Cocaina

di Orlando

 

Oh mio Dio! Mi ricordo ancora quel giorno, quella sera!

Ero tutto un fremito, le mani mi sudavano in maniera impressionante e tremavano senza ritegno, quasi di terrore, quasi d’impazienza. C’era qualcosa che mi scorreva dentro che mi rendeva così euforicamente pacato…

Due settimane prima mi ero fatto dare il numero di Marco da uno in classe mia, il tipo più strafatto del liceo.

“Ma sei sicuro che vuoi proprio il suo numero?” mi fa.

“Si” dico io.

“Ma… non è che ti stai sbagliando con un altro Marco?”

“No, no” continuo.

“E va bene: tre quattro otto…”

“Grazie!” e lo saluto.

Ah! Quella era stata la parte più facile… ci misi due giorni prima di riuscire a non riagganciare dopo il primo squillo e ci volle un altro giorno ancora, e cioè altri quattro tentativi, prima che riuscissi a proseguire dopo il suo “pronto” basso e roco.

Ecco, quella sera, quella in cui ero un fremito, era la sera che avevamo concordato per trovarci. Lo stavo aspettando nel bagno del Silver, la discoteca più strafiga della città. Io non ci ero mai stato prima, non ero, e non sono, tipo da discoteche, non so ballare; quella cazzo di musica poi non mi piace per niente… e poi c’è troppo caldo, e se per entrare bisogna essere fighi, allora bisogna mettere una camicia, e di certo la camicia non è l’indumento più adatto per ballare in disco, comunque…

Lui entrò. Erano passati dieci minuti dall’ora stabilita.

“Sei Simone?” mi fa. Oh! Era così figo! Tremendamente sexy. Camicia bianca sbottonata che lasciava vedere le linee dei pettorali. I bicipiti ben scolpiti. Un culo meraviglioso. Occhi azzurri e capelli scuri. Veramente uno strafigo! Bello come nessun altro! Anello di cocco al pollice della mano destra. Cintura nera di Dolce&Gabbana. Pelle bronzea e liscia, tremendamente liscia! Vi si rifletteva perfino la luce del neon. Poi, le vene del collo… un paio, che si facevano vedere un pochino più del dovuto, come in bassorilievo. Inutile negarlo, era proprio bellissimo! E io sbavavo per lui, sì, sbavavo e come, e a casa mi facevo le seghe pensando a lui, e lo sognavo e me lo raffiguravo di continuo…

“Sì, sono io”

“Io sono Marco” Sì! Lo so! E mi da la mano!

Riuscii a stento a dargli la mia, e quando la strinse… il contatto con la sua pelle mi fece sudare ancora di più. Mi vergognavo al pensare che lui potesse sentire il sudaticcio sulla mia pelle. Non ero nemmeno capace  di tener la bocca chiusa, la lasciai aperta per tutto il tempo che passai con lui.

“Eccoti la roba!” mi dice. Era un piccolo sacchettino, conteneva un po’ di polvere bianca, per quel che ne sapevo poteva anche essere borotalco.

“Ah… grazie” mi misi a rovistare nelle tasche in cerca dei soldi, e mentre cercavo pensavo al suo ventre contro la mia schiena, all’altezza dei reni; alla sua bocca sul mio collo… volevo essere preso da lui, lì! Subito! Non mi interessava l’essere scoperti, non mi sarebbe pesato l’essere sputtanato da tutta la scuola, purché lui mi prendesse lì, in quel bagno, in quella discoteca.

Gli diedi i soldi.

“Scusami” parlai piano “è la prima volta che… potresti insegnarmi?” mi ricordo che lui stette zitto per un po’, mi guardò chiedendosi che cosa stessi cercando da lui, in quel piccolo sacchetto trasparente. Poi me lo prese dalle mani, lo aprì e disegnò una pista sulla mensola di granito che reggeva i due lavandini.

“Tiri su col naso! Tieni tappata una narice e vai… aspiri tutto!” e mi imita il gesto. Lo vedo come fosse qui adesso.

Con un dito mi chiusi una narice e mi preparai… giù, con la faccia a due millimetri dal lavandino… e partii.

Sentii una valanga salirmi al cervello! Wow… scossi violentemente la testa, come per scrollarmi qualcosa di dosso. Incominciò a girarmi il cervello. Era come quando mangi troppo gelato in un boccone solo, che senti il gelo tra i neuroni… una cosa fortissima, dolorosissima, e poi celestiale…

 

Non mi ricordo cosa successe poi, non molto precisamente almeno, è che quello era l’unico modo che avevo per poter vedere Marco, e se andava bene, scambiarci anche qualche battuta assieme.

Quello era l’unico modo.

Lo chiamai ancora. Ancora. Ancora, ancora, ancora! Lo amavo troppo! Bramavo la sua vista in una maniera ossessiva. Ed era l’unico modo che io, sedicenne e gay, avevo per poter passare qualche minuto con lui, ventitreenne ed etero omofobo.

L’ho chiamato anche ieri, e adesso sono in ambulanza, o almeno credo… sento delle sirene fischiare forte… forte…

Oh, Marco! Mi ha perfino chiesto come andava! Ed è sempre bellissimo, sempre!

E chissà poi quale delle due sia la vera droga? La coca o lui?

 

Fine

 

 

 

Per chiunque volesse scrivermi qualche commento io sono a disposizione… grazie!

 

Orlando