Disclaimers: tutti i diritti sui personaggi appartengono
a Masami kurumada. La fic prende spunto dal fatto che Shaka è un uomo
tremendamente caparbio e che per quanto abbia fatto e detto, Ikki da solo non
sarebbe riuscito a scuoterlo se già da prima le sue convinzioni non fossero
state minate da qualcosa. La cerimonia che compare nella storia viene svolta
realmente e con le stesse modalità: si chiama Wesak e prende il nome dalla
vallata tibetana omonima. L’usanza di offrire tè caldo è tipicamente tibetana..
Ciò che scosse l’anima di un Buddha di Korin
Il rumore metallico, secco rimbalzò sulle pareti delle
montagne scendendo rapido lungo le valli e i passi, fino ad espandersi lieve
sugli altipiani. Il suono ritmico, incessante, non perse forza per giorni
eppure lungo le vie di pellegrinaggio, nei villaggi e nei monasteri nessuno
se ne sentì minacciato. Vennero intonate preghiere e accesi incensi in
ricordo delle leggende più antiche e segrete, in cui si narrava di come il
canto di campana delle montagne rivelasse l’esistenza di un mondo sconosciuto
e misterioso, scosso da battaglie terribili volte a mantenere intatto
l’equilibrio fragile della creazione.
*** Con cura, senza fretta, l’unico uomo al mondo in grado
di riallacciare il filo che legava la Terra alle stelle lucidò i suoi
attrezzi e li avvolse in un panno morbido, quindi scrutò con fare critico il
proprio lavoro; inclinò il capo per cogliere i mutamenti del riflesso della
luce sul metallo lucido, infine soffiò sulla superficie liscia dello scudo
smeraldino per disperdere un arabesco di polvere. Allungò le mani e ne poggiò
una su ciascuno dei due cloths. Chiuse gli occhi, traendo un respiro profondo
poi sorrise. Monaci, saggi, creature dell’invisibile…tutti in quei giorni
avevano assistito alla sua opera, attratti dal concentrarsi dell’energia universale
in un unico punto e ora che il suo compito era concluso ammiravano con lui la
meraviglia del suo fluire lento nel tornare alle sorgenti. Intonò un canto
antico di ringraziamento quindi sorrise di nuovo, inchinandosi e abbandonò la
sala per scendere al piano inferiore, dove riposava il ragazzo che aveva
avuto il coraggio di accettare il prezzo che gli aveva imposto. Shiryu era ancora stretto nell’abbraccio della morte,
tuttavia sembrava che quella stretta non volesse essere davvero letale. Si
sedette nel vano di una finestra e lasciò spaziare lo sguardo sulle cime che
emergevano dalla nebbia fitta; bianca, infinita, leggermente increspata dai
venti, spesso ai suoi occhi essa assumeva le forme dell’oceano che circondava
la terra in cui il suo popolo aveva vissuto millenni prima. Con gli occhi
chiusi e la coscienza allargata ne aveva esplorato ogni voluta, scendendo
lungo le lingue di ghiaccio, fino a vedere, lontano, nelle zone pianeggianti
dell’India, la luce d’oro di un suo pari. Si appoggiò alla parete con la
schiena, scuotendosi dal fascino della caligine candida. Shaka non avrebbe
potuto ignorare quanto era accaduto nemmeno volendolo ma forse non gli
avrebbe posto domande a riguardo. Sospirò appena e si massaggiò le tempie,
poi appoggiò il capo al muro e gettò un’occhiata al proprio ospite. Socchiuse
gli occhi appena arrossati dalla stanchezza. Lo spirito del Dragone portava
un estremo rispetto per colui che aveva conquistato la sua manifestazione
materiale e non appena era tornato ad animare il cloth che lo
rappresentava aveva cercato il suo
possessore per circondarne il corpo con il proprio potere e proteggerlo. Era da molto tempo che il Gold Saint non incontrava un
uomo tanto degno. Il ragazzo si mosse un poco e finalmente aprì gli occhi
quindi sbatté le palpebre più volte nel tentativo di mettere a fuoco la
figura che gli era accanto. Mu si sedette sul bordo del letto, chinandosi
appena su di lui. “Il cloth di Pegaso è già in viaggio. E’ vivo, come
quello del Dragone.” annunciò. Shiryu piegò leggermente
all’insù gli angoli della bocca. “Allora devo andare anch’io.” sussurrò. L’altro scosse la testa. Gli sollevò una mano per
mostrargli il polso senza cicatrici. “Ho guarito le tue ferite ma non ho potuto fare di
più…sei stato privo di conoscenza per giorni.” “A maggior ragione è tempo che vada.” “Potresti morirne.” Il Bronze Saint scrollò debolmente le spalle “Non importa… la mia vita non mi appartiene più da tempo.” “Tuttavia continuare a vivere è un atto di rispetto per
chi te ne ha fatto dono ed un’opportunità per saldare il tuo debito.” Shiryu sorrise di nuovo, sereno. “Non posso abbandonare i miei compagni.” Il Santo d’Oro si lasciò sfuggire un sospiro e gli poggiò
con gentilezza il polso sulla coperta. “Come desideri, ma ti chiedo di riposare ancora qualche
tempo.” L’ospite chiuse gli occhi, con un gesto d’assenso. “Chi sono quegli spettri?” mormorò poco dopo. “Uomini che non erano degni di arrivare a questo palazzo,
il Jamir non è un luogo sacro solo nella fantasia degli uomini; orgoglio ed
egoismo li incatenano qui ed essi si sono convinti di essere guardiani di
queste cime, indossando immagini che hanno creato loro stessi: i loro cloths
sono tornati dove erano in origine una volta tornati alla vita.” Si pentì appena di essersi espresso in quei termini. I
cloths non morivano nel vero senso della parola, ma potevano perdere il
legame che li univa alla Terra e il tramite per ricostruirlo doveva
necessariamente essere un umano. “I cloths scelgono le persone da cui lasciarsi
indossare.” continuò lento “Per esse, per amore o per disprezzo, possono
recidere il filo che li lega a questa dimensione terrena, a volte invece
abbandonano un Santo che non è più tale prima che diventi necessario un atto
tanto estremo.” Shiryu mosse leggermente il capo, annuendo. Non riusciva
a seguire appieno il discorso ma gli era grato per il suono della sua voce.
Si assopì qualche istante. Mu gli scostò i capelli dal viso, osservandone l’espressione
luminosa e si sentì sollevato. “Il piccolo…” sussurrò d’un tratto il Bronze. “Sì?” “E’ suo fratello?” “No…ma se lo
fosse nulla sarebbe diverso.” Inaspettatamente il ragazzo sorrise apertamente, con il
capo appena reclinato di lato. “Questo…è bello.” mormorò “Mi sarebbe piaciuto avere dei fratelli.” aggiunse,
prima di sprofondare ancora nel sonno Il Santo d’Oro corrugò la fronte perplesso, quindi
sospirò profondamente. Il fatto che il suo ospite fosse sopravvissuto aveva
già un che di miracoloso, non poteva pretendere che i suoi pensieri si
muovessero in modo coerente. Allungò la mano per sfiorargli il viso. Si sentiva
dispiaciuto per aver aspettato tanto a risanare le sue ferite; poiché veniva
da Goro Ho avrebbe dovuto fidarsi del giudizio del Vecchio Maestro, tuttavia
sapeva fin troppo bene che spesso le persone non erano come sembravano
essere. Deformò il viso in un’espressione dolorosa, quindi si coprì il viso
con una mano e poi schiacciò gli angoli degli occhi tra pollice e indice per
ricacciare le lacrime; il dolore per la perdita del proprio mentore lo
perseguitava con la stessa intensità del primo giorno e in quell’epoca
travagliata a volte accadeva che avesse la meglio sul suo autocontrollo in
apparenza inattaccabile. Si ravviò con un gesto stanco i capelli e si fermò
ancora ad osservare il viso del ragazzo. Gli strinse una mano con gentilezza
e forza. “Che Atena ti protegga.” mormorò *** I numerosi pellegrini riuniti nella valle formavano una
strana massa multicolore, in movimento perenne come un esercito di formiche e
altrettanto ordinata nel caos apparente. Mu non avvertì la presenza di
Aldebaran e se ne sentì turbato: il Santo del Toro risaliva sempre quelle
vette per festeggiare l’ingresso del sole tra le sue stelle. D’un tratto
avvertì un’altra presenza familiare al suo fianco. “Benvenuto.” disse, calmo. “A te.” Mu gettò appena un’occhiata all’uomo suo pari; anche
Shaka era presente ogni anno, con discrezione, accompagnato da pochi
discepoli che sapevano sempre quando la loro presenza sarebbe stata sgradita.
“Sembra che questa volta Aldebaran non ci onorerà con la
sua presenza.” Mu annuì, sospettoso. Il tono di voce del nuovo arrivato
sembrava presagire dell’altro e non dovette nemmeno sforzarsi per immaginare
cosa: gli avvenimenti degli ultimi tempi avevano cambiato in modo repentino
le carte in tavola, era pronto a scommettere che le cose si sarebbero mosse
molto in fretta da quel momento in poi. Si concentrò sull’inizio della
cerimonia e si immerse nel suo svolgimento, mettendo a tacere ogni altro
pensiero, isolandosi dalla percezione del suo vicino. Quando il rito si concluse e gli iris blu violaceo
riempirono la valle, anche il Santo della Vergine tornò a concentrarsi su chi
gli stava accanto, scoprendo dietro gli occhi chiusi il volto assorto e
sereno che ricordava. “Posso avere l’onore di ospitarti?” “Volentieri.” Tra sé Shaka si trovò a constatare che quella domanda e
la sua risposta ormai erano diventati la prosecuzione naturale della
cerimonia. Apprezzava quella gentilezza, anche se probabilmente era più
dettata dal rispetto della tradizione che non dal desiderio della sua
compagnia. Congedati i discepoli lo seguì fino al suo palazzo e come sempre
si soffermò qualche istante ad ammirarne la struttura bagnata dalla luce
della luna piena. Si accorse che il primo piano era stato pesantemente
danneggiato, tuttavia giudicò poco delicato indagare a riguardo. Mu lo accolse nella sala meno spartana del palazzo, in
cui vivendo ancora gli echi dell’antica civiltà da cui proveniva. L’ospite,
seduto nella sua consueta posizione, allungò le dita a sfiorare un perfetto
cristallo di quarzo. Il Gold dell’Ariete era piuttosto restio a parlare dei
suoi avi ormai remoti e in cuor suo non gliene faceva una colpa. In silenzio
accettò la ciotola d’argento colma di tè bollente. “Conosci il motivo per cui Aldebaran non è qui?” Mu, seduto di fronte a lui, si limitò a far oscillare il
contenitore metallico per cogliere le sfumature di colore del liquido. “Immagino che sia stato trattenuto da un motivo serio…
ma non è cosa che mi riguardi.” “E’ in Grecia, convocato dal Grande sacerdote.” Mu lo scrutò attentamente, corrugando appena la fronte. “Sembra grave.” commentò. “Sono stato convocato anch’io e per quanto ne so ogni
Gold Saint.” “Davvero?” Shaka aggrottò le sopracciglia, leggermente irritato.
Sembrava che le sue parole non lo toccassero per nulla, o ancor peggio, aveva
la netta impressione di non aver nulla di nuovo da riferire. “Vuoi farmi credere di non saperne nulla?” “Qui non è arrivata nessuna notizia.” Il Gold della Vergine sospirò pesantemente, stringendo
con forza la ciotola. “Vivi da sempre in un luogo impossibile da raggiungere e
nessun messaggero è mai tornato …ti rendi conto che questo… e il tuo atteggiamento… potrebbero farti
sembrare un traditore?” La sua voce, solitamente tranquilla, era colorata da
un’emozione profonda, quasi rabbiosa che lo aveva costretto a spezzare la
fluidità del suo discorso e del suo respiro. Mu piegò leggermente il capo di
lato, sorpreso e incuriosito da tanto
vigore. “Non lo sono, quindi non c’è nulla di cui mi debba
preoccupare.” rispose calmo. Il suo ospite poggiò con cautela la tazza ancora piena. “Ti ho sentito…hai lavorato a lungo a dei cloths qualche
giorno fa.” “E’ vero.” “Per chi?” Il Santo dell’Ariete scrollò le spalle. “Esistono ancora uomini degni.” L’altro chinò appena il capo. “Sì, immagino che sia così.” commentò, parlando quasi a
se stesso. Mu socchiuse gli occhi. I Saints dello stesso livello
avevano raramente contatti tra di loro e a maggior ragione la comunicazione
tra Santi di rango diverso era ancora più saltuaria, tuttavia la notizia della sconfitta dei Black prima e dei
Silver poi doveva essere arrivata alle orecchie di molti, insieme al fatto
che non aveva riparato alcunché per ordine del Tempio. “Cosa vuoi sapere?” chiese infine, stanco. “Mi risponderesti?.” Shaka puntò su di lui gli occhi, quasi a volerlo trafiggere con il suo sguardo
azzurro ma il suo pari non se ne sentì minacciato. Conosceva il pericolo che
rappresentavano le sue pupille, come del resto sapeva che erano un’arma sotto
il pieno controllo di chi la possedeva. “ Non riesco a capire ciò che fai né ciò che pensi.”
cominciò il Santo, la voce ridotta quasi ad un sibilo “Ti sei allontanato
dalla Grecia da anni, ignori deliberatamente l’autorità del Sacerdote, vivi
circondato da spiriti ancorati qui dalla falsa percezione che hanno di sé.”
strinse le labbra con forza, fino a sbiancarle “ Io so che non hai tradito…
ma ogni tua azione grida il contrario!” Per qualche istante la sua espressione rimase tesa
quindi sospirò, lieve, forse sconfitto. “E io non riesco a penetrare il tuo pensiero” concluse
amareggiato. Mu piegò all’insù gli angoli della bocca, in quel
sorriso magnificente che gli aveva visto sul viso la prima volta che lo aveva
incontrato. “E’ solo che tu, come tanti altri, concepisci un solo
modo per servire la Dea.” disse, con una nota di gentile comprensione nella
voce. “Una sola via?” Shaka aggrottò le sopracciglia, guardandolo con
sospetto. “Non ne esistono altre.” dichiarò lapidario. L’altro chinò appena il capo, il viso appena appannato
da una tristezza profonda. “Eppure i tuoi occhi possono vedere così lontano.” Il Gold della Vergine scosse il capo, irritato. “Anche ora…parli come un traditore, te ne accorgi?” Mu scrollò le spalle. “Sei libero di credere ciò che vuoi.” alzò lo sguardo,
incrociando il suo “Vuoi uccidermi?” L’altro Gold emise uno strano suono, simile ad ringhio. “Se sarà necessario.” ammise Si decise a bere un po’ di tè per distrarsi.
L’impassibilità di Mu di fronte alle accuse che gli stava rivolgendo lo
lasciava perplesso, perfino turbato, con l’impressione che non si sarebbe
liberato completamente dalla sensazione sconosciuta che gli dava la salda
convinzione del suo interlocutore. “Tornerai in Grecia?” chiese infine. “E’ giunto il tempo di farlo.” Impercettibilmente il viso dell’altro si distese. “Mi fa piacere sentirlo.” Il Santo dell’Ariete avvertì un brivido leggero
scendergli lungo la schiena. C’era qualcosa di inafferrabile nella sua voce,
che riusciva a scuoterlo profondamente. Shaka lo guardò negli occhi, di nuovo
sereno; terminò di bere il tè ormai tiepido quindi si alzò e andò alla
finestra. Le nubi erano basse quella notte e riflettevano la luce della luna
colmando le valli con immagini evanescenti di antichi ghiacciai. Sbatté le
ciglia e con un gesto distratto si asciugò l’angolo di un occhio tormentato
dalla brezza leggera ma tagliente. Mu sorrise tra sé. Il suo pari gli aveva
mostrato molto rispetto permettendogli di incrociare il suo sguardo in
un’occasione che non fosse una battaglia. L’ospite socchiuse gli occhi per
proteggerli dal vento. Decine di volte aveva ascoltato il suo ululare tra le
vette quando si concentrava sul bagliore dorato che percepiva scivolare sui
ghiacciai o che ritrovava nella memoria dell’acqua che scendeva dalle
montagne. Si morse leggermente il labbro inferiore. “Dovresti essere più cauto quando ti avventuri nella
nebbia.” disse. “Perché? Siamo
troppo vicini perché tu non ti accorga di me e io non ho nulla da
tacere né da rimproverarmi. Non c’è motivo per cui mi debba nascondere.” “Hm.” In quegli istanti il Saint della Vergine desiderò ardentemente
di non avere perso il controllo del proprio animo; aveva compreso da tempo che di ogni cosa al mondo non
avrebbe sopportato proprio il tradimento di Mu e si accorse di aver sperato
invano che la visita al palazzo scacciasse l’inquietudine sottile che
continuava a tormentarlo. Si voltò per scrutare di nuovo l’altro, quindi
trasse un respiro profondo e si mosse di un passo. “E’ ora che mi congedi.” Mu annuì e si alzò per accompagnarlo, rammaricandosi
della tensione fra loro. Era un sentimento dettato da una certa quota di
egoismo però, in tutta sincerità, scoprì di non vergognarsene. L’ospite nel
frattempo si era fermato di fronte a lui con l’espressione del viso
leggermente alterata: sembrava indeciso sul da farsi. Aggrottò le
sopracciglia, più irato con se stesso che altro, infine alzò la mano destra e
gli poggiò le dita sulla guancia, deformandone appena la curva morbida. Mu
non distolse lo sguardo, nemmeno quando la pressione aumentò leggermente e
sentì le unghie stuzzicargli la pelle del viso. Con cautela, lentamente,
toccò la spalla destra dell’altro. Non era così cieco da non riconoscere un
gesto che voleva esprimere tenerezza ma era disorientato dal fatto che il suo
pari si stesse esponendo tanto. Shaka sospirò, stanco e poggiò la fronte sulla
sua spalla, solo qualche istante, prima di sfiorargli il viso con le labbra e
poi ritrarsi per guardarlo di nuovo negli occhi, severo. Avvertì la pressione
sulla sua spalla aumentare lievemente e se ne sentì in parte rassicurato. Il
Gold dell’Ariete piegò all’insù gli angoli della bocca e si avvicinò un poco
a lui nel tentativo di uscire da quella situazione di stallo, ma anch’egli di
fatto esitò; si scrutarono a lungo, indecisi, infine Shaka si lasciò sfuggire
una risata nervosa, di scherno verso se stesso per la sua indecisione. Non
ritirò la mano solo perché le dita d’un tratto poggiate su di essa glielo
impedirono. Mu le fece scorrere fino al suo polso quindi, cauto, fino alla
spalla. Si sporsero uno verso l’altro, toccandosi appena le labbra socchiuse,
quindi si strinsero con forza assaporando la pienezza di ciò che avevano
scoperto. Rimasero allacciati per un tempo indefinito, carezzandosi
vicendevolmente le spalle e la schiena, immersi in una comunione
completamente distaccata dal desiderio. “Giuramelo.” mormorò infine Shaka “Giurami che non hai
tradito.” “Lo giuro, sì:”sussurrò di rimando l’altro. Godettero il calore di quel contatto ancora qualche
istante poi fu il Saint della Vergine a ritrarsi. “Ti aspetterò in Grecia.” Mu annuì e gli sfiorò il viso con le dita. “La verità può assumere il volto dell’inganno…e
viceversa.” Shaka scrollò le spalle. “La verità è una sola.” serrò le labbra “Io sono
disposto a crederti, ma ciò che è vero potrò vederlo solo alla fine di tutto
questo.” Mu annuì. Si scostò per lasciarlo passare e ne incrociò
l’ultimo sguardo prima che sparisse oltre la porta. Il cammino era
irrimediabilmente segnato, entrambi lo avrebbero percorso indipendentemente
dai loro desideri.
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