CLAWS ovvero: “cioè che è venuto prima di Luci Fredde”
AUTORE: Dhely
SERIE: X-Men
RATING: Nc-17. Angst. V. (ATTENZIONE! Molto, molto *V*! Non ho messo ‘rape’ perché secondo me non è avvenuto, ma occhio! Di violenza ce n’è!)
PAIRING: LoganXPietro
NOTE1: in questa fic Pietro è già maggiorenne. Lo definiscono ‘cucciolo’ per vari motivi, prima di tutto per il suo potere che lo porta a dimostrare (secondo me) sempre tre o quattro anni in meno dei suoi effettivi. Inoltre Logan non è propriamente un ragazzino, dunque credo per lui che pure un trentenne sia da considerare poco più di un bimbo.
NOTE2: i pg non mi appartengono, li uso senza permesso e senza fregarmene delle dichiarazioni ‘ufficiali’ di coloro che ne posseggono i diritti. E no, non ci guadagno nulla.
NOTE3: è una breve descrizione di che tipo di rapporto c’era tra Pietro e Logan, prima di tutto quello che ho scritto in Stella del Nord, Neve e Ghiaccio e Luci Fredde. Se qualcuno non vuole rovinarsi la sorpresa NON legga questa fic prima delle altre! Altrimenti: buona lettura!
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“Hei, piccolo, lo sai che è tardi? Dovresti già essere a casa.”
Pietro sorrise.
“Se ti da’ così fastidio vedermi ti basta attraversare la strada, prometto che non ti correrò dietro.”
C’era qualcosa di strano, in quel sorriso: era freddo e distante, acre e maturo, quasi dissonante su quel viso giovane, ma l’uomo non vi fece caso.
“E’ la prima volta che ti vedo qui. Sei nuovo?”
Una brevissima pausa e un movimento lieve, elegante, quasi impercettibile, di tutto il corpo: qualcosa di pulito e misurato e, insieme, terribilmente sensuale. Spaventosamente intossicante.
“Sì.”
L’uomo sollevò una mano a sfiorargli il viso, curioso.
“Ma quanti anni hai?– un ghigno – Sei così morbido..”
“Non credo tu abbia bisogno di sapere altro, oltre a quello che vedi. – gli si avvicinò di un passo, sfiorò il bacino dell’uomo con un fianco, continuando a sorridere – O mi sbaglio?”
Pietro sentì bene l’uomo contro di sé tremare mentre gli passava un dito sulle labbra.
“Quanto vuoi? ”
Si allontanò di un passo, scivolando sotto la luce opaca del lampione che tagliava di sbieco la curva del marciapiede. Dall’altra parte della strada occhieggiavano le insegne colorate di una tavola calda e poco più lontano quelle di un motel.
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Logan premette di nuovo l’acceleratore. La macchina rombò, nervosa, un ringhio troppo alto per quel motore, mentre divorava l’asfalto sotto le ruote.
Quando l’avesse trovato gli avrebbe strappato la pelle dalla schiena a furia di cinghiate.
Come aveva osato quel piccolo lurido arrogante? Solo perché era il figlio del capo, il cucciolo di quello che sganciava la grana, non poteva permettersi di trattarlo così!
Nessuno lì aveva ancora capito che doveva essere ringraziato per ogni respiro sprecato in quella dannata missione? Non era un babysitter e non aveva neppure nessuna velleità in quel senso! Con quello là, poi!
Alla fine, poi, ci si era pure abituato, a quel rompiballe sempre fra i piedi!
Silenzioso, freddo, sempre in movimento ma senza fare eccessivo rumore. Così sottile, così elegante.
Quando ce l’aveva avuto di fronte, la prima volta, aveva sentito cadergli il mondo addosso. Il capo gli aveva ordinato di addestrare suo figlio, ma nessuno gli aveva detto che si sarebbe trattato di uno scricciolo simile! Eppure già allora quello sguardo, quel viso, non mostrava nulla di fragile o di cedevole: era sfrontato e duro, deciso, testardo. Puzzava di arroganza a chilometri di distanza, forse di supponenza, ed era inesperto, inutile.
Però erano passati mesi.. dannazione: quasi un anno!
Un anno: a Pietro non era mai importato nulla di quello che doveva imparare. Non gli piaceva, sicuramente non era ciò che amava fare, ma lo faceva comunque, e senza lamentarsi mai, senza tirarsi indietro, cocciuto e determinato come aveva imparato fosse. Non gli importava di fare fatica, di essere ferito, dei suoi rimproveri, gli importava solo fare ciò che doveva, e ottenere ciò che si pretendeva da lui. Sembrava che nulla potesse toccarlo, se non la sua stessa insofferenza nel raggiungere un obbiettivo che non era il suo, non era voluto e desiderato per se stesso, ma per..
Era sembrato da subito un ragazzo difficile, eppure all’addestramento era stato docile. Sembrava che ne andasse della sua vita, della sua anima, e molto spesso non ascoltava affatto il suo corpo: le prime settimane doveva obbligarlo a fermarsi o si sarebbe spaccato qualcosa, dentro.
Ecco, no: in quello non era mai stato docile. Lo guardava come se considerasse il riposo un crimine, e non riusciva a comprendere che il corpo andava conosciuto ed ascoltato, che correre sempre, spesso, non portava da nessuna parte, e che bisognava rispettarsi prima di poter pretendere il rispetto di chiunque altro. Ma obbediva: Pietro sapeva obbedire alla perfezione, fino al punto, forse, di rinnegare se stesso.
Non gli aveva mai domandato il perché di tanto zelo, ma aveva saputo da subito che, di sicuro, Pietro non stava cercando che il rispetto di una persona sola.
Pietro sapeva di solitudine e abbandono fin dalla prima occhiata e su questo, Logan sapeva, il suo istinto non si poteva sbagliare.
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Scivolare fuori da quei pochi stracci che aveva addosso era facile.
Si ricordava bene quando farlo significava semplicemente che era terminata una giornata, che si poteva spogliare della fatica, della sofferenza fisica, permettersi di ascoltare i muscoli duri urlare dalla fatica, e arrendersi alla stanchezza. Raggomitolarsi sul tappeto e guardare il nulla e pensare, e sentirsi bene e leggero, in pace, perché era tutto a posto, perché sarebbe andato tutto bene, perché sarebbe migliorato, e sarebbe stato forte, e avrebbe ancora faticato, e sudato e pianto ma sarebbe stato l’indomani.
Il presente: solo un pacato fermarsi, udire, ascoltare, solo socchiudere gli occhi e sciogliersi.
Abbandonarsi.
Perdersi.
Dissolversi: corpo e coscienza che diventavano niente, e cadere, e sorridere, e sentirsi come una canna leggera che si pieghi, frusciando, alla prima brezza di vento. E la sua brezza era una mano, il cui tocco era uno sguardo, un desiderio.
Durante il giorno poteva esserci di tutto: dolore, violenza, artigli che ferivano semplicemente a vederli, ma quando si raggomitolava su quel tappeto il mondo era completamente differente.
E allora spogliarsi era semplice e bello. Si sentiva come una farfalla che uscisse dal proprio rigido involucro. E si sentiva, pure, bello ed attraente. Splendido.
Lui lo desiderava, e questo sembrava significare ogni cosa.
Prima cosa c’era stato?
Non lo ricordava. Sapeva del freddo che s’era portato dentro, dei silenzi. Sua sorella: un corpo tiepido accanto al quale stringersi la notte, le sua braccia gentili, le sue mani leggere che gli asciugavano gli occhi secchi, le sue labbra che gli sussurravano tutto quello che avrebbe sempre voluto possedere ma che non era per lui, e null’altro.
Wanda: c’era stata solo lei, prima. L’unica persona del suo universo, se persone erano coloro che davano affetto, vicinanza, tepore, un sorriso, qualcosa. E poi c’era stato, unico, forte, pesante, implacabile, un desiderio inappagato, un bisogno frustrato, un perenne no, un mostrare via via obiettivi sempre più in alto, sempre più oltre le sue possibilità, e vivere era un campo di battaglia, dove arrancare per ogni metro di terreno conquistato che non bastava mai. Perché raggiunta la meta c’era da vincere la battaglia, e vinta la battaglia c’era la guerra, da combattere. E la guerra aveva mille fronti e Pietro si domandava se sarebbe mai davvero finita.
Sempre e solo: no.
Poteva solo stringere i denti ed andare avanti. Sempre avanti. Non c’era nessun posto a cui ritornare, nulla da rimpiangere. Quel poco che aveva era lì, con lui, e doveva occuparsi di proteggerlo. Non poteva concedersi il lusso di fermarsi, piegando le ginocchia e chiudere gli occhi, piegare il capo, ed aspettare ciò che sarebbe arrivato.
Magari, forse, Wanda, e il desiderio di uno sguardo che desiderava sentire addosso, che non accusasse, per una volta, che non disprezzasse. Per una volta solo uno sguardo.
Quando anche quel poco gli era stato tolto era stato certo sarebbe morto, ma il cuore non era un meccanismo tanto fragile quanto si diceva, e così Pietro s’era trovato a dover essere da solo, per un’altra battaglia, l’ennesima. Un fronte nuovo, straniero, mai conosciuto.
Avrebbe imparato.
Aveva imparato.
Ora era stanco.
Scivolare fuori dai propri abiti era semplice, più difficile era rimetterseli addosso, dopo.. dopo quello.
L’uomo si voltò nel letto, soffocando uno sbadiglio.
“Posso usare la doccia prima di andare?”
Pietro allungò una mano e l’acqua iniziò a scrosciare. Odiava quell’odore. Quel sapore, poi, gli faceva venire la nausea, ma aveva poco tempo, doveva andarsene.
Chiuse gli occhi.
Quell’uomo, di là, gli aveva detto che aveva un figlio della sua età, a casa. Da qualche parte.
Un figlio, una famiglia, una casa con un giardino, e lui: il padre perfetto che quando torna a casa passa tutto il suo tempo libero a stare con i suoi bambini, ad aiutare la moglie, ad andare a trovare i parenti, a..
Scappare: quello era facile, a fare quello era bravissimo. Era veloce, una delle sue doti migliori, come gli aveva insegnato Logan.
E Logan lo sapeva: era il migliore in tutto quel che faceva, anche nell’addestrare uno come lui.
Indossò la maglietta sulla pelle ancora bagnata.
Riuscì a riprendere a respirare solo quando la porta della stanza si chiuse con uno schianto alle sue spalle.
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Era veloce. Ovvio. Era il suo potere.
Logan aveva mai immaginato un potere più stupido?
Si era dovuto ricredere.
Pietro poteva diventare bravo a combattere, solo avrebbe dovuto imparare una tecnica sua: non sarebbe mai stato particolarmente forte, o potente, ma era leggero. Se avesse avuto la pazienza necessaria avrebbe potuto imparare a muoversi in un bosco facendo meno rumore che uno scoiattolo
Ed era veloce, anche quando si obbligava ad andare piano.
Ed era bello.
Dannatamente bello.
L’aveva pensato fin dalla prima volta in cui l’aveva visto: era un ragazzino, quasi maggiorenne, vero, ma troppo giovane comunque. E poi era acerbo, insulso, e fragile.
Già.
A molti, però, quel miscuglio di qualità potevano piacere. Lui doveva addestrarlo a combattere, a uccidere, ad infiltrarsi, ad affrontare qualsiasi situazione che la sua futura professione di terrorista internazionale gli avrebbe potuto mettere di fronte? Bene: sapersi vendere era fondamentale.
E Pietro era davvero bello. Forse troppo scontroso, troppo chiuso, ma su quello si poteva lavorare. Era stato Logan a renderlo consapevole del suo corpo, dei suoi movimenti, dei suoi sguardi, era stato Logan a spiegargli come funzionava il desiderio, e anche se Pietro era molto più portato a uccidere che non ad affascinare, aveva imparato pure quello.
E bene.
Troppo bene.
Logan sapeva che non era stato Pietro.
Sapeva di essersi accorto di desiderarlo quando era troppo tardi, ed aveva semplicemente allungato una mano, l’aveva toccato, l’aveva accarezzato, dopo l’ennesima giornata di addestramento e fatica, di sudore, e di un corpo bianco e madido che ansimava appena nell’aria umida del pomeriggio, la schiena lucida e tesa, e i suoi movimenti sempre più raffinati, sempre più perfetti, che sapevano portare la morte con una grazia tale che, se non fosse stato osceno, sembrava elevasse un’atrocità a livello d’arte.
L’aveva toccato, e quella volta Pietro non aveva creduto quando gli aveva detto che non era addestramento, ma solo desiderio; eppure si era piegato, aveva ceduto.
Logan non si era più fermato, da allora, e Pietro.. Pietro aveva cominciato a sorridere. A lui: solo a lui.
Perduti, soli, chiusi in quel mondo unico ed intangibile in cui lui viveva da tempo e in cui Pietro era stato spedito contro la sua volontà: il ragazzo, per una settimana, tutte le sere era venuto a bussare alla porta della sua stanza, domandandogli se potesse dormire con lui. Dopo una settimana di sì, si era semplicemente limitato a prendere l’abitudine a scivolare sotto le sue coperte in silenzio, e aspettare.
Nient’altro che le notti: i giorni erano sempre uguali, ripetizioni ed addestramento, duro, spietato, doloroso. Ma quando il sole calava il tempo era tutto per loro, era solo per loro. Logan si domandava quanto doveva essere stato cieco per non essersi accorto, prima, di quanto quel corpo lo turbasse, quando trovasse attraente anche solo guardarlo dormire, mentre gli dava la schiena, e la curva della spina dorsale si stemperava leggermente nell’oscurità della notte, le gambe appena piegate, il capo appoggiato nell’incavo del braccio.
Chi diceva che cedere a un desiderio era come cadere non capiva un accidente. Soddisfare un desiderio era essere più leggeri, era bello, semplicemente, totalmente appagante, e Pietro era quello, con la notte, solo per loro, e il silenzio, e il suo fiato a respirargli vicino. Non importava a nessuno dei due quanto sarebbe durato perché il tempo era una costruzione vuota di senso, l’importante era quello che vivevano.
Ed era tutto quello che avevano, entrambi, ed era.. finito. Era stato lui a farlo finire.
Un obbiettivo differente, una vendetta eterna da portare a termine, e il desiderio di altre cose. E una stupida indifferenza da sfoggiare con il cucciolo.
Pietro, per una volta, per la prima volta, non aveva obbedito. Non aveva aspettato, non aveva chiesto spiegazioni, non era tornato da suo padre. Era sparito.
Via: come la nebbia che svanisce senza un rumore, che è lì fino ad un attimo prima e poi il sole è luminoso e caldo, e forte.
Fatti di suo padre: ecco cosa aveva pensato. Di certo qualcuno si sarebbe occupato di quel ragazzino che, come uno stupido, scappava di casa di fronte alla prima contrarietà! Non erano fatti suoi, non erano cose che lo riguardavano!
E Logan, mentre pensava a quelle cose, aveva sentito il ricordo della consistenza di quella pelle morbida sotto le dita, il gioco sottile dei muscoli che tremavano a ritmo con la voce sempre soffocata, sempre bassa, e il fiato che cambiava cadenza al primo sfiorarsi, e quegli occhi luminosi che si chiudevano sempre, velandosi, come se ci fosse qualcosa di imbarazzante nell’abbandonarsi al piacere guardandolo in faccia.
Pietro che gli si stringeva accanto, in silenzio, senza domandare, senza chiedere, senza niente che non fosse immobilità e silenzio.
Un cucciolo: lo chiamava così.
Cucciolo.
E Pietro gli sorrideva, chiudeva gli occhi, piegava appena il collo e si lasciava scivolare accanto a lui, il più vicino possibile senza toccarlo.
Un cucciolo duro, spietato. Grande.
Già grande: puzzava di morte, sapeva uccidere e l’aveva già fatto, il sangue non era un affare strano per lui, e il fatto che gli macchiasse le mani non causava nessuno stupore. Se esisteva qualcosa che potesse ferirlo di certo non era la violenza perché era cresciuto in mezzo ad essa, era abituato e da essa sapeva come difendersi. Dalle carezze no.
Era adulto più di tanti che aveva incontrato nella sua lunga vita, eppure era indifeso, inesperto.
Ed era suo.
Suo!
Dannazione: non di chissà chi, non di suo padre o di quella sua stupida organizzazione, non di altri! Solo e semplicemente suo.
Se.. il freno scivolò sull’asfalto tiepido. Logan conosceva quell’odore: scendere dall’abitacolo ed essere sicuro della traccia fu un tutt’uno. Una cittadina schifosa sul margine di un nulla difficile da reggere: perché Pietro s’era ficcato in un posto simile? Però era stato bravo, lo stava inseguendo da tanto e non si era ancora fatto trovare anche se stava sempre ben attento a non usare i suoi poteri. In effetti erano, i suoi, solamente scrupoli inutili ma era comunque bravo.
Ora però il gioco era terminato.
Lo riconobbe subito. Il suo odore, la sua figura sottile, il modo che aveva, arrogante, di guardare chi aveva di fronte, uno uomo, uno sconosciuto, dritto negli occhi, quel cenno brusco col capo quando diceva, ed intendeva davvero, ‘no’.
Anche a Pietro bastò osservarlo da lontano per sapere chi fosse, ma non era uno che sarebbe scappato in quel modo di fronte a lui.
E poi: quell’uomo che era con lui gli prese il viso obbligandolo a voltarsi, per dirgli.. qualcosa.
A Logan non importava nulla di quello che era successo fino ad un attimo prima, delle promesse, dei patti, delle parole: ora, lì, di fronte a lui, Pietro era suo.
E non ci potevano stare mani su di lui, non si poteva toccare quella pelle, non si poteva neppure guardarlo senza fargli un torto!
Logan ringhiò, furioso, lo sguardo appannato da una cortina rossa e il cuore che tremava dall’ira repressa: lo avrebbe ucciso lì, su quello schifo di marciapiede, lo avrebbe sbudellato anche per molto meno e non sapeva se avrebbe avuto abbastanza lucidità per inventarsi una punizione bastante per quello che stava facendo.
Toccava il suo Pietro.
E se non ci fosse stato Pietro l’avrebbe fatto: avrebbe estratto i suoi artigli e glieli avrebbe infilati nel cuore, a quel.. ma il cucciolo era di fronte a lui, le mani sulle mani, e lo guardava.
“No, ti prego, no.”
Pietro doveva riuscire a percepire, sui palmi, la punta degli artigli che premevano appena oltre le nocche. Lo sentiva e li conosceva bene, sapeva che erano letali eppure non ne aveva paura, neppure dopo averlo colpito lasciandogli quei quattro solchi sull’addome, regalandogli una cicatrice che non sarebbe mai scomparsa.
Il segno insanguinato che era suo.
Pietro lo guardava trattenendo il fiato e quell’uomo, a un passo da loro, inveiva ma non si avvicinava come se stesse cogliendo una strana sensazione di allarme: Logan quasi sorrise a pensare che doveva la vita al suo cucciolo e non l’avrebbe mai saputo.
Lo lasciò andare.
E Pietro continuava a guardarlo.
Avrebbe dovuto domandargli molte cose, troppe. E poi Logan odiava i cuccioli, gli dava fastidio essere rallentato e impacciato dalla presenza di persone inesperte di cui doversi preoccupare, ma Pietro non domandava nulla, non pretendeva, non pregava. Lo guardava e basta. Senza chiedere permesso, senza aspettare, senza sapere se poteva farlo o no. Piccolo testardo odioso arrogante..
Pietro..
“Sei mio.”
Un ringhio affannato, rabbia, un movimento violento, rapido al quale Pietro si lasciò piegare: mani fra i capelli a sollevare il capo, ad esporre la gola, e le labbra.. a quelle labbra morbide, socchiuse, fu imposto un bacio, ed un altro, profondo, affamato.
Denti a mordere e lingua a violare.
Lo spinse indietro, contro un muro e gli si premette contro. Quel corpo sottile contro il suo era tutto quello che desiderava, quella pelle chiara sotto le dita, il suo odore, il suo sapore, il suono della sua voce, l’orgasmo che sapeva strappargli.
Niente domande, niente richieste, niente spiegazioni. Niente.
Solo il suo corpo, perché di esso aveva fame. Adorava le sue gambe, così nervose. La pelle sottile del suo collo, profumata e morbida, che si segnava subito, al primo morso. Il modo in cui riusciva, sinuoso, a muoversi fra le sue braccia. E, dio, il suo culo! Meraviglioso, duro, perfetto..
“Lo-”
Labbra sulle labbra, di nuovo, a farlo stare zitto, mentre lo spogliava e i pantaloni gli cadevano sul suolo di quel vicolo scuro.
“Taci! – di nuovo un ringhio, gli sollevò una gamba e lo penetrò brusco, violento. Lo vide ondeggiare appena, boccheggiando – Cos’è, ti lasci scopare da qualunque schifoso umano che passa e non da me? Hai paura che io non ti paghi?”
Un qualcosa che sembrava un gemito sottile di dolore, le palpebre che si abbassarono mentre gli si aggrappò alle spalle. Niente altro se non i movimenti di Logan, poi, nessun’altra parola, nessun rifiuto, nessun movimento che non fosse a ritmo di quelli dell’uomo.
Pietro era suo: morbido, delizioso, perfetto. Lo accoglieva come se, semplicemente, fosse fatto per lui, come se non avesse altro scopo nella vita, come un fodero con la sua propria spada.
Era suo.
Bellissimo, delizioso, quando gli sorrideva e quando l’odiava, quando lo faceva godere e quando non gli strappava che sangue. Sempre delizioso. Sfamava la belva che era in lui, la rendeva sazia, appagata.
Era suo.
Completamente, totalmente suo.
Logan gli morse, di nuovo, il collo, lo sentì tremare un poco, un lieve, pallido tentativo di scappare, qualcosa di inconsistente ed eccitante. Sapeva che stava piangendo, era quello che voleva: fargli male, punirlo.
Perché era suo e non poteva scappare in quel modo, perché non poteva disobbedirgli, non poteva andarsene.
Così stretto, così buono, così dolce, così.. il movimento divenne più brusco, più violento, ancora. Pietro gemette mentre le dita affondavano nella carne, e Logan si lasciò strappare il fiato dalla gola dall’orgasmo.
Per una manciata di secondi si permise di non udire nulla, di non pensare a nulla, di lasciare solo che il piacere gli scivolasse fuori dalle vene e dai pensieri, poi ci fu una carezza: una mano a sfiorargli quel collo bianco, la spalla, il fianco, un braccio per abbracciarlo, stringerlo, baciarlo.
Un bacio: per una volta dolce, gentile. Era un cucciolo, non si doveva spaventarlo troppo o sarebbe scappato di nuovo. E Logan non voleva che scappasse: era suo.
“Vestiti. Andiamo a casa.”
Le labbra di Pietro tremarono appena, forse obbligandosi a dire qualcosa, ma da esse non uscì neppure un suono. L’unico rumore fra di loro fu la stoffa che scivolava frusciando sulla pelle, movimenti brevi, secchi che per un attimo lasciarono lampeggiare l’immagine di quattro ferite vecchie e candide sulla pelle tesa di quell’addome giovane.
Artigli addosso, sulla pelle, nella carne.
Sangue: ce n’era stato tanto. Ma Logan era un assassino e Pietro lo sarebbe diventato presto. Forse lo era già. Forse..
“Perché sei venuto? Non era colpa tua, mio padre non ti avrebbe accusato di nulla.”
“Perché sei mio.”
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