Per questa terza parte, aumentano le dediche:

per Ria, Calipso ed Angie, alle quali non riesco mai a dare anticipazioni e un baciotto speciale a Nausicaa, per  i suggerimenti e la disponibilità.

 


Il collegio

parte III

di Greta


La mattina successiva alla missione punitiva di John, il banco di Richard rimase vuoto.

L'assenza del ragazzo costituiva il risultato di uno dei tanti meccanismi di autodifesa della scuola: uno Stoddard-West non sarebbe mai potuto comparire davanti a professori e compagni pieno di lividi e ferite senza scatenare un putiferio, cosa temutissima sia dagli studenti, ovviamente, sia dalle istituzioni del collegio, che avrebbero fatto carte false perché esso non venisse coinvolto in uno scandalo. 

E quindi, la soluzione più semplice aveva visto il responsabile del dormitorio comunicare al professor Green, il referente per gli studenti dell’ultimo anno, che Stoddard aveva avuto un leggero malore notturno, forse un principio di influenza, e che quindi avrebbe saltato le lezioni di quella giornata per poter riposare.

Ovviamente Richard doveva aver avallato questa versione, altrimenti, sebbene sempre in forma privata, il preside avrebbe comunque convocato nel proprio studio i tre assalitori per una ‘lezione esemplare’…

Beh, meglio così, stava pensando Mark, anche se in quel momento non gliene sarebbe importato poi più di tanto… quelle prediche del preside non potevano portare conseguenze, se si trascurava l’effetto catartico sulla coscienza di quel babbeo che si beava di gestire l’intera baracca.

In ogni caso, la situazione andava a proprio vantaggio, infatti appena terminata la mattinata sarebbe salito nella stanza del compagno… doveva cominciare una nuova strategia di accerchiamento: ora che aveva capito che cosa lo legava a Richard, doveva studiare una manovra di attacco e riuscire a raggiungere l’obiettivo il prima possibile.

Mentre gli altri si recavano al refettorio per il pranzo, si precipitò nel dormitorio.

Bussò solo per mantenere un minimo di rispetto delle apparenze, ma in realtà era pronto a sfondare la porta, se non l’avesse trovata aperta o se l’altro avesse cercato di impedirgli di entrare.

Nessuna risposta.

Girò la maniglia, e scoprì che fortunatamente la porta non era chiusa a chiave, del resto il regolamento vietava di chiudersi nelle stanze.

Improvvisamente la determinazione che lo aveva portato a salire con tanta decisione, sembrò averlo abbandonato...

Richard stava dormendo. I capelli biondi gli coprivano, scomposti, gli occhi, mentre il viso era segnato dai lividi lasciati dai pugni che gli aveva dato John… 

Vedendolo così indifeso, qualcosa gli si strinse nel petto…

Sembrava un bambino, ma un bambino fragile e infelice: il sonno non era tranquillo, aveva la fronte aggrottata, come se neanche gli istanti di riposo potessero fargli dimenticare quel qualcosa che sembrava tormentarlo e di cui nessuno sapeva niente.

Mark si chiude la porta dietro le spalle e si avvicinò al letto. Ovviamente sapeva di essere responsabile di parte di quello che vedeva -sicuramente della sofferenza fisica- però continuava a torturarlo il desiderio di sapere che cosa si nascondesse dietro quell’altra sofferenza, quella che aveva riconosciuto in quel ragazzo da quando lo aveva visto fare il proprio ingresso alla StGeorge.

Perso in questi pensieri, non si accorse che l’altro aveva cominciato ad agitarsi, e improvvisamente si ritrovò quegli occhi chiari fissi nei propri.

Osservò senza parlare Richard che cercava di tirarsi su, puntellandosi sui gomiti:

“Che ci fai qui? Sei venuto in avanscoperta e aspetti quegli altri due vigliacchi per finire il lavoro di ieri?” sibilò il piccolo lord, tentando un sorriso ironico mentre pronunciava le ultime parole.

Mark esitò per una frazione di secondo, ma poi replicò con decisione:

“Ti ho già detto ieri sera che mi dispiace…” odiava doversi scusare, ma doveva riuscire a convincerlo. Non poteva permettere che quello non capisse che voleva essergli amico, che lui non era solo lo stronzo che aveva dimostrato di essere sino a quel momento.

“Vattene”

Di nuovo dovette controllare la propria rabbia, ci riuscì con uno sforzo enorme:

“Scordatelo! Ho detto che mi dispiace per quello che è successo, e adesso devo cercare di riparare…”

“Ti ho detto di lasciarmi solo!” stavolta quella voce era poco più di un sussurro.

Una porta sbattuta in faccia, ecco l’effetto di quelle parole… non resistette e, come sempre, trovandosi in difficoltà passò all’attacco:

“Vuoi rimanere solo?” rise sgradevolmente “Cosa c’è che non va, eh Richard? Cos’è che non ti fa dormire tranquillo, che ti fa sembrare la tua vita un inferno?” odiava che l’altro lo escludesse in quel modo, doveva colpirlo… o forse solo scuoterlo…

“Devi dirmelo!” esclamò avvicinandoglisi pericolosamente.

Stava sbagliando di nuovo le parole, lo sapeva. Ma era come dover imparare una nuova lingua e per ignoranza ricadere nella sola conosciuta.

“Io non ti devo niente!” le parole erano state scandite lentamente “…e voglio che tu mi lasci in pace… Vattene!”.

“No”

Rimasero a fissarsi in silenzio: forse per la stanchezza, oppure per tutto quello che era successo il giorno precedente, ma era la prima volta che Richard non sembrava formale o apatico.

“Scusami…” Mark era sconvolto di se stesso, di nuovo si stava scusando “…io non voglio farti arrabbiare. Non capisco cosa hai contro di me…”

Ma la reazione dell’altro gli giunse inaspettata: quello stronzetto si stava mettendo a ridere… una risata vera, stavolta..

“Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Chiedi a me cosa ho contro di te! Io non ‘avevo’ niente contro di te, non sono io che ti ho preso a pugni per una stupida doccia e delle stupide regole, non sono io che ti ho fatto picchiare da due persone ancora più vigliacche di quella che venerano come capo…”

No, non aveva fatto riferimento a quello che era successo in biblioteca. Evidentemente voleva far finta che quell’episodio non fosse proprio esistito…

Richard si interruppe, poi riprese più calmo:

“E tu cos’hai contro di me, Grant?”

La domanda, che pure doveva aspettarsi, lo colse alla sprovvista. Come dirgli che da quando lo aveva visto aveva capito di non poter vivere senza di lui? Come dirgli che l’impulso che lo aveva colto quando lo aveva baciato non era stato qualcosa di improvviso e irrazionale, come aveva cercato di credere e fargli credere?

“Io… beh, è come se…” era difficile, e stavolta non poteva sbagliare “…è come se sfuggissi al mio controllo…” si lasciò scappare.

Aveva detto troppo? Si era sbilanciato? Ma ormai si sentiva sicuro, non aveva più paura delle parole, e infatti riprese con più sicurezza:

“Penso che sia stato tutto sbagliato, tra noi… sin dall’inizio”

Lo sguardo di Richard era indecifrabile: sembrava voler capire, cogliere il vero significato di quelle parole, e nello stesso tempo appariva distaccato, gelido.

“Cosa stai dicendo…”

Mark sostenne quello sguardo con fermezza:

“Voglio esserti… amico, l’ho desiderato fin dall’inizio”.

L’altro scosse la testa:

“Non credo di aver bisogno di un amico” stavolta il tono era meno duro, sembrava di nuovo pensare ad altro, a qualcosa che lo assorbiva completamente.

Mark si sedette sul letto accanto a lui:

“Fingi, allora!”

Era di nuovo riuscito a catturare la sua attenzione: l’espressione assente di Stoddard era prima diventata incuriosita, poi si era tramutata in una specie di sorriso:

“Non demordi… se tu mi conoscessi meglio scopriresti che non è tutta questa esaltazione essermi amico…”

Anche Mark sorrise:

“Vedremo… comunque, ora che hai capito che devi darmi retta, dobbiamo decidere delle nuove regole…” disse con tono serio, lasciando poi che la propria espressione di trasformasse in un sorriso.

Richard lo guardò dapprima stupito, ma poi sorrise anche lui scuotendo la testa, quando comprese che l’altro lo stava prendendo in giro.

 

Era al settimo cielo, certo, non aveva ancora niente in mano, però era riuscito, forse, a scalfire la corazza che teneva Richard separato da tutto quello che lo circondava.

Mentre scendeva le scale per raggiungere l’aula per le lezioni pomeridiane, non faceva che ripetersi quello che si erano detti, non faceva che pensare a quanto si fosse dovuto frenare per non… non…

Insomma, per non fare accadere di nuovo quello che era successo in biblioteca.

Stavolta doveva andare piano, aveva sbagliato tutto sin dal primo momento: aveva cercato di annientare con la forza quello strano sentimento che all’inizio si rifiutava di accettare, poi aveva cercato, sempre sbagliando il modo, di prendersi quello che desiderava continuando a usare la violenza… del resto non era quello che aveva sempre fatto? E invece adesso doveva scoprire un altro tipo di rapporto.

Voleva conoscere Richard, e voleva che questi lo conoscesse come nessun altro, prima di poter… poter andare ‘oltre’…

In realtà sapeva che doveva essere cauto, non voleva spaventarlo, e se avesse capito che, nonostante l’amicizia, non sarebbe stato possibile ottenere di più, si sarebbe dovuto accontentare e avrebbe dovuto evitare di forzarlo. 

Sì, Richard lo legava così tanto che si sarebbe accontentato anche solo dell’amicizia…

Terminate le lezioni dovette andare subito in palestra per gli allenamenti di scherma. Si cambiò rapidamente e raggiunse il maestro in pedana. Giunto alla fine della lezione, in cui stavolta non sbagliò un colpo, lasciando tutti i compagni a guardarlo ammirati, si rese conto che tra il pubblico, appoggiato al muro con le braccia incrociate sul petto, c’era anche Stoddard.

Ancora ansante per lo sforzo, si diresse deciso verso il ragazzo che in quel momento sarebbe dovuto essere a riposarsi nel proprio letto:

“Che diavolo ci fai, qui, Stoddie?! Non puoi combattere!” sibilò arrabbiato e preoccupato insieme.

“Ho intenzione di allenarmi, come sempre” rispose l’altro tranquillamente.

“No! Torna immediatamente nella tua stanza!”

Richard scosse la testa:

“Mark… sono perfettamente in grado di badare a me stesso…” 

“NON MI SEMBRA PER NIENTE!”

Dovette reprimere la voglia di continuare ad urlare a quell’idiota ostinato e anche quella, molto più impellente, di dargli un pugno, visto che tutti si erano voltati a guardarli, quindi gli voltò le spalle ancora furente…

Cominciarono gli assalti di allenamento. 

Vide John avvicinarsi per sfidare Richard… e, sebbene gli tremassero le mani per la voglia di intromettersi e separarli, capì di non poterlo fare. Già si era mostrato troppo protettivo nei confronti del piccolo principe, e invece doveva ricordarsi di avere ancora una immagine da tutelare, e poi non poteva di nuovo fermare John… la cosa sarebbe sembrata strana: in apparenza non era altro che un assalto di scherma.

Terminato il confronto che lo opponeva ad uno che aveva infilzato come un pollo per quindici volte consecutive, si portò vicino alla pedana su cui si stavano preparando Richard e John.

Mentre prendevano posizione, non poté non pensare ai lividi, ora celati dalla maschera, e al dolore che l’altro ragazzo doveva provare per ogni movimento.

Fecero il saluto, poi William diede il via allo scontro:

“En garde!”

“Allez!”

Richard si muoveva lentamente, sembrava studiare l’avversario, ma lui aveva la non troppo vaga impressione che invece faticasse a muoversi, e che volesse trovare il modo per minimizzare lo sforzo traendone il massimo beneficio sul punteggio.

John era prevedibile, ma in quelle condizioni anche efficace: finta, cavazione e affondo… e poi aveva la simpatica abitudine di mettere la botta comunque, anche quando l’azione era ferma perché era stato già colpito dall’avversario.

Ancora una volta, dopo che Richard lo aveva già colpito alla mano, John piazzò uno di questi colpi inutili, caricando sull’altro con tutto il proprio peso. Mark vide Richard allontanarsi incerto sulle gambe, per poi portarsi verso l’estremità della pedana tenendosi un mano sullo stomaco. Lo vide lasciar cadere la spada e togliersi la maschera, senza aspettare l’autorizzazione dell’arbitro: il viso era pallidissimo, sembrava che stesse per svenire…

Anche John si era sfilato la maschera, e adesso sorrideva soddisfatto vedendo la sofferenza del piccolo stronzetto presuntuoso. Era stato il suo obiettivo sin dall’inizio: colpirlo in ogni modo solo per fargli male. Non gliene importava niente del loro assalto, voleva costringere il signorino-perfezione a strisciare, e ci stava riuscendo!

John non tardò a capire, però, che stavolta aveva passato il segno, e che non l’avrebbe passata liscia.

Si ritrovò il ‘capo’ vicino, e quello sguardo gelido e cattivo che aveva imparato a temere trapassarlo da parte a parte:

“Mi sembrava di essere stato chiaro… Stoddard non dovevi toccarlo…” sibilò Mark.

John cercò di non mostrare il proprio spavento.

“Non ho fatto niente… evidentemente è troppo fragile. In un assalto queste cose succedono…” tentò di giustificarsi con finta noncuranza.

Mark non gli permise di distogliere lo sguardo, poi gli mormorò, con quella calma che aveva il potere di terrorizzare:

“Adesso vieni con me negli spogliatoi”. 

Non c’era niente da dire, doveva seguirlo. 

Anche William si accodò, mentre gli altri compagni, presi dalle condizioni di Stoddard, sembravano non far caso alle manovre dei tre ragazzi.

Mark chiuse la porta dello spogliatoio e si rivolse alla palla di lardo:

“Vedi di non fare entrare nessuno, mentre noi ‘parliamo’…” lo sguardo era sempre più gelido.

“Ehi capo… ma… alla fine non ha fatto niente di grave…” provò a rispondere William con voce tremante.

“Vuoi ricevere anche tu la tua dose?” chiese Mark con un tono falsamente ironico.

Sebbene gli altri due avrebbero potuto coalizzarsi e picchiarlo, come avevano fatto con tanti ragazzi che avevano deciso di raddrizzare, quel pomeriggio ognuno di loro sapeva che niente avrebbe potuto fermare l’ira di Mark, che quella era una delle volte rare, ma significative, in cui lasciava capire su cosa vertesse la propria autorità.

Mark era un leader, era abile ad usare l’arma dell’ironia, a trafiggere con le parole più profondamente che con la spada, ma sapeva anche usare i pugni, quando lo riteneva necessario, e non era mai una esperienza piacevole per chi gli si trovava di fronte.

William lo sapeva, e per questo si ritirò in buon ordine, appoggiandosi con tutto il peso contro la porta.

Il ‘capo’ cominciò a girare intorno a John…

“Ti avevo detto che a lui avrei pensato io, di lasciarlo stare…”

La voce di John tradiva vistosamente la paura mentre provava a replicare:

“Ma cosa importa? E’ solo quella pappamolla di Stoddard…”

Mark continuò a muoversi lentamente:

“Non è solo questo il punto, John. I patti erano chiari, e tu invece hai voluto fare di testa tua…- si fermò in atteggiamento pensoso - …cosa fai ai ragazzi che disubbidiscono alle tue regole, John? Dimmi…”

“Io… io li riprendo…” mormorò l’altro.

“In cosa consiste riprenderli? Non significa forse cercare di far capire loro che hanno sbagliato, e fare in modo che non se lo scordino?” quella voce continuava ad essere pericolosamente calma.

“Beh… qualcosa del genere…” sussurrò John in risposta.

“Quindi, poiché anche tu hai disubbidito alle mie regole, io devo farti capire che hai sbagliato, no?”

Il compagno abbassò la testa, non c’era altro da aggiungere, doveva accettare con coraggio la punizione, senza mostrarsi vigliacco, forse così l’altro sarebbe stato meno duro…

Fu raggiunto da un pugno nello stomaco, si piegò in avanti per il dolore ma fu ributtato indietro da un altro diretto che lo colpì sotto il mento. Cadendo sbatté la nuca contro lo spigolo di una delle docce, ferendosi.

“Per questa volta finisce qui, John, in nome della fedeltà che mi hai sempre dimostrato… fa’ che non debba pentirmi della mia clemenza.”

Proprio in quel momento si udirono i colpi degli altri contro la porta. Ad un suo cenno del capo, William si spostò, in modo da liberare il passaggio.

Due ragazzi sostenevano Richard, che cercava però di tenersi in piedi da solo, mentre gli altri li seguivano facendo ala, curiosi di capire cosa fosse successo a quello che ormai era diventato il riferimento della squadra di scherma. 

Nel momento in cui i ragazzi poterono entrare nello spogliatoio, a tutti fu chiaro che lì dentro si era svolta un’altra resa dei conti, e improvvisamente scese il gelo.

Mentre Mark si dirigeva deciso verso la porta, lanciò un’occhiata a Richard e gli sorrise: lo aveva vendicato, forse la prima azione in vita sua che aveva compiuto per amore, e adesso si sentiva così leggero che avrebbe potuto galleggiare nell’aria…

Non si soffermò ad aspettare una reazione nel viso dell’altro, appena Richard fosse rientrato nella propria stanza, lo sarebbe andato a trovare…

 

Allontanò i libri e chiuse gli occhi: ogni tanto studiare con la luce bassa delle lampadine economiche della scuola gli faceva male agli occhi. 

Si stese sul letto… dopo la tensione di quel pomeriggio, adesso si sentiva un po’ stanco. O forse doveva ancora abituarsi a quelle sensazioni così nuove e sconvolgenti.

Adesso, però, doveva andare a vedere come stava Richard… chissà, avrebbero potuto parlare un po’, del resto quel ragazzo era troppo solo, e, nonostante il tono sempre cortese e quel sorriso gentile, era evidente che il suo stato d’animo fosse tutt’altro che tranquillo.

Bussò piano, sentì l’altro chiedere chi fosse, e rispose nel solito modo, con quel cognome che non era abituato ad utilizzare come forma di presentazione.

Entrò. 

Richard lo guardava dal letto, era seduto con la schiena appoggiata sui cuscini, le coperte a coprirlo fino alla vita.

“Come stai?” gli chiese Mark, cercando di utilizzare un tono di voce normale.

“Abbastanza bene” la voce di Richard era invece più difficile da interpretare, non c’era comunque quel calore che l’altro pensava di trovarci.

“Ti fa ancora male? Mi dispiace che John sia stato così stronzo, gli avevo detto di lasciarti stare…” continuò lui lentamente.

L’altro rimase in silenzio, gli occhi abbassati a guardare quelle mani dalle dita lunghe e sottili.

“Che succede Richard?” stavolta Mark era preoccupato.

“Non voglio che tu faccia mai più quello che hai fatto oggi pomeriggio…” mormorò il ragazzo biondo, fissando uno sguardo serio nei suoi occhi.

“Cosa vuoi dire? Non avrei dovuto punirlo, forse? Guarda, stronzetto, che l’ho fatto anche per te…” ma certo che la gente era proprio strana! Aveva cercato di aiutarlo e quello reagiva con tutto questo sussiego! 

Richard scosse la testa, senza distogliere lo sguardo:

“Pensi davvero che dovrei ringraziarti?! Ma cosa ti passa per la testa?”

“Ehi! Si può sapere che ti prende?! La prossima volta mi guarderò bene dall’intervenire!” ma vaffanculo!

“Ecco, è esattamente quello che voglio. Non intervenire!” replicò l’altro con fermezza.

Mark gli voltò le spalle, portandosi di fronte alla finestra. Improvvisamente risentì quel gelo che la presenza di Richard sembrava aver cancellato. Si sentiva di nuovo solo, emarginato ed allontanato proprio quando aveva ingoiato il proprio orgoglio, cercando di stabilire un contatto.

“Smettila di fare così, Mark! Possibile che tu non capisca?! Mi hai detto che vuoi essere mio amico, sbaglio?”

Lui continuò a non rispondere.

“Beh, se è vero, abbi un po’ di rispetto per me. Sono perfettamente in grado di difendermi da solo, non voglio che tu faccia il giustiziere per me.. e fra l’altro…”

Mark si voltò verso di lui:

“Fra l’altro?” ripeté.

“Niente” e Richard abbassò lo sguardo.

Mark sorrise con un lampo di tristezza:

“Vuoi dire che tutto questo lo si deve solo a me, vero?”

Per qualche minuto aleggiò nell’aria un silenzio pesante, denso. 

Fu Richard a romperlo:

“Mi dispiace. Capisco che tu l’abbia fatto pensando di aiutarmi…”

L’altro scosse la testa. Non voleva più parlare di quello che era successo.

“Lascia stare. Forse ho fatto male a venire qui” e con decisione lasciò la stanza, chiudendosi piano la porta dietro le spalle.

 

Rispetto… no, non gli sembrava di non averne avuto. E comunque John aveva disubbidito ad un ordine preciso, e questo richiedeva una pronta punizione.

Si girò ancora una volta nel letto… ricordava la prima sera di quell’anno scolastico, il giorno del ritorno in collegio… era buffo, non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi in quella situazione! Allora gli sembrava di essere inattaccabile, la sua forza e il suo rancore si alimentavano a vicenda, e invece ora era tutto preso dai sentimenti. Già, da quel sentimento che, più conosceva Stoddard, più gli sembrava impossibile veder ricambiato.

Ormai quando lo vedeva non faceva che sentire uno strano dolore alla bocca dello stomaco, e poi una debolezza nelle gambe… sì, tutte quelle reazioni che aveva sempre creduto inventate quando gli capitava di ascoltare qualche spezzone dei drammi sentimentali di qualche compagno.

E poi quella ragazza, quella P che aveva letto nella dedica del libro di Tennyson… c’erano molti ostacoli, troppi. Forse doveva lasciar perdere, anche se averlo sempre sotto gli occhi non lo aiutava. Forse poteva cambiare collegio… il St George aveva una tradizione secolare, ma ce ne erano altri altrettanto considerati… Significava arrendersi? Significava che per la prima volta non avrebbe combattuto per ottenere quello che desiderava? Era una ammissione di debolezza? Forse, ma l’unica che poteva accettare, l’unica che sarebbe mai stato disposto a non considerare come una sconfitta…

Stava male, quando lo vedeva stava davvero male, e a volte, in quei giorni, quando lo aveva visto sdraiato nel letto, i suoi sentimenti si erano manifestati con una intensità che aveva molto poco di platonico.

Il fine settimana successivo avrebbe portato con sé il ponte di Ognissanti, la prima vacanza di quell’anno scolastico: conoscendo la madre, avrebbe fatto di tutto per averlo accanto a sé durante quei pochi giorni, anche solo per il gusto di poter sfoggiare quel figlio che si accordava così bene con l’immagine della famiglia: le parcelle del padre, i vestiti francesi della madre, i camerieri e la villa… un bel quadro di felicità altoborghese.

Pensò ai genitori: le fortune paterne li avevano proiettati nell’olimpo dell’upper class, ma avevano avuto l’accortezza di rimanere coscienti delle proprie origini, e a queste dovevano molte caratteristiche che per molto tempo lui aveva rifiutato di accettare. 

Per lui, figlio di borghesi ma vissuto insieme ai più stupidi rampolli dell’aristocrazia, il fatto che i genitori si ritenessero una famiglia nel senso più ‘sentimentale’ della parola, aveva sempre rappresentato un problema. 

Sì, aveva sempre vissuto con imbarazzo l’affetto plateale della madre, invidiando i compagni, figli di quelle dame ingioiellate che neanche si ricordavano di averli fatti nascere, e che, anzi, li vedevano solo come una prova vivente della propria età…  ragazzi che, sebbene relegati in qualche costoso bivacco, potevano considerarsi liberi, maturi e indipendenti, perché il distaccato e freddo compiacimento dei genitori li sosteneva nel ritenersi adulti.

Ma adesso riusciva ad apprezzare il sentimento dei genitori, per la prima volta era contento pensando di rivederli, per la prima volta rimpiangeva gli abbracci profumati della madre… Sì, avrebbe voluto fare come quando era bambino: affondare il viso nella spalla della mamma e raccontarle tutto quello che lo preoccupava…

Ma sapeva che non lo avrebbe fatto. 

In primo luogo non avrebbe mai potuto raccontare quello che gli stava succedendo, non era certamente una cosa accettabile! In secondo luogo, per quanto la madre gli volesse bene, sarebbe stata capace di mandarlo da medici e psichiatri, in terzo luogo… aveva imparato a cavarsela da solo, e ce l’avrebbe fatta anche stavolta. 

L’unica cosa che poteva chiedere, e che sapeva che avrebbe ottenuto dai genitori, era il trasferimento in un altro collegio. Sapeva di riuscire a giocare con le parole, del resto non era il figlio di un avvocato di grido? Sarebbe riuscito a presentare questo cambiamento come un successo, nascondendo il suo essere solo una fuga…

Quella era la conclusione a cui era giunto Mark Grant quella sera, dopo aver scoperto che la conseguenza della prima azione che aveva commesso per il bene altrui e non per il proprio era stata una accusa di mancanza di rispetto.

Aveva bisogno di potersi appoggiare a qualcosa, dopo quella che aveva considerato una umiliazione, e l’idea di poter mettere la parola fine a quella convivenza costituiva la rassicurazione che cercava.

Quella sera si addormentò più tranquillo, cullato dal pensiero che non sarebbe rimasto in balìa della debolezza ancora a lungo.

Il giorno seguente, in classe, il professore di storia riportò le relazioni che avevano fatto la settimana precedente… già, proprio la relazione fatta in biblioteca.

Mark, abituato a non avere rivali, scoprì che Richard aveva preso il suo stesso voto… 

Interpretazioni diverse, ma entrambe profonde... già, così aveva detto l’insegnante.

Si voltò verso il compagno, cercando di guardarlo senza farsi scorgere, ma appena si girò ne incontrò gli occhi… e poi vide su quel volto aprirsi un leggero sorriso, un accenno al risultato comune.

Annuì, come a dire che accettava il pareggio, ma subito riportò lo sguardo fisso di fronte a sé. 

L’espressione di Stoddard era stata amichevole, indubbiamente la più amichevole che avesse ricevuto da lui, eppure non ne era contento… avrebbe preferito la classica indifferenza. 

Il professore ricominciò a spiegare e lui si lasciò ancora una volta trascinare dalla passione per quella materia che gli sarebbe stata così poco utile, in futuro.

A metà dell’ora, si permise però una nuova occhiata al ragazzo biondo.

Di nuovo quello sguardo assente che gli aveva visto in biblioteca, di nuovo quella sofferenza che traspariva dall’espressione seria… perché? Perché non riusciva a restarne indifferente?

Si alzarono per passare nell’aula di latino. I movimenti di Lord Perfezione sembravano ancora un po’ cauti, ma forse sarebbe bastato un giorno…

Sì, sapeva di stare facendo una cosa infantile, ma ormai aveva deciso. Gli si avvicinò nel corridoio, rimanendo all’inizio in silenzio.

L’altro si voltò verso di lui, quella solita espressione cortese ma distaccata. Niente sorrisi, niente insulti. Già, era stato reinserito nella categoria delle comparse, una delle tante comparse che dovevano costituire la platea schierata ad ammirare le gesta del rampollo degli Stoddard.

“Voglio confrontarmi con te” gli mormorò, turbando quel silenzio che si era instaurato tra loro.

Richard si voltò leggermente stupito.

“Scusa?” domandò con il solito tono distaccato.

“Con la spada… ma solo se pensi di esserti ripreso”

Il ragazzo biondo sorrise:

“Quando vuoi…”

Non replicò subito, ma poi disse:

“Non oggi, sarebbe un gioco da bambini batterti. Domani sera, se sei d’accordo…”

L’altro annuì.

“Però ci sarà una scommessa, se la cosa non ti mette paura…”

Richard sorrise con sicurezza:

“Sono sempre più curioso… quale sarebbe la posta?”

“Una domanda, solo questo” Mark aveva pensato a lungo a questa cosa, e riteneva di aver avuto l’idea giusta.

“Cosa significa?”

Stavolta il tono del biondino era meno sicuro. Certo! Le parole, il mettersi a nudo, non era quello che stavano evitando entrambi?

“Tipo gioco della verità. Potrò farti una domanda e tu dovrai rispondermi sinceramente, e tu potrai farne una a me, se perderò” spiegò tranquillamente.

Richard rimase pensieroso…

“E’ una strana scommessa… e se io non avessi domande?” chiese.

“Hai un giorno intero per fartele venire” e Mark si allontanò per raggiungere il proprio banco.

 

Lo avrebbe battuto, su questo non c’erano dubbi! E finalmente avrebbe saputo… avrebbe saputo il motivo di quei momenti in cui sembrava estraniato da tutto quello che lo circondava… probabilmente aveva a che fare con quella ragazza, ma voleva sapere lo stesso, sarebbe stato il colpo finale… tanto non avrebbe cambiato molto la situazione, la decisione di lasciare il collegio era stata già presa…

E comunque era un’idea geniale anche sotto un altro punto di vista: costringeva Richard a pensare a lui, a chiedersi cosa potesse domandargli…

Quel giorno sembrò più lungo di un anno, ma come sempre passò.

Il pomeriggio arrivò in palestra in anticipo. In realtà non era questa la sua intenzione, non voleva far credere all’altro che non aspettasse altro, ma gli ultimi minuti erano sembrati eterni, e quindi gli sembrò di accelerare le cose portandosi in palestra.

Anche Richard era lì.

Lo incontrò negli spogliatoi, dove cercava di terminare di chiudere la divisa bianca.

Si salutarono più freddamente del solito, sembravano tutti e due tesi.

Appena ebbero finito di cambiarsi si trasferirono in palestra.

Quel giorno non c’era nessuno, infatti non c’erano lezioni con il maestro.

Appena terminato di inserire i collegamenti elettrici, si portarono al centro della pedana.

Provarono le spade per vedere che le luci, verde e rossa, si accendessero correttamente, poi fu Mark a parlare:

“A quindici. Puoi tenere tu i punti, ma comunque controllerò anch’io” stabilì.

L’altro annuì. Aveva uno sguardo determinato, era come se il fuoco che teneva sopito per la maggior parte del tempo si risvegliasse sulla pedana.

Fecero il saluto e infilarono le maschere.

“En garde!”

“Allons!”

 

Quattordici pari, e crampi alle gambe per la fatica, oltre al sudore che gli scendeva dalla fronte sugli occhi, e la spada che sembrava pesare delle tonnellate…

Molti colpi doppi, e punti messi a segno solo quando la concentrazione era massima e la strategia di attacco particolarmente sorprendente.

Ed ora l’ultima stoccata…

Si riportarono al centro della pedana.

Stoddard era bravissimo ed agilissimo, considerando che era visibilmente sofferente per i colpi ricevuti negli ultimi giorni. Quando si fermavano dopo aver messo a segno un punto, Mark notava il respiro affannoso del compagno, la mano portata, automaticamente ed inconsapevolmente, a toccarsi il punto in cui John lo aveva colpito duramente due giorni prima.

Forse non era del tutto leale confrontarsi con un avversario in questo stato, ma ormai erano troppo presi dalla gara: due abilità diverse messe a confronto, due modi di combattere che si sfidavano… in quei momenti l’idea della scommessa non toccava neanche lontanamente i loro pensieri… erano troppo presi dallo stabilire il proprio predominio sul campo.

Tentò un colpo a sorpresa sulla mano, ma Richard parò facilmente di terza… era stato un tentativo stupido, l’altro era troppo chiuso… e poi i colpi ‘di fino’ non erano mai stati la sua specialità. Già, ma tanto voleva terminare con un colpo spettacolare al petto, una di quelle stoccate che fanno infuriare chi le riceve…

Finta, parata di risposta, filo di terza e affondo… il ferro si piegò sul corpetto bianco di Richard… colpito!

Contemporaneamente, però, Mark sentì la punta della spada dell’avversario toccargli la spalla

Non poteva crederci…  forse quello era riuscito a salvarsi con un altro doppio!

Si girò a guardare il display….

No, non doppio.

Luce verde.

Vide Richard sfilarsi la maschera ed avvicinarsi… era completamente madido, i capelli biondi appiccicati alla fronte… 

Anche lui si tolse la maschera, portandosi al centro della pedana per il saluto di rito.

Gli sembrava di vivere un sogno guardando quel ragazzo bello e sensuale tendergli la mano, con la bocca socchiusa per facilitare la respirazione e il torace che si alzava e abbassava per lo sforzo di quel confronto in cui entrambi avevano dovuto dare l’anima.

Allungò il braccio e ricambiò la stretta.

Luce verde.

Aveva perso.

 

Non poteva crederci. Si diresse verso gli spogliatoi ancora sotto shock. Aveva perso, si era scoperto ed aveva perso…

Gli sembrava di non riuscire a parlare, tanto la bocca era arida…

Si sporse sul lavandino e bevve avidamente. Poi si tolse il guanto e lo lanciò lontano, lasciandosi scivolare lungo la parete fino a sedersi sul pavimento.

Aveva perso. 

Chiuse gli occhi: per la prima volta, era stato sconfitto dopo aver dato tutto su quella maledetta pedana. Si abbracciò le ginocchia e ci poggiò la fronte.

Si sentiva completamente svuotato. 

Mark in quel momento non stava pensando alla scommessa, soffriva per essere stato sbattuto contro un proprio limite, per quanto superabile… era questo ad averlo scioccato. 

Preso da questo sentimento di sconfitta, non si accorse che Richard lo aveva raggiunto.

 

Richard non lo aveva seguito immediatamente; mentre si stringevano la mano aveva riconosciuto quell’espressione negli occhi dilatati, e aveva capito di non dover infierire sull’avversario, di doverlo lasciare solo ad accettare la sconfitta… ma quel silenzio nello spogliatoio lo aveva preoccupato.

Era parecchio tempo che non si preoccupava per un’altra persona, e aveva sempre pensato che non sarebbe più successo, anzi… aveva ‘deciso’ che non sarebbe più successo. 

La felicità e poi il senso di colpa e il dolore che aveva provato l’unica volta che aveva permesso che qualcuno gli si avvicinasse, erano state emozioni così forti, così distruttive, che aveva deciso di erigere un muro invalicabile tra sé e il resto del mondo, solo così sarebbe sopravvissuto a quello che aveva vissuto, solo così avrebbe potuto non pensare a cosa aveva provocato con il suo comportamento. 

La gente non sapeva, per questo lo guardava con venerazione, non sapeva che lui, Richard Stoddard-West, non era altro che… sì, non era altro che un assassino, l’assassino dell’unica persona che avesse veramente amato in tutta la sua vita.

E nessuno lo avrebbe saputo, nessuno gli sarebbe mai arrivato così vicino da poterlo sapere. 

Mark era stato pericoloso, con quella sua caparbietà aveva voluto in ogni modo stabilire un contatto, e sebbene lui avesse cercato di mantenersi distaccato, la cosa lo aveva impaurito: l’atteggiamento di Mark era diverso da quello delle altre persone che aveva intorno, nelle sue reazioni leggeva la stessa insofferenza per la vita che aveva anche lui, lo stesso odio per la falsità di quei valori che il loro mondo cercava di imporre. E questa analisi, anzi, già il fatto di averla compiuta, lo preoccupava e terrorizzava, pur sapendo di non doverla considerare niente altro che una prova, una prova con la quale doveva mostrare la stabilità del muro che aveva costruito.

Per questo aveva dovuto battere Mark, per questo aveva dato l’anima per batterlo, avrebbe fatto di tutto per evitare la domanda che sapeva l’altro gli avrebbe rivolto in caso di vittoria. Adesso dalla sommità di quel muro poteva guardare il resto del mondo, piccolo e lontano.

Entrò nello spogliatoio.

Mark era a terra, la testa tra le braccia.

Non stava piangendo, non era tipo da farlo, ma era sconvolto… non era abituato ad avere rivali.

Sapeva di non doverlo fare, ma si inginocchiò davanti a lui e gli sfiorò un braccio:

“Sei stato un avversario eccezionale… ho temuto di non farcela, e non è una cosa che mi capiti spesso” sussurrò.

 

Mark sollevò la testa. Lo guardò a lungo. Guardò quei capelli morbidi spettinati, quel viso serio… e improvvisamente sentì il desiderio di abbracciarlo… ma non lo fece, si limitò a stringere quelle dita sottili rimaste appoggiate sul suo braccio.

“La prossima volta ti batto!” mormorò prima di appoggiare la testa alla parete dietro di sé, chiudendo gli occhi cercando di recuperare la propria freddezza.

“Forse…” sentì la voce di Richard come se provenisse da lontano.

Si rimise dritto:

“Hai vinto, hai diritto alla tua domanda” disse deciso.

“Già, la mia domanda…” 

Si guardarono a lungo negli occhi:

“Perché vuoi essermi amico, Mark?” 

Richard aveva pensato a molte domande, e questa non l’aveva mai neanche contemplata… voleva che tutto rimanesse su un piano impersonale, di neutralità, e ovviamente una domanda simile non avrebbe avuto questo effetto. Eppure in quel momento non riuscì a fermarsi, gli sembrò che le parole uscissero indipendentemente da quello che suggeriva il cervello.

Continuarono a guardarsi, quello sguardo che sembrava impedire ad ognuno di loro di fuggire da quella comunione che stavano vivendo… 

Mark sorrise stancamente. No, lui non aveva pensato di dover rispondere ad una domanda, era troppo proiettato su quella che avrebbe posto per pensare alla situazione in cui lo avrebbe messo dover rispondere onestamente a qualcosa che lo toccasse da vicino.

Lo sguardo di Richard era sempre fisso nel suo, mentre quelle parole rimanevano sospese tra loro, dando corpo ad una domanda che sembrava essere uscita come un soffio improvviso, completamente privo di premeditazione.

Era un periodo in cui Mark aveva scoperto molte cose di se stesso, e adesso poteva scegliere, dire la verità oppure qualcosa che le si avvicinasse, ma che non lo facesse scoprire troppo.

Poteva scegliere… 

Sostenne lo sguardo del compagno, si perse in quello sguardo… e decise.

“Io non voglio essere tuo amico, ho mentito…”

Vide gli occhi di Richard allargarsi, certamente doveva essere stato preso alla sprovvista, ma Mark non si soffermò a pensarci troppo…

“…ho mentito perché non è amicizia il sentimento che provo per te…”

Poteva fermarsi, ma che senso aveva farlo?

“…io ti amo…” concluse dolcemente, gli occhi ancora persi in quelli del compagno.

 

Fine terza parte




Fictions Vai all'Archivio Fan Fictions Vai all'Archivio Original Fictions Original Fictions