avvicinò alla finestra per ammirare i
riflessi della luna sulle increspature del lago artificiale…
“Non avevamo ancora
finito di parlare”.
La voce che risuonò
improvvisa lo fece sobbalzare, e contemporaneamente gli fece stringere
qualcosa nel petto.
Si voltò lentamente,
riuscendo a malapena a distinguere una figura seduta sull’unica poltrona
della stanza:
“I tuoi sermoni non
potevano aspettare fino a domani? Mi sembra di averti già detto che sono
stanco” rispose gelidamente.
Richard si avvicinò, fino
ad affiancarglisi nell’osservare lo spettacolo del cielo notturno.
“Perché stai con
Alexander?”
Mark scrollò le spalle:
“Sinceramente non credo
siano cose che ti riguardino…”
“Ci sono già state cose
che non riguardavano l’uno o l’altro, ma che abbiamo condiviso. Non hai il
coraggio che invece hai preteso da me?”
Stavolta il tono non
lasciava scampo, era la loro ennesima sfida…
“Sei geloso, Stoddie?”
mormorò lasciando trasparire tutta la propria ironia.
L’altro non aveva
ribattuto, e Mark si voltò per osservarlo con ostentazione. La bocca
contratta, i pugni chiusi…
“Non mi rispondi?”
Lo schiaffo lo colpì
rapido e secco. Sentiva la guancia andargli a fuoco, ma per nulla al mondo
avrebbe distolto lo sguardo da quello del compagno.
“Ti credevo una persona
diversa, e invece…”
“Già,” rise sarcastico
“pensavi che potesse bastarmi la tua amicizia… che non avessi bisogno di
sentimenti più forti”.
“Perché, quali sono i
sentimenti che ti legano ad Alexander… amore forse? Da come ne parli, non
sembra”.
“Qualsiasi cosa sia, lui
non si fa pregare per darmela”.
“Sei piuttosto volubile…”
Mark strinse i denti,
trattenendosi ancora una volta.
“Ora vattene, Richard”.
“Non ne ho alcuna
intenzione, stavolta dobbiamo andare fino in fondo”.
Stavolta lui liberò il
suo tono più ironico:
“Temo che la tua idea di
andare fino in fondo non collimi con la mia…” poi ridivenne serio,
voltandosi per fissare l’altro negli occhi: “Vattene, Richard”.
“Ti comporti come un
bambino di quattro anni… lo hai sempre fatto, da quando ci siamo conosciuti.
Ti diverte assumere quest’aria tormentata, ma in realtà hai sempre fatto i
tuoi comodi…”
Probabilmente Richard
avrebbe detto molto di più, ma lui era serio quando aveva detto di non avere
più voglia di ascoltarlo.
Lo afferrò per i polsi
spingendolo con la schiena contro la parete:
“Te lo avevo detto di
andartene…” gli sibilò sul viso, prima di abbassarsi a coprirgli le labbra
con le proprie.
Sentì Richard cercare di
divincolarsi nella sua stretta, lo sentì serrare i denti per impedirgli di
accedere alla sua bocca, sentì quelle braccia irrigidirsi nell’ultimo sforzo
per allontanarlo. Ma Mark non aveva alcuna intenzione di fermarsi: lo aveva
fatto sin troppe volte, e ormai non gli importava più neanche che il suo
desiderio di Richard prendesse la forma di una violenza, di una umiliazione.
Continuò a baciarlo, e,
comprendendo che l’altro non avrebbe ceduto, passò ad accarezzargli con le
labbra la guancia, l’orecchio, il collo candido…
“Lasciami Mark! Lasciami
immediatamente…”
Mossa sbagliata, un
errore imperdonabile durante una sfida di quel tipo!
Rapidamente Mark si
riappropriò della bocca di Richard, che stavolta non riuscì a impedirgli di
approfondire il loro bacio.
E come per magia, le
carezze e la tenerezza che accompagnò a questa seconda intrusione,
riuscirono dove la violenza aveva fallito.
Nonostante le lacrime che
sentì scivolare dal viso di Richard al proprio, nonostante si fosse accorto
perfettamente di quegli occhi serrati a cercare di cancellare ciò che stava
accadendo, Mark avvertì che le braccia, che fino a poco prima avevano
combattuto strenuamente con le sue, si erano rilassate, e che il ragazzo si
era in qualche modo arreso, rifugiandosi contro il suo petto.
Gli liberò i polsi,
cominciando a sentirsi colpevole per quello che era successo.
“Mi dispiace…” mormorò,
appoggiando la fronte contro quella del compagno.
E invece Richard non lo
allontanò, e lui sentì quelle braccia sottili circondargli il collo, quel
viso, che era arrivato a sognarsi anche da sveglio, affondargli nella
spalla.
Gli sembrava che qualcosa
di magico fosse successo, come se improvvisamente sapesse quali fossero le
mosse giuste da fare. Lo strinse in un abbraccio forte, caldo,
accarezzandogli la schiena, sussurrando parole di cui neanche lui conosceva
il senso, tutto per calmare i singhiozzi che ancora scuotevano quel corpo
sottile, che sembrava d’un tratto incredibilmente fragile.
“Ti amo, Richard, ti amo
tantissimo…” gli mormorò, stringendoselo contro, quasi volesse fondere i
loro corpi.
E quando l’altro sollevò
il viso verso il suo, cercando di sorridergli attraverso quelle lacrime che
continuavano a bagnargli il viso, capì che finalmente anche Richard aveva
compreso la forza di quello che li univa.
Si riavvicinò lentamente,
e stavolta il loro bacio fu lungo e tenero, qualcosa che voleva dimostrare
affetto da una parte, e fiducia dall’altra. Qualcosa di gentile, di cauto.
Lo sollevò delicatamente
tra le braccia. Gli piaceva sentirsi forte vicino a Richard, gli piaceva
sentirlo arrendevole nella propria stretta.
Lo fece sedere sul letto,
sempre senza lasciarlo, lo baciò ancora, accarezzandogli i capelli morbidi,
e poi avvolgendogli la vita sottile, ancora coperta dalla giacca nera da
equitazione.
Si allontanò per cercare
di leggere in quegli occhi, per trovarci il permesso ad andare oltre. Erano
ancora lucidi, ma luminosi…
Fece per alzarsi, per
sfilarsi la propria di giacca, ma la mano di Richard gli si posò sul
braccio:
“Non andare via… non
lasciarmi”.
E adesso erano sdraiati,
e le sensazioni che Mark provava sentendo quel corpo sotto il proprio erano
infuocate, ardenti… non gli era mai capitato di sentirsi così.
Senza allontanarsi, si
liberò finalmente dei propri indumenti, per poi dedicarsi, lentamente, senza
fretta, a quelli di Richard, lasciandolo con la sola camicia bianca, aperta
però a scoprirne il petto candido.
Lo accarezzò con
delicatezza, come se avesse paura che a toccarlo con più decisione sparisse
di fronte ai suoi occhi, scivolò con la bocca su quella pelle sottile e
morbida, lasciò che fosse quello l’unico modo per ‘vedere’ quel corpo,
lasciò che l’altro si adattasse al calore del suo abbraccio.
Gli prese una mano nelle
proprie. Aveva sempre ammirato quelle dita lunghe e sottili, quelle unghie
curate, perfette… si passò il dorso contro la guancia, si riscoprì
appassionato e tenero come non aveva mai creduto di essere.
Si baciarono ancora, poi
Mark si sollevò sui gomiti, quel tanto che gli permetteva di vedere nella
penombra l’espressione negli occhi del compagno. E quando la mano di Richard
salì ad accarezzargli la fronte, scivolandogli lungo la tempia, la mascella,
fino ad accarezzargli la bocca, capì che era pronto a concederglisi
completamente.
Cercò di essere attento,
delicato, cercò di contrastare il dolore con le carezze, con i baci, e poi
ci fu la loro unione completa, quei sospiri, quegli ansiti, quelle grida
trattenute, che gli fecero capire che entrambi stavano raggiungendo insieme
la fusione perfetta.
Quando scivolò fuori dal
corpo di Richard, si sentì incompleto, improvvisamente la sua schiena fu
percorsa da brividi gelidi, come se nel distacco avesse perso una parte di
sé.
Nonostante questo, tentò
di allontanarsi dal compagno, per liberarlo del peso del proprio corpo. Non
riuscì a farlo, le braccia di Richard lo obbligarono a rimanere dov’era, a
continuare a stringerlo a sé e a proteggerlo, proteggere quel ragazzo che
aveva amato sin dal primo istante.
Fu una notte lunga e
breve insieme. Mark si addormentò con la testa appoggiata sulla spalla del
suo amante, le braccia a cingergli la vita, quasi in un inconsapevole timore
di vederlo scomparire, quasi a voler sentire la prova fisica che quello che
avevano vissuto non era un sogno.
Si svegliò spesso durante
la notte, per poi riassopirsi dopo aver guardato ancora una volta quel
volto, dopo essersi assicurato che il braccio del compagno fosse ancora
intorno alla propria schiena e le proprie intorno al suo petto.
Anche i primi raggi di
sole lo colsero sveglio: gli piaceva vedere come la luce giocasse con i
capelli di Richard, illuminandoli di mille riflessi.
Per una volta sentì che
c’era una persona per cui avrebbe potuto sacrificare molte delle proprie
ambizioni, per la prima volta capì quanto bello potesse essere amare.
Potendo osservare con
calma il compagno addormentato, cominciò a pensare a cosa sarebbe successo
dopo… a che punto del loro rapporto si sarebbero ritrovati, una volta
svegli.
Quali possibilità si
aprivano davanti a loro, quali diritti potevano avere due persone come loro,
con le loro responsabilità e i loro obblighi, a trovare la felicità insieme?
Scosse la testa per la
piega struggente che stavano prendendo i suoi pensieri… quasi quasi non si
riconosceva più! Il cinico Mark Grant che si perdeva in discorsi
esistenziali…
Si chinò lentamente su
quei capelli morbidi, avvicinò le dita ad accarezzare la spalla nuda che
spuntava dalle coperte… qualsiasi cosa fosse in serbo per loro, quello che
li legava sarebbe riuscito a trovare il proprio spazio.
Si ributtò sui cuscini, e
ripensò a quando aveva letto per la prima volta il nome di Richard su quella
targhetta, nei dormitori della StGeorge’s, e lo aveva immaginato grasso,
lentigginoso e con i capelli rossicci. Ne era passato di tempo!
Chiuse gli occhi, senza
riuscire a trattenere un sorriso… era come se sentisse la forza per
affrontare qualsiasi prova!
Spalancò gli occhi
stupito, sentendo una carezza leggera sulla propria bocca… il viso di
Richard era sul suo, nel più bel buongiorno che potesse immaginarsi…
“Sei sveglio da molto?”
lo sentì poi mormorare, mentre si accoccolava contro il suo fianco. Mark
allungò un braccio ad avvolgerlo ancora più stretto: in qualche modo si
sentiva anche sollevato, forse non aveva voluto ammetterlo neanche con se
stesso, però una certa ansia da ‘mattina dopo’ l’aveva avvertita.
“Pochi minuti” mentì,
affondando le dita in quei capelli dorati.
“Dovrei tornare nella mia
stanza…” gli sussurrò Richard, trattenendo uno sbadiglio.
“E perché?!” aveva
risposto di getto, incapace di trattenersi.
Vide l’altro sollevarsi
su un gomito, e guardarlo accigliato.
“Mark…”
“D’ora in poi mi
appartieni… anzi, per essere precisi, mi appartieni da quando ci siamo
incontrati…” lo aveva detto seriamente, non voleva assolutamente che
potessero esserci fraintendimenti.
Richard gli sorrise,
scuotendo il capo, ma improvvisamente sembrò che un’ombra gli avesse
offuscato lo sguardo:
“Quello che è successo
stanotte non cancella tutto quello che è accaduto prima…”
Ma lui non aveva la
minima voglia che i soliti discorsi, le solite accuse intervenissero a
distruggere quello che avevano appena conquistato. Si girò con un colpo di
reni, fino a ritrovarsi sul corpo del compagno, le mani a tenergli
saldamente i polsi contro il materasso e la bocca ad impedirgli di
aggiungere altro.
E fu proprio in quel
momento, quando le cose stavano ricominciando a seguire il giusto corso, che
si sentirono dei colpi contro la porta.
“Bastardo! Dovevo
immaginare che sarebbe arrivato a protestare…” borbottò Mark, infilandosi i
pantaloni del pigiama, pronto a squartare quell’inopportuno del suo vicino
di stanza.
Socchiuse la porta, quel
tanto che gli permetteva di vedere chi fosse sul corridoio e di tenere
celata, invece, la visuale del letto su cui Richard era ancora disteso,
incredulo di fronte a quello che stava accadendo.
“Mi sembrava che ci
fossimo chiar…” le parole gli morirono sulle labbra…
Quello non era Brian
Eastley… dietro alla loro porta si trovava infatti un Alexander sorridente e
malizioso, che brandiva come un trofeo una bottiglia di champagne e due
bicchieri.
“Ho pensato ad un
risveglio un po’ diverso dal solito… che ne dici di sperimentare qualcosa…
di nuovo?”
Accidenti! La famosa
persona sbagliata al momento sbagliato…
Mark si voltò rapidamente
verso l’interno della stanza. L’espressione seria ed accigliata di Richard,
che stava cominciando a rivestirsi, spiegava in maniera lampante che quelle
parole, e la consapevolezza di ‘chi’ le avesse pronunciate, lo avevano
raggiunto immediatamente.
Adesso stava a lui
cercare di recuperare la situazione:
“Alexander, non è il
momento. Torna nella tua stanza”.
Aveva usato un tono
deciso, se ci fosse stato solo Alexander probabilmente avrebbe cercato di
fargli capire che certe iniziative non erano gradite in modo altrettanto
fermo ma con un tono meno secco, però i suoi interlocutori in quella
conversazione erano due, le sue parole non dovevano convincerne uno solo.
“Cos’è, hai già esaurito
il tuo ardore? Sembravi così resistente le altre notti…”
Il ragazzo aveva
sussurrato quelle parole, ma non c’era dubbio alcuno che anche Richard le
avesse udite.
Mark si voltò lentamente
verso il letto, e lo sguardo che trovò fisso su di sé gli fece capire
immediatamente che forse neanche l’eloquenza di suo padre avrebbe potuto
salvarlo dalla condanna del compagno.
“Alexander… va’ via. Hai
sbagliato stanza”.
E, per la prima volta,
lesse in quegli occhi sempre ridenti qualcosa di simile all’umiliazione. Non
era stato che un istante, poi l’orgoglio innato degli Stoddard era
intervenuto, tramutando quell’espressione in un sorriso allegro, e in una
scrollata di spalle:
“Non sai cosa ti perdi,
Grant!” e agitando una mano nel voltargli le spalle, Alexander si allontanò.
Mark chiuse la porta
piano, poi si girò, appoggiandovi contro la schiena.
Rimasero in silenzio per
qualche istante, con appena i fruscii dei vestiti che Richard stava
indossando a fare da sottofondo.
Mark si allontanò dalla
porta, e si sedette sulla sponda del letto.
Ecco a cosa erano
arrivati, uno su una sponda, uno sull’altra, schiena contro schiena.
Allungò una mano verso le
sigarette sul comodino, e con calma se ne accese una.
“Non te ne andare”.
Lo aveva chiesto, non lo
aveva ordinato, eppure nel suo tono c’era un’urgenza che faceva pensare che
le conseguenze di un rifiuto sarebbero state imprevedibili.
“Forse ci siamo solo
illusi”
Non c’era rabbia nella
voce di Richard, ma una rassegnazione ben più pericolosa.
“Alexander non è mai
stato nulla, per me…”
Si voltò verso il
compagno, quasi a cercare di rafforzare in questo modo le proprie parole.
Ma vide l’altro scuotere
la testa:
“Non dire così, non
umiliare lui per salvare te stesso…”
“Vuoi cominciare con il
discorso trito del ‘certe cose si fanno in due’?” non era possibile che
qualsiasi cosa tra loro si ingigantisse fino a diventare insuperabile!
Dopo tanto tempo passato
a rincorrersi, dopo quello che lui aveva scoperto di se stesso, dopo quella
notte perfetta che avevano trascorso insieme… no, dopo tutto questo non
poteva accettare l’ennesima marcia indietro!
“Certo! Eravamo in due,
ma sapeva anche lui che non era l’amore a spingerci insieme. Le cose sono
sempre state chiare…”
Richard era rimasto in
silenzio. Mark si alzò in piedi, fece il giro del letto fino ad arrivargli
di fronte, quindi gli si inginocchiò davanti.
Gli sollevò il viso per
poterlo guardare negli occhi:
“Ti amo. Non respingermi
ancora!”
Le braccia di Richard gli
si appoggiarono sulle spalle, per poi stringersi intorno al suo collo:
“Lo so, Mark. L’ho sempre
saputo. Per me è stato difficile capire che…” si interruppe, voltando il
viso in modo che lui non potesse guardarlo negli occhi “…non credevo che mi
sarei potuto innamorare di nuovo, eppure…”
“Shhhh…” lo interruppe
Mark “…non c’è bisogno che tu mi dica niente, non ne ho bisogno”.
Rimasero abbracciati,
fronte contro fronte.
“Mi dispiace, Mark, ma
nessuno di noi ha ancora superato il proprio passato. Tu hai Alexander, e
anche io…”.
Non poteva accettare di
nuovo la memoria di Paul Anderson, non poteva accettare di condividere con
qualcuno l’amore di Richard… Mark Grant non era mai arrivato secondo, non
poteva sopportare neanche il ricordo di un rivale.
“Non parlare di lui, non
nominarlo!” sibilò, alzandosi in piedi.
Gettò la sigaretta sul
pavimento.
“Non osare dare a me la
colpa delle tue paure! Io non ho alcun passato da superare, io ho solo te…
per mia sfortuna!”
Anche Richard si alzò in
piedi, ormai completamente vestito.
“Sì, io ho paura del mio
passato, ma ho paura anche del tuo. Dici che mi amavi? Non hai esitato ad
andare con un altro. Che tu non lo amassi nemmeno mi sembra più una
aggravante che una scusante. Con quanta facilità saresti in grado di
rifarlo? Con quanta facilità ti stancheresti di me? Io non ho bisogno di
soffrire ancora… non ce la farei!”.
Rimasero in silenzio, un
silenzio carico di tensione.
Nonostante quello che
provavano l’uno per l’altro, perché adesso Mark sapeva di essere ricambiato,
non riuscivano a ‘parlarsi’. C’erano troppi nervi scoperti, troppa paura
dietro ogni loro parola…
Sarebbe stato facile
risbatterlo sul letto, e ribadire ancora una volta che Richard gli
apparteneva, ma, ora che aveva assaporato la sensazione inebriante di essere
ricambiato, non poteva accontentarsi di una violenza.
“Sei ancora qui?” gli
sibilò gelido.
Tra loro non era finita,
anzi. Era appena cominciata, ma certe cose andavano ancora superate, su
questo Richard aveva perfettamente ragione.
Il ricordo di Paul poteva
essere sbiadito solo dal tempo, un qualsiasi intervento da parta sua per
screditarlo, un qualsiasi attacco, avrebbe solo accentuata la sua aura,
innalzandolo nella considerazione di Richard.
Mark per un istante
ripensò a quella foto, quella scoperta tanti mesi prima in un libro di
poesie.
Lo odiava.
Lo odiava per aver fatto
innamorare Richard.
Lo odiava per aver
suscitato un sentimento così forte.
Lo odiava per continuare
ad essere tra loro, esattamente come era in quella foto: sorridente,
gentile, inattaccabile.
E poi c’era Alexander…
Ma non voleva pensarci.
Richard gli si avvicinò
lentamente, posandogli le mani sulle spalle:
“Facciamo le cose con
calma…”
Senza neanche rispondere,
lui gli fece scivolare le braccia intorno alla vita, stringendoselo a sé.
Prima di uscire, Richard
gli depositò un bacio leggero su una guancia. Un gesto strano, dopo quello
che si erano appena detti. Un gesto strano, considerando quello che era
successo quella notte.
Mark si sedette sul
letto, scuotendo la testa. Quando alzò lo sguardo sul paesaggio invernale
che si intravedeva dalla finestra, si sentì improvvisamente leggero: con
Richard le parole erano spesso violente come colpi di machete, ma poi
arrivavano i gesti a tradire il loro vero legame.
Cominciò a prepararsi.
Annodandosi la cravatta davanti allo specchio, riconobbe la luce nel proprio
sguardo. Era a metà di una battaglia, ma aveva appena avuto il primo
presagio di vittoria.
Quando raggiunse l’aula
di diritto penale, si accorse subito che il banco accanto al suo, quello di
solito occupato da Alexander, era vuoto. Eppure il ragazzo era in aula, che
chiacchierava animatamente con altri compagni della fila successiva.
Si sedette con un lieve
sospiro: era sicuramente meglio così, meglio stare lontani e prendere tempo,
anche se qualcosa gli diceva che probabilmente l’altro doveva aver capito
qualcosa.
E questo non doveva
accadere.
Nessuno doveva sapere
niente, nessuno avrebbe mai neanche dovuto sospettare.
Per Richard.
Si sedette e aprì il
libro con calma. Eppure la sua mente era lontana, a rivivere sensazioni
ancora fresche.
Si riscosse quando il
professore fece il proprio ingresso, anche se in apparenza il suo
atteggiamento si era sempre mantenuto pieno di distaccato disinteresse.
Voltandosi appena, si
accorse che il posto accanto al suo era stato occupato…
Brian Eastley?
Sollevò un sopracciglio,
ma non degnò il nuovo vicino di alcuna attenzione. Ricordava troppo bene
cosa quello stupido aveva avuto il coraggio di dirgli.
Fu difficile rimanere
concentrato, ma fortunatamente anche quella tortura arrivò alla conclusione.
Mentre raccoglieva i
libri per la lezione successiva, si accorse del capannello di persone che si
era raccolto intorno al suo compagno di banco. Non facevano che parlare del
test di Fisica che dovevano avere quella mattina, e sembrava che tutti
facessero a gara per conquistare un posto accanto a quel ragazzo scorbutico
e maleducato in cui aveva avuto il dispiacere di imbattersi.
Corrugando appena la
fronte, si sollevò dal sedile di legno, pronto ad allontanarsi da quella
bagarre da mercato di paese.
“Mi lasci il tuo posto,
vero?” e già il grosso volume di algebra era planato sul suo banco.
Non ebbe il tempo di
rispondere che già Alexander gli aveva voltato le spalle, completamente
immerso nell’ultimo ripasso. E lui non fece un gesto per attirare la sua
attenzione, era ancora presto.
Durante la giornata, i
pensieri si accavallarono.
Non faceva che pensare a
cosa era successo con Richard, a quello che si erano sussurrati durante la
notte, alla dolcezza delle carezze, al calore dei loro corpi vicini.
Rimanevano delle cose da definire, ma si amavano, su questo non c’erano
dubbi.
Ma c’era ancora Alexander,
e in qualche modo sapeva di dovergli una spiegazione sincera.
Lo aspettò fuori
dall’aula di francese, desiderando chiarire le cose il prima possibile.
Quando finalmente la
lezione terminò e si aprì la porta, non pensò neanche a farsi avanti. Rimase
appoggiato alla parete, aspettando che l’altro gli si avvicinasse.
E infatti Alexander gli
andò incontro, anche se non da solo:
“Grazie, Eastley, quell’esercizio
era impossibile…”
Parlava tranquillamente,
come se non fosse successo nulla, come se ‘fra loro’ non fosse successo
nulla.
Mark salutò il vicino di
stanza con un cenno della testa, con la palese intenzione di non volerlo
degnare della propria considerazione.
“Mark Grant… Brian
Eastley. Ma forse vi conoscete già”.
A Mark non sfuggì il
divertimento appena celato dal viso angelico di Stoddard.
“Sì, abbiamo già avuto il
piacere di ‘incontrarci’…” riuscì a dire, forzando un sorriso di
sufficienza.
“Già, ma pare che
rispettare gli accordi per te sia difficile…”.
Se non ci fosse stato
Alexander, sarebbe scoppiato a ridere.
Tutto sommato questo tipo
non era antipatico! Persisteva con le sue regole…
Oddio, la parola regole
lo riportava indietro nel tempo… ma non doveva distrarsi, e poi doveva
evitare che l’altro andasse nel dettaglio, non voleva che se ne uscisse
fuori con i rumori ‘molesti’ di quell’ultima notte, non era così che voleva
chiarire la situazione.
“Come mai sei qui?” gli
si rivolse Alexander.
“Pensavo di invitarti per
il tè” rispose secco, con il chiaro scopo di convincere il terzo incomodo a
togliere il disturbo.
“Ti unisci a noi, Eastley?”
allargò invece l’invito Alexander, voltandosi verso il ragazzo al suo
fianco.
Ma quello scosse la
testa:
“Devo andare in
laboratorio con il professor Allen”.
Nel salutarlo, Alexander
gli aveva teso la mano: erano quasi commoventi, un esempio vivente dei falsi
rituali tipici del loro ambiente.
Lui invece si limitò ad
un altro rapido cenno, e finalmente rimase solo con Stoddard.
Prepararono il tè con il
bollitore della biblioteca, poi si sedettero sui vecchi divani di pelle
screpolata.
“Quando ti ho visto fuori
della mia aula, ho pensato che avessi sbagliato porta!”
Mark sollevò appena lo
sguardo, portandosi alla bocca la tazza di tè. E così, sebbene scherzando,
Alexander era andato subito al punto.
“Non hai niente da dirmi?
Nulla... Ma hai ragione, i patti erano chiari”.
Rimase un istante in
silenzio, assumendo un’espressione assente.
“Sapevamo tutti e due che
non sarebbe durata, non è il caso di fare scene drammatiche…”.
Alexander sorrise, poi
cominciò a parlare del corso di chimica che aveva deciso di inserire nel
piano di studi.
Cercò di essere meno
cinico del solito, e provò ancora più disgusto verso se stesso per questo,
per l’ipocrisia dell’atteggiamento più accomodante che stava sfoggiando solo
per il fatto che l’altro gli aveva spianato la strada, senza metterlo di
fronte alla cosa più odiata da qualsiasi inglese: l’esposizione dei
sentimenti.
“Devo andare, non avrò
sempre Brian Eastley ad aiutarmi durante gli esami… ci si vede!”
Eppure proprio all’ultimo
momento aveva sentito qualcosa incrinarsi in quella voce, ma non aveva avuto
il tempo di esserne sicuro, perché Alexander aveva continuato a sorridere e
se ne era andato.
Mark si appoggiò allo
schienale del divano. Tutto era incredibilmente complicato, o forse era lui
a starsi rammollendo. In ogni caso, pur essendosi tolto un peso, qualcosa di
amaro gli rimaneva come risultato di quella giornata.
Rimase seduto ancora un
po’, poi si avviò lentamente verso la propria stanza.
Aveva appena posato la
mano sulla maniglia, quando si accorse che Brian Eastley lo stava guardando,
appoggiato allo stipite della porta accanto.
Ricambiò lo sguardo,
corrugando la fronte non comprendendo il perché di quell’aria di attesa.
Tentò poi di scoraggiare l’improvviso interesse che il compagno sembrava
provare per lui dandogli rapidamente le spalle.
Ma evidentemente quella
doveva essere la giornata delle sorprese:
“Ti va di parlare?” gli
aveva appena chiesto Brian, avvicinandosi deciso.
Il collegio, parte
settima – The End
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