Nota 1: Chiedo perdono se è una fic triste. E' nata per dare sfogo ad un periodo un po' così...

e come ho già detto: "Talvolta è più efficace un racconto scritto in piena notte, di mille esorcismi e preghiere, per cacciare i nostri fantasmi..."

Nota 2: tra * * le parole o le frasi in corsivo. (i dialoghi silenziosi di Ru)

 

RINGRAZIAMENTI: A Micky, Hymeko, Naika, Shinta e Voce del Silenzio, perchè sono persone splendide.

A tutte le ragazze con cui ho avuto modo di interagire in ML. Siete speciali!



 


Cioccolato al latte & Cacao amaro

di Elyxyz


 

 A Gabriel Kaede,

 che esiste solo nel mio cuore, ma che io amo già, con tutta me stessa.

 E, ne sono certa, un giorno riusciremo ad incontrarci.

 

 

Attenzione: Autoconclusiva, genere yaoi, SS/PG triste.

 

 

POV Ru.

Lo osservo seduto qui, accanto a me, su questo enorme divano blue navy.

E registro ogni sfumatura, ogni sua espressione.

Ad occhio inesperto, tutto sembra assolutamente normale.

Ma non è così. Non per me.

Io che lo conosco bene, comprendo questi occhi che stanno brillando.

Estasi.

E’ quello che vi leggo.

Un desiderio proibito.

…e un amore incondizionato.

 

Dispensa raramente questo sguardo persino a me: solo nei momenti più importanti, più significativi, della nostra vita di coppia.

E io li ricordo gelosamente tutti: il giorno in cui mi si è dichiarato, la prima volta che abbiamo fatto l’amore, il giorno in cui gli ho sussurrato il mio “Ti amo”, il nostro primo anniversario insieme…

E oggi, Hanamichi lo sta regalando a lui. Come se, grazie a questo contatto, fosse entrato in possesso dei segreti dell’universo.

Come se davanti a sé avesse l’ottava meraviglia del mondo.

E anche se il mio Do’aho osserva di rado persino me con questa assoluta devozione, non ne sono geloso.

Ne sono triste.

Infinitamente triste.

Perché non posso essere io a donargli l’unica cosa che Hana vorrebbe davvero.

Per un attimo, il suo sguardo si incupisce. Solo io lo noto.

E ritorno col pensiero ad otto giorni fa. A quello stesso sguardo malinconico.

 

Flashback, otto giorni prima.

 

“Da che parte, Do’aho?”

“E che ne so?!- risponde lui, stranamente un po’ seccato- ma le volpi non hanno tutte un senso dell’orientamento molto sviluppato??!!”

“Idiota! Il cartello direzionale è davanti a te, non a me!”

Vedo il “Tensai” arrossire vistosamente, borbottando qualche imprecazione sulle pellicce di volpe…

Mi spazientisco a vederlo così, fermo impalato!

Ma cos’è?! Non sai più nemmeno leggere?!

Mi affianco a lui e lo vedo un po’ imbarazzato, ma che hai?!

“Gi..gi..gi..” balbetta lui. E io non resisto.

Dicono che le volpi abbiano uno strano senso dell’ironia…

“Maternità, Ostetricia e Ginecologia: in fondo a destra.”- leggo col mio solito tono pacato.-“Tranquillo, Do’aho! Non è qui che curano il tuo ginocchio, se ti duole ancora… andremo altrove a farti visitare”. E sorrido sotto i baffi, guardando le sue pupille dilatarsi e il viso fare concorrenza ai capelli.

“Baka Kitsune! Lo so da me! Solo che…”

“Solo che..?” lo incalzo io.

“Lascia stare, niente di importante” liquida lui, ma lo vedo rabbuiarsi.

 

Non me la conti giusta, Do’aho. Cosa c’è che non va?!

Sai che non puoi nascondermi niente… Sei un libro aperto, oramai, per me.

 

Lo strattono per la maglia e me lo tiro dietro.

“Se non ti muovi, terminerà l’orario delle visite.”

A questa parole, lui si riscuote e mi segue spontaneamente.

Ma non posso fare a meno di notare una certa riluttanza nel suo incedere.

E non è certo per il piccolissimo infortunio nella partita di ieri.

 

Varchiamo l’entrata di un reparto tutto infiocchettato e colorato con cartelloni, disegni e fiori.

E’ un bell’ambiente. Caldo e accogliente.

Sa di gioia, di allegria. Di vita.

Mentre controllo nella bacheca d’ingresso il numero della camera, noto di sfuggita che Hana si è tenuto ben lontano dalla vetrata della nursery.

Uno spiacevole ronzio si sta insinuando nella mia testa.

E non mi piace neanche un po’.

Lo chiamo e, assieme, entriamo nella stanza in fondo al corridoio. L’ultima a sinistra.

Miyagi ci accoglie con un sorriso a 48 denti e Hanamichi lo abbraccia affettuosamente.

Io gli tendo la mano, congratulandomi.

Poi mi giro verso Ayako, sdraiata tra le lenzuola candide.

Mi sorride, pallida. Stanca. Radiosa.

Nei suoi occhi scorgo una cosa meravigliosa: vedo orgoglio, debolezza e forza, una dolcezza e un coraggio incommensurabili.

A lei va il mio raro sorriso. Alla mia amica.

La mia unica amica.

“Vieni qui, Ru. Lasciati abbracciare.” mi invita lei.

“Ciao, mammina” le sussurro io, in un orecchio.

Solo lei deve sentire.

Solo lei.

Che mi stringe forte, ma quasi si aggrappa a me, per trovarne la forza.

Lei, che mi ha fatto da mamma tante volte. La nostra manager, la nostra carica, la nostra istigatrice, il nostro sostegno.

Ayako ha sempre avuto un rapporto particolare con ogni componente della squadra.

Ma per lei, io sono speciale.

Sono il suo fratellino mancato. Quello timido e introverso. Quello da proteggere e aiutare.

E lei è l’unica donna a cui va tutto il mio rispetto.

 

Il mio compagno interrompe i miei pensieri porgendo alla nostra ex manager un mazzo di rose che le abbiamo portato, e un completino per l’erede, sul quale io e l’idiota abbiamo litigato per mezz’ora, a causa dei gusti eclettici del “Tensai”.

Il suo sorriso materno ci riscalda l’anima, ma le sue parole sferzano Hana, cogliendolo impreparato.

“Tra cinque minuti chiudono le tendine della vetrata della nursery. Se volete vedere Rei, è meglio che ci andiate di corsa!”

Lui la guarda un po’ spaesato. E’incerto. Io annuisco e me lo trascino via, promettendo di passare a trovarli a casa loro.

Il peso di Hanamichi fa attrito sul pavimento.

Rallentando, mi giro e lo guardo negli occhi: “Se vuoi, ce ne andiamo subito, Do’aho. Non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo vederlo.” E faccio per imboccare l’uscita.

Lui sembra pensarci, incerto sul da farsi.

E io mi accorgo di aver dimenticato le chiavi sul letto di Ayako.

Gli dico che torno subito e ripercorro il corridoio a ritroso, verso la stanza.

Prendo di corsa il mazzo ed esco, salutandoli.

Poi, una visione mi blocca.

Vedo il mio Do’aho davanti alla nursery. Con le mani appoggiate al vetro. Lo sguardo fisso.

E’ talmente assorto, da non notare che mi sono avvicinato a lui.

Osservo il suo viso riflesso nel vetro.

E una stilettata colpisce il mio cuore.

Ora tutto mi è chiaro: la sua titubanza, il suo comportamento strano, il perché fosse arrossito guardando i cartelli, la ritrosia.

I suoi occhi vagano di culla in culla, leggendo i nomi, guardando le manine, i ditini, gli occhietti vispi o assonnati, i perfetti particolari di ognuno.

 

Il tuo corpo è qui. Ma la tua testa, in questo momento, dov’è?!

Il mio cuore sussurra che esiste un solo modo per farti capire che non sei solo, anche se il mio cervello mi ricorda che siamo in un luogo pubblico, e provocare commenti non gioverebbe di certo.

 

Lancio un’occhiata furtiva a destra e a sinistra. Non c’è nessuno. L’orario di visita è praticamente finito.

I visitatori sono già andati via.

Ma, sinceramente, non me ne fregherebbe un cazzo, in questo momento.

Voglio far capire al mio Do’aho che ci sono.

Ci sono io, con te.

E ‘fanculo tutto il resto.

 

Lo circondo da dietro, cogliendolo di sorpresa.

Sussulta per un attimo, poi si rilassa nel mio abbraccio, appoggiando la testa sulla mia spalla.

Le mie mani si allacciano sul suo torace, mentre le sue non si staccano dal vetro freddo.

Capisco che ha un bisogno disperato di questo contatto.

Il mio abbraccio caldo. E quel vetro freddo.

“E’ l’unico maschietto, vedi?” bisbiglia lui.

Ma la sua voce è roca. Trema.

Io annuisco. “ …E ha un nome importante. Deve portarlo con onore.”

“Rei: ‘Spirito, Anima’” conclude Hana, e io lo stringo un po’ più a me.

“E’ bellissimo, non trovi?!”

“Spero che diventi più alto di Miyagi, e meno manesco di Ayako…” cerco di farlo rilassare.

Lui sorride. Un po’ rasserenato.

E io sento che devo dirglielo adesso, altrimenti non ne avrò più l’occasione o forse non troverò più il coraggio.

E questa parentesi d’incertezza non può durare in eterno.

Come se tutto andasse bene, se tutto fosse a posto.

Anche se questo può essere il momento in cui il nostro rapporto si potrebbe incrinare per sempre.

Devo dirtelo.

Accosto la mia bocca al suo orecchio.

Raccolgo il mio coraggio e sussurro le mie paure e le mie certezze.

“Non potrò mai darti un figlio. Lo so io, lo sai anche tu.

E Dio solo sa a cosa rinuncerei, per poterlo avere… Alla carriera, al basket, a tutto… Ma questo non cambia le cose.

Il mio amore.

E’ tutto quello che posso darti.”

 

Lui si gira nel mio abbraccio e mi guarda negli occhi.

E io ci leggo la sua impotenza, la mia frustrazione, uno sguardo dolce, triste, pieno d’amore.

E poi, in mezzo a quella corsia d’ospedale, lo bacio.

Per comunicargli tutte le parole che non gli ho detto mai.

 

Fine flashback.

 

Il neonato si muove nell’abbraccio di Hana, aprendo lentamente gli occhietti.

E per un attimo eterno i due si fissano, dialogando in silenzio. Cacao amaro e cioccolato al latte.

E vedo che Hanamichi non sorride più solo con la bocca, ma anche con gli occhi, col cuore.

Ma non posso fare a meno di chiedermi quale sarà il prezzo di questo frammento di felicità rubata.

 

Il bimbo si rimuove, catturando la mia attenzione.

Ayako e Ryota sorridono, sulle poltrone accanto a noi.

Tuttavia, il pupo sembra innervosito e questo fa cadere nel panico il mio Do’aho, che cerca di accomodare il frugoletto in una posizione più congeniale, senza tuttavia riuscirci.

Il piccolo Reichan inizia a strillare energicamente.

Osservo i coniugi Miyagi dirigere lo sguardo contemporaneamente all’orologio appeso al muro e fare un breve calcolo mentale.

Il mio Koibito, completamente in palla, non sa più come gestire l’impaziente affamato.

“Nh. Deve mangiare, Do’aho. E’ inutile cullarlo. Dallo ad Ayako.”

Lui mi guarda come se gli avessi detto che deve tagliarsi una mano. Poi comprende e, invece di alzarsi, mi scruta preoccupato.

“Kitsune, ma come faccio?!”

“Do’aho, è un bimbo, non è di cristallo, mica lo rompi!!!”

“Sì, ma non è nemmeno una palla da basket! Se mi cade per terra, non rimbalza!!!”

Vedo Ayako e Ryota scattare verso di noi, gareggiando per strappare al mio sconsiderato compagno il loro preziosissimo tesoro.

“Scherzavamo” biascica Hana, come per scusarsi.

“Nh… forse.” Concludo io.

Ayako prende in braccio il piccolo, che sembra calmarsi.

Ma è solo per poco.

“Scusatemi. Vado di là ad allattare…- e, quasi per giustificarsi, spiega- a Rei serve silenzio quando mangia, e tranquillità. Un po’ di intimità, ecco.”

Fa per uscire dalla stanza, quando incrocia gli occhi di Hana. E si ferma.

Non ho la certezza di cosa quegli occhi le abbiano detto.

Ma posso intuirlo.

Lei sembra soppesare, un attimo incerta, una possibilità a noi sconosciuta, poi sbotta con un: “Al Diavolo! Siete anche voi parte della mia famiglia! Il mio fratellino mancato e il mio cognatino. E ci conosciamo da una vita… se vi scandalizzate, sono cavoli vostri! E non provate a chiamarmi ‘mungitrice a ore’ o ‘centrale del latte’, o ve ne pentirete…”

E per trenta secondi, non so perché, spero dentro di me che spunti da non so dove il suo leggendario ventaglio ammonitore. Ma è solo un assurdo desiderio infantile.

“Ryota, portami la mia sedia, per favore.”

Miyagi annuisce concorde e sparisce qualche istante, ritornando con una sedia a dondolo in vimini.

Ayako ci si sdraia lentamente, mentre il bimbo la guarda, ansioso.

Si sbottona la camicetta e con naturalezza accosta il capezzolo alla bocca del piccolo.

E questi sembra riconoscerne l’odore e, dopo un attimo, sta già succhiando avidamente.

E lei sorride soddisfatta, mentre guida con un dito la manina del figlio verso la sua pelle calda del seno, per stabilire un contatto e poi si lascia catturare l’indice con l’altra manina.

 

Noto che Hanamichi ha osservato minuziosamente ogni gesto, bevendo ogni azione, come se fosse un rituale sacro.

Non posso fare a meno di registrare che il mio compagno si è sporto, inconsapevolmente, verso il bordo del divano, come per colmare almeno in parte le distanze tra sé e questa mistica visione.

E l’unica cosa che posso fare, ancora una volta, è fargli percepire la mia presenza, al suo fianco.

La mia mano scivola lentamente sotto la sua, fino a diventare un tutt’uno.

E lui in questo momento si rilassa, poi gira il volto verso di me, cerca i miei occhi, e mi sorride.

Uno di quei sorrisi veri, caldi.

Sacri.

Che ogni volta mi fanno morire.

E rinascere.

 

Con un gorgoglio soddisfatto, il piccolo Reichan ci fa capire di esser sazio.

Mentre Ayako si risistema, Ryota lo prende in braccio per fargli fare il ruttino.

E noi capiamo che orami è ora di congedarsi.

Io so che il mio rossino ha una domanda importante che gli brucia sulle labbra.

Ma non sa come formularla.

 

E, solo per stavolta, ti salvo io, Do’aho.

 

“Nh. Ragazzi…-i tre mi fissano incuriositi. E’ raro che io intavoli di mia iniziativa un discorso- mi chiedevo se vi andasse di chiamarci, ogni tanto, a fare da baby sitter a Rei…”

Vedo gli occhi del mio Do’aho brillare di speranza.

E quelli di Aya e Ryota, di…divertimento?!

“Ma ceeeeerto, Ru! Abbiamo intenzione di sfruttarvi il più possibile, non temere!!!”

Il mio koi sorride a 48 denti, sproloquiando sulle tariffe di favore che il Tensai avrà per loro.

Io scuoto la testa rassegnato. Ma più sereno.

Con questo accordo li salutiamo e ci congediamo.

Lungo la strada di ritorno, Hana è finalmente più tranquillo.

Ad un tratto, mi passa un braccio sulle spalle, e io mi aggrappo dietro alla sua schiena.

E se qualcuno ha qualcosa da ridire… beh, problemi suoi, non nostri.

“Sai, Kaede,- mi riscuote- forse non saremo mai nemmeno dei surrogati di genitori… ma saremo i migliori zii del mondo!!!” e ride.

Ride di nuovo.

Con la bocca, con gli occhi. Col cuore.

“Ci puoi contare, D’aho. Diventerà un campione di basket. Furbo come una volpe, e geniale come il Tensai.”

E anche il mio cuore ride con lui.

 

 -OWARI-

 

 

DISCLAIMERS: I personaggi di SD non sono miei, anche se sto proficuamente contrattando per avere l’usufrutto di Ru.

Mentre la scrivevo, mi sono chiesta come sarebbe un figlio di Ru e Hana.

Con la bellezza del primo, e l’esuberante allegria del secondo.

Forse sarebbe il ragazzo perfetto…





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