Per Ria e Angie, che mi hanno dato la carica per arrivare alla fine di  questo secondo capitolo.

 


Il Collegio

parte II

di Greta



Qualche giorno dopo, si trovò a dover preparare una tesina di storia… ormai il professore stava facendo diventare quei lavori, che l’anno prima erano stati sporadici, un appuntamento fisso.

Andò in biblioteca. Gli piaceva quella sala enorme, zeppa di pesanti mobili di quercia. Forse era l’unico luogo in cui poter ritrovare l’eco delle tradizioni e dei princìpi che il preside non mancava mai di sottolineare come basi fondamentali di quella scuola.

William e John ovviamente si sarebbero limitati a tirare via una paginetta, scritta larga, ma non era questo quello che voleva lui: odiava molto di quello che il StGeorge’s College cercava di trasmettere ai propri studenti, ma nella stesso tempo sapeva quali vantaggi poteva trarne. Lui era una delle poche persone ad avere le idee chiare, lì dentro… voleva arrivare, voleva ‘sfondare’ nella vita, e il StGeorge costituiva una tappa obbligata. Per questo non poteva permettersi voti bassi, e se poi quella situazione gli dava anche modo di approfondire quella che era la sua passione segreta, la storia, beh… tanto di guadagnato!

Entrò nell’ampia sala raggiungendo velocemente il tavolo che era ormai abituato a considerare come proprio, poi cominciò a girare tra gli scaffali.

Sapeva benissimo cosa cercare, eppure non riusciva a trovarlo. Provò nella sezione di storia antica, magari i libri non erano stati rimessi a posto… ma appena voltato l’angolo scorse la figura di Richard Stoddard-West seduta alla scrivania d’angolo, quella più nascosta dell’intera biblioteca. 

Gli si avvicinò. 

Il piccolo lord sembrava molto impegnato a leggere pagine di grossi volumi… esattamente gli stessi volumi che lui aveva cercato invano.

“Anche Stoddie alle prese con la ricerca…” notò a voce alta, sfoderando il solito tono ironico.

L’altro alzò la testa, e lo guardò interrogativo:

“Spero che questo tavolo non sia di tua proprietà come la doccia!” esclamò scuotendo la testa.

“No, ma anche a me servono i libri che hai tu! Domani devo consegnare il lavoro, e voglio farlo bene…” 

Rimasero entrambi in silenzio per qualche minuto, poi lui riprese:

“Potrei prendermeli con la forza” 

L’altro abbozzò un sorriso ironico che a lui non sfuggì…

“Guarda, stronzetto, che posso metterti al tappeto quando voglio!” che credeva, era sempre lui il capo là dentro!

“Ma mi sembra di capire che non li prenderai… quindi? Hai altre proposte?” rispose l’ex lardoso con il solito tono posato.

“Visto che dobbiamo fare la stessa ricerca, potremmo metterci insieme. Ovviamente ognuno lavorerà per proprio conto, ma entrambi avremmo i libri a disposizione” una proposta molto equa… mai con nessuno era stato così condiscendente!

“Per me va bene” e Richard sorrise.

Studiarono parecchio quel pomeriggio. Inizialmente portarono avanti i propri lavori separatamente, ma poi fu inevitabile arrivare ad un confronto. Da qualche commento si passò a una discussione più approfondita: il taglio del lavoro di Richard era più orientato all’importanza delle ‘condizioni sociali’ del popolo nella determinazione delle scelte di una nazione, mentre Mark cercava le cause economiche che portavano alle medesime scelte. 

Ovviamente entrambe le relazioni ne risentirono positivamente, tanto che il sempre duro Mark dovette ammettere, naturalmente solo con se stesso, che quello stronzetto non era davvero male…

“Bene, io adesso devo finire delle cose, torno in camera… Grazie per questo pomeriggio” Richard era tornato formale e compìto come solo un lord inglese sa essere.

Mark si sentì stranamente ferito… era come se l’altro tornasse a rintanarsi nel proprio mondo, conscio delle differenze che li separavano, era come se quello che avevano appena condiviso non fosse stato che un momento di nobile condiscendenza che aveva permesso al piccolo lord di scendere al livello del compagno plebeo… 

Era troppo… era davvero troppo…

Nonostante tutto il proprio orgoglio, e Mark ne aveva davvero tanto, si era sforzato, aveva cercato per la prima volta un rapporto di amicizia, e quello si ritraeva come se rischiasse di essere contagiato dalla sua presenza?

Il pugno gli partì istintivamente, non si rese conto neanche di quello che stava facendo. Vide solo lo sguardo stupito di Richard, mentre il sangue cominciava a colargli da uno spacco nel labbro… ma non si fermò, ne fece partire un altro, e un altro ancora. Picchiava senza tecnica, picchiava per far male, ma l’altro inaspettatamente non reagiva, eppure lui sapeva che era perfettamente in grado di farlo e di ribaltare la situazione…

Non riusciva neanche a distinguere bene l’espressione del ragazzo che aveva di fronte, era come se qualcosa gli offuscasse la vista…

 

Ormai Richard era abbandonato contro il muro… non aveva più quello sguardo stupito che gli si era dipinto negli occhi all’arrivo del primo colpo, ora sembrava triste… quasi addolorato.

Quelle lacrime… quelle lacrime che scorrevano su quel viso furente lo avevano bloccato. Non capiva quale colpa avesse commesso per scatenare una tale furia, ma se aveva compreso come era fatto il compagno, doveva aver fatto qualcosa di veramente grave per provocare una simile reazione…

 

I pugni divennero più leggeri. Gli occhi di Mark bruciavano… non riusciva più a capire cosa gli stesse succedendo… 

Alzò una mano, e invece di continuare a colpire, accarezzò quella pelle escoriata dai pugni che lui stesso aveva dato… 

Vide un lampo di sgomento in quegli occhi azzurri, ma si sentiva totalmente incapace di dominare le proprie azioni: passò l’altra mano dietro il collo di Richard e attirò a sé quel viso, chiudendogli la bocca con la propria…

Non fu che un istante, perché Stoddart lo spinse subito via… facendolo sbattere contro il muro alle sue spalle… 

“Che diavolo fai!” Richard si portò la mano sulle labbra, ancora incredulo, poi gli si avvicinò e lo afferrò per le spalle, scrollandolo “Che diavolo pensi di aver fatto?! Non ci provare mai più, bastardo!”

 

Se ne era andato… se ne era andato con quello sguardo di disgusto ancora negli occhi…

Come diavolo gli era venuto in mente?! Cosa accidenti aveva fatto! Aveva… aveva… oddio, gli faceva ribrezzo il solo pensarci… aveva ‘baciato’ un ragazzo!

Si passò le dita sulle labbra… gli sembrava di sentire ancora la morbidezza di quelle dell’altro… Scosse la testa, poi sferrò un pugno contro il muro: ancora non riusciva a crederci.

E adesso cosa sarebbe successo? 

Doveva essere freddo, doveva analizzare con distacco la situazione…

Punto primo: bisognava contare sulla discrezione di Stoddard… Beh, forse in questo sarebbe stato fortunato, il rampollo non aveva confidenza con molti compagni, e poi, a parte ciò, non gli sembrava il tipo da andare a raccontare un episodio simile… per non parlare del rischio che accusassero pure lui di finocchiaggine… cosa aveva detto?! Quella parola… no, non doveva pensarci, avrebbe avuto tempo dopo per capire cosa lo avesse portato ad una azione così contraria alla propria natura…

Punto secondo: risultava compromessa qualsiasi possibilità di costruire un’amicizia con Richard. Inaspettatamente la cosa gli dispiacque, anche se a questo punto la cosa che doveva augurarsi era di non incontrarlo più…

Punto terzo: cominciò a guardarsi intorno… se qualcuno li avesse visti sarebbe stata la fine… sembrava proprio, però, che non ci fosse nessuno. Almeno questo…

Si appoggiò al muro e chiuse gli occhi… cosa gli stava succedendo? Perché non riusciva più ad essere lo stesso ragazzo di solo alcuni mesi prima? Quell’anno sembrava tutto incredibilmente complicato… 

Vide nel prato di fronte alla biblioteca i ragazzi più piccoli che passeggiavano discutendo, probabilmente di musica, di sport, delle interrogazioni del giorno dopo… Perché lui non era mai riuscito ad avere rapporti normali con i suoi coetanei? Si stupì appena formulato questo pensiero: si era sempre ripetuto che non gli interessavano le altre persone, che quello che doveva fare era sfruttarle se potevano essergli utili, impaurirle se erano codarde, soggiogarle solo per sentire la loro ammirazione… E ora si diceva che non era così?

Non voleva assolutamente continuare a tormentarsi. Non era abituato a piangersi addosso, questo era solo un momento di difficoltà dovuto a quell’inspiegabile episodio… non era certamente il caso di stare a riconsiderare tutte la propria vita…

Raccolse i libri e uscì all’aperto… doveva assolutamente fare qualcosa per distrarsi!

Sì, doveva impegnarsi in una attività fisica…

Decise di esercitarsi un po’ con la spada… sicuramente lo sforzo di un assalto con il maestro sarebbe stato sufficiente per allontanare quei pensieri che gli facevano scoppiare il cervello.

Prima di andare in palestra, tornò in camera per prendere l’attrezzatura.

Gli piaceva misurarsi con la spada: era una cosa che occupava completamente la testa, impedendo di pensare. 

Mentre attraversava il prato coperto di foglie cadute, si rese conto che il vento era già freddo. L’inverno sarebbe arrivato presto, e quelle folate che gli entravano nei vestiti e gli sferzavano il viso erano ciò di cui aveva bisogno: voleva sentire la sfida di elementi esterni per dimenticare quei pensieri che continuavano a tormentarlo.

Raggiunse la pedana centrale. I ragazzi che la occupavano si scansarono immediatamente. Era sua, lo sapevano, come era sua qualsiasi cosa su cui avesse deciso di mettere gli occhi, lì alla St George’s.

Il maestro gli si avvicinò quasi subito, lo aveva continuamente spronato ad allenarsi di più, a non limitarsi alle poche ore delle lezioni mattutine, ma lui non gli aveva mai dato retta. Aveva sempre considerato il proprio talento naturale più che sufficiente per spiccare sulla marmaglia che affollava quel collegio.

Cercò di concentrarsi, di farsi assorbire completamente dalla sfida, ma le immagini, le espressioni di quel pomeriggio continuavano ad affacciarsi davanti ai suoi occhi. 

Finta, cavazione e affondo… si era lasciato infilzare come un pollo… l’istruttore lo aveva colpito sulla spalla, una stupida, facile, prevedibile botta dritta.

Notò l’espressione di stupore sul volto dell’insegnante, in risposta si limitò a scuotere la testa, come a far intendere che non era niente di grave, ma purtroppo la situazione non migliorò.

Terminato l’assalto, si sedette su una panca, inizialmente guardò gli allenamenti degli altri ragazzi, ma poi piegò la testa, lasciando cadere i capelli morbidi davanti agli occhi… 

Che razza di situazione!

Cercò di ripensare a quelle che erano le sue ambizioni, a come aveva sempre programmato il proprio futuro, a come niente fosse cambiato: quello era stato uno stupido episodio, non avrebbe avuto nessuna influenza sulla sua vita… 

Perché lo aveva fatto? Non lo sapeva neanche lui, ma non era stato niente di importante, questo era chiaro.

Si tirò in piedi e andò verso lo spogliatoio. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare la situazione per capire cosa fosse successo… cosa ‘gli’ fosse successo, ma non era ancora il momento.

 

 Quando uscì, decise di allungare il tragitto che lo avrebbe riportato al dormitorio. Non aveva voglia di vedere nessuno, e non aveva voglia di farsi vedere.

Attraversò il grande prato verde e raggiunse il lago su cui d’estate si facevano le gare di canottaggio con gli altri collegi: da laggiù il complesso edilizio del StGeorge era così nascosto da poter essere quasi dimenticato.

Si avvicinò all’acqua. Solo girandosi verso il piccolo pontile, si accorse di non essere stato il solo ad avere avuto quell’idea. 

Tra la fitta vegetazione che circondava lo specchio calmo, scorse la sagoma di un’altra persona… di una persona che avrebbe distinto tra mille… 

Richard sembrava non averlo ancora visto, stava lì, fermo, gli occhi persi sul grande lago che si stendeva di fronte a loro. 

Riuscì a intravederne il viso, sembrava avere la stessa espressione che gli aveva notato qualche giorno prima in biblioteca, quello sguardo disperato di una persona che ha perso tutto…

“Richard…” lo chiamò piano. Sentiva l’impellente necessità di parlargli, di spiegarsi…

Il ragazzo si voltò, sembrò come risvegliarsi da uno stato catatonico. Lo guardò con occhi stupiti, come se non lo riconoscesse. Ma durò poco, quell’espressione di sdegno, di rabbia che gli aveva visto poco prima era di nuovo lì, ad accusarlo.

Non gli rispose nemmeno, gli girò le spalle e si avviò lentamente e inesorabilmente verso la scuola.

Mark non si aspettava una reazione simile. Si era abituato a considerare Richard Stoddard-West un coraggioso, una persona che non scappava… e invece stava reagendo come tutti quegli stronzetti che pensano sia meglio voltare le spalle alle cose che non vogliono vedere…

No, non era così, lo sapeva. Ma non voleva che l’altro se ne andasse senza dargli la possibilità di spiegare, che lo scansasse… non era abituato a sentirsi trattare così, tra le mura di quel collegio!

Si mise a correre per raggiungerlo.

Uno stormo di uccelli si alzò in volo, spaventato dal rumore dei suoi passi. Certamente si erano posati nell’erba in cerca di un riparo dall’imminente acquazzone.

Lo raggiunse e gli si affiancò.

“Richard! Fermati, lasciami spiegare!” quella voce, quasi un sibilo, davvero era la sua? Davvero aveva pronunciato quelle parole? Non poteva crederci… Lui che doveva giustificarsi!

Si accorse che l’altro non rallentava la propria andatura, che aveva riassunto la sua espressione impassibile.. di ghiaccio.

“Non ce ne è alcun bisogno” almeno gli aveva dato una risposta!

“Sì che ce ne è bisogno… non voglio che tu pensi… io volevo la tua amicizia!” oddio, aveva addirittura un tono implorante!

L’altro si lasciò sfuggire una smorfia di incredulità.

“Senti… io non so come abbia potuto… potuto fare… QUELLA COSA!” l’imbarazzo lo costrinse a distogliere gli occhi da quelli limpidi del compagno “…insomma… non voglio che tu creda che io sia un pervertito…”

“Pervertito?” era stato quasi un sussurro, ma vi aveva colto una nota di incredulità.

“Sì, mica penserai che io sia un finocchio! Non so cosa sia successo e non voglio saperlo… cioè… credo di essermi divertito oggi pomeriggio, e poi mi hai fatto arrabbiare… non ci ho visto più, non era più in me!”

“Non provare a dare la colpa a me, IO non ho fatto niente” il tono di Richard era glaciale “E adesso non desidero più starti ad ascoltare…”

Mark lo trattenne poggiandogli una mano sul braccio, ma l’altro si liberò con fastidio. Beh, se lo meritava…

“Solo un momento, me lo devi!” come diavolo osava trattarlo in quel modo proprio quando stava cercando di spiegarsi?

“Io non ti devo niente. Hai fatto tutto tu. Adesso, per favore, lasciami in pace” di nuovo gelido, e infastidito.

“Io…”

“Non ti preoccupare. Nessuno saprà niente… sarai sempre il più temuto della scuola”

“Fai dell’ironia?” stava cominciando a sentirsi umiliato per lo sforzo che stava facendo.

“Non mi importa niente di te. Io voglio solo essere lasciato in pace, voglio che voi tutti vi dimentichiate della mia esistenza... ora ti è più chiaro?”

Se ne è andato. Mi ha voltato le spalle e se ne è andato. Sono rimasto da solo come un deficiente. 

Non capisco più cosa mi stia succedendo. Devo cercare assolutamente di non pensare più a tutta la faccenda. Devo far finta che Richard non esista, come vuole lui, solo così tutto potrà rientrare nella norma. 

Ma.. già… cosa è successo in realtà?

No, non ora. Ci penserò dopo, dopo…

 

“Oggi ci siamo divertiti con quei pivelli del primo anno… devi vedere come erano terrorizzati quando li abbiamo minacciati di fargli bere l’inchiostro! Sono veramente deficienti!” William continuava a soffrire di quello che presto sarebbe diventato un problema, se non fosse riuscito a controllarsi, ovvero il dire le cose sbagliate nel momento sbagliato.

Era evidente anche a lui che il capo negli ultimi giorni era un po’ strano, ma era chiaro, solare, che quel giorno aveva proprio un nervo per capello, e che quindi non era il momento migliore per sottoporgli le nuove strategie del terrore, eppure tutto questo non riusciva a fermarlo.

Ma Mark non rispose nemmeno. Lo squadrò con quegli occhi di ghiaccio e poi riprese a comportarsi come se l’altro non esistesse.

Si sedette ad una scrivania. Erano tutti nella sala di studio. Doveva assolutamente finire quegli stupidi esercizi di matematica, altrimenti il giorno dopo potevano esserci problemi… e invece chinò la testa fra le mani e chiuse gli occhi. Non faceva che pensare a quello che era accaduto il giorno prima. 

Si alzò, allontanando la sedia rumorosamente, poi salì al piano superiore, nella sua stanza.

Aveva bisogno di riflettere.

Quella mattina Stoddard era stato come sempre, nel senso che non lo aveva considerato minimamente, però con gli altri e in classe era stato il solito calmo, tranquillo, compitissimo Richard Stoddard-West.

E poi non lo aveva più visto. La porta della sua stanza era chiusa, e non si sentivano rumori.

Forse era giunto il momento di porsi la fatidica domanda: perché lo aveva baciato?

Chiuse gli occhi: ricordava perfettamente l’ira che lo aveva assalito quando aveva capito che l’altro voleva tornare alla propria solitudine, negandogli la propria amicizia… questo lo aveva ferito. Era raro che lui provasse desiderio di ‘socializzare’ con qualcuno, e, per una volta che ci aveva provato, era stato respinto.

E allora c’erano stati i pugni… e tra i pugni l’espressione stupita del compagno, quel bruciore agli occhi… sì, aveva pianto, ma non per dolore, questo non lo aveva e non lo avrebbe mai fatto, aveva pianto per rabbia. In quel momento lo aveva odiato, e vedere quell’espressione che da stupita diventava distesa, quasi dolce, lo aveva colpito in un suo punto debole, la mancanza di abitudine a vedersi oggetto di comprensione.

Sì, doveva essere stato solo questo, e gli aveva fatto scattare qualcosa, un desiderio di ‘contatto’… contatto che, purtroppo, era stato quello sbagliato! Ma come diavolo gli era venuto in mente…

Aprì gli occhi e li chiuse di nuovo.

Ripensò alla dolcezza di quel bacio, alla morbidezza di quella bocca…

Era inutile negarlo: non è che lui avesse molta esperienza in campo ‘affettivo’, nonostante avesse lasciato intendere, in realtà più con i silenzi che con le parole, di essersi dato da fare parecchio durante l’estate… e quel bacio probabilmente era dovuto all’inesperienza, all’emotività di quel momento. Insomma, non significava nulla. Era stato come baciare la mamma, almeno pensava. Un moto di affetto che lo aveva preso alla sprovvista e che lo aveva fatto agire inadeguatamente, si era confuso.

Ok, ora che aveva capito come erano andate le cose, si sentiva molto meglio. A questo punto non doveva fare più niente, tutto era a posto. L’unica cosa era trattare quello stronzetto con il massimo distacco, magari dargli anche una lezione delle sue. Non doveva più costituire problemi, non doveva più permettersi di sconvolgergli la vita!

Prese il libro di matematica: adesso sì che poteva terminare gli esercizi per il giorno dopo.

 

Il mattino successivo si sentiva molto meglio. Finalmente tutta quella storia era scivolata via, adesso poteva tornare alle cose importanti, a quelle che aveva lasciato indietro durante quelle strane settimane.

Entrando nei bagni, aveva trovato due del primo anno che si stavano picchiando. Appena lo videro, però, i due si separarono, scomparendo immediatamente dalla sua vista: bene, così doveva essere, lui era sempre il capo, e nessuno doveva dimenticarlo.

Si preparò in fretta, poi si recò in classe. 

Cominciarono le lezioni.

Percepiva quasi fisicamente la vicinanza di Richard, ma ormai quello era un capitolo chiuso. Chissà come diavolo gli era venuto in mente di cercare la sua amicizia!

Cercò di seguire le lezioni, e non gli fu difficile. Sapeva di avere una intelligenza fuori del comune, era sveglio e non sottovalutava di certo quello che la St George’s poteva trasmettergli.

Durante l’ora di matematica, l’insegnante cominciò ad interrogare John. Non erano mai molto approfondite le interrogazioni dei suoi due compari, perché, soprattutto di matematica, non capivano un accidente. 

Mentre il signor Reed chiedeva la risoluzione di un problema trigonometrico, la situazione si fece sempre più imbarazzante: John all’inizio aveva tentato di arrampicarsi sugli specchi, poi aveva deciso di trincerarsi dietro un orgoglioso silenzio. 

Il problema era che John, nonostante tutto, era estremamente orgoglioso e permaloso.

La matematica era l’unica materia in cui avesse insufficienze, e questo lo irritava molto, eppure non riusciva proprio a farsela entrare in testa. Lo vide che guardava inferocito gli altri compagni che nascondevano il viso nei libri, per timore di essere chiamati a rispondere. 

Il signor Reed cominciava a spazientirsi, certamente riteneva, e non a torto, quello studente uno dei suoi più grandi fallimenti! Esasperato, chiese la collaborazione di qualche volontario, richiesta che, ovviamente, cadde nel vuoto. Poi passò a chiamare: ma, un po’ per la difficoltà dell’esercizio, un po’ per il timore della vendetta della ‘triade’, come veniva chiamato lo stato maggiore del St George’s, nessuno fornì la soluzione del problema. 

E arrivò il momento in cui Reed chiamò Stoddard, e l’algido snob rispose e risolse anche gli altri problemi che il professore aveva assegnato il giorno precedente.

Mark sorrise perfidamente. Stavolta l’ex lardoso non era stato accorto!

“…dovreste prendere esempio dal vostro compagno… voi non capite quanto la matematica sia importante, anche per chi ha deciso di seguire degli studi classici o economici…” il professore continuava a blaterare, inconsapevole di quello che aveva provocato.

Gli occhi di John erano diventati due fessure, e lo sguardo di odio che aveva rivolto allo stronzetto era più chiaro di qualsiasi parola…

 

Al termine delle lezioni, mentre stavano lasciando l’aula per raggiungere il refettorio, John si avvicinò a Richard, bloccandolo vicino all’uscita:

“Ehi, bastardo!” lo apostrofò, l’ira appena contenuta “Chi cazzo ti credi di essere?!”

“Scusa?”

Era inutile, notò Mark, lui aveva cercato più volte, anche con le buone, di fargli capire l’importanza delle regole, ma quello continuava a mostrarsi refrattario.

“E’ inutile che fai l’ingenuo. E’ l’ultima volta che mi fai fare la figura dello stronzo…” la voce di John era sempre di più un sibilo.

“Non capisco…” sempre imperturbabile, contenuto. Sicuramente anche sotto tortura avrebbe mantenuto quel tono di cortese distacco…

“C’è che ti aspetto in palestra per darti una lezione” poi il ragazzo rise tirando fuori uno strano suono gutturale “..ovviamente se hai le palle per confrontarti con me!”

“Contro di te, o contro te e i tuoi amici?”

Cercava di fare lo spiritoso? Aveva scelto l’occasione sbagliata per provarci.

“Hai già paura? Vieni e lo saprai!” e di nuovo rimbombò la strana risata di John.

Mark si accorse che, uscendo, Richard aveva lanciato al suo indirizzo uno sguardo di disprezzo.

“Non me ne frega” si disse “Questa volta ti costringerò ad abbassare la testa!” e non nascose un irritante sorriso. Finalmente era giunto il momento… e lui non si sarebbe nemmeno sporcato le mani.

 

“Speriamo che venga… ho proprio voglia di spaccargli il muso!” John era ancora furente. 

Bene, adesso doveva solo fare in modo che la rabbia del compagno rimanesse intatta, in modo che poi potesse sfogarla tutta su quel damerino.

“Verrà, non ti preoccupare!” lo rassicurò con il solito tono freddo.

E infatti era arrivato. Era entrato nella grande palestra vuota con la solita espressione distaccata.

“Mi dovevi dire qualcosa?”

“Vedi… il tuo problema, Stoddie, è che tu non hai ancora capito dove sei finito…” era sempre John a parlare, lui non aveva la minima intenzione di intervenire. Si sarebbe limitato a godersi lo spettacolo.

“E tu vuoi chiarirmelo, vero?” un tono annoiato, come se l’algido bastardo si stesse preparando ad una spiegazione di storia.

“Bravo, stronzetto…”

Da dietro la porta si avvicinò, silenziosamente, William.

Richard non fece in tempo a voltarsi che quello gli bloccò le braccia dietro la schiena. Cercò di liberarsi, ma senza arrivare a contorcimenti o a movimenti scomposti: la dignità trasmessa dal nobile casato era così radicata che riusciva sempre a mantenersi inappuntabile.

“Dovevo capirlo…” mormorò.

“Cosa?” replicò John beffardo.

“Che non mi avresti affrontato da solo…”

“Non te l’ho mai promesso…”

E John fece partire un pugno che lo centrò in pieno viso.

“Allora? Ti ho fatto male, stronzetto?” pugni e calci si susseguirono senza interruzioni.

Il viso di Richard era ricoperto di sangue, non si reggeva più in piedi. William decise di togliersi anche lui una soddisfazione. Lo tirò per i capelli e gli sbatté la nuca contro la parete.

Il ragazzo riuscì a sostenersi alle tubature che portavano l’acqua ai termosifoni.

John si rifece sotto. 

“E adesso vediamo se sei un uomo oppure hai un punto debole…” era fin troppo chiaro dove voleva sferrargli un calcio…

“Basta, John.” Era la prima volta che interveniva. Era stato tutto il tempo appoggiato alla parete con le braccia incrociate sul petto, a godersi lo spettacolo.

“Ma… Non posso lasciarlo stare… fammi finire!” 

“Ho detto no”.

“Ma…capo!” adesso ci si metteva anche William.

“Credo di essere stato chiaro. Adesso andate via”.

Sapeva bene che gli altri due non avevano gradito il suo intervento, però sapeva anche che avrebbero ubbidito.

Se ne andarono.

Si avvicinò al ragazzo addossato alla parete.

“Come stai?” era davvero una domanda idiota, però doveva parlargli.

Richard riaprì gli occhi, che aveva tenuto chiusi negli ultimi minuti. John c’era andato davvero pesante, avrebbero potuto passare dei guai per quel lavoretto… se il preside avesse saputo che il piccolo lord era stato picchiato così duramente… eppure lui non aveva voluto fermare la missione punitiva, sapeva che era stato per quel qualcosa di irrisolto che aleggiava tra loro.

“Te la sei voluta, non puoi che biasimare te stesso” usò il solito tono duro, freddo.

L’altro alzò la testa e lo guardò. Lo stesso sguardo stupito di quando… di quando…

Poi, prendendolo alla sprovvista, lo colpì con un pugno che lo centrò in pieno volto: quel bastardo non capiva proprio…

“Non ti è bastato. Eh?! Meriteresti che io richiamassi John, per completare il servizio!” gli sussurrò massaggiandosi la guancia colpita.

Lo trascinò negli spogliatoi, bagnò un asciugamano e cominciò a pulirgli il volto. Non sembrava che ci fosse niente di rotto…

“Ti è andata bene, in genere quando John e William lavorano insieme l’infermeria è assicurata…”

Notò che l’altro si ritraeva quando lui doveva avvicinarglisi per lavarlo. Sorrise sadicamente: gli era sempre piaciuto che gli altri lo temessero, e che lo facesse Stoddard lo faceva sentire un dio.

“Ce la fai a camminare?”

Ma l’altro continuava ad ignorarlo.

“Va bene, mi toccherà portarti nella tua stanza.”

Perché lo stava aiutando, dopo aver fatto di tutto perché ricevesse quella lezione? Perché si era lasciato colpire ancora una volta, senza reagire? 

Non era il momento per simili interrogativi.

Riuscirono a raggiungere la stanza di Richard senza incontrare nessuno, cosa non difficile a quell’ora, con tutti i ragazzi riuniti nel refettorio.

“Vattene” era la prima parola che quel cretino presuntuoso gli rivolgeva.

“Non credo che tu sia nelle condizioni di dettar legge” gli rispose, coprendolo con una coperta. Il labbro era spaccato, aveva un taglio sulla fronte e numerosi lividi. Sentì la strana tentazione di accarezzargli i capelli: era come se quel ragazzo risvegliasse istinti che lui non credeva di possedere. In quel momento desiderava stargli vicino… sì, lui che aveva sempre disprezzato tutti, che non aveva mai fatto niente senza un proprio tornaconto, desiderava aiutare, essere amico, l’unico amico, di quel ragazzo.

Richard aveva chiuso gli occhi. Probabilmente si era già addormentato.

Si guardò intorno. Era già stato in quella stanza, ma stavolta poteva osservarla con più calma. Lo incuriosiva… 

Prese il libro appoggiato accanto al letto: un libro di poesie, Tennyson…

Aprì a caso… lesse qualche riga: la poesia non gli era mai piaciuta molto. Era troppo pragmatico per versi e strofe.

Guardò la copertina e poi la prima pagina… c’era una dedica, la lesse:

“Con tutto il mio amore. 

Buon Compleanno. 

 P.”

Lo stronzetto aveva pure una fidanzata, un’altra piccola snob ricca e algida come lui! Quasi quasi lo avrebbe buttato, quel libro… certo, per il solo gusto di dargli un dispiacere. Odiava pensare che quello avesse qualcuno con cui confidarsi… sicuramente era per questo che aveva respinto la sua amicizia, aveva già una cretina a cui scrivere lunghe lettere e con cui trascorrere le vacanze. Che bisogno aveva di un amico? E lui… lui invece era sempre solo…

Solo? Ma che diavolo andava a pensare?! Lui aveva tutto quello che poteva desiderare.

“Ridammelo immediatamente!” allora non stava dormendo…

“Ci tieni così tanto?” replicò ironico, come sempre.

“Ti ho detto di ridarmelo!” Richard si tirò a sedere sporgendosi per riappropriarsi del libro.

“Ah, rivuoi il regalo della tua smorfiosetta… ma che smielata che deve essere per regalarti queste poesie così melense…”

L’altro gli si scagliò contro. Entrambi finirono sul pavimento. Mark riuscì a ribaltare le posizioni, e bloccò Richard sotto di sé.

“Stavolta sei totalmente in mio potere…” sentiva strani brividi lungo la schiena. Era carico ed eccitato: dominarlo in quel modo gli dava un senso di trionfo.

“Cosa hai intenzione di fare…” stavolta il tono del piccolo lord lo colpì. Lo guardò negli occhi e vi lesse non solo rabbia, ma anche tristezza, malinconia. Sembrava guardarlo senza vederlo, di nuovo catturato da emozioni da cui lui era escluso.

Si spaventò… e inaspettatamente si sentì in colpa.

“Ci tieni tanto a questo libro?” glielo chiese con stupore. Non riusciva a comprendere quella reazione… doveva scuoterlo.

L’altro non rispose. Cosa gli aveva detto? Che voleva che tutto il mondo si dimenticasse della sua esistenza… e poi, aveva parlato di un mondo crollato… Cosa era successo per ferirlo così tanto? Avrebbe dato una mano per saperlo…

Si rialzò, lasciandolo libero. Gli porse il libro:

“Scusami Richard… non volevo…”

Lo aiutò ad alzarsi, poi lo fece sdraiare sul letto.

“Tornerò dopo, per vedere come stai…”

Ancora una volta non ebbe risposta.

“Mi dispiace, mi dispiace per tutto…” mormorò appena prima di lasciare quella stanza.

 

Raggiunse gli altri ragazzi. William stava raccontando ad alcuni loro ‘adepti’ la missione punitiva contro Stoddard, mentre John rimaneva in un tronfio silenzio, orgoglioso dell’ammirazione che stava suscitando.

Quando Mark entrò, William cominciò a balbettare, e gli altri ragazzi sembravano non vedere l’ora di lasciarli soli. Fortunatamente questo accadde abbastanza presto.

“Vi devo parlare” guardò gli altri due cercando di controllare il desiderio di prenderli a pugni.

“Oggi ci siamo divertiti per l’ultima volta con Stoddard…”

“Ma… perché?” ovviamente era stato quel sottosviluppato di William a parlare… un giorno o l’altro se ne sarebbe sbarazzato.

“Perché ho deciso così. Non c’è gusto a picchiarlo, quello è tarato… d’ora in poi voglio che facciate finta che non esista. Qualsiasi problema debba creare, ci penserò io a farlo rientrare nei ranghi” aveva dovuto usare questo tono, altrimenti i due non avrebbero continuato a temerlo, e in quel momento non aveva voglia di battersi.

E infatti William e John sorrisero con cattiveria: sapevano bene che non era un privilegio avere le ‘attenzioni’ personali del capo.

“Allora, avete capito?” ribadì, duro.

“Certo”

Un’altra cosa sistemata

 

Tornò nella stanza di Richard: era giunto il momento di chiarirsi, onestamente, cos’era che lo legava a quel ragazzo.

Lo guardò dormire. I capelli biondi gli coprivano un po’ gli occhi: gli si avvicinò e glieli scostò. Era così bello, delicato… eppure forte. Sorrise, pensando a tutti i pugni che il piccolo lord gli aveva dato… sì, era forte!

Anche nel sonno manteneva un’espressione seria. Improvvisamente si rese conto di averlo visto ridere molto raramente. Quelle parole, mondo crollato, cominciarono a ronzargli nella testa…

Era proprio uno strano ragazzo… davvero la sua vita poteva essere finita a diciotto anni? No, non lo credeva… non poteva essere…

Gli guardò i lividi… come aveva potuto assistere senza intervenire, e anzi con soddisfazione, a quel massacro da vigliacchi?

Scosse la testa. Fino a poco tempo prima, non si era mai fatto molti problemi ‘morali’, e ora si dispiaceva per una semplice missione punitiva come ne avevano fatte tante?

Era cambiato, aveva cercato di non accettarlo, aveva tentato di tornare all’antica crudeltà, ma il fatto ineluttabile era che davvero era successo qualcosa che lo aveva trasformato.

Continuò ad osservare quel ragazzo che dormiva. Chissà se sarebbe mai riuscito a scoprire il suo segreto, perché era convinto che un segreto ci fosse, chissà se sarebbe mai riuscito a farsi… amare…

Amare? La parola suonava strana, ma non lo spaventava. Non lo aveva sempre saputo? Non lo aveva saputo da quando il preside lo aveva fatto entrare in classe la prima volta? Non ci si era scontrato per stabilirci un contatto? Sorrise amaramente: era tutto così chiaro, eppure all’inizio aveva fatto finta di non vederlo.

Tutto quello che desiderava era stringere tra le braccia quel corpo, baciare quella pelle, far nascere il sorriso su quelle labbra… e ci sarebbe riuscito, ad ogni costo.

Riprese quel libro in mano: la presenza, il ricordo o qualsiasi altra cosa avesse legato Richard a questa Pamela, Penelope, Patricia, Phoebe,  o come diavolo si chiamava, sarebbe presto stato spazzato via.

Richard era suo, doveva solo fargli capire che era così, e che non gli restava altro che accettarlo. 

Si chinò sul letto e depositò un bacio leggero su quei capelli morbidi e profumati: nessuno avrebbe più fatto del male al suo angelo, ormai non era più solo… ormai non lo avrebbe lasciato più solo.





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