Ci sei solo tu

parte II

di Sei-chan



- Che ore saranno adesso in Giappone?- si chiese Taro nervosamente, senza nascondere un brivido. Notte fredda e tensione. Abbastanza per morire congelato. Sapeva che i salmoni risalivano la corrente dei fiumi. Il suo sangue non riusciva neanche ad arrivare alle estremità del suo corpo.

La verità era che ere teso come una corda di violino. “Una chiacchierata informale” aveva detto quel tizio. Subito dopo aver detto “Sono un fotografo e scrivo per un giornale on-line, vorrei farti qualche domanda”. E lui come faceva a rimanere rilassato?

 

- Ciao, tu sei Taro Misaki, non è vero? Lo studente giapponese-.

Taro gli aveva lanciato un’occhiata di fuoco.

- No, sono Alain Delon- avrebbe voluto avere la presenza di spirito per rispondergli così. Paesotto del sud della Francia, diecimila abitanti, unica persona con tratti orientali, cosa gli domanda? “Sei tu il giapponese?” Ma tutto questo gli era venuto in mente dopo.

- Sì, sono io-. Aveva detto con un filo di voce, spiazzato, come un uccellino impaurito. Persona umana, non orco, luccicava una lucina nel suo cervello. Ma la domanda “Sei tu il giapponese?” sembrava aprire la strada per un bel cazzotto sul naso. Troppi film americani? Può darsi.

L’altro aveva già detto qualcosa. Che tempismo!

- Che cosa?- chiese Taro, temendo di sembrare il solito straniero inebetito.

- Scusa, ti ho detto che mi chiamo Jeoffrey Mertens, sono un fotografo free-lance e lavoro per “Next things”-.

Un locale notturno? Una produzione televisiva? Un giornale?

- Un giornale on-line che si occupa dei nuovo talenti sportivi disseminati nel nostro paese-.

Sorriso perfetto sulle labbra. Niente può scalfire la sua tranquillità.

- Non lo conosco-.

Neanche questo.

L’altro rise.

- Non sei l’unico, temo! Preferirei non conoscerlo neanche io per quello che mi danno. Comunque, ti va?-

- Che cosa?-

- Qualche domanda, senza nessuna pressione. Una chiacchierata informale-.

- Oh, io…-

Il giornalista tirò fuori dalla borsa un pezzetto di carta e scrisse qualcosa.

- Ecco, il posto è questo, alle 20.30 ti va bene oppure facciamo un’altra ora?-

- No, credo che vada bene…-

- Meglio, dato che le spese le paga la redazione ti invito in un posto decente. Sai, lavoriamo in una specie di bunker per terremotati, non è tanto carino… che cosa preferisci? Conosco un ristorante che fa delle specialità giapponesi… o preferisci la cucina francese?-

Taro si stava chiedendo da quali fori prendesse l’ossigeno dato che pareva non respirare, e continuava a sorridere mentre parlava, ma proprio a sorridere, sembra impossibile ma era così.

- Be’… dato che sono in Francia, direi francese-.

- Perfetto! Ti ho scritto qui posto e indirizzo, e il mio cellulare se ci fossero problemi. Allora a dopo, ciao!-

Gli aveva teso la mano. Taro l’aveva stretta con qualche titubanza e poi l’altro se ne era andato.

Che strana sensazione… si sentiva sconvolto dal modo iperveloce in cui tutto era successo, era leggermente stordito. Perché, poi? Non era che un’intervista, dopotutto… sì, ma non aveva mai fatto un’intervi-sta in vita sua, poteva essere quello che lo metteva in agitazione?

Jeoffrey Mertens salì sulla sua macchina sorridendo. La giornata era risolta. Forse qualcosa di più. Si guardò nello specchietto retrovisore con compiacimento. Bellissimo…

 

Come doveva prepararsi? Non ne aveva la minima idea… doveva vestirsi elegante o casual? In che genere di posto l’avrebbe portato? Si sarebbe sentito a disagio in cravatta in una bettola tanto quanto in scarpe da tennis in un posto di classe.

Suo padre era a casa. Idea, domandare a lui. Con vari gruppi di finanziatori ed estimatori aveva girato metà dei ristoranti della zona.

- Papà, conosci questo posto?- chiese mostrandogli il biglietto.

- Sì, certo, è poco fuori, devi prendere la…-

- Sì, scusa, che genere di posto è? Voglio dire, come ci si deve vestire?-

- Perché? Ci devi andare?-

Taro sospirò e gli raccontò la storia del giornalista.

- A dire il vero non lo so, non ci sono mai stato- disse suo padre con rassegnazione. In quel momento squillò il telefono.

-Taro, è per te. Jeoffrey Mertens!- suo padre sembrava compiaciuto.

- Sì, pronto?-

- Scusami, mi ero scordato di dirti che non c’è bisogno che ti metti in ghingheri… è un posto alla buona, a dopo!- e riattaccò il telefono.

- A dopo…- mormorò Taro a nessuno, poi riappese. Meno male, non si sarebbe sentito al suo posto fra damerini di classe…

Si fece una doccia, poi cercò qualcosa “alla mano” ma abbastanza decente da farlo sentire a suo agio. Non era facile… in Giappone, fra i suoi amici, era una cosa… ma anche andare in classe per lui in quel periodo era un problema… rimpiangeva le uniformi giapponesi, così pratiche e poco impegnative!…

Scelse una felpa azzurra abbastanza elegante. L’azzurro gli stava bene, e i risvolti della camicia che uscivano dal collo e dai polsini davano un bel tocco. Pantaloni di velluto nero… giudicò che andava bene.

Voleva fare buona impressione, soprattutto se doveva essere fotografato. Non gli piaceva essere trasandato in fotografia. Alle 20 chiamò un taxi. Non aveva idea che bastassero cinque minuti per arrivarci…

Rimase venti minuti fuori, al freddo. Era già primavera ma la sera era ancora freschetto. Aveva chie­sto dentro ma non c’era un tavolo prenotato a nome “Mertens”, il nome del giornale non se lo ricordava, e gli toccò rimanere fuori. L’atrio era pienissimo di gente senza prenotazione che aspettava un tavolo libero, e lui si sentiva già abbastanza intimidito. Finalmente dal parcheggio vide uscire Jeoffrey Mertens che lo beccò immediatamente.

- Ciao, sono in orario? È molto che aspetti?-

- No…- rispose Taro con un filo di voce.

- Entriamo, dai- Jeoffrey fece strada e Taro scoprì che aveva effettivamente prenotato col nome del giornale. Il cameriere che li accompagnò al tavolo era lo stesso che si era mostrato molto infastidito dal fatto che il nome che aveva chiesta Taro non c’era nella lista. Taro aveva voglia di fargli una bella linguaccia, ma non gli sembrava il caso. Il locale era immerso in una penombra non troppo profonda; ma non c’era quell’illuminazione diretta e fastidiosa che c’era in altri locali.

Taro diede una scorsa al menu.

- Hai deciso?- gli chiese Jeoffrey quando il cameriere si avvicinò. Era arrivato subito perché non c’era molta gente ancora; nonostante la folla all’ingresso, i tavoli erano tutti prenotati.

- Ehm, non lo so…-

Jeoffrey gli consigliò qualcosa, e Taro lo lasciò ordinare. Sembrava compiaciuto mentre sceglieva dal menu.

Taro riuscì a distendersi un attimo quando il cameriere si fu allontanato.

- Ehm, scusa…- lo richiamò Jeoffrey.

- Sì?-

- Ehm… come ti devo chiamare? Ho letto che voi giapponesi…-

- Be’… chiamami come vuoi… Taro è OK-

- Ah, allora tu mi puoi chiamare Jeff…-

- Allora, Jeff… dimmi un po’, non dovremmo fare quell’intervista?-

- Oh, non c’è fretta… prima godiamoci la cena… ho davvero molta fame-.

La cena però tardava ad arrivare, e la conversazione languiva.

- Sai, finora avevo intervistato un cestista rumeno e uno sciatore italiano, sai, nessun orientale…-

- Ehm…-

- Però parli bene francese, sai?-

- Qualche anno fa c’ero già venuto, in Francia, sai, per via degli affari di mio padreDa piccolo ho girato il mondo con mio padre, e poi ho girato tanto anche in Giappone… il francese l’avevo già imparato in Belgio-.

- Ah, e tuo padre che cosa fa?- Jeff si sistemò meglio sulla sedia, rilassato. Finalmente aveva trovato uno spunto di conversazione. Gli riempì il bicchiere del vino rosso della casa con discrezione.

- E’ un artista… un pittore cioè-.

- E viaggia molto?-

Taro bevve un lungo sorso d’acqua dal bicchiere più grande. Non notò l’espressione contrariata di Jeff.

- Be’, lui crede che siano già abbastanza quelli che hanno dipinto il monte Fuji…-

- Ah, ho letto che è il monte più dipinto…-

- Sì, è vero…-

- A me sarebbe piaciuto fare il pittore…ehm… ma non so affatto disegnare!-

Taro rise e si distese un po’. Allungò ancora la mano verso l’acqua.

- Ehi, non berrai acqua per tutta la sera! Prova il vino, lo fanno qui, è davvero fresco… e ottimo-.

Taro bevve il vino.

- Hai ragione, è buonissimo…- non che se ne intendesse. - Allora, mi stavi dicendo?-

- Già, avrei voluto fare l’artista, ma non c’era talento… sai, come quelli che vogliono fare i cantanti e sono stonati come una campana…-

- Be’, con un po’ d’impegno ci si corregge… si può imparare benissimo, se uno ha davvero voglia…-

Jeff era arrossito leggermente. Taro l’aveva detto con noncuranza, tanto per dire, ma poteva anche sembrare una frecciatina personale. Lo guardò meglio. No, era troppo timido per dirlo, soprattutto ad uno sconosciuto.

- Ah, grazie!-

Intanto era arrivata la prima portata.

- Mi scusi, ci potrebbe portare un’altra bottiglia di vino? No, niente acqua, non importa-.

Taro avrebbe voluto dire al cameriere di portare dell’altra acqua, ma Jeff l’aveva preceduto, non sarebbe stato carino rimbeccarlo a quel modo.

Per un po’, mangiarono in silenzio.

- Allora, che ne dici?- gli chiese Jeff ad un certo punto.

Taro sorrise, con la bocca piena. Bevve un sorso di vino, - e Jeff gli riempì di nuovo il bicchiere- poi deglutì.

- Oh, è ottimo, non l’avevo mai provato… è una specialità di qui?-

- Di tutto il Sud della Francia. Scusa, da quanto sei qui? È un po’ strano che non l’abbia mai mangiato…-

- Be’, in genere sono a casa da solo e faccio qualcosa di semplice… oppure ordino in rosticceria!!-

- E’ un vero peccato che tu stia sempre a casa da solo! A questo potremmo rimediare…-

- Come?- Taro arrossì rapidamente, imbarazzato. Bevve un lungo sorso di vino e svuotò il bicchiere. Sembrava che Jeff non lo perdesse mai di vista, e infatti immediatamente glielo riempì di nuovo. Mentre era di nuovo impegnato con il suo piatto, Taro ebbe modo di osservarlo: era un fighetto, non aveva un filo fuori posto ma doveva essere anche molto sicuro di sé; una cosa era certa: era molto carino e anche sexy… ma che cosa sto pensando? Taro sentì un brivido scendergli lungo la schiena e sperò che l’altro non se ne accorgesse… sperava anche che non si accorgesse che stava facendo apprezzamenti su di lui… si agitò sulla sedia: se ne era reso conto da un pezzo, che i ragazzi non lo lasciavano indifferente, ma non gli sarebbe piaciuto scoprirsi troppo. Jeff alzò gli occhi e lo sorprese a guardarlo. Taro per poco non cadde a terra. Bevve.

- Ehi, vedo che fai onore alla cantina… mi fa piacere, io per questo vino vado pazzo!- sollevò il bicchiere sorridendo, ma si bagnò soltanto le labbra, tanto per salvare la forma. Taro si sentì girare un po’ la testa. Non se ne rendeva conto, ma non avevano ancora finito il primo e lui già era un po’ brillo.

- E’ perfetto con l’arrosto, vedrai… quando arriva il secondo te ne accorgerai-.

La sala attorno a loro si era riempita. Coppiette.

Taro prese un bel respiro, sentiva caldo.

- Comincia a far caldo, o mi sbaglio?- disse Jeff, come leggendogli nel pensiero. Si alzò e si tolse la giacca del completo, di taglio molto alla moda; sotto aveva una magliettina nera aderente che gli stava molto bene. - Ah, così respiro, va molto meglio-.

Frugò nella tasca e ne tirò fuori un registratore minuscolo. Controllò la cassetta e poi lo posò in mezzo a loro.

- Preferisci che facciamo senza?- chiese poi a Taro, che fissava l’oggetto come se non l’avesse mai visto.

- No, no, non importa…- rispose questi, imbarazzatissimo. Fino all’arrivo del secondo Jeff gli fece domande molto serie sul suo sport e sulla sua vita di giocatore.

- Quando hai cominciato? Mi è sembrato di capire che hai viaggiato molto… come hai fatto ad appassionarti?-

- Be’, credo che sia stato proprio perché ho viaggiato fin da piccolo che mi piace il calcio… giocando sono sempre riuscito a farmi degli amici in tutti i posti dove sono andato…-

- Allora diresti che giocare ti ha aiutato a socializzare…-

- Be’, sì… e anche a non sentirmi isolato ogni volta che andavo in un posto nuovo…-

- Ho sentito che alcuni talent scout di squadre francesi ti hanno contattato… che cosa mi dici?-

- Sì, cioè… ecco, per ora mi hanno solo contattato, ma non so se… ehm, non è che c’è qualcosa di deciso, io non sono…-

- Vuoi dire che stai valutando le offerte?-

- No, ehm… io preferirei… preferirei tornare in Giappone, non vorrei legarmi ad una squadra…-

- Ah, hai nostalgia?- rise Jeff

Taro arrossì.

- Ehm, insomma, ecco…-

- Dai, non ti volevo mettere in imbarazzo! Quindi preferisci non dare nessuna risposta definitiva?-

- Mi piacerebbe giocare da professionista, ma be’, i miei amici…-

- Giocano in Giappone, naturale… hai in programma di ripartire presto?-

- A sentire mio padre, ci fermeremo almeno qualche altro mese, ma non si sa mai…-

- Bene… vuoi che scriva qualcosa di particolare nell’articolo? C’è qualcosa di speciale che vuoi dire?-

- No, non credo…-

- Bene. Quando l’avrò scritto, se vuoi te ne manderò una copia prima, così lo puoi leggere, ok?-

- Ok, ehm… hai già finito? Io… non pensavo…-

- Be’, mi spiace, ma l’articolo non dev’essere molto lungo… mi sarebbe piaciuto intervistarti più a fondo…- Jeff lo guardò con uno sguardo strano. Uno con più esperienza di Taro l’avrebbe capito al volo; ci stava provando.

Di nuovo, per darsi un contegno, Taro svuotò il bicchiere. Non rimase vuoto a lungo.

- Lo so, ti chiedo scusa, ma in effetti è un giornale con pochi mezzi… anche per questo pubblichiamo on-line, e per necessità non possiamo permetterci molti articoli di una certa lunghezza…-

- Capisco… comunque deve essere un lavoro interessante… conosci molta…-

- Ne farei volentieri a meno, se trovassi qualcosa di meglio…-

Portarono il secondo. Taro tacque, fingendo di essere impegnato con la carne e l’insalata. In realtà era imbarazzatissimo, e cominciava a temere gli effetti del vino. Il silenzio durò poco.

- Sai, io sono un fotografo, o almeno mi piacerebbe, vorrei fare altri lavori, ma purtroppo… questo lavoro mi permette di fare comunque fotografie e di restare nell’ambiente-.

- Che… che genere di fotografie fai?-

- Be’…- Jeff fece una pausa, e lo guardò con uno strano sorriso, di sottecchi. - Ho lavorato per alcune riviste… diciamo, di un certo genere… te le farò vedere, magari, più tardi-.

Taro non capiva. Aveva la mente annebbiata dal vino, ma sembrava che ci fosse qualcosa che doveva sapere e invece non sapeva… ma che cosa? Lo guardò con uno sguardo interrogativo.

- Delle foto particolari… per riviste gay!- Jeff si era sporto verso di lui per sussurrarglielo, divertito. Taro cercò di darsi un contegno giocando col bicchiere, e sperò di non essere arrossito.

- E… pagano bene?- disse con voce insolitamente stridula, la prima cosa che gli venne in mente.

- Be’, dipende-. Jeff attese che Taro gli facesse la domanda successiva guardandolo disinvoltamente negli occhi. Era evidente che l’imbarazzo con cui Taro invece cercava di evitare il suo sguardo lo compiaceva molto.

- Da… da che cosa?- Che razza di situazione! Taro non vedeva l’ora di scappare, ma…

- Dipende… dalla bravura del fotografo… e dalla sua serietà. Io, modestamente, sono molto bravo-. Sembrava pavoneggiarsi, ansioso di ottenere su Taro un effetto che questi non si aspettava… forse di stimolare la sua curiosità…

- E… non serio?- Jeff sorrise. Dalla voce di Taro aveva capito che ormai era più che brillo. I suoi occhi erano vaghi e sembrava che si sforzasse per seguirlo.

- Sono considerato molto serio. Non sono uno di quelli che infastidisce… che salta addosso ai modelli. In genere- aggiunse a bassa voce, e comunque fuori dalla portata di Taro.

Questi diventò rosso come un pomodoro. Svuotò d’un fiato il bicchiere, anche se non avrebbe dovuto. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ci riuscì. Per fortuna, pensò Jeff, se no forse mi avrebbe impedito di riempigli di nuovo il bicchiere.

- Che cosa c’è? Ti stupisce? Io di te l’ho capito immediatamente-.

Un altro, unico sorso di vino impedì a Taro di spaventarsi troppo per le parole di Jeff. No, lui non aveva nemmeno immaginato che Jeff potesse avere strane tendenze… strane, ma comunque uguali a quelle che aveva lui. E credeva di non essere così trasparente nemmeno lui. Cercò di alzarsi in piedi, ma aveva le gambe molli. Che intenzioni aveva Jeff?

- Cre…do sia ora di andare… andare a casa- articolò con difficoltà.

- E perché? Non abbiamo ancora preso il dolce… ehi, non essere così diffidente, ti ho detto che sono un tipo serio… e poi non è il caso di mettersi così in imbarazzo!-

A Taro non andava di essere preso in giro, ma sembrava che quel tizio per tutta la sera avesse provato a farlo.

- Non sono… imbarazzato-.

- E allora finiamo la cena come si deve, non mi sembra il caso di entrare in crisi per un po’ di sincerità! Siamo entrambi gay, ma è… un caso-.

Un caso a cui ho dato una forte mano, e che spero di forzare un altro po’, questa sera. Altrimenti non mi divertirei!

Il dolce fece rilassare un po’ Taro, perché dopo se ne sarebbero andati e finalmente sarebbe ritornato a casa. Jeff non gli permise di guardare il conto e lo sorresse mentre uscivano.

- Hai la nausea?- gli chiese mentre andavano al parcheggio.

- Mi… mi gira la testa-.

- Non ti preoccupare… ora sali-.

Taro non riconobbe il posto dove Jeff fermò la macchina. Non era casa sua.

- Do… dove siamo?-

- A casa mia. Non volevi vedere le mie foto?-

Tecnicamente Taro non l’aveva mai detto, ma Jeff sperava nel fatto che non se lo ricordasse. A dire il vero, Taro cercò debolmente di ribellarsi, ma l’altro non ebbe difficoltà a farlo entrare fin dentro il suo appartamento.

- Dai, siediti, ti do qualcosa per la sbronza-.

Il divano era nero, ma forse era per la penombra in cui era immersa la stanza. Era meglio così, perché già le luci in strada gli avevano dato fastidio.

Jeff gli porse un bicchiere.

- Dai, bevi, fidati. Non è una droga e nemmeno un veleno… è acqua e limone!-

Taro bevve. - De… devo andare in bagno-.

- Vieni, da questa parte-. Jeff ce lo accompagnò, e, mentre lui era dentro, riempì il bicchiere con altra limonata e poi prese qualcosa di nero dal suo studio, e lo nascose fra i cuscini del divano.

- Ti senti meglio?- Taro annuì. - Ti va di fare qualche foto per me?-

Taro lo guardò stranito. E anche un po’ spaventato, visto il genere di foto che gli aveva detto di fare…

- No, forse hai ragione… non è proprio il caso, giusto? Tieni, bevi un altro po’-.

Mentre Taro prendeva il bicchiere, Jeff gli urtò “casualmente” la mano. Taro si versò quasi tutto sulla felpa.

- Oh, no, guarda che disastro… dai, toglila, prima che ti bagni anche tu…-

Jeff gli sfilò la felpa nonostante le sue opposizioni, e lui rimase a in camicia, leggermente inquieto.

- Allora, non hai proprio voglia di fare delle foto?- sussurrò Jeff avvicinandosi ben oltre la distanza di sicurezza. Taro arrossì.

- Ehm, io… ma non troppo…-

- Bravissimo! Levati questa…- Jeff gli tirò via la camicia, con una certa impazienza. Mentre gli sfilava le maniche, Taro non se ne accorse in tempo, gli riunì le mani dietro la schiena e gliele legò, con la sciarpa di seta nera che aveva nascosto prima. Il ragazzo gridò scoprendo che aveva le mani intrappolate. Cercò di divincolarsi, ma il corpo di Jeff glielo impediva abilmente.

- Sta’ calmo… non agitarti!-

- No, per piacere, per piacere, lasciami!-

- Ehi, ma che cosa hai capito?- Jeff si alzò dal divano passandosi una mano fra i capelli. Poi sorrise. - Ti ho detto che sono un tipo serio…-

Andò in un’altra stanza, lasciando Taro sul divano, confuso ed impaurito.

- E poi sei anche un po’ brillo… non mi procuro avventure in questo modo…-

Aveva in mano la macchina fotografica, e sedette accanto a Taro sul divano per regolarla.

- Ti piace? È una macchina a cui sono affezionato… con lei ho fatto le mie foto migliori, sul serio…-

Jeff aveva un’espressione dolce sul viso, come se carezzasse un’amante, con amore infinito.

- E tu sei carino, davvero… dal primo momento che ti ho visto volevo farti qualche foto…-

- Dal primo…?-

- No, non fare strane ipotesi… non ti ho avvicinato con una scusa, ma dopo il nostro primo incontro non ho fatto che pensarci… Allora, andiamo di là-.

Jeff aiutò Taro ad alzarsi, recuperando i suoi vestiti. Lo portò in camera da letto. Taro si irrigidì.

- Dai! Ti ho detto che non ti salto addosso… anche se sei carino, lo sai. Non è un vero set, ma…-

Lo fece sedere sul letto. Accese le appliques sopra i comodini e controllò la luce.

- … ma può andare. Possiamo fare… qualche prova…- fece due o tre scatti. La luce del flash accecò Taro, e senza notarlo si ritrovò Jeff seduto accanto. Gli tolse le scarpe.

- Mettiti giù, così…-

- Ehi!- Taro cercò di allontanarlo agitando le gambe: gli stava sfilando i pantaloni, e lui non poteva neanche difendesi.

- Calmo…- mormorò Jeff piegandogli i pantaloni e mettendoli su una sedia col maglione e la camicia, poi le calze; ora Taro era rimasto solo con i boxer aderenti e si sentiva davvero terrorizzato.

- Mi sto stufando di ripetere che non ti faccio niente… se non vuoi- concluse piano girandogli le spalle.

- Che… che cosa devo fare?- disse Taro con un filo di voce. Avrebbe voluto piangere, aveva tanta paura di essere finito nelle mani di un maniaco, e stava cominciando a sentire freddo, anche se la stanza era ben riscaldata.

- Mettiti al centro del letto e stenditi di fianco… bravo, sei bellissimo…-

Taro chiuse gli occhi.

- Bravo, tieni gli occhi chiusi!-

Lo sentiva muoversi attorno al letto, e si spaventò spalancando gli occhi quando lo sentì saltare sopra il materasso.

- Ora girati sulla schiena… ora a destra… ora guardami-.

Jeff era sceso dal letto e gli stava inquadrando il viso da vicino.

- Jeff… smettila adesso, per…-

- Dai, ancora qualcuna… dai, ora guardami… no, guardami come se avessi appena fatto l’amore…-

Taro arrossì e distolse lo sguardo.

- Dai, non essere timido… pensa all’ultima volta che l’hai fatto!-

- Jeff, basta, ti prego-.

Jeff rise piano e posò la macchina. Si sedette sul letto e si sporse verso di lui.

- Non dirmi che non l’hai mai fatto! Oh… ho indovinato, vero?-

- Basta…- Taro stava per piangere, e Jeff non voleva. Non aveva mai voluto farlo star male!

- Ehi, tranquillo…-

Jeff gli baciò la fronte, tenendogli il viso fra le mani. Poi scese sulla guancia, e poi lo baciò sulle labbra. Taro cercò di tirarsi indietro. Jeff si staccò di lui e si tolse la maglia.

- Dai, calmati… rilassati-.

Il ragazzo ritornò sulle labbra di Taro, che cercò di lasciarsi andare davvero. Tanto, se Jeff voleva fargli del male non era opponendosi che l’avrebbe evitato… però si sentiva ancora in suo possesso perché non l’aveva slegato.

Il bacio fu dolce e molto lungo. Jeff non cercò di forzarlo ad aprire la bocca, ma alla fine Taro cedette e il fotografo gli accarezzò la lingua con la sua. Si avvicinò al suo corpo, Taro sentiva il suo calore contro il suo petto, contro il suo cuore che batteva all’impazzata. Poi si staccò dalle sue labbra e gli sorrise sinceramente. Gli accarezzò la gola tesa, il petto, scese fino i fianchi accarezzandoli piano e percorse la schiena fino a trovare i suoi polsi legati. Intrecciò le sue dita con quelle di Taro e lo baciò di nuovo, molto lentamente.

Taro si agitò, per trovare una posizione più comoda, e si ritrovò le mani libere. Si voltò sulla schiena e Jeff gli fu sopra, baciandolo possessivamente, stavolta. Taro gli afferrò le spalle, poi, smanioso di fare qualcosa, gli accarezzò il collo e la nuca, e mosse una gamba, piegandola fra quelle di Jeff. Se la ritrovò stretta da quelle dell’altro, che senza lasciarlo lo costrinse a sdraiarsi su un fianco, faccia a faccia con lui. Scese fino al fianco con la mano e l’infilò sotto i boxer.

- No, no, Jeff, basta…- gemette Taro.

- Stai tranquillo… non voglio arrivare fino in fondo, te lo prometto… e mi fermerò quando lo vorrai tu. Ok?-

- Che… che cosa mi vuoi fare?- mormorò Taro. Era riluttante ad andarsene, nonostante cercasse di dire il contrario.

- Niente che tu non voglia, davvero… niente che ti dispiacerebbe- avvicinò il suo bacino a quello di Taro, mentre la mano si spostava lentamente sul suo sedere. - Credimi-.

Taro sorrise e gli si avvicinò. Jeff lo baciò e continuò ad accarezzarlo sui glutei, mentre l’altro muoveva le gambe contro le sue. Aveva deciso di fidarsi, sebbene avesse ancora paura… ma non aveva voglia di dire basta.

-Dimmi, se vuoi che smetta…- mormorò con voce rauca Jeff, mentre spingeva giù i suoi boxer con entrambe le mani. Taro si sentì improvvisamente nudo e soprattutto fu consapevole della sua erezione, che sfiorava i pantaloni di Jeff. E si accorse che l’altro non era completamente nudo; teneva ancora i pantaloni, forse per ricordarsi che non voleva andare fino in fondo… però Taro vide il suo membro premere sulla stoffa, e anche Jeff ne era dolorosamente consapevole.

Gli sorrise. Ormai Taro stava fremendo, e sentiva che sarebbe venuto presto. Allungò una mano per accarezzarsi, ma Jeff gentilmente gliela scostò. Gli fece una carezza lui, molto più abile e piacevole, e Taro spalancò la bocca per gridare, ma non ci riuscì. Jeff affondò fra le sue labbra, un bacio molto più appassionato dei precedenti, poi abbandonò il suo viso e si spostò… molto più in basso. Taro sussultò al suo tocco sul suo sesso, muovendo il bacino così improvvisamente che Jeff fu preso alla sprovvista. Ma si riprese subito. Taro stringeva convulsamente le lenzuola mugolando per il piacere, e cominciando a spingere nella bocca di Jeff. Non avrebbe voluto, ma era impossibile trattenersi. Muoveva la testa a destra e a sinistra, e gli in-filò la mano fra i capelli, tirandoglieli con impazienza. Jeff si era inginocchiato e gli aveva fatto mettere le gambe sulle sue spalle, per poterlo guardare ed accarezzare completamente, e alla fine Taro non ce la fece più. Gli venne in bocca senza riuscire ad allontanarlo, e si sentì improvvisamente svuotato, come attraversato da una scarica elettrica che l’aveva distrutto. Jeff si tirò su e gli sorrise. Adesso anche per lui la faccenda era diventata urgente…

Guardò per un attimo Taro, con il suo sguardo stranito e quasi inebetito, e pensò che se fosse rimasto lì non sarebbe riuscito a mantenere la sua promessa; Taro stava per dire qualcosa, ma Jeff non si fermò ad ascoltarlo. Respirando il più a fondo possibile riuscì ad arrivare in bagno, lasciando l’altro addormentarsi da solo.

Quando uscì dal bagno, con addosso i pantaloni del pigiama, soddisfatto, ma forse non abbastanza, Taro già dormiva profondamente, steso su un fianco, ancora completamente nudo. Non era il momento per eccitarsi di nuovo; Jeff prese di nuovo la sua macchina e finì il rullino che aveva cominciato prima. Com’era carino… si stese nel letto accanto a lui, e tirò su il lenzuolo; restò per un po’ ad osservare la curva del suo corpo sotto la stoffa bianca, alzarsi regolarmente con il respiro, poi si girò dall’altra parte, per non essere tentato, e si mise a dormire anche lui. Chissà l’indomani come avrebbe reagito Taro…

 

Taro sentì la luce sul suo viso. Era caldo, il sole. Aprì gli occhi e dapprima non capì dove si trovava. Poi guardò nel letto accanto a lui e vide che non c’era nessuno: ma vide che Jeff stava aprendo le veneziane: era da lì che entrava la luce. Jeff era un po’ spettinato, con un asciugamano attorno alla vita, e sorrideva. Aveva di nuovo in mano la macchina.

- Ciao. Ben svegliato- gli disse.

Taro tacque. Lo guardò intensamente.

- Se ti va puoi fare una doccia. Vai pure, io l’ho già fatta-.

Forse era quello che ci voleva. Taro si accorse che per fortuna non sembrava che la sera prima avesse bevuto così tanto, però si sentiva strano lo stesso. Dentro gli si rimescolava tutto se pensava a quel che aveva fatto con Jeff e soprattutto a come era stato facile lasciarsi completamente andare.

Rimase a lungo sotto l’acqua perché non riusciva a cancellare le tracce delle sue carezze, e perché voleva schiarirsi le idee; se solo pensava a come l’aveva baciato, gli veniva un solo desiderio: baciarlo ancora.

Jeff estrasse il rullino finito dalla macchina fotografica, e lo allineò insieme agli altri che aveva scattato a Taro in quelle ore. Quando si era svegliato, non aveva resistito: gli aveva scattato tre pellicole di foto, non riusciva a fermarsi, aveva la sensazione che se avesse perso quel momento avrebbe perso un’occasione d’oro. Ora non vedeva l’ora di svilupparli; chissà se Taro lo avrebbe voluto rivedere, da lì in avanti…

Il ragazzo uscì dalla doccia indossando anche lui un asciugamano. Vide Jeff in camera da letto e arrossì, anche Jeff lo guardò: i capelli bagnati, le goccioline sul corpo… se gli avesse fatto altre foto non si sarebbe fermato più.

Taro cercò i suoi indumenti nella stanza.

- Vuoi che esca?- gli chiese Jeff.

- No… che senso avrebbe?- mormorò Taro, con voce incolore.

- Ehi, non fare così!- Jeff gli si sedette vicino. - Stai bene? Sinceramente-.

- Sì… sì, sto bene… va tutto bene-.

- Invece mi sembri abbattuto. Mi spiace se…-

- No, non c’entri-.

- Guarda che non mi offendo. Mi dispiace se menti per farmi contento… ieri sera non mi sono comportato da gentiluomo…-

- Senti… avevi già in programma tutto… questo quando mi hai invitato?-

- No, non è stata una manovra per portarti a letto… non tutta, a dire la verità. Cioè, di solito non… invito fuori a cena i miei… soggetti, ma quando ti ho visto… te l’ho detto, mi sei piaciuto subito. E a cena, be’, non sapevo come sarebbe andata a finire… quando ho visto che ci davi dentro col vino, lo confesso, ho pensato che avrei potuto, come dire, approfittarne un po’, ma in realtà… volevo farti delle foto… solo quando ti ho visto nel letto ho pensato di… insomma, che si potesse fare. Mi dispiace di averti ferito-.

- Non mi hai ferito… mi… mi è piaciuto, davvero, e poi… potevi farmi quello che volevi…-

Jeff annuì, sollevato.

- Ora sarà meglio che mi vesta anche io…-

Jeff si sfilò l’asciugamano, e Taro, prima di girarsi, indugiò ad osservargli il fondoschiena. Poi si girò di scatto, col viso di fuoco.

- Senti, ieri sera…- disse dopo un po’.

- Sì?-

- Sei andato in bagno… subito dopo…-

- Ah, ah... avevo un certo bisogno…-

- Perché non sei rimasto qui? Dopo quello che mi hai fatto…-

- No, ti avevo promesso che non sarei arrivato fino in fondo, e se mi fossi ritrovato nudo anche solo per un minuto, non so se ce l’avrei fatta-.

- Avevo pensato che… mi avresti…-

- Non ho mai costretto nessuno a fare l’amore con me. Non ne ho bisogno-.

Taro rise.

- Però mi avevi detto che non saltavi addosso ai modelli!-

- Tecnicamente tu non sei un modello. E poi in genere è vero… è colpa tua! Tu mi hai tentato, e io non ce l’ho fatta a resisterti-.

- Balle- disse Taro, infilandosi le scarpe. Si alzò e guardò il letto completamente sfatto. Però gli era piaciuto, per essere la prima notte con un’altra persona.

- Vieni, ti preparo la colazione. Che cosa preferisci?-

Taro alzò le spalle.

- Ti vanno dei croissant freschi? Se dai un’occhiata al caffelatte faccio un salto qui sotto-.

- Guarda che non è necessario…-

- Invece ti dico che ne vale la pena. Torno subito!-

Jeff aveva ragione. Erano i più buoni che avesse mai mangiato. A tavola si sentì molto più sollevato di quando si era alzato, l’atmosfera fra loro si era distesa, e Jeff non lo metteva più in imbarazzo… non come la sera prima, almeno.

- Ehi, scusa, non ti ho ancora fatto vedere qualcuna delle mie foto!-

- Non… non credo sia il momento- Taro non se la sentiva di vedere alti giovani corpi in pose sexy; non era pronto, non ancora.

- Oh… ok, scusa… ti riporto a casa?-

- Sì, credo che sia meglio-.

- Senti, se pensi sia il caso posso inventare una scusa per tuo padre. Potrei venire su con te e…-

- No, non fa niente… magari non è tornato, capita spesso, o magari non si è neanche accorto che non ci sono. Davvero, non preoccuparti-.

- Ok, ehm… senti, chiamami, ok? Se ti va di… di rivedermi-.

- D’accordo, io… fra un po’, magari, va bene?- Taro scese dalla macchina e si avvicinò al portone.

- Va bene, ciao. Aspetto la tua telefonata!-

- Certo- disse piano Taro entrando. In realtà non era sicuro né se voleva rivedere Jeff, e, in quel caso, se l’avrebbe richiamato oppure no. Da quando era sceso dalla macchina, anzi, da quando era uscito dall’appartamento di Jeff si sentiva confuso… era come se l’atmosfera sospesa della sera prima si fosse definitivamente dissolta, e lui fosse tornato alla realtà.

Aprì con le sue chiavi; il padre era in salotto a leggere.

- Ciao, papà-.

- Ciao! Non rientrerai adesso, spero!- Come aveva previsto: quando era ritornato non si era neanche accorto che non c’era.

- No. Sono uscito a fare due passi. Avevo voglia di un croissant- mentì.

- Naturalmente non ne hai portato uno anche per me, eh?-

- La prossima volta, ok?-

Taro si chiuse in camera. Chissà se ci sarebbe stata un’altra volta in cui avrebbe “mangiato croissant”.

Per tutta la settimana, quando cercava di chiamare Jeff, la paura lo assaliva. E se lui avesse solo voluto divertisti una notte? Non era uno sprovveduto come lui, l’aveva capito; e di certo non avrebbe aspettato i suoi capricci… magari in quel momento si era già dimenticato di lui. Che figura ci avrebbe fatto a chiamarlo? Soltanto quella di un ragazzino che non sa capire come vanno le cose… e poi, lui non si era mostrato divertito quando aveva scoperto che non l’aveva mai fatto? Anche quello era stato una dimostrazione della sua inesperienza, della sua inettitudine… davvero era tanto strano che a sedici anni fosse vergine? Però non si risolveva a formare quel maledetto numero. Non sapeva che Jeff sussultava ad ogni squillo del suo cellulare, pensando che fosse lui, e che rimaneva tremendamente deluso quando scopriva che non lo era. D’altra parte, aveva detto a Taro di chiamarlo quando se la sentiva, e non voleva assolutamente asfissiarlo, o metterlo in imbarazzo imponendoglisi mentre lui non voleva più saperne.

Dopo la prima settimana, ne passò un’altra. L’articolo ormai era pronto, e prima o poi Jeff doveva portarglielo. Aveva esaurito le scuse, ma non voleva farlo uscire prima di averlo fatto leggere a Taro. Si decise.

 

- Ehi, guarda quel tizio là- era la voce che girava fra i pochi spettatori sugli spalti e  anche in campo, fra i giocatori che si allenavano. Indicava un ragazzo con una macchina fotografica che sembrava scattare all’impazzata riprendendo tutti i giocatori. In realtà ne seguiva uno solo, che si spostava lungo il campo col pallone al piede. Era Taro; quando si accorse di quel che dicevano gli altri, ebbe un tuffo al cuore, e il pallone gli sfuggì, perdendosi lontano. Finse di darsi un contegno fino a quando l’allenatore non spedì tutti negli spogliatoi, allora respirò a fondo e si avvicinò al bordocampo, dicendosi che doveva farlo almeno per educazione.

- Ciao- gli disse, saltellando da un piede all’altro.

- Ti ho portato l’articolo da leggere-.

- Scusami se non ti ho chiamato-.

- Non preoccuparti, rispetto la tua decisione. Volevo solo darti l’articolo, dovrei pubblicarlo, e…-

Taro lo prese dalle sue mani.

- Chiamami appena puoi per dirmi se va bene, e… se non mi vuoi rivedere, non fa niente…- Jeff si girò per andarsene, senza che Taro riuscisse a pensare a qualcosa per trattenerlo, ma si voltò dopo pochi passi. - No, senti, non ce la faccio… perché… non vieni a bere qualcosa con me, quando finisci?-

- Non credo che accetterò ancora di bere con te!- disse Taro sorridendo, e anche Jeff rise. - Comunque d’accordo. Aspettami… faccio il prima possibile-.

- Credi che sia possibile entrare e farvi qualche foto nella doccia? Ok, stavo scherzando, ti aspetto qui-.

Taro cercò di prepararsi velocemente ma accuratamente; quando fu pronto ormai non c’era quasi più nessuno con lui, prese la borsa e corse fuori. Jeff era appoggiato alla sua macchina e giocherellava col cellulare, fingendo di essere a suo agio.

- Scusa il ritardo-.

- Fa niente. Sali?-

Viaggiarono in silenzio. Taro finse di essere impegnato con la cintura di sicurezza per scoraggiare la conversazione.

- Ehm, io…-

- Sì?- Jeff guidava molto tranquillamente, ma dentro di lui c’erano un sacco di emozioni che si agitavano: più di tutto aveva paura che Taro gli dicesse di non vedersi più: le foto che gli aveva fatto erano splendide, e voleva fargliene altre, e non solo quelle.

- Scusa se non ti ho chiamato-.

- Ti ho detto che non fa niente. Avevi il diritto di fare quello che ti sentivi-.

- Senti, io volevo, ma… non ne avevo il coraggio. Non… non mi fidavo-.

- Capisco… l’ho pensato anche io. Ma non è vero: non voglio solo portarti a letto-.

- Già. Mi vuoi anche fotografare, ho indovinato?-.

- Lasciami finire. Non voglio portarti a letto solo una volta… non una notte e via!-

Taro rabbrividì. Ma come faceva Jeff ad essere così diretto?

- E naturalmente voglio anche fotografarti… le tue foto si venderebbero benissimo-.

Taro tacque fino a che non scesero nel locale che aveva scelto Jeff; lui non c’era mai stato. C’erano delle luci blu alle pareti, con scritte pubblicitarie lampeggianti un po’ retrò.

- Che te ne pare? Ti piace?-

- Carino-.

Taro ordinò un succo di frutta e Jeff lo imitò.

- Dicevi sul serio riguardo al bere, allora?-

- Mai stato così serio-.

- Però… mi sembra che non sia andata a finire così male, no?- Jeff lo guardò, sornione e malizioso.

- Per te. Se fossi stato lucido avrei chiamato la polizia-.

- Come facevi? Ti avevo legato le mani!-

- Sì, e mi hai spaventato a morte…-

- Mi dispiace… avevi paura di chiamarmi? Guarda che non sono un maniaco…-

- Io non ci metterei la mano sul fuoco… potresti anche essere un serial killer-.

- Guarda che tu mi piaci. Non ti ucciderei se posso averti vivo-.

- Ti rendi conto che quello che dici non depone a tuo favore? E se adesso ti mandassi a quel paese?-

Jeff divenne serio. - Hai intenzione di farlo?-

- Era un’ipotesi… non lo so. No. Non credo, ecco-.

- Non avere scrupoli… dimmi in faccia la verità, lo preferisco-.

- La verità… la verità è che non ti ho chiamato prima perché non ero sicuro di volerlo, e quando sono stato sicuro credevo che ormai fosse passato troppo tempo…-

- Pensavi di cadere in prescrizione? Io non vedevo l’ora di vederti-. Jeff si avvicinò per dargli un bacio, e Taro non si tirò indietro.

- Anche io volevo rivederti- gli disse quando si separarono.

- Hai progetti per la cena?- gli chiese Jeff.

- Papà è fuori…- disse Taro, sorridendo.

- Bene…- sussurrò Jeff, accarezzandogli la gamba sotto al tavolo. Taro si sporse verso di lui e lo baciò di nuovo.

- Conosco un bel posto… ti fanno da mangiare in fretta e bene-.

- Perché, devi andare da qualche parte?- lo canzonò Taro, ma mangiare era l’ultima cosa con cui voleva perdere tempo.

Alle nove e mezza erano già nell’appartamento di Jeff. Appena chiuse la porta, questi afferrò Taro, baciandolo, e lo portò in camera da letto.

- Aspetta…- lo fermò Taro quando si trovò a petto nudo. - Fin dove hai intenzione di arrivare stasera?- gli chiese piano.

- Dove vuoi tu-.

- Io… non mi sento pronto per…-

- Non c’è problema- sorrise Jeff, ma nella sua voce Taro intuì una punta di delusione.

- Però non voglio che tu… te ne vada, stasera… devi venire qui, insieme a me-.

- Sarà un piacere- sussurrò Jeff mordendogli un orecchio. - In cambio…-

- Ho capito, vuoi delle foto, vero?- Taro rise piano quando Jeff andò a prendere la sua fedele macchina fotografica.

- No, non spogliarti ancora… sei sexyssimo con i jeans, sembri un… un…-

- Un ragazzo di vita? Attento a te!-

- Non volevo dire quello… va be’, pensa quello che vuoi!-

Jeff sembrava non volersi più fermare, e Taro si divertì più dell’altra sera. Innanzitutto non era legato, era un po’ più tranquillo e poteva disporre totalmente di se stesso… anche se Jeff gli fece provare tutte le combinazioni possibili dei suoi abiti: solo in pantaloni, solo in camicia, con entrambi, con la maglietta…

- Che ne farai di tutte queste foto, Jeff?- gli chiese Taro quando finalmente ebbero finito. Guardò l’orologio e vide che erano già le undici! Lui cominciava ad avere sonno.

- Non so. Se trovo qualcuno che le paga bene…-

- Come chi?-

- Non so… qualche rivista porno, qualche miliardario libidinoso, donne sole… non so-.

Jeff si sdraiò accanto a lui e gli impedì di parlare con un bacio. Da quel momento, non avevano più niente di ozioso da dirsi.

Taro si lasciò stendere sulla schiena, e aprì le gambe piegandole attorno ai fianchi di Jeff. All’improvviso si trovò nudo sotto il corpo nudo dell’altro, il sesso stretto dai loro corpi e quello di Jeff fra le gambe, talmente bollente e duro che non era possibile non desiderarlo. Lo toccò; Jeff gemette e spinse contro la sua mano; Taro piano piano si abbassò, strisciandogli sotto il petto, indugiando sui capezzoli e sul-l’ombelico, fino a prenderlo in bocca; voleva troppo rendergli il piacere che aveva provato lui la prima volta.

Jeff lo lasciò fare, sdraiandosi sulla schiena e alzando le mani fino a stringere i cuscini. In realtà voleva mettergli una mano sulla testa e spingerlo ad inghiottirlo tutto, ma si trattenne - non sarebbe stato gentile- e se lo godette finché non sentì il suo bacino cedere alle prime spinte. Allora si alzò e gli mise una mano sotto il mento, staccandolo da lui; gli diede un bacio e assaggiò il sapore della sua carne, poi con una mossa veloce lo spinse giù a sua volta e gli mordicchiò l’interno della coscia. Il membro di Taro era già eretto, ma quella carezza lo fece vibrare, come se stesse gridando, e Jeff lo leccò e lo baciò come aveva già fatto. Taro cercava di divincolarsi, ma Jeff lo tenne fermo, e alla fine il ragazzo cedette; di nuovo spinse convulsamente nella sua bocca, gemendo, e poi venne, costringendolo ad inghiottire il suo seme.

- Jeff, ma…- mormorò, ma Jeff fu sulle sue labbra e lo baciò, affondò la lingua nella sua bocca, quasi senza gentilezza, facendo assaggiare anche a lui il suo sapore. Poi si posizionò sopra di lui, a cavalcioni, non desiderando altro che penetrarlo fino in fondo e venire dentro di lui, ma gli aveva promesso che non l’avrebbe fatto… stava fremendo, si accarezzò e Taro piegò una gamba fra le sue, cercando di aiutarlo. Il ragazzo lo guardò intensamente, e allungò una mano, accarezzandogli una guancia… in quel momento Jeff venne con un grido, inondando l’addome e le cosce dell’altro del liquido, bollente ed improvviso, crollando sopra di lui.

Taro ansimò, sfinito e svuotato, con gli occhi chiusi. Si aspettava che il corpo dell’altro si alzasse da lui per andare a prendere quell’onnipresente macchina, ma quella volta Jeff non lo fece. Invece prese a leccargli e a mordicchiargli dolcemente il collo.

- Che fai?- disse Taro accarezzandogli dolcemente i capelli.

- Ti assaggio. Sei buonissimo- rispose Jeff, sul suo collo. Taro lo lasciò fare, ma dopo un po’ sentì che quella carezza si illanguidiva troppo. Gli allontanò la testa, accompagnandola sul cuscino accanto a lui.

- Perché non posso baciarti il collo? Sei un po’ freddo con me-.

Taro non rispose. La verità era che adesso voleva appoggiarsi lui sul suo petto. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal battito del suo cuore.

- Taro, sei sveglio?- chiese dopo un tempo interminabile Jeff.

- No- rispose l’altro un po’ seccato. Stava giusto giusto per addormentarsi. - Che c’è?-

- Niente, volevo solo sapere se stavi dormendo. Lo sai a cosa stavo pensando?-

- A cosa?- la sua voce era sempre più assonnata.

- Mi piacerebbe fare un bel bagno di schiuma, sai-.

- Mngh…-

- Sì, ma non credo di avere il bagnoschiuma…-

- Ma cosa stai dicendo? Perché non dormi?-

- Non ti va di fare due chiacchiere?-

- Mi andava due ore fa, quando mi stavi succhiando il collo…-

- Scusami. Ti faccio delle foto?-

- Provaci e non mi vedi più, te lo giuro-.

- D’accordo. Ehm, Taro?-

- Che c’è?-

- Non ti va, ehm, tu non hai sete? Ti va qualcosa da bere?-

Taro pensò che se Jeff si alzava e stava lontano abbastanza a lungo, forse sarebbe riuscito ad addormentarsi. Si stava innervosendo pericolosamente.

- Sì, berrei volentieri qualcosa… un latte caldo?- Se avesse dovuto scaldarlo ci sarebbe voluto di più.

- D’accordo, arrivo subito-.

- Fai con calma-.

Jeff si alzò. Taro non fece in tempo a risistemarsi sotto le coperte che si addormentò di botto. Dieci minuti dopo, quando Jeff tornò coi due bicchieri di latte caldo, lo trovò già bello che andato.

- Bastardo- disse dopo aver bevuto. Si rannicchiò accanto a lui e cercò di addormentarsi. Non ci riuscì per un bel pezzo, come non gli riusciva mai quando aveva accanto qualcuno che gli piaceva e con cui voleva stare il meglio possibile.

- Buongiorno- lo salutò Jeff non appena si tirò su nel letto. Era seduto lì accanto, giocherellando con l’immancabile macchina.

- Ti mancava troppo per lasciarla stare, vero?-

- Ti sbagli. L’ho presa in mano solo adesso-.

- Vuoi che ci creda?-

Jeff sbuffò. - Che senso ha comportarsi in modo esemplare se poi non si riceve il giusto premio?-

- Ah, sì? E quale sarebbe il giusto premio?- Taro lo guardò di sottecchi. - Questo, forse?- si tolse completamente il lenzuolo di dosso e rimase a guardarlo sorridente. Jeff non smise di fissarlo negli occhi.

- No, questo sarebbe il premio nel Paradiso Terrestre, credo. No, dai, copriti, o prenderai freddo-.

- Come mai ti piace tanto fare fotografie?-

- Sai, con questa… con questa riesco a vedere oltre alle maschere delle persone… riesco a capire che cos’hanno davvero dentro-.

Taro avrebbe riso, se non avesse capito che era una cosa estremamente seria.

- E così… smascheri le persone, così?-

- Già-.

- Smascheri anche me?-

- Tu sei troppo limpido per averne bisogno. Si vede tutto quello che pensi anche senza foto-.

- Non so se prenderlo come un complimento…-

- Lo è. Te lo giuro. Ah, ho preso i croissant per colazione. Gli stessi dell’altra volta-.

Taro si fece la doccia, poi mentre facevano colazione incartò un dolce per suo padre. Jeff rise quando gli disse il perché.

- Fatti sentire, stavolta- gli disse Jeff ridendo, mentre erano fermi sotto casa di Taro. Questi gli sfiorò le labbra con un bacio rapido.

- Stanne sicuro… e la prossima volta, ti prometto che…-

- Sst… non promettere cose di cui non sei sicuro!-

- Ma io sono sicuro…-

Jeff gli mise un dito sulle labbra. - E’ meglio non promettere che non mantenere una promessa. Fammi una sorpresa, ok?-

- D’accordo!!-

Taro salì le scale per il suo appartamento con uno spirito diverso dall’ultima volta. Ora non era più confuso, era contento e aveva voglia di fare l’amore con Jeff. Era innamorato… no, quello forse no. Forse non ancora.

- Non credo di amarlo- disse a se stesso mentre apriva la porta, ma la cosa non gli scatenava una crisi di coscienza come si era aspettato. Era una constatazione, e non lo faceva star male.

- Bentornato, papà!- Suo padre era rientrato circa mezz’ora dopo di lui. Taro pensò che era troppo anziano per fare le ore piccole a quel modo.

- Ciao, Taro. Sei di buon umore, vero?-

- Già. Ti ho portato un croissant-.

 

- Jeff? Ciao, sono Taro!-

- Ah, sentivo la tua mancanza! Erano due giorni che aspettavo la tua chiamata-.

- Vuoi sapere una cosa?-

- Spara-.

- Mio padre andrà in Italia per almeno un mese… deve fare una mostra e starà là…-

- E questo cosa significa?- la vece di Jeff era contenta e divertita.

- Niente più balle…-

- Un mese solo io e te… ci divertiremo un sacco!-

Erano già più di tre mesi, ormai, che Jeff e Taro si frequentavano. Si vedevano tutti i week-end e spesso anche durante la settimana, e non sempre era facile trovare le scuse per rabbonire suo padre… ormai Taro ne stava inventando sempre di più assurde, e l’uomo stava cominciando ad avere dei sospetti. Così avrebbero tirato il fiato.

Quando il taxi di suo padre partì, Taro trovò Jeff ad aspettarlo fuori sotto casa. Era un po’ troppo palese che voleva liberarsi dell’uomo per godersi Taro, letteralmente, giorno e notte?

Facevano l’amore, sempre, di giorno e di notte, con passione e furia oppure con tenerezza, dolcemente; Jeff faceva sempre le solite foto a Taro ma ormai lui si era abituato, e gli piaceva vederlo contento e anche come veniva in foto. Si trovava davvero molto bello.

Una volta Jeff gli aveva mostrato alcune foto che aveva fatto ai suoi modelli.

- E questi sono stati tutti tuoi innamorati?-

- Come?- Jeff era distratto, stava riponendo i rullini.

- Te li sei portati a letto tutti quanti?-

- Ah, no, non tutti… alcuni, lo confesso… i più carini- gli strizzò l’occhio.

- Ti sei innamorato di qualcuno?- riprese Taro dopo un po’, con una strana ombra nello sguardo.

Jeff sospirò. Era un discorso che avevano fatto pochi giorni prima, che aveva lasciato ad entrambi un peso nel cuore, sebbene entrambi cercassero di non farci caso.

Taro ci aveva pensato a lungo, e aveva capito che quello che provava per Jeff non era amore. Era affetto, tenerezza, passione, certo, gli piaceva vederlo e farlo contento, ma non era amore. Non provava quello che pensava di dover provare per la persona di cui era innamorato, insomma… non corrispondeva alla sua idea di amore. Sapeva di averlo pensato fin dall’inizio, che era una relazione naturalmente destinata ad esaurirsi. E gliene aveva parlato; voleva essere sicuro di non… di non ferirlo a morte, quando se ne sarebbe andato.

- E’ strano, sai, ci stavo pensando anche io, da un po’ di tempo… non volevo che ti innamorassi di me, e non sapevo come dirtelo… ci tengo a te, davvero, non volevo farti soffrire, Taro…-

Si era passato la mano fra i capelli, poi si era alzato dal letto e aveva cominciato a rivestirsi.

- Pensavi che mi fossi innamorato di te?-

- Ricordi cosa ti ho detto a proposito delle foto? Dai tuoi occhi, ho capito che cosa provi per me, ma… non sempre la testa e il cuore vanno dalla stessa parte… una volta, qualcuno… mi venne a dire che credeva di amarmi, ma… in realtà si era solo messo in testa che doveva necessariamente amarmi… per giustificarsi con se stesso-.

- Un tuo ex?-

- Già. Quando ci siamo lasciato, o meglio quando l’ho lasciato, gli ho spezzato il cuore, ma poi è ritornato a dirmelo… mi ha detto che l’aveva capito perché adesso amava davvero qualcun altro… aveva capito la differenza, e…-

- Tu non lo amavi?-

- Io tenevo a lui, mi piaceva stare con lui e anche che fosse contento, ma… non credo di essermi mai… mai innamorato sul serio-.

- Capisco-.

Anche Taro si era alzato, dalla parte opposta del letto.

- Ci sei rimasto male?-

- No, pensavo che ci saresti rimasto male tu-.

Poi Taro l’aveva guardato bene, e aveva colto la serietà, la gravità del suo volto, in quel momento. Forse era triste perché non era capace di amare davvero qualcuno… o forse perché non riusciva a non avere paura quando incontrava qualcuno che gli piaceva, perché non riusciva a non difendersi dai sentimenti più profondi.

Taro alzò gli occhi dalle foto, sentendo il sospiro di Jeff.

- Scusa. Non avrei dovuto fare questo discorso-.

- Non fa niente, non preoccuparti. E comunque sai la risposta, no?-

Taro annuì e raccolse le foto, per metterle via. Ormai trascorreva tutti i giorni insieme a Jeff, a casa sua. La scuola era finita da qualche settimana, suo padre era fuori da ben più di un mese, ormai, ma sarebbe tornato entro un paio di giorni, e…

- Sai, Jeff… domani o dopo dovrebbe tornare mio padre-.

- Oh… è finita la pacchia?-

- Già. Sai… mi ha chiamato, mi ha detto… che presto torneremo in Giappone-.

Jeff si irrigidì, ma Taro non se ne accorse.

- Presto? Presto quando?- chiese ostentando sicurezza.

- Una settimana- disse rudemente Taro.

- Dio…- mormorò Jeff, senza che l’altro lo sentisse.

- Mi dispiace dirtelo così, ma anche io l’ho appena saputo…-

Jeff sorrise tra sé. Sembrava così contrito, Taro, ma aveva gli occhi brillanti, era chiaro che non vedeva l’ora. Se l’avesse fotografato ora, guardando la foto avrebbe visto solo la gioia del suo sguardo, e non il dispiacere che fingeva di provare. Prese i rullini e si chiuse nella camera oscura. Rimase lì, seduto, per mezz’ora, al buio, con solo la luce rossa ad illuminarlo di sangue.

Certo, lo sapeva che Taro desiderava tanto ritornare in Giappone. Gliel’aveva detto mille volte, senza farci caso, e così si stava smentendo da solo. Avvertiva dentro di sé una sensazione strana… sapeva che sarebbe successo… ma sperava di potersi preparare meglio. Non poteva andare avanti per molto; presto sarebbe finita anche se Taro non fosse partito, ma… era abituato ad attraversare una crisi esasperante che gli faceva desiderare senz’altro la fine del rapporto. Non era pronto a lasciarlo; avevano ancora tante cose da fare, potevano ancora divertirsi in tanti modi… ma perché gli faceva così male? No, non era preparato, e non poteva prepararsi in così poco tempo… le parti si erano invertite: adesso era Taro che se ne andava lasciandolo solo, con l’anima in pezzi, solo che lui non avrebbe mai saputo che cosa c’era oltre il loro rapporto, perché non si sarebbe mai innamorato di nessuno. Riguardò le foto: Taro era contento, era bello, era sorridente; ma non lo amava. Perché questa volta invece di sollevarlo il pensiero lo uccideva?

- Jeff…-

- Jeff… sei lì dentro? Posso entrare?-

- Sto… sviluppando le foto… non aprire la porta-.

- Jeff, senti… io non… io ho pensato che non ho una foto tua…-

Jeff non rispose. Taro rimase appoggiato alla porta per sentire se diceva qualcosa, ma Jeff la aprì. Aveva un’espressione strana in volto.

- Lo sai che non mi piace farmi fotografare, no? No, è la mia ultima parola!-

- Uffa! Presuntuoso!-

- Ma senti chi parla!- Jeff gli saltò addosso baciandolo, lo spinse sul letto e cominciò a spogliarlo. Taro pensò a come era stato dolce la prima volta che avevano fatto l’amore, e quante sfumature di quella dolcezza aveva provato… e quante cose gli aveva dato Jeff… naturalmente dietro adeguato compenso.

 

Taro chiuse la valigia. Sarebbe partito l’indomani. Quella sarebbe stata l’ultima sera che avrebbe trascorso con Jeff. La sua stanza gli appariva spoglia, senza più niente di suo dentro. Il pensiero che era anche l’ultima volta che vedeva Jeff lo faceva star male. Insomma, quanto sedicenni come lui potevano dire di aver fatto le stesse cose di lui e di Jeff, per cinque splendidi mesi? Però voleva che quella serata fosse bella, un bel ricordo fra i tanti per entrambi. Ma naturalmente non poteva essere così.

Jeff aveva preparato una cenetta a lume di candela nel suo appartamento. Fu delizioso, carino come sempre, ma molto misurato. Forse aveva paura di lasciar trasparire troppo la sua sofferenza?

- Guarda che non sto andando in guerra…- disse Taro dopo un po’, a metà cena, visto che i silenzi stavano diventando sempre più lunghi e pesanti.

Jeff rise, finalmente, e lo guardò a lungo. Poi si alzò.

- Vieni-.

Portò Taro in camera da letto, e prese in mano la macchina fotografica. Lo inquadrò.

- Mettiti qui- gli disse. Continuò ad inquadrare, poi posò la macchina e raggiunse Taro. Il flash li colse vicini e abbracciati.

Prima di mangiare il dolce ne fecero a decine, di foto insieme. Taro si sentiva volare ad un metro da terra, sapeva come era reticente a questo riguardo Jeff, e gli fu gratissimo. Dopo il dolce, a letto, ne fecero altre, e altre ancora, ripresero i loro abbracci, i loro baci, con i vestiti e senza, e quando Taro si addormentò Jeff gli si stese accanto e, con gli occhi chiusi, fotografò anche il loro abbraccio nel sonno. Poi lo svegliò perché doveva andare a casa, per sistemare le ultime cose: l’aereo partiva alle 10.30; erano le due e non era mai successo che Taro andasse via così presto da casa sua. Nonostante quello che avevano finto di credere per tutta la sera, quella era davvero una serata anomala. Importante: l’ultima.

 

Taro e suo padre presero un taxi per arrivare all’aeroporto. Era presto e non c’era molta gente; ma verso le 10 l’aeroporto cominciò a riempirsi. C’erano varie persone che avevano prenotato sul loro volo, ma già non c’era più posto; Taro pensò che era una vera scocciatura.

- Che ne dici di cominciare a salire, Taro? Così ci accomodiamo-.

Taro annuì, un po’ abbattuto. Alla fine, quelle foto di Jeff non le aveva avute. Alzò gli occhi e lo vide, come apparso per magia, mentre guardava febbrilmente il tabellone.

- Vai pure papà, io devo andare un attimo in bagno…- e si dileguò. - Jeff! Jeff, sono qui!-

- Ciao! Pensavo… pensavo di non fare in tempo…-

Gli porse una busta. Taro l’aprì: dentro c’erano le loro foto. Lo abbracciò.

- Grazie! Sei stato in piedi tutta la notte per svilupparle?-

- No, non tutta… ma tanto non ho dormito lo stesso…-

- Sei un tesoro. Ti voglio bene, davvero…-

Jeff gli accarezzò il viso.

- Anche io. Sai, Taro, mi mancherai… mi mancheranno i tuoi strilli quando…-

- Smettila, stupido.. mancherai anche a me…-

Tacquero per un attimo. L’annunciatrice chiamò il volo di Taro. Poi Jeff riprese, sorridendo.

- Lo… lo sai, è buffo…-

- Che cosa? Che cosa, carino?-

- Sai, tutte le persone… gli uomini che stanno con me... dopo un po’… crescono, se ne vanno, volano via da me… sai, come se tutti… come se tutti maturassero, stando con me… tutti se ne vanno e cercano qualcosa di più, e lo vogliono, sai, proprio perché sono stati con me. L’unico… l’unico che non matura mai sono io. Tutti volano via, e l’unico senza ali resto io-.

L’aveva detto sorridendo, ma i suoi occhi luccicavano. Allora era vero che non era del tutto felice di non sapere come si faceva ad amare!

- Oh, Jeff… non è vero, sai, tu ce le hai, le ali, ma solo che…-

- … che non riesco a maturare abbastanza per andare via? Io…-

- Tu sei dolce, Jeff, sei buono e gentile… devi solo fare un passo, e andrà tutto bene… ora è meglio che mi sbrighi…-

- Taro… ti… ti voglio bene… forse… tu avresti potuto aiutarmi, se… se io te lo avessi permesso… avrei potuto amarti, davvero… se solo…-

- Se solo non avessi avuto sedici anni… forse avrei potuto capirti, e…-

Sentirono l’ultima chiamata dell’annunciatrice.

- Jeff, devo proprio andare, se no resto qui…-

- Vorrei trattenerti… Taro, mi scriverai? No, tanto so che non lo farai, comunque…-

- Perché, tu… tu lo faresti? Tu mi chiameresti?- Taro gli sorrise e gli prese la mano.

- No, no, credo… credo di no, hai ragione… Taro…- Gli avvicinò la mano al viso e lo baciò, dolcemente. Taro assaporò quel bacio come un tesoro segreto.

- Ciao Jeff… ti voglio bene… troverai qualcuno… che ti porterà via, te lo auguro…-

- Tu lo troverai di sicuro… addio, Taro… addio!-

Taro salì sull’aereo giusto in tempo. Riuscì a non piangere, e quella busta marrone che stringeva forte lo aiutò. Durante il decollo immaginò di vedere Jeff dietro al vetro della sala d’aspetto che lo salutava. Appoggiò la fronte al finestrino e chiuse gli occhi… finche l’aereo non si staccò da terra pensò che non era davvero finito tutto, ma ormai…

Alla fine, però, sorrise; stava tornado in Giappone; e di questo era felicissimo.

Tornava in Giappone!




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