Il Collegio

parte I

di Greta



L'inizio di un nuovo anno.
Le vacanze erano andate come al solito, niente di particolare: il solito mese sulla Costa Azzurra con i genitori e i loro amici, la settimana a Parigi, per acquistare i vestiti più alla moda per la madre, e poi il ritorno nello Yorkshire.
Ogni estate era uguale all'altra, certamente non sgradevole, ma un po' solitaria. Fuori delle aule del St George's College di Oxford, lui chi era? Solo il figlio di un famoso avvocato, poco più di un borghese.
Nel collegio, invece, era il capo, e chiunque avesse voluto spostare una foglia lì dentro, doveva implorare il suo permesso.
Chissà come sarebbero state le nuove matricole! Era curioso, sarebbe stato divertente metterli sotto pressione, esercitare il proprio potere su quelle creature indifese e spaventate…
Eccole lì, si riconoscevano subito, come si guardavano intorno smarrite accanto ai propri genitori … Ma era solo il primo giorno, il peggio sarebbe arrivato dopo!
Rise tra sé e sé… adesso ci sarebbe stato il solito barbosissimo discorso di inizio anno del preside, sempre le stesse cose, sempre le stesse chiacchiere: tradizione, prestigio, sapienza… ma chi ci credeva? Quello non era un tempio di conoscenza, di ipocrisia sicuramente sì.
Ed eccoli, tutti gli studenti della St George riuniti nell'Auditorium, tutti con le linde divise blu e i capelli accuratamente pettinati all'indietro. E poi gli ultimi saluti dei familiari, le ultime raccomandazioni…
Se ne andavano pensando di averli lasciati in buone mani? Certamente quei ragazzi avrebbero imparato la disciplina, su questo potevano giurarci.
Alzò un sopracciglio in segno di saluto quando vide i suoi due luogotenenti. Loro gli si affiancarono immediatamente:
"Come studenti dell'ultimo anno, abbiamo diritto alle stanze singole… finalmente basta con le camerate!" mormorò il ragazzo più grosso, William, con un sorriso soddisfatto.
"Comunque ci sarà da divertirsi con le matricole, hai visto che facce?" aggiunse John, quello più alto.
Lui non rispose. Aveva voglia di gustarsi ogni momento di quell'ultimo anno, e per farlo era disposto a fare le cose con calma.
"Purtroppo non saremo sempre in classe insieme. Io ho sostituito il corso di latino con quello di francese, e ho abbandonato anche il greco… Perché non l'hai fatto anche tu?" gli chiese William.
John fece segno al compagno di stare zitto. John era più sveglio, sapeva quando era il caso di tacere…
Andarono a sistemarsi nelle nuove stanze. Aveva parecchi scatoloni da spostare: libri, il giradischi nuovo che gli aveva regalato la madre, e poi tutte le attrezzature sportive… Se ne sarebbe andata l'intera giornata.
La stanza di fronte alla sua era vuota. Era sorprendente, anche perché il nome scritto sulla targhetta indicava che era stata assegnata. 
Si avvicinò incuriosito: per di più era un nome famoso in tutta l'Inghilterra… Richard Stoddard-West. 
La famiglia Stoddard-West, oltre ad essere una delle più facoltose dell'aristocrazia terriera, era diventata estremamente ricca con le miniere di carbone e le acciaierie. Era una colonna portante di quel che rimaneva dell'Impero Britannico.
Sorrise tra sé con cattiveria: sarebbe stato divertente stuzzicare un po' il giovane rampollo! Già se lo immaginava: grasso e lentigginoso, sempre pronto a piagnucolare… e ne avrebbe avuto motivo, perché nessuno sfuggiva alle leggi non scritte della St George, e queste leggi imponevano l'unica e indiscussa sovranità dell'oscuro figlio di un avvocato.
A cena si degnò di rivolgere la parola ai suoi 'amici'.
"Peccato che non siamo capitati proprio vicini di stanza…" si stava lamentando William.
"Già, ma comunque stiamo sullo stesso piano" convenne John.
"La stanza davanti alla mia è vuota" era stato lui a parlare, per la prima volta.
Tutti gli altri ragazzi seduti al loro tavolo si voltarono a guardarlo. Probabilmente dal tono era trasparito un interesse che non faceva presagire niente di buono.
"Già, l'ho notato. Ma uno Stoddard-West, evidentemente, può permettersi di perdere il giorno di benvenuto…"
John aveva detto la cosa sbagliata, e se ne accorse presto, perché lo sguardo inceneritore del capo sembrò trapassarlo come una lama d'acciaio.
Ebbene sì, forse quello era il suo unico punto dolente: l'essere figlio di un borghese, e non di uno di quegli stupidi e spiantati aristocratici marci fino al midollo.
Odiava il fatto che questa situazione lo vincolasse ad obbedire a certe regole che per gli altri non valevano. Lui si era dovuto sopportare la lagna trita e ritrita di quel fesso del preside, mentre 'palla di lardo' Stoddard-West se l'era potuta risparmiare! Non lo conosceva, eppure sapeva già di odiarlo…

La nottata passò tranquillamente. Ogni tanto si sentiva qualcuno camminare nel corridoio, per raggiungere il bagno… per i racconti delle vacanze con i compagni che non si vedevano da tanto tempo... Ma la cosa più divertente era sentire i singhiozzi trattenuti dei ragazzi nelle camerate al piano di sotto.
Piangevano perché già sentivano la mancanza della mamma! Lui non aveva mai pianto. Era forte, una roccia… come gli sarebbe stato possibile, altrimenti, conquistarsi il rispetto di tutti gli altri?
Chiuse le finestre: nonostante fosse settembre, l'aria era già fredda. Si sedette sul letto e cominciò a spogliarsi. Appese la divisa alla stampella e la ripose nell'armadio… non amava il disordine e le cose spiegazzate. Probabilmente era un atteggiamento dovuto alla natura piccolo-borghese della madre:
"Così le cose durano di più…" gli diceva sempre, anche se ora avevano abbastanza soldi da comprarne tranquillamente a centinaia di quelle stupide divise…
Sorrise ancora tra sé e sé. Lo specchio gli restituì una strana smorfia, un'espressione inquietante: certo che quegli stupidi bambocci si impaurivano…
Si guardò più attentamente: i capelli erano scuri, con la sfumatura alta sulla nuca e più lunghi davanti, tanto da ricadergli un po' sugli occhi quando la pomata perdeva il proprio effetto. Gli occhi erano blu scuro, dalle lunghe ciglia castane, e la bocca rossa, sempre stretta in una smorfia di disgusto. Continuò ad osservare la carnagione chiara, appena dorata dal sole estivo, e poi il fisico asciutto, elastico, la statura superiore alla media. 
Un bel ragazzo, non c'era che dire, e questo ragazzo si sarebbe fatto strada… ne era certo!
Si infilò nel letto e spense la luce. Era stanco ma eccitato, sicuramente sarebbe stata dura addormentarsi.

La mattina dopo, alla sette erano già tutti in piedi. Quando arrivò alle docce, la prima, quella più ambita, si liberò magicamente davanti a lui…
Sotto l'acqua che gli accarezzava la pelle, pensò con soddisfazione che le cose non erano cambiate: le gerarchie erano ancora chiare.
Si vestì in fretta e scese per la colazione.
Come al solito fu investito dal chiacchiericcio del refettorio. Cercò di non farci troppo caso, non aveva voglia di arrabbiarsi così presto. 
Mentre John e William discutevano sul professore di matematica, il loro più odiato nemico, il suo sguardo fu attratto da una macchina enorme che percorreva la strada sotto le loro finestre, per poi proseguire verso l'entrata principale. 
La sua smorfia era qualcosa di molto simile ad un ghigno:
"Benvenuto Richard!" sibilò tra i denti.

Erano in classe insieme, eppure il banco era ancora vuoto. Forse, tutto sommato, il pistolotto del preside se l'era beccato anche lui, fra l'altro in udienza privata… 
Ben ti sta, stronzo!
Il professore di Letteratura continuava a spiegare il programma che li avrebbe 'tenuti avvinti' per l'intero anno, parlando dell'importanza della cultura classica per qualsiasi scelta avessero fatto per l'Università… bla, bla, bla.
Ma a salvarli, si sentirono dei colpi alla porta. 
Il preside in persona fece il proprio ingresso nell'aula. Con un gesto della mano, li invitò a rimettersi seduti. Il nobile nume tutelare di quella scuola era palesemente soddisfatto… certo, non era da tutti poter annoverare il piccolo lardoso tra i propri studenti! Per non parlare, ovviamente, di tutti i soldi che gli augusti genitori del principino avrebbero elargito per il 'restauro' di quel rudere risalente al paleolitico…
"Cari ragazzi, ho l'onore di presentarvi un vostro nuovo compagno di corso. Ha la vostra stessa età, e si preparerà con voi per gli esami dell'ultimo anno…" si interruppe e si rivolse alla figura ancora all'esterno dell'aula:
"Venga pure avanti…" e poi, di nuovo alla classe "…Richard Stoddard-West, e non aggiungo altro…" 
Era proprio un vecchio, untuoso, viscido verme strisciante!
Il ragazzo entrò.
Beh, indubbiamente non era esattamente quello che si aspettava… 
Sicuramente di lardoso aveva poco: il fisico era asciutto, forse addirittura un po' troppo esile e delicato, la statura, invece, doveva eguagliare la sua. La carnagione molto chiara, i capelli biondi, appena mossi, e gli occhi celesti lo facevano sembrare etereo come certi cavalieri settecenteschi. 
La divisa, che tutti loro portavano con trasandatezza, oppure come un impaccio, su di lui sembrava un capo di alta sartoria. Eppure non aveva un atteggiamento strafottente, e neanche timido. Era lì, che rivolgeva a tutti loro un sorriso semplice, forse un po' distaccato, come quello di un attore ben addestrato a recitare quel copione…
Il professore gli indicò il banco che doveva occupare, poi il preside, ancora gongolante, lasciò l'aula.
La lezione riprese, diciamo pure che riprese daccapo, e a tutti loro toccò un bis sull'intero programma, grazie all'algido bastardo.
C'era tutto il tempo e il modo per osservarlo bene. Cercò di farlo senza farsi scorgere. Non voleva apparire come quegli stupidi parvenu che ancora sentono il fascino dell'aristocrazia. La sua curiosità andava soddisfatta, ma mai a prezzo della dignità.
Il 'caro' Richard era seduto al proprio banco, con la schiena dritta e le braccia poggiate sul banco. Le penne e i quaderni erano già stati riposti sotto il piano di legno, mentre il libro di letteratura era lì davanti, aperto a metà.
Stava ascoltando il professore, ma lo faceva con tranquillità, senza distrarsi ma senza pendere dalle sue labbra. Aveva qualcosa di 'maturo' rispetto a tutti loro, come se non avesse niente da dimostrare, niente per cui combattere…
Al termine delle lezioni, molti dei compagni gli si avvicinarono: poteva osservare bene la scena dal suo punto di osservazione: il principino era cortese, sorridente, corretto… distaccato. 
Anche le attenzioni dei compagni gli scivolavano via: non c'era fastidio, né compiacimento, sembrava non accorgersene.
La giornata trascorse tranquilla e sonnolenta. 
William e John furono occupati a gettare le basi dell'addestramento delle matricole, convincendo tre nuovi allievi a scaldarsi le agili dita spazzolando ben bene tutte le loro scarpe e i loro cappotti. 
Lui non aveva molta voglia di stare dietro a queste sciocchezze. Il suo piano era più ambizioso, doveva studiare la sua vittima…
Tornò nella propria stanza. La porta di fronte era chiusa: probabilmente l'algido Richard stava mettendo a posto le proprie cose, i nobili Penati della famiglia Stoddard!
Si sdraiò sul letto, stando così vicini ci sarebbero state molte occasioni per incontrarsi, e lui sarebbe riuscito a togliergli quell'aria di distaccata superiorità dalla faccia! 
I primi giorni trascorsero tranquilli, lo osservava, lo studiava… L'altro invece aveva la sgradevole abitudine di ignorarlo… ma l'avrebbe persa, non bastava un nome, neanche 'quel' nome, per sfuggire alla sua autorità!
Una mattina, circa una decina di giorni dopo l'inizio della scuola, entrando nei bagni trovò che la 'sua' doccia era occupata dal piccolo lord.
"Quella è la mia doccia" disse, facendo abilmente trasparire una inflessione di annoiata autorità.
"Mi dispiace, non sapevo che fossero private… ce ne sono altre libere, se per te è lo stesso" replicò l'altro, calmo, cortese.
"No, per me non è lo stesso…" era l'occasione per imporsi, ma 'doveva' anche farlo, altrimenti avrebbe perso un po' della propria autorità.
"Beh, ho quasi finito. Poi potrai usare questa…" di nuovo quel tono imperturbabile.
Sfoderò uno dei suoi sorrisi più sarcastici:
"Evidentemente non hai capito, piccolo lord… TU adesso andrai in un'altra doccia, non posso stare certo ad aspettare i tuoi comodi, non ti pare?" gli sussurrò, mantenendo quel sorriso inquietante.
L'altro scosse la testa.
"A me non sembra che tu abbia bisogno della doccia, credo che tu voglia litigare con me. Potevi dirlo subito, invece di accampare scuse…" disse, sempre con il suo tono tranquillo, sebbene adesso ci fosse un po' di tristezza.
"No, il motivo è proprio la doccia… io non voglio litigare con te, piccolo lord, voglio solo che tu ti 'integri' nel nuovo ambiente. Sai, qui ci sono delle regole. Forse ti servono delle ripetizioni…" non vedeva l'ora di mettergli le mani addosso a quel presuntuoso!
"Io accetto le regole della scuola, non le tue. Se vuoi possiamo anche batterci… ovviamente prima fammi terminare la doccia…" fu la risposta di Richard.
Lo stronzetto si stava allargando! Quasi stava riuscendo a fargli fare la figura del cretino… serviva un'azione di forza!
Lo tirò fuori dal box prendendolo per il braccio.
"Mettiti i pantaloni!" gli urlò, ansante.
Sembrava di ghiaccio quel ragazzo!
"Sembra proprio che tu abbia fretta…"
Si infilò con tranquillità biancheria e pantaloni. Aveva appena finito quando gli arrivò il suo pugno.
Così impari a fare l'imbecille!
Gli usciva un po' di sangue dal naso, ma Richard non sembrava farci caso. Si mise in posizione di guardia.
Finta allo stomaco e gancio al volto. Accoppiata fatale che gli era servita a mandare in infermeria tutti i recalcitranti del St George…
Lo stronzetto… cazzo, aveva parato! Eppure non lo aveva contrattaccato, pur avendo spazio libero in quel momento…
Cos'è, faceva pure il nobile? Rise fra sé, in infermeria ce lo avrebbe mandato lo stesso.
Attacchi e parate, sembravano proprio non riuscire a uscire da quella situazione…
Si fermarono un attimo, piegati in due cercando di recuperare ossigeno, mentre le ali di pubblico intorno a loro si facevano sempre più folte.
Ripresero. Diretto al volto… un po' frenato ma lo aveva preso, evidentemente, però, il buon Richard si era stufato. Finta alla spalla e un destro d'acciaio al torace. Dovette chiudere gli occhi e stringere i denti fino a sentirli scricchiolare… accidenti, quello era peggio di un robot!
Si ritirò su, lanciandosi di nuovo in avanti… non poteva perdere!
Fortunatamente proprio in quel momento arrivò il controllore del piano, attirato dal brusio dei ragazzi.
"Che cosa sta succedendo qui dentro?!" chiese arrivando.
La folla si disperse in un attimo, e anche i protagonisti della rissa si precipitarono nelle docce, nella stessa per essere precisi. Era da stupidi farsi beccare e farsi portare dal preside. L'apparenza doveva sempre essere quella di due gentiluomini…
"Non è finita, ricordati che qui dentro comando io…" gli bisbigliò con tono duro.
"A me non importa. Tu fai quello che ti pare con gli altri, ma lascia in pace me, e io lascerò in pace te…" replicò l'altro con il solito tono da tea delle cinque a Buckingham Palace.
"E perché dovrei accettare?" chiese con sarcasmo.
"Perché avrei potuto buttarti a tappeto cinque volte, prima, ma non l'ho fatto" e il ragazzo biondo uscì per andare a finire di vestirsi.

Quel bastardo aveva osato dettare le regole! Nessuno aveva mai osato tanto… doveva trovare assolutamente il suo punto debole…
Notò però con piacere che la mattina non lo incontrava quasi più alle docce, e le rare volte che si erano ritrovati alla stessa ora, il bel Richard aveva sempre occupato il box in fondo alla stanza, quello che non voleva mai nessuno.
Sarebbe stato troppo semplice pensare che l'altro avesse riconosciuto la sua autorità, ma lui non era uno stupido. Aveva capito che quel ragazzo semplicemente non voleva avere fastidi: aveva già dimostrato di non essere un debole, davanti a tutti per di più, quindi adesso voleva essere lasciato in pace.
In classe, poi, era molto silenzioso. Silenzioso e preparato. Quando i professori lo interrogavano, era sempre perfetto, ma se veniva fatta una domanda a tutti, non si faceva mai avanti per rispondere per primo.
Era solo anche a pranzo o nelle ore libere. Sembrava camminare in una sfera di cristallo, tutto gli sembrava estraneo.
Dalla sua stanza, a volte sentiva il giradischi suonare musica classica, ma più spesso c'era silenzio. Certamente non partecipava alla vita sociale del college…
Ci sarebbe voluto tempo per farlo aprire, nel frattempo decise di riprendere in mano le redini della scuola: la rissa non aveva minato la sua autorità, anzi, l'atteggiamento del piccolo lord, che sembrava aver accettato le 'regole' dopo lo scontro, era servito a renderlo ancora più temuto nella scuola. Aveva chi gli portava i libri, che gli lavava le cose, tutti gli lasciavano il passo… tutti tranne Richard, che continuava a far finta di non vederlo.
Un pomeriggio era andato in biblioteca per preparare la ricerca di storia, la materia che prediligeva e nella quale non aveva mai avuto rivali, prima.
In uno degli scomparti riservati agli studenti, vide che era seduta la sua nemesi. Era stranamente immobile, guardava fuori dalla grande finestra che aveva di fronte l'enorme parco del St George sotto la pioggia. 
Senza farsi sentire, si portò in una posizione tale da poterlo guardare in faccia.
C'era qualcosa di straziante in quell'espressione: gli occhi sembravano guardare senza vedere il paesaggio che avevano di fronte, seri, concentrati, come tesi a ricordare qualcosa di molto intimo. Ma quello che colpiva di più era la tristezza che traspariva da ogni tratto di quel volto di solito sorridente e imperturbabile. 
Per una volta, forse la prima nella sua vita, decise di non approfittare di un momento di debolezza di un proprio avversario, e lentamente si ritrasse, lasciando quell'angolo della biblioteca.
Si sistemò vicino alla porta, portando distrattamente avanti la ricerca: che diavolo poteva avere lo stronzetto? Indubbiamente l'espressione era molto malinconica, ma cosa ci poteva essere che non andava nella vita del piccolo lord? 
Non gli sfuggì, ovviamente, che riuscire a scoprirlo avrebbe significato averlo in pugno, però, stranamente, quella scena lo aveva toccato, e il voler capire cosa lo turbasse tanto era più dovuto alla curiosità che non al desiderio di umiliarlo.
Quando, verso le sei, vide il ragazzo avvicinarsi alla porta per uscire, non c'erano più tracce del recente momento di disperazione: era di nuovo lui, cortese e inattaccabile.

Il giorno seguente si ritrovarono in palestra per le lezioni di scherma. 
La scherma era il suo sport preferito. Nella scuola non aveva mai avuto avversari, sapeva muoversi con rapidità, e i suoi affondi erano micidiali, e poi era uno sport di testa, bisognava pensare, elaborare una strategia di attacco e poi agire.
Gli piaceva pensare che fosse solo per persone intelligenti…
Dopo essersi preparato, raggiunse la pista. 
Il maestro stava parlando con i nuovi allievi. 
Dritto fra loro, impeccabile nella divisa bianca e con la maschera sotto il braccio, c'era il piccolo lord, il bel Richard.
Non poté trattenere un sorriso, adesso sì che lo avrebbe potuto umiliare!
Si avvicinò con aria annoiata. L'insegnante stava parlando degli incontri che ci sarebbero stati con le squadre degli altri collegi, sia di Oxford che di Cambridge. Tutti ascoltavano attenti, poi il maestro si interruppe per cominciare a mettere alla prova ognuno di loro.
Quando giunse il turno di Stoddard-West, tutti si accorsero che quello era tutt'altro che un principiante. 
Era abile ed era un attaccante, su questo non c'era dubbio. Finte su finte, colpi leggeri e rapidi ai bersagli avanzati, botte dritte a spalle e petto… insomma, dominava l'intero repertorio.
Il maestro fermò la prova ansimante:
"Bravo, Stoddard, con lei rinforzeremo ancora di più la squadra… Potrei chiederle chi è stato il suo maestro, prima di venire alla St George?"
Un momento di esitazione, un lampo di sgomento negli occhi, lui l'aveva notato, ma poi si era subito ripreso:
"Paul Anderson" pronunciò lentamente.
L'allenatore strabuzzò gli occhi, ma tutti gli appassionati di scherma lo avrebbero fatto. 
Paul Anderson era un eroe nazionale, l'unico inglese ad aver vinto una medaglia olimpica nella disciplina della scherma, la punta di diamante emersa da una squadra che non valeva niente, l'atleta capace di vincere due anni di seguito i campionati europei di spada, insieme a sette campionati inglesi.
All'ammirazione per le sue gesta sportive, si univa però la tristezza e lo sconcerto per quello che era successo appena sei mesi prima: anche i sassi sapevano che Paul Anderson si era suicidato, all'età di ventisette anni, senza che nessuno ne conoscesse il motivo.
"Ora capisco…" disse l'anziano maestro, scuotendo la testa "Paul Anderson era veramente un campione, e per te deve essere stato un grande insegnante".
Lui continuò ad osservare Richard: non aveva minimamente modificato la propria espressione. Era rimasto lì, serio, compìto, come se fosse in grado di mantenere un controllo perfetto su ogni cellula del proprio corpo.
Fecero gli esercizi di riscaldamento e poi le lezioni con il maestro. Nel frattempo si organizzavano le sfide sulle numerose pedane parallele.
John e William erano troppo semplici da battere, quindi si divertì con altri compagni di corso. Servivano esclusivamente come sparring partner, in attesa dello scontro vero, quello che lo avrebbe visto opposto allo stronzetto… Eppure non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di Paul Anderson…
Una volta lo aveva visto combattere ai campionati inglesi: stupiva per la leggerezza con cui si muoveva, per l'abilità con cui raggiungeva il bersaglio sempre prendendo l'avversario in controtempo. E poi ricordava il momento in cui si era tolto la maschera per salutare l'avversario: i capelli biondo scuro, leggermente mossi, lo sguardo tranquillo, cortese, come se quell'assalto, la cui vittoria non era mai stata in discussione, fosse stato davvero soddisfacente. Elegante nella divisa regolamentare, aveva preso la coppa e aveva ringraziato il pubblico con un inchino… 
Era sicuramente una persona che rimaneva impressa…
Paul Anderson era stato l'insegnante del piccolo Richard… Certo che la famiglia Stoddard poteva davvero tutto, addirittura chiamare un campione come quello per insegnare i rudimenti della scherma all'erede al trono! I soliti schifosi aristocratici…

Negli spogliatoi, tutti i ragazzi osservavano Richard. Parlavano di Paul Anderson, e invidiavano il compagno per averlo avuto come maestro.
Uno di loro disse:
"Sei davvero bravo… Deve essere stato fantastico avere un insegnante come Anderson…"
Tutti gli altri emisero mormorii di assenso, ma il diretto interessato non fece nessun commento, sembrava che l'argomento lo mettesse a disagio.
"Certo era bravo, ma non aveva carattere. Uno che si spara in bocca è evidente che non ha le palle" lo aveva detto a voce ben alta, scandendo bene le parole. Era stufo di vedere tutti quegli stupidi fare la ressa intorno a quel bamboccio presuntuoso …
Per un attimo ci fu un silenzio stupito, poi teso e assordante.
Stoddard-West cominciò lentamente ad avvicinarglisi, fino a fermarglisi di fronte:
"Come osi insudiciare la memoria di Paul con la tua boccaccia lurida… viscido verme!" il ragazzino conosceva il tono duro allora! Non era sempre impassibile…
"Oso, e se vuoi lo ripeto anche…"
Non riuscì a terminare la frase perché gli arrivò un gancio sotto il mento, e poi un altro colpo allo stomaco. Barcollò, poi si ritirò su e si mise in difesa: eccola l'occasione buona. Lo stronzetto aveva un punto debole, e l'emozione lo avrebbe giocato.
Cominciarono a studiarsi nel ring che si era creato naturalmente al centro dello spogliatoio.
Provò a fintare un diretto per poi far partire un gancio… Lo aveva colpito, ma niente in confronto al pugno che aveva ricevuto un istante dopo in pieno viso. Sentì che il sangue gli stava uscendo dal naso, dalla bocca, dal sopracciglio, ma cercò di non farci caso.
Di nuovo tentò di sfruttare la propria agilità per portarsi sotto, ma quello sembrava sempre leggere le sue mosse prima che lui le pensasse..
Ormai era spalle al muro. Vide un'espressione determinata, rabbiosa, cattiva sul volto di quel ragazzo sempre impassibile:
"Riprova a parlare ancora una volta di Paul, e sarà il tuo ultimo giorno.." sibilò lasciando partire un destro fortissimo contro il suo viso, facendolo accasciare a terra.
Cercò di scuotere la testa per riprendersi e mosse la mascella per controllare che non fosse rotta: si sentiva a pezzi, con le ossa che provocavano dolori lancinanti ad ogni movimento… aveva perso, e pure male!
Richard prese la propria roba e si diresse deciso verso la porta. Appena prima di raggiungerla, le braccia di John e William lo bloccarono.
"Dove pensi di andare, campione? Non è mica finita…" gli bisbigliarono nell'orecchio.
Lo avevano bloccato fra loro. 
Era in sua balìa, poteva farne quel che voleva. Più di una volta le loro missioni punitive si erano concluse con un lavoro 'di squadra', cosa gli impediva di ripetersi? Quel bastardo gli aveva fatto un male cane, aveva l'occasione per fargliela pagare.
Eppure non ce la fece…
"Lasciatelo. Mi ha battuto, stavolta. Avrò modo di rifarmi presto…" e sputò il sangue che gli stava riempendo la bocca.

Il piccolo lord cominciava a costituire un problema serio. E purtroppo non solo per l'abilità con cui si batteva…
Aveva avuto l'occasione di dargli una lezione che non si sarebbe dimenticato facilmente, certo un po' da vigliacco, perché sarebbero stati tre contro uno, però l'aveva avuta e non aveva voluto sfruttarla. C'era qualcosa che non andava in tutto questo: possibile che stesse cominciando a rammollirsi? No, non lo credeva. Proprio quella mattina aveva sedato a pugni e calci un tentativo di insubordinazione da parte di un ragazzo grande e grosso del secondo anno e non aveva avuto problemi, come al solito.
Invece, tutte le volte che aveva a che fare con il piccolo bastardo, sentiva di non essere più se stesso, di perdere parte della propria cattiveria. Ogni tanto arrivava pure a pensare che gli sarebbe piaciuto diventargli amico… 
Scosse la testa sconsolato: stava cominciando a dare i numeri, e purtroppo sembrava pure che non avesse intenzione di smettere.
Si alzò dal letto, passò davanti allo specchio e si dette un'occhiata veloce: certo, i lividi erano ancora ben visibili, e il taglio sulla bocca gli disegnava una bella striscia rossa al lato del labbro… ma, per il resto, era sempre lui.
Respirò profondamente e attraversò il corridoio… Perché diavolo lo stava facendo? Era ancora in tempo per tornare indietro…
Bussò con decisione.
Sentì la voce dall'interno chiedere chi fosse.
Era la prima volta da tanto tempo che gli toccava presentarsi per entrare in una stanza del St George, invece di dare un calcio alla porta…
"Mark Grant" era quasi strano sentire la propria voce pronunciare quel nome.
La porta si aprì.
"Ciao…" toccava a lui fare il primo passo… doveva spiegare perché gli andava a rompere le scatole alle otto di sera.
"Ciao." il tono del ragazzo biondo era freddo, sospettoso.
"Senti, facciamola breve… Volevo scusarmi per ieri in palestra…" era molto a disagio, e soprattutto sperava che i compagni non lo sentissero.
L'altro sembrò capire la situazione:
"Entra, qui potremo parlare senza disturbare tutto il piano" e si fece da parte per farlo passare.
La stanza era uguale a tutte le altre, solo che c'erano più libri, più dischi… Tutto era molto ordinato e c'era una strana atmosfera di calore.
"Stavi dicendo…" era un invito a continuare.
"Bah, non so neanche chi me lo fa fare…" cominciava a sentirsi un po' stupido.
"Io no di certo, quindi se vuoi finirla qui…"
"Stai zitto un momento, Stoddard! Allora… mi rendo conto anch'io di essere stato un po' stronzo, ieri. E' l'unica cosa di cui mi pento, e non tanto per te quanto proprio per Paul Anderson…"
Non notò l'irrigidimento del compagno, e proseguì:
"Devi sapere che anche a me è molto dispiaciuto quando ho sentito che era morto. Tu sicuramente lo hai conosciuto bene, ma anche io l'ho visto, una volta. Era la finale dei campionati nazionali… era uno spettacolo vederlo combattere…"
"Basta, ti prego…" lo interruppe l'altro, voltandogli immediatamente le spalle "Ho capito quello che vuoi dire. Forse anch'io ieri ci sono andato giù troppo pesante… facciamo finta che non sia accaduto nulla" sembrava far fatica a parlare.
Era un po' stupito, la prima volta che si scusava con qualcuno in tutta la propria vita e tutto era stato così semplice?!
"Va bene, io vado. Comunque ricordati che le regole della St George non sono mutate solo perché sei riuscito a sbattermi a tappeto una volta…"
L'altro si girò sorpreso, poi la sua espressione divenne una comica smorfia, prima di aprirsi in una risata inaspettatamente allegra:
"Ma… ma sono tanto importanti per te queste tue regole? E' così importante essere temuto da tutta la scuola?"
"Certo che lo è… questo è il mio mondo. Per te non è così?" davvero non capiva? era sorpreso…
Richard esitò prima di rispondere:
"No, il mio mondo era un altro, ma è crollato. Sono rimaste solo rovine…" si riscosse e cambiò tono, ridiventando sorridente e cortese:
"Spero che i prossimi scontri siano con la spada… voglio verificare che sia vero quello che dicono di te…" lo provocò.
"Non ti preoccupare, è tutto vero." e sorrise anche lui.

Aveva deciso: sarebbe diventato amico di quel ragazzo. Lui non aveva mai avuto amici, certo John e William non si potevano definire in questo modo, e quindi era ora di averne uno… e sarebbe stato quello strano piccolo lord. Era una missione ancora più complessa di quella di fargli ingoiare i denti, ma ci sarebbe riuscito. Una piccola, fragile base l'avevano già gettata…
Quella notte non riuscì ad addormentarsi con la solito facilità, gli sembrava di essere assalito da una strana euforia…



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