I personaggi di
Dragon Ball, Slam Dunk e Tenku No Escaflowne sono © dei loro rispettivi
autori. Nessun scopo di lucro.
Christmas
day
di Folken
Vegeta
alzò il viso verso il cielo, sentendo qualcosa di umido sfiorargli la
guancia. Il cielo plumbeo lo sovrastava in tutta la sua imponenza, e si
accorse che da lì fluttuavano fiocchi bianchi, che andavano a posarsi su
ogni cosa.
La prima neve di quell’inverno, proprio il giorno di Natale.
Si chiuse meglio nel suo cappotto lungo, guadandosi attorno.
Non c’era molta gente in giro, e per lui era davvero
un’ottima cosa. Odiava passeggiare in mezzo a una folla enorme.
E poi, era ovvio che non ci fosse nessuno a quell’ora. Tutti
stavano passando una felice giornata in compagnia della propria famiglia.
Ma non lui.
Da quando era nato, non aveva mai passato un Natale decente,
per quello che ricordava.
Suo padre sempre impegnato in quel lavoro che lo portava
lontano migliaia di chilometri da quella città, mentre la madre, troppo
bella e vanitosa per accorgersi che il suo unico figlio desiderava ricevere
solo un po’ di affetto.
Gli mandavano sempre pacchi di regali costosissimi, ma a lui,
non gliene importava niente.
Li aveva buttati sempre via, senza aprirgli. Potevano essere
anche vestiti di Calvin Klein, ma lui voleva soltanto affetto che quella
famiglia inesistente gli aveva sempre negato.
Famiglia.
L’unica famiglia che aveva conosciuto Hanamichi, quel
ragazzino tutto pepe che aveva come compagno di classe.
Era sempre stato infelice, come lui, ma non se lo meritava
affatto. Aveva sempre pregato Dio, anche se non credeva nella sua esistenza,
di fargli trovare la felicità.
E l’aveva ascoltato.
L’aveva trovata quando avevano conosciuto Folken, quel
ragazzo bello e silenzioso che giocava nella squadra di pallavolo.
E per loro era stato amore a prima vista.
Sorrise leggermente, e si voltò di scatto quando sentì il
lembo del suo cappotto invernale venire tirato verso il basso.
Il cucciolo di Yorkshire stava cercando in tutti i modi di
attirare la sua attenzione, ma il suo padroncino sembrava talmente assorto
da essersi dimenticato di lui.
Vegeta lo prese in braccio, accarezzandogli il pelo morbido e
folto, mentre il piccolo animale scodinzolava contento.
No, forse ... aveva trovato la sua vera famiglia.
Vegeta ripensò agli ultimi mesi passati in quella squadra di
calcio.
Da quando era entrato a farne parte anche quel ragazzo biondo
tutto d’un pezzo, la sua vita era cambiata radicalmente.
Non andavano d’accordo, troppo diversi per le idee
contrastanti, ma il suo mondo si era rischiarato quando, quella mattina di
qualche mese fa, sotto la pioggia cadente, quel ragazzo così bello, così
onesto e così gentile gli aveva urlato ciò che provava, in preda ad una
rabbia malcelata, per il suo comportamento sciocco e distaccato nei suoi
confronti.
“Ti amo baka, possibile che non lo capisci!?” la sua voce era
risuonata potente, e assolutamente sincera, in quella piazzola vuota.
Non l’aveva mai sentito alzare troppo la voce ... certo,
allegro, ma assolutamente sotto controllo.
E lui, lui come gli aveva risposto? Un’alzata di spalle, e se
n’era andato, lasciandolo da solo, bagnato fradicio, a guardarlo
allontanarsi.
Che pezzo di merda.
Eppure, anche se non l’aveva mai capito, quel ragazzo gli era
diventato vitale. Come il sole. Senza di lui, non c’era allegria, non c’era
spirito di squadra, non c’era niente.
Monotonia, noia.
Non si erano più parlati, come spesso facevano. Ma con la
coda nell’occhio, il moro vedeva che quel ragazzo era triste. I suoi occhi
luminosi brillavano di una tristezza così profonda da turbarlo.
E quella mattina, alle otto per la precisione, aveva sentito
il campanello trillare.
Aveva maledetto lo stupito che lo aveva svegliato a quell’ora,
e passando per la sala, dove era addobbato un enorme abete – fatto dalla sua
cameriera –, era andato ad aprire la porta. Ma non aveva trovato nessuno.
No, qualcosa c’era ...
Sull’ultimo scalino, v’era un grande pacco rosso chiuso
leggermente, con dei fori ai lati. Era di un rosso sfavillante, mentre il
nastro di raso verde.
I colori che ricordavano proprio il Natale.
Lo aveva raccolto, e lo aveva portato in casa, senza
chiedersi oltre chi fosse il mandante. Anche perché, con due gradi sotto
zero, e vestito solo del suo accappatoio e del suo malumore, si sarebbe
beccato un malanno.
Aveva raggiunto la sala, e si era accucciato sul parquet,
posando la scatola. Inoltre, gli era parso quasi che si muovesse da sola.
Attaccato al nastro colorato, c’era un biglietto.
Lo aveva aperto, e aveva letto:
-Un regalo di Natale, per l’unica persona che mi abbia rubato
il cuore. Magari, sarà proprio lui a farti felice ... Allen-
“Allen, ancora lui ... ” aveva mormorato. Ma la sua voce era
priva di qualsiasi sentimento negativo. Solo ... una grande tenerezza, e un
pizzico di qualcosa che non riusciva a dare il nome.
Aveva afferrato il coperchio carminio, e l’aveva sollevato.
I suoi occhi si erano spalancati all’inverosimile, quando un
batuffolo di pelo uggiolante aveva fatto la sua comparsa. Un cucciolo di
cane, dolcissimo e tenero, che lo guardava con i suoi grandi occhi, e con il
grande, troppo grande per lui, fiocco rosso attorno al collo.
L’aveva sollevato tra le braccia, e si era stupito quando
l’animale aveva preso a leccargli festosamente il viso, come se lo
conoscesse da sempre.
Aveva sorriso, qualcosa era cambiato.
Ma non solo a causa di quel batuffolo, ma a causa di quella
dolcezza del ragazzo dai capelli dorati, che gli aveva avvolto il cuore con
sollievo e amore.
Tutta la mattina l’aveva passata a riflettere, ma non sapeva
cosa fare. Se andare a ringraziarlo, se fregarsene ...
I suoi pensieri vennero interrotti dal suo cagnolino che
aveva abbaiato.
“La pensi così anche tu, eh?!” aveva sussurrato,
carezzandogli il capo.
L’aveva nascosto sotto il cappotto, per evitare che prendesse
freddo più del dovuto, e si era incamminato velocemente verso un luogo
preciso.
Allen sollevò gli occhi gonfi e rossi nel sentire il
campanello.
Se era sua madre, non l’avrebbe passata liscia.
Aveva specificato chiaro e tondo che non voleva andare a
mangiare con loro, e lei anche se titubante, lo aveva lasciato solo.
Ma chi poteva essere allora, alle due di pomeriggio, il
giorno di Natale?
Con indosso un paio di jeans sgualciti e un maglione beige
con il collo a barchetta, il viso stravolto per quelle ore incessanti di
pianto, andò ad aprire.
Il suo cuore mancò di un battito, quando si trovò davanti la
causa della sua tristezza.
Infreddolito, e intimidito, sulla porta di casa, racchiuso
nel suo cappotto che lo faceva sembrare ancora più giovane di quanto non
fosse, c’era Vegeta, che guardava da tutt’altra parte per non incontrare il
suo sguardo ferito.
“Posso entrare?” chiese a voce bassa, incontrando finalmente
i suoi occhi.
Allen si era scostato, e lo aveva fatto entrare.
Il ragazzo moro si era fermato a guardare quella casa così
calda e personale con grande interessamento. Ogni piccola parte portava un
particolare di Allen.
“Cosa ci fai da queste parti?”
Vegeta si era voltato, guardandolo.
“Io ... avevo bisogno di vederti”
Allen aveva sgranato gli occhi, sicuro che quello fosse solo
un bellissimo sogno. Bellissimo, ma crudele, perché sapeva che non si
sarebbe mai avverato.
Eppure, sembrava tutto così reale...
“Ti disturbo?”
“No ... i miei sono andati al pranzo di Natale dai miei
nonni”
“E tu, perché sei rimasto qui?”
“Non me la sentivo di stare con loro, semplice” finì
sorpassandolo e entrando nella cucina, dove, al centro del tavolo, c’era un
enorme barattolo di Nutella, ancora aperto, con il grande cucchiaio sporco
di cioccolato posato sul tovagliolo macchiato.
“Non lo sai che troppa cioccolata fa male?”
“Tanto, a te cosa importa di come sto io?” gli aveva risposto
a tono, chiudendo il barattolo con il coperchio, e mettendolo via nella
credenza.
Sentì un guaito improvviso, e quando si voltò, vide che una
testolina buffa era spuntata dal collo del cappotto del moro.
Il cagnolino era saltato giù, raggiungendolo all’istante per
fargli la festa.
“Il ... il cucciolo ...”
“Si ... è il più bel regalo di Natale che abbia mai ricevuto
...”
Allen era rimasto in silenzio. Conosceva troppo bene Vegeta,
e sapeva che non si sarebbe mai potuto comportare a quel modo.
“Mi prendi in giro?”
Nella sua voce viaggiavano insicurezza, amarezza e speranza.
Speranza nella sua risposta negativa.
Ma nessun suono usciva da quelle labbra immobili. Non poteva
più sopportare quel silenzio opprimente, così gli passò accanto per
raggiungere nuovamente la sala, tenendo il cucciolo stretto fra le mani e
scompigliandogli il pelo grigio scuro.
Andò a sedersi al centro del divano occidentale, e mise giù
il piccolo cane che cominciò ad annusare attentamente ogni angolo di tutti i
mobili.
“Io non ti prendo in giro. E’ solo che ...”
“Per non fare la figura del bastardo volevi solo ringraziarmi
del regalo, non è così?”
“NO. Piantala di trattarmi in questo modo. Se vuoi che me ne
vada dillo subito” ribatté con voce fredda e lanciando un’occhiata gelida al
suo interlocutore.
Non sapeva come spiegargli che ... che ... maledizione, che
aveva apprezzato quello che aveva fatto, e che da quando gli aveva detto di
amarlo non aveva fatto altro che pensare a lui in ogni momento, in ogni
situazione, in ogni ora del giorno e della notte!
Vide Allen rannicchiarsi contro il divano, e abbracciarsi
strettamente le gambe.
Aveva posato il capo sulle ginocchia, e si era azzittito.
Avvicinandosi, poté percepire un particolare che lo lasciò di
stucco.
Le spalle tremavano impercettibilmente, sottili singhiozzi si
potevano udire da quella distanza, e la stoffa dei pantaloni sulle ginocchia
stava cominciando a prendere un colore più scuro della norma.
- L’ho fatto piangere di nuovo. Vaffanculo a me e al mio
carattere di merda-
pensò aggrottando le sopracciglia.
Tanta, tanta tristezza nel suo cuore, e una gran voglia di
abbracciarlo.
Si sfilò il cappotto, rimanendo con i suoi abiti invernali
preferiti.
Non li metteva quasi mai, per paura di rovinarli. E li aveva
indossati proprio quel giorno, solo per fare un piacere a quel ragazzo
biondo che gli condizionava la vita.
Camminando gentilmente sul tappeto chiaro, posato sul
pavimento in marmo, si avvicinò al divano, e si sedette sul cuscino senza
provocare alcun rumore.
<Cosa posso fare?> si domandò, alzando un braccio. Però,
indeciso sul da farsi, rimase fermo, finché non gli poggiò la mano sul capo.
Fece scorrere le sue lunghe dita attraverso quei fili dorati.
Vide quei due lapislazzuli preziosi posarsi su di lui,
stupiti e confusi, umidi di lacrime.
“Perdonami Allen” lo pregò, passandogli le braccia attorno al
collo e affondando la testa nel suo collo, odorando quel profumo così buono.
Sentì i muscoli di Allen tendersi a quell’abbraccio, ma non
voleva fermarsi. Aveva capito, aveva capito ciò che doveva fare.
Si coccolò contro il suo petto ampio, respirando
profondamente, facendo scendere le braccia attorno alla vita.
“Vegeta ... se è uno scherzo, non è divertente ...” lo fermò
con voce malferma, deglutendo a vuoto. Sentì le sue belle mani posarsi sulle
proprie spalle.
“Non è uno scherzo, come devo fartelo capire?” gli sussurrò
alzando il capo, e avvicinandolo al suo viso. Piano, lentamente, per vedere
la sua reazione.
I suoi occhi arrossati gli sembrarono ancora più belli di
sempre.
Gli sfiorò le labbra una volta, sentendo il proprio cuore
battere così veloce da fargli male.
Un’altra volta, e un’altra ancora, finché il compagno non gli
circondò la schiena con le braccia muscolose e non ricambiasse con ardore e
passione il bacio.
Le sentiva morbide e tenere contro le sue, salate per le
lacrime che vi erano scivolate sopra. Non avrebbe mai pensato di poter
perdersi così tra le braccia di qualcuno, di un ragazzo.
Quando sentì la morbida lingua di Allen accarezzargli le
labbra serrate, le socchiuse in modo da farla entrare.
Sentiva le gambe molli, di gelatina, mentre il ragazzo biondo
duellava con lui per il controllo del bacio. Le due lingue che si toccavano,
si assaggiavano così intimamente gli provocava una fitta di dolore
all’altezza del cuore.
Venne fatto sdraiare con gentilezza dal ragazzo più alto,
mentre continuava ad assaporare quel piacevole calore umido che la bocca gli
trasmetteva in tutto il corpo.
Con Allen sopra di lui, si ritrovò a gemere quando avvertì la
mano del ragazzo accarezzargli il fianco coperto dal jeans scuro.
Stava rapidamente perdendo la ragione, sentiva lontanamente,
troppo perso in quelle sensazioni magiche, l’abbaiare del proprio cucciolo,
e il cadere silenzioso della neve.
Prese a passargli le mani sulla schiena possente, fino a
raggiungere i lembi della maglia e a viaggiare sulla pelle candida.
Ad un certo punto, non si sa bene come, caddero entrambi a
terra con un tonfo.
“Ahiahiahi!” si lamentò con una lieve smorfia di dolore sul
viso il biondo, leggermente rosso in viso, massaggiandosi il sedere
dolorante “che brutta caduta!”
Anche Vegeta si rimise seduto, scuotendo la testa un paio di
volte per tornare in sé.
Fece un respiro profondo, per calmarsi.
Troppe, violente sensazioni gli sfociavano nella mente una
dopo l’altra, senza riuscire a fermarle.
Alzando lo sguardo, vide Allen che guardava basso, con le
tracce di sale sulle guance ancora fresche, e il respiro leggermente
accelerato.
Che cosa stava facendo?
Che cosa stavano facendo?
Si alzò di scatto in piedi, confuso più che mai.
Allen lo seguì con lo sguardo.
“Vegeta? ... Che ti prende?” gli domandò, apprensivo per
quello scatto.
Il ragazzo moro respirava veloce, lanciando occhiate in
rapida sequenza al biondo, e ala porta.
Aveva paura.
Ma una forza sconosciuta lo bloccava lì, senza dargli
possibilità di muoversi.
Forse, la sua coscienza, che gli impediva di andarsene, per
mettere a posto i tasselli mancanti della sua vita.
E poi, quegli occhi così azzurri da ricordare l’acqua di una
sorgente.
Si passò le braccia attorno al corpo, sentendo
improvvisamente freddo.
- Non posso. Guardiamo in faccia la verità, non posso farlo.
Non ne sono capace. Non sono capace di fargli capire ciò che mi sta
accadendo. Non posso!-
I suoi occhi metallici rimiravano con poco interesse il
pavimento, mentre nella sua mente si susseguivano le immagini di ciò che era
successo poco prima.
“Cosa ti prende adesso? Stai ritrattando tutto?!” lo accusò
con voce fredda il ragazzo biondo, in piedi al centro della stanza.
Gli voltò le spalle, cercando di tornare in sé.
Lo stava facendo soffrire.
Perché diavolo si comportava così? Si trattava soltanto di
avvicinarsi e dirgli quelle due parole che avrebbero cambiato il loro mondo!
Ma troppo forte l’orgoglio che lo rinchiudeva nella sua
gabbia, e troppo il terrore di venire schernito.
Troppo.
Nella stanza era piombato il silenzio, interrotto dai respiri
affannosi dei due ragazzi, che sembrava quasi che avessero corso per
chilometri e chilometri.
“Tu ... sei uno stupido, Vegeta! Stupido!” sentì la sua voce
incrinarsi, e i suoi passi veloci per raggiungere le scale che portavano al
piano superiore.
Il suo corpo si mosse da solo.
Rabbrividì interiormente quando udì la sua corazza di
orgoglio frantumarsi miseramente a quelle parole.
Si voltò e di slancio lo abbracciò, fermando il suo cammino.
Stretto, sentendo quasi il proprio corpo fondersi a quello
del compagno, che annaspò spaventato a quel contatto.
“No. Perdonami. Io non sono capace di spiegarti, ma non
voglio ... ritrattare” sussurrò contro il suo maglione peloso.
Allen si voltò nel suo abbraccio, e lo strinse a sé piano,
come se avesse timore di rompere quell’angelo di fine cristallo.
“Mi permetti di amarti, allora?” gli domandò a voce bassa,
sfiorandogli la guancia con le nocche della mano.
Vegeta lo guardò. Annuì. E sorrise.
Allen sentì il suo cuore fare le capriole a quel sorriso,
regalato solo a lui.
Lo sollevò facilmente, e lo portò ai piani superiori.
Il cucciolo, non capendo bene ciò che stava succedendo, li
seguì velocemente, arrancando con difficoltà sugli scalini, troppo alti per
lui.
Osservò le lunghe gambe di Allen farsi strada nel corridoio,
e aprire una porta, richiudendola subito dopo.
Il cane rimase fuori. Si sedette inclinando la testa, nella
speranza che tornassero ad aprirgli. Però, quando capì che non sarebbe
venuto nessuno, cominciò a raspare con le corte unghie delle zampe
anteriori.
La camera era calda e accogliente. C’era parecchio disordine,
ma d’altronde tutti i ragazzi liceali erano così.
Il termosifone acceso, accanto al letto singolo, riscaldava
ogni centimetro quadrato della stanza. La scrivania, sulla quale erano
situati una pila enorme di libri e riviste, era in legno chiaro, così come
l’altra mobilia.
Allen poggiò delicatamente sul letto il ragazzo tra le sue
braccia. Dopodiché si accucciò ai suoi piedi, posandogli le mani sulle
ginocchia.
Lo guardò per un tempo che sembrava infinito, per ricordarsi
ogni minimo particolare del suo viso così bello, finché non venne
accarezzato da Vegeta, che gli stava cancellando con le dita, le tracce
delle lacrime.
Si alzò, e lo baciò leggermente, sfiorandolo solo. Un
semplice assaporarsi.
Si sfioravano, si cullavano, si baciavano.
Era tutto così perfetto, pensava Allen estasiato dall’averlo
accanto.
Lo spinse sul piumone blu, e fece per sdraiarglisi vicino,
quando il compagno lo attirò su di sé, cominciando a sfilargli il
maglioncino profumato.
La sua pelle chiara veniva sfiorata dolcemente dal ragazzo
moro, che senza accorgersene, oltre al piacere fisico, gli stava dando anche
il piacere emotivo, perché gli stava dimostrando che era disposto a darsi a
lui, solo e soltanto al lui.
Allen gli baciò la fronte, scendendo sul suo collo esile. Le
mani scivolarono sotto al suo maglione, accarezzandogli l’epidermide odorosa
di vaniglia, sfiorandogli i capezzoli rosei, ormai turgidi.
La stanza cominciò a riempirsi di gemiti e ansimi, che
uscivano dalle belle labbra di Vegeta, sotto le sensuali attenzioni che il
suo amante gli stava riservando.
Allen gli posò un bacio sul ventre, mentre invitava il
ragazzo ad alzare le braccia per sfilargli l’indumento, che ricadde al suolo
con un leggero fruscio, come un sospiro mormorato nella notte.
Continuò ad assaporare con lentezza quella pelle morbida,
scendendo nel frattempo con le mani ai jeans, per sbottonarli.
Un bottone, due bottoni ... Vegeta si rendeva conto di gemere
indifeso come non gli era mai successo ... si sentiva tremendamente
vulnerabile, e fragile tra le forti braccia del compagno. Per non mostrare
il suo viso sul quale era dipinta una smorfia di puro godimento e passione,
lo coprì con entrambe le mani tremanti.
Sollevò il bacino, quando sentì le dita del ragazzo infilarsi
all’interno dei jeans per sfilarli via, e una sensazione di sollievo si
propagò per tutto il corpo, quando si ritrovò completamente nudo, in quella
posizione dannatamente eccitante, sdraiato sulle coperte calde.
Allen si mosse, sentendo una dolorosa fitta all’altezza dello
stomaco, quando si perse a rimirare il suo amante in tutta la sua splendente
nudità.
Al pensiero che l’avrebbe fatto suo fra poco, si sentiva
liquefare.
Lo baciò sulle labbra, abbracciandolo forte, mentre fuori, la
neve aveva imbiancato ormai quasi completamente il paesaggio, facendolo
somigliare a una zona di montagna ...
Sotto la coltre di coperte pesanti, il calore dei loro corpi
sembrava quasi aumentare, per quella vicinanza voluta.
Allen sospirò, con lo sguardo rivolto al soffitto.
Avere Vegeta così vicino, non poteva fare altro che
piacergli.
Tanto, anche.
Quelle sensazioni e quei sentimenti che aveva provato al suo
cenno di assenso per stare insieme, e quando era entrato dolcemente in lui,
l’avevano sciolto, come zucchero nell’acqua.
Si voltò su un fianco, per permettersi la vista di un Vegeta
addormentato, racchiuso in quel bozzolo di calore che si era creato con il
piumone colorato.
Nel sonno, sembrava perdere quella freddezza e indifferenza
che acquistava di giorno.
I lineamenti rilassati, lo rendevano semplice e bello come un
angelo candido.
Gli sfiorò il volto con i polpastrelli delle dita, tastando
la levigatezza della guancia di quel ragazzino di diciassette anni.
Si mosse e si strinse a lui, poggiando la testa nell’incavo
del suo collo, le sue braccia che lo avvolgevano protettivamente.
“Vegeta, ti amo tanto ...” sussurrò quasi inconsciamente, con
gli occhi chiusi “... grazie per esserti donato a me ... mi hai reso il più
felice del mondo ...”
Un sospiro tremulo uscì dalla sua bocca.
Stava per scivolare nel sonno, quando il rumore della porta
che si apriva, con un cigolio, lo fece sobbalzare.
Si voltò di scatto, ma ciò che vide fu solamente la porta
laccata di bianco della sua stanza socchiusa.
Scrollò le spalle pensando che si fosse trattata di
un’allucinazione, e tornò a sdraiarsi a fianco del suo aijin, quando si
trovò davanti una sorpresa inaspettata.
Il piccolo cucciolo, infatti, era riuscito ad aprire
leggermente l’uscio, ed era sgattaiolato, trotterellando, sul letto dove
riposavano i suoi due padroncini, infilandosi sotto le coperte.
Allen sorrise apertamente, e mormorò divertito:
“Accidenti! ... siamo già in tre?!”
Sobbalzò quando sentì la mano fresca e affusolata di Vegeta
sul suo collo, e si trovò all’improvviso incollato alle sue labbra perfette.
Poi, due perle nere e profonde, lo fissarono con espressione
da compatimento.
“Il solito scemo ...”
Quel dannato aveva sentito tutto!
Sorrise arrossandosi, e tornò nuovamente tra le sue braccia.
Ma questa volta, dovette fare spazio anche al cagnolino, che chiedeva la sua
parte!
End.
Evil: Eccola! Ho finito la mia ficcina piccina piccina di 7
pagine, e sono soddisfatta!
Allen: IO NO!!! Giuro, questa è la volta buona che ti
uccido!!! Perché cavolo hai interrotto la scena sul più bello?!? >_<
Evil: Non farmi il cazziatone per la ventiquattresima volta
... e non preoccuparti, ho in serbo una bella fic che annienterà la tua
smania sessuale per un po’.
Allen: Davveeeeeeerooooo??!?!?! *si immerge nel suo mondo*
Vegeta: Ma devi proprio ingannarlo a questo modo?
Evil: Lo sai, me sadica! ^^
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