Disclaimers: questa
fic è dedicata a Ria, spero che le piaccia^^…Hana e Ru sono miei (io sono
Inoue, non ve l’avevo detto? ^_^) e quindi ne faccio quello che mi pare e
piace! (Così si parla! NdRuka )
Che cosa
vuoi? di
ZZZ
Da non crederci.
Questo era l’unico
pensiero che riusciva a formulare, con la schiena appoggiata al tronco
dell’albero nel cortile della scuola, il sole di un pomeriggio invernale che
filtrava attraverso le foglie, mentre faceva finta di avere gli occhi
sonnecchianti come sempre per evitare di guardare in faccia la ragazza che
tremava davanti a lui.
Haruko, gli occhi fissi a
terra, come ostinandosi a studiare il movimento dell’erba causato dal vento,
le mani strette una all’altra, il cuore che batteva velocissimo, aspettava.
Rukawa la guardava. Non
riusciva a capacitarsene. La osservava con tutto l’astio che riusciva a
ricordarsi di aver mai provato in vita sua. Quella ragazzina stupida aveva
avuto il coraggio di venire da lui e dirgli “Io ti amo. Stai con me, ti
prego.”.
Rukawa avrebbe voluto
ridere. Davvero. Se non fosse stato per quel desiderio feroce di picchiarla,
di urlarle quanto la odiava, avrebbe riso.
Forse era il modo
migliore per farla a pezzi: lui che non rideva mai, adesso uscirsene con una
di quelle belle risate straripanti di scherno che riescono a uccidere, a
soffocare. Azzannare ora che era davanti a lui, vulnerabile, la proprietaria
del cuore del proprietario del suo cuore.
Rukawa la guardava.
Si imponeva di restare
calmo, e di pensare.
Come poteva riuscire a
farle provare quello che provava lui quando guardava lui che la guardava?
Come sarebbe riuscito a ferirla fino a farla sanguinare, lei colpevole
dell’odio che lui subiva dall’unico essere che era riuscito a scavalcare le
muraglie intorno al suo essere e barricarsi dentro di lui? Come avrebbe
potuto farle provare cosa significa soffocare in una circostanza che ti
intrappola, che tu non hai fatto niente per costruirti, eppure ci stai in
mezzo, invischiato come nella melassa, come lui stava nell’odio dell’Idiota,
un odio che non sopportava, che avrebbe voluto spaccare, che lo teneva
incatenato a un ruolo, lui che odiava qualunque schema, lui che odiava
qualunque scelta obbligata, si era trovato a recitare nella commedia che
questa piccola insulsa ragazzina aveva costruito per lui, per lei, e per il
suo, il SUO Do’aho.
Ringraziava il cielo che
almeno lei fosse così mentalmente insufficiente da non aver mai capito che
Hana era innamorato di lei. Dio. Innamorato di LEI. Un brivido, ogni volta,
quest’idea; un senso di raccapricciante che non poteva frenare. Fosse stato
chiunque altro. Ma lei no. No. L’idea di vederlo sparire tra le braccia di
quella ragazza lo faceva star male al punto quasi di vomitare.
Se lei non ci fosse stata
tutto sarebbe stato diverso. Sarebbero stati rivali, non nemici. L’avrebbe
detestato perché era bravo, ma sarebbe stato completamente diverso. Sarebbe
stato bellissimo, avere il Do’aho dal di dentro, entrare dentro di lui
attraverso la porticina subdola dell’invidia, stimolarlo a crescere, a
diventare quello che poteva diventare, e poi quando avesse posseduto ognuno
dei suoi pensieri rivelargli di essere suo, di esserlo sempre stato.
Invece, no. Hanamichi lo
odiava come qualcuno che è amato da chi tu ami. E quello era un odio che non
si poteva benedire e trasformare. Un odio che non portava da nessuna parte.
Ed era tutta colpa di
quell’esserino stupido e incapace che gli tremava davanti trattenendo le
lacrime stupide di quegli occhi stupidi che insinuavano di “amarlo”. Quegli
occhi stupidi che non riuscivano neppure a vederlo. Che non riuscivano
neppure a vedere CHI si era innamorato (un altro brivido) di lei.
Vendicarsi. Questo
pensiero lo torturava. Voleva vendicarsi. Lo aveva sempre voluto, adesso
aveva davanti l’opportunità che aspettava.
E in fondo voleva
vendicarsi anche dell’Idiota. Se lo meritava. Doveva soffrire, doveva star
male, doveva sentirsi senza via di scampo.
Rukawa sorrise di un
sorriso diabolico.
Haruko non lo vide,
perché continuava a guardare per terra.
Un sorriso diabolico che
accompagnò la risoluzione finale, l’ultima scelta possibile per uno in
trappola.
Rukawa comprese che
cos’avrebbe dovuto fare per fare male a tutti e due.
-Ok- , disse.
Aspettò che Haruko
alzasse gli occhi per essere certo che avesse sentito.
Poi senza una parola, né
una carezza, né nulla di diverso da quello che lui faceva di solito in
presenza di Haruko, cioè assolutamente niente, come se assolutamente niente
fosse successo, voltò le spalle e se ne andò.
L’indomani sembrava una
mattina come le altre, al liceo Shohoku, non fosse stato per il gruppetto
folto di ragazze che aspettavano, davanti al cancello.
-Io non ci credo. Non può
essere vero.
-Ti dico che è vero. Me
l’hanno dato per certo. Una fonte attendibile. Li hanno sentiti parlare ieri
dopo la scuola nel cortile. E’ sicuro.
-Tra poco sapremo la
verità. Eccola che arriva..
Le ragazze si schierarono
compatte davanti all’ingresso. Guardavano con occhi fulminanti e con i denti
digrignanti la ragazza che si avvicinava al cancello del liceo, la quale
appena le scorse si bloccò, iniziò a tremare, e mormorò alle sue amiche:
-Mamma mia, l’hanno già saputo!
-Mi pare ovvio, Haruko,
una notizia come questa…
Haruko continuò a
camminare verso la scuola. Appena si fu avvicinata abbastanza una delle
ragazze del gruppo la strattonò per una spalla e la spinse contro il muro.
-Akagi!
-Che..che vuoi?-rispose
Haruko, con la voce che le tremava.
-Dimmi che non è vero!
Haruko abbassò gli occhi,
e mormorò -Mi spiace molto per tutte voi..ma è verissimo.
Le ragazze sembravano
volerla sbranare. Cominciarono a gridarle contro, se non fossero state
davanti al cancello della scuola l’avrebbero anche picchiata.
Haruko gridò: -Insomma,
basta! Io sono innamorata di lui dalle medie, che diritto avete voi…-
Le ragazze stavano
riprendendo a urlare come scalmanate, quando l’oggetto della discordia si
intromise tra loro e Haruko. La cartella in spalla, la mano in tasca,
camminò semplicemente in mezzo a loro e si mise davanti ad Haruko,
voltandole la schiena, tra lei e le altre ragazze.
-Ru..Rukawa!
Ci fu un istante di
silenzio glaciale. Poi si levò come un coro di pianti e urla:
-PERCHEEEEEEEEEE’? Rukawa,
perché l’hai fatto? Dimmi che non è vero…-
Rukawa aspettò che il
caos si placasse. Poi disse, a voce bassa: -Non sono affari vostri. -
Voltò le spalle e senza
degnare neppure di uno sguardo Haruko che lo guardava con gli occhioni
luccicanti entrò nella scuola.
Hanamichi stava
camminando nel corridoio insieme a Yohei. Vide un gruppetto di ragazze che
si avvicinava, in lacrime disperate.
“Che cavolo è successo?”
Pensò. Quando fu abbastanza vicino, le sentì dire: -Non ci credo. Con Haruko
Akagi. Kaede Rukawa sta con Haruko Akagi. Dimmi che non è vero. -
Hanamichi si sentì venir
meno le ginocchia. Rimase a guardare nel punto in cui stavano le ragazze,
per minuti dopo che se n’erano andate. Yohei non sapeva cosa fare. Hanamichi
aveva l’espressione più incredibile che gli avesse mai visto in faccia: non
urlava, non piangeva, non si arrabbiava. Rimaneva, semplicemente, immobile.
Sembrava che neppure respirasse.
Fu bruscamente riportato
alla realtà da una voce familiare, che diceva alle sue spalle: -Sakuragi!
Non indovinerai mai la cosa splendida che mi è successa!-
Hanamichi riuscì a
voltarsi. Riuscì a guardarla in viso, la sua Haruko, riuscì a comprendere le
parole con cui la sua voce rotta dalla gioia gli comunicava che era riuscita
a dichiararsi a Kaede Rukawa. Gli aveva chiesto di stare con lei. E lui
aveva risposto “Ok”. Riuscì a capire quanto, nonostante lui non avesse
cambiato minimamente il suo atteggiamento nei confronti di lei, lei fosse
assolutamente, incrollabilmente felice.
Hanamichi la guardava
senza riuscire a fare nient’altro che quello: guardarla.
Lei sorridendo disse -Sei
sorpreso anche tu, vero? Io non ci posso credere, sono così felice…Beh,
adesso vado, iniziano le lezioni, ti racconto tutto dopo! -
Hanamichi la vide
allontanarsi. Si riscosse come da un incubo, e cominciò a correre a
perdifiato. Si fiondò nella classe di Rukawa, lo afferrò per i capelli
mentre dormiva appoggiato al banco, e lo trascinò letteralmente con sé verso
il terrazzo. Yohei pensava che lo avrebbe ammazzato, voleva andare con lui a
tutti i costi. Ma Hanamichi lo bloccò: -Tranquillo. Non lo tocco nemmeno.
Giuro che voglio solo parlarci.-
Yohei fu costretto a
lasciarlo andare. Sapeva che stavolta era qualcosa di assolutamente diverso
da tutto quello che gli era successo prima, ad Hanamichi. Non poteva far
altro che aspettare e sperare che il suo migliore amico non si cacciasse nei
guai.
Hanamichi e Rukawa, in
piedi sul terrazzo della scuola.
Il moro con la schiena
appoggiata alla ringhiera, la faccia assonnata, con l’aria di chi sapeva
perfettamente quello che l’altro voleva dirgli, e non gliene fregava un
accidente. Ma in realtà era stupito: Hanamichi aveva un’espressione
assolutamente serena, non sembrava né infuriato, né addolorato, nulla. Passò
solo qualche secondo a fissarlo intensamente, come fosse solo quello il
motivo per cui l’aveva portato lì.
Poi cominciò a parlare.
La sua voce era quella di un adulto, ed era l’unica cosa che lasciava
trasparire quanto profondamente fosse addolorato.
-La ami?-Chiese.
Rukawa lo guardava
indifferente. Alzò le spalle. Guardava la faccia di Hanamichi e capiva come
si sentiva, e pensava che era tutta colpa sua, e avrebbe voluto gridare, non
sapeva cosa, ma urlare con quanto fiato aveva in gola. Ma ormai era troppo
tardi: doveva andare fino in fondo.
Hanamichi si avvicinò a
lui. Gli piantò gli occhi dentro gli occhi.
-LA AMI?
-Non sono affari tuoi.
-Rispondi!
Rukawa sbuffò, e fece per
andarsene dalla terrazza. Hanamichi lo afferrò per una spalla e lo sbatté di
nuovo contro la ringhiera.
-So che non sei un mio
amico e non mi devi nessun rispetto. Ma potevi avere tutta la scuola. A lei
piaci sul serio. Se non la ami, perché? PERCHE’ lei?
Hanamichi aveva gli occhi
lucidi di rabbia e di dolore. Ma non piangeva, sarebbe morto piuttosto che
piangere davanti al suo nemico.
Rukawa si chiese perché
aveva fatto tutto questo. Lui detestava profondamente questi pseudodrammi
giovanili. Esserci tirato in mezzo era una cosa che aborriva.
Ma improvvisa, un’idea
gli balenò in mente. Un pensiero che forse aveva formulato senza
riconoscerlo già quando aveva dato la sua risposta ad Haruko. Un’idea
cattiva, bugiarda e vile. Ma era disposto a qualunque cosa: aveva una di
quelle occasioni che capitano solo una volta nella vita. Doveva sfruttarla.
Rukawa rispose: -Senti,
idiota. Se ho voglia di scopare con qualcuno io lo faccio. Avere una ragazza
è utile, non devi cercare chi ti soddisfa quando ti viene voglia, ce l’hai
sempre lì pronta. Con lei poi è ancora più facile, mi adora talmente che
resterebbe con me qualunque cosa io facessi, quindi non devo nemmeno
comportarmi da fidanzato. Mi spiace per te. –
Hanamichi iniziava a
vederci rosso. Si tratteneva solo perché sapeva che se avesse iniziato a
picchiare l’avrebbe ammazzato davvero, stavolta.
-Te la sei portata a
letto?
-Non ancora. Ma quando
avrò voglia di farlo, so che basterà fare un cenno per averla. -
Hanamichi si sentiva
strappare il cuore. Adesso non era più solo che era geloso, che lei non
avrebbe più potuto essere sua. Avrebbe fatto qualunque cosa per evitare alla
sua Haruko di essere usata in questo modo.
-Sei un vigliacco!
Lasciala in pace!- gridò.
Rukawa pensò che, se
conosceva bene il cuore forte e puro del Do’aho, sarebbe andato tutto come
voleva lui. Doveva tentare il tutto per tutto, rischiando quel che c’era da
rischiare. E poi con la Akagi sottomano, sapeva che le reazioni di Hanamichi
erano comunque controllabili: ancora più deciso, si impose di andare fino in
fondo.
Si staccò dalla
ringhiera, avvicinandosi ad Hana che era lì, a un passo da lui. Guardandolo
dritto negli occhi, senza che la sua espressione tradisse la benché minima
emozione, gli disse a voce bassissima: -Cosa sei disposto a scambiare con
lei? -
Hanamichi lo guardava
senza capire: -Io? -
-Se trovi qualcuno che
sostituisca lei per l’uso che ne voglio fare, bene. La lascio stare. -
-M..Ma chi mai potrei,
io…-
Rukawa era vicinissimo.
Poteva sentire il suo respiro sul volto. Lo guardava dritto dentro gli
occhi. Gli disse: -Tu. -
-Cosa?- Hanamichi
credette di non aver capito bene.
-Facciamo così. Quando mi
viene voglia di fare sesso io chiamo te. Se tu vieni e fai quello che ti
dico, bene. Altrimenti appena chiudo il telefono con te chiamo la Akagi. -
Hanamichi sbarrò gli
occhi. Non poteva credere alle sue orecchie.
-Per te un maschio o una
femmina non fa differenza? -
-Nessuna domanda.Se ti va
bene è così. Altrimenti, mi spiace. – Rukawa fece un passo indietro per
allontanarsi da Hanamichi, che continuava a guardarlo incredulo. Voltò le
spalle e tornò dentro la scuola. Hanamichi rimase lì, da solo, sul terrazzo,
e quando Yohei lo raggiunse, chiedendogli com’era andata, come se non avesse
sentito la domanda, non rispose, si limitò a guardarlo, poi lo lasciò lì e
tornò dentro la scuola, camminando come fosse sonnambulo, la bocca
semiaperta, lo sguardo fisso davanti a sè.
Quella sera stessa, dopo
gli allenamenti, Rukawa si avvicinò ad Hanamichi nello spogliatoio. Gli mise
in mano un foglietto piegato, che Hanamichi aprì solo quando fu tornato a
casa, in assoluta solitudine. C’era scritto l’indirizzo di Rukawa, e sotto
“Alle nove. In punto.”. Hanamichi si sentì raggelare. Guardò l’orologio:
aveva ancora un’ora.
Fu l’ora più lunga della
sua vita.
Alla fine di quell’ora,
si ritrovò senza sapere come davanti al cancelletto del piccolo giardino
della casa di Rukawa. La casa sembrava vuota. Rimase quindici minuti buoni
come imbambolato lì davanti. Non si era accorto che Rukawa lo osservava
dalla finestra del primo piano, braccia conserte, da quando era arrivato.
Improvvisamente Hanamichi
si rese conto del tempo che era passato, guardò l’orologio, si attaccò al
campanello.
Rukawa aprì il
cancelletto dal citofono, poi scese ad aprire la porta. Hanamichi corse
lungo il piccolo sentiero dal cancello alla porta, e chiese d' un fiato:
-Non l’hai chiamata, vero? -
-No.- Rispose Rukawa,
mentre entrava in casa.
Hanamichi lo seguì. Si
guardava intorno. C’era una luce stranamente calda, e un senso di
accogliente in quella casa che lui era sicuro dovesse essere qualcosa di
molto simile a un igloo; si tolse il giaccone e lo appoggiò sul divano.
Rukawa lo aspettava sui primi gradini di una scala. Hanamichi deglutì a
vuoto, e lo seguì. Salirono le scale, entrarono in una stanza in penombra.
Rukawa disse: -Vai a fare
un bagno. Sei troppo teso. Non ho intenzione di stare a farti da
babysitter.-
Hanamichi sembrava non
rendersi conto di niente. Obbediva, come fosse stato naturale, non riusciva
a mettere a fuoco i pensieri. Entrò nel bagno, si spogliò, si infilò sotto
la doccia, si immerse per qualche minuto nell’acqua caldissima e profumata,
continuando a meravigliarsi di come la casa della volpe non sembrasse
entrarci niente con come lui credeva che la volpe fosse. A forza di
riflettere su questo contrasto, tornò padrone di se stesso. Si guardò, nudo
nella vasca di Rukawa. Pensò a quello che sarebbe successo di lì a poco.
Rabbrividì, e si disse ”No, non ce la faccio. Adesso ci vado e gli dico che
mi tiro indietro. In fondo Haruko potrebbe anche proteggersi da sola.
Parlerò con lei, ecco. Le dirò come stanno le cose”. Sapeva benissimo che
lei non gli avrebbe creduto mai e poi mai, e che avrebbe anzi pensato a una
subdola manovra per allontanarla da Rukawa. “Ma non ce la farò mai a fare
quello che sto per fare.”. Così pensando, si avvolse nell’accappatoio bianco
e morbidissimo che Rukawa aveva lasciato lì, piegato, apposta per lui, e
tornò nella stanza della volpe.
Appena fu entrato, restò
di sale:
Rukawa, con indosso solo
i jeans, scalzo, a torso nudo, era seduto con le gambe distese sul letto
all’occidentale e la schiena appoggiata alla spalliera del letto. Aveva in
mano un bicchiere di vino rosso, lo sorseggiava mentre guardava fuori dalla
grande finestra nella parete alla sua destra.
C’era uno strano odore,
nella stanza: un bastoncino d’incenso bruciava sulla scrivania, diffondendo
un profumo leggero, speziato, che sembrava entrare in testa, far perdere il
controllo. La stanza era al buio, le uniche luci erano qualche candela
accesa qui e là la luna piena che entrava dalle grandi finestre che
riempivano metà di due pareti, una delle quali era quella dietro il letto, e
che lasciavano intravedere la baia, illuminata dalle luci della riva e dalle
lampare dei pescatori. Hanamichi era senza fiato.
Rukawa si accorse che lui
era entrato e si mise a guardarlo, mentre continuava a sorseggiare il vino.
Hanamichi notò un altro
bicchiere sul comodino. Vide la mano sottile di Kaede che lo prendeva, Kaede
che lentamente si alzava da letto, si avvicinava a lui, e gli porgeva il
bicchiere. Hanamichi sapeva che la volontà lo stava abbandonando. Non aveva
mai visto niente di così bello in tutta la sua vita. Prese il bicchiere.
Rukawa gli versò del vino dalla bottiglia che stava sulla scrivania. Quando
la rialzò, una goccia cadde sul polso di Hanamichi. Rukawa chinò la testa, e
la deterse con la bocca. Hanamichi deglutì, incapace di reagire. Poi portò
il bicchiere alle labbra. Pensò che per lui, che non era abituato a bere,
anche quel po’ d’alcol poteva essere utile, probabilmente lo avrebbe aiutato
a perdersi definitivamente in quella notte che prometteva di essere
incredibile.
Mentre sorseggiava il
vino, senza sapere esattamente cosa guardare, passando con lo sguardo da un
punto all’altro della stanza, e chiedendosi cosa mancava per la perfezione,
e rispondendosi che non mancava assolutamente nulla, Rukawa appoggiò il suo
bicchiere al tavolo che era lì vicino, e allentò la cintura dell’accappatoio
di Hanamichi.
Questì si irrigidì
immediatamente, smise di bere, si allontanò di un centimetro. Rukawa sollevò
su di lui uno sguardo gelido:-Non fare la verginella ritrosa. E’ una cosa
che mi fa incazzare da morire.-
Così dicendo infilò una
mano nell’apertura dell’accappatoio di Hana, sul torace, e iniziò a
baciargli il collo. Prima dolcemente, solo con le labbra. Poi sempre più
appassionatamente, facendogli sentire (e facendogli venire) sempre più
voglia.
Hanamichi aveva ancora il
bicchiere in mano, e fissava il panorama sul mare, e non riusciva a imporsi
di dominarsi, forse l’alcol, forse l’incenso, forse l’atmosfera…
Ma no. Era la bocca di
Rukawa. Era il tocco esperto della lingua di Rukawa, gli stava rapendo il
cervello. Stava insinuandosi nei suoi sensi.
Rukawa stava diventando
il suo proprietario.
E lui non riusciva a
farci niente.
Kaede intanto gli aveva
tolto il bicchiere di mano, lo aveva fatto camminare fino al letto, ce lo
aveva fatto sdraiare sopra, si era sdraiato su di lui.
Aveva iniziato a baciarlo
in bocca. Hanamichi ormai era completamente in sua balìa. Lo lasciava
penetrare nella sua bocca, seguiva i suoi movimenti, accarezzava con la sua
lingua quella di lui, accarezzava la sua nuca, il suo torace liscio,
stringeva le sue mani bianche. Scese con le mani fino ai jeans del compagno,
li sbottonò lentamente. Insinuò le sue mani sul sedere solido e muscoloso di
Rukawa, mentre faceva sfilare via i pantaloni dai suoi fianchi. Aveva smesso
di chiedersi “cosa sto facendo?”. Aveva smesso di pensare.
Rukawa slacciò
completamente l’accappatoio di Hanamichi. Lo accarezzava ovunque, con
carezze che ora erano un tocco che nemmeno si sentiva, ora erano una presa
di possesso, quasi violenta, della sua pelle, della sua carne. Seguiva il
contorno dei suoi muscoli, le pieghe della sua pelle, Hanamichi si sentiva
come uno strumento musicale, Rukawa sapeva esattamente dove toccarlo per
provocargli brividi e scosse, per farlo sospirare senza che potesse
trattenersi.
Quando Rukawa afferrò il
suo sesso con la mano, sembrava stare trattenendo una specie di furia,
sembrava stare morendo dalla voglia di essere violento, di fargli male.
Bruscamente lasciò la sua bocca, e si fiondò sul suo sesso, succhiando,
baciando, leccando, mentre le sue dita si infilavano in un barattolo sul
comodino, e poi scendevano ad esplorare le pieghe più nascoste del corpo
possente del ragazzo dai capelli rossi che si contorceva sotto di lui.
Hanamichi al contatto di
quel gel freddo con le sue parti intime rabbrividì.
Rukawa adesso aveva un
dito dentro di lui. Due dita. Tre. E intanto lo guardava, senza distogliere
lo sguardo un attimo, respirando pesantemente, con gli occhi strizzati,
fissava il suo volto. E il piacere che cominciava a inondarlo, Hanamichi non
se l’ era mai immaginato. Cominciò a mormorare
–Adesso, Rukawa. Adesso.-
Kaede non se lo fece
ripetere, e con una lentezza che Hanamichi non sapeva se fosse rispetto per
lui o un crudele gioco per tenerlo sulla corda ancora un po’, entrò dentro
di lui. E iniziò a muoversi. E Hanamichi si muoveva in risposta, e ansimava
e gemeva, e mordeva la sua spalla per non urlare. A ogni morso, Rukawa
emetteva una specie di rantolo rauco, e gli chiedeva di farlo ancora, e
continuava a spingere più forte, sempre più forte, accontentando Hanamichi
che, perso completamente il controllo, chiedeva di più.
Hanamichi venne per
primo, con un grido soffocato, trattenuto. Rukawa lo seguì immediatamente,
mentre le sue dita stringevano i suoi fianchi così forte da lasciargli i
lividi.
Dopo qualche istante in
cui rimasero con i corpi intrecciati, Rukawa scivolò via, si stese al fianco
di Hanamichi, si rannicchiò.
Se si potesse leggere
sulla faccia di Rukawa, se Hanamichi ci fosse riuscito, avrebbe visto
chiaramente quanto il suo compagno era incredulo, come e più di lui. Come
nemmeno lui riusciva a spiegarsi com’era possibile che fosse stato così
assolutamente perfetto. Ma Hanamichi non era in grado di leggere nemmeno
dentro la sua mente, in quel momento.
Kaede si era
addormentato. Hanamichi rimase a guardarlo qualche minuto. Avrebbe voluto
pensare qualcosa, ma non ci riusciva, ne aveva paura.
Si alzò, tornò in bagno,
si rimise i suoi vestiti, poi tornò in camera, spense le candele, rimase un
istante a guardare Rukawa accarezzato dalla luce della luna piena; poi scese
le scale, riprese la sua giacca, uscì e si incamminò per la strada deserta,
e tornò a casa sua attraverso il freddo di quella notte d’inverno.
Naturalmente quella notte
non chiuse occhio.
L’indomani mattina
avrebbe avuto una faccia da zombie, non fosse stato per quell’aria..
”pensierosa”, per quanto incredibile sembrasse a tutti un’espressione simile
sulla sua faccia. Credettero tutti che fosse per via di Haruko e Rukawa, e
nessuno gli chiese niente, nemmeno Yohei.
Durante la pausa pranzo,
si ritirò sul terrazzo per mangiare da solo e pensare in santa pace.
Alle sue spalle sentì dei
passi: Rukawa. Non riuscì ad alzare gli occhi sulla sua faccia, fin quando
non fu il suo compagno stesso a costringervelo, afferrandolo per la nuca e
sussurrando con il volto vicinissimo al suo: -Non ci siamo capiti bene, Do’aho.
Tu sei ai miei ordini. Te ne vai, perché quello è certo, per me il sonno è
sacro, non lo divido con nessuno. Ma solo e soltanto quando te lo dico io.-
Hanamichi con uno
strattone si liberò. Avrebbe voluto replicare, ma non ci riuscì. Rukawa lo
aveva colto indifeso e impreparato, in un momento in cui era lì, solo,
pensando alla notte precedente, incapace di impedire che a rimbombargli in
testa fosse una sola, singola parola, e quella parola era: perfetta.
Rivederlo in quel modo,
mentre se lo ricordava fremente e sensuale nella penombra della sua stanza,
fu quasi doloroso. Non che si aspettasse qualcosa, certo..ma rendersi conto
così bruscamente che per Rukawa la notte precedente non era stata
assolutamente niente fu insopportabile. L’unica cosa che riuscì a fare fu
stringere le mandibole, distogliere lo sguardo e tornare a mangiare il suo
pranzo.
Rukawa se ne andò.
Hanamichi rimase a
chiedersi com’era possibile che la volpe non si facesse coinvolgere nemmeno
da quello che avevano vissuto la notte prima. Era solo sesso, d’accordo.
Questo rimaneva l’assunto di base. Ma i suoi sensi lo avevano trascinato in
un modo che non credeva possibile; per Rukawa invece sembrava fosse stato
tutto normale, sembrava che lui avesse vissuto tutta la vita cose del
genere. “Forse è così” si diceva Hanamichi. “Forse è solo che io non ne
sapevo niente, fino a 24 ore fa, che si potesse stare con qualcuno solo per
sesso e sentire quello che ho sentito io.”.
E i giorni passavano.
“Due mesi”, si diceva
Hanamichi, mentre camminava nella strada deserta. “Due mesi che faccio sesso
con Rukawa. Due mesi che accorro ad ogni sua chiamata. Due mesi che nella
stanza di Rukawa vivo in un mondo alternativo, un mondo sensuale, curato nei
minimi dettagli. A lui piace fare le cose per bene, ha detto. O è la musica,
o l’incenso, o le candele, o i giochini con la roba da mangiare, o il
trovarmi legato al letto con lui che mi si scatena contro, ogni volta è
diverso, e sembra studiato, accuratamente preparato. Ed ogni volta, Dio mio,
è perfetto. Ogni volta arrivo lì con l’intento di dirgli che è finita. Ogni
volta mi ritrovo incatenato e soggiogato a tutto quello che gli passa per la
testa, senza riuscire nemmeno a formulare un pensiero.”.
Camminava per tornare a
casa, come ogni notte, quando dopo aver fatto tutto quello che gli pareva e
piaceva con lui, Rukawa lo sbatteva fuori di casa, perché “il suo sonno è
sacro e lui non lo divide con nessuno”.
Suonava il telefono, un
pomeriggio, e la voce della volpe all’altro capo gli comunicava un orario.
Hanamichi ogni singola volta quando sentiva suonare il telefono si imponeva
di rifiutare. E puntualmente ogni volta non riusciva a replicare, si vestiva
e andava da lui.
Poi si fermava davanti
alla porta. Diceva che quella volta non sarebbe entrato. Poi alzava gli
occhi, e la volpe era lì, che lo guardava. Lui spingeva il cancelletto ed
entrava in casa sua.
Ogni volta la stessa
storia: combattere contro di lui.
E perdere.
Sempre.
Finché, un giorno, quando
Rukawa gli fece la solita telefonata dicendogli di essere a casa sua per le
dieci di quella sera, cioè entro mezz’ora…
-No- disse Hanamichi.
Rukawa non disse nulla
per un secondo. –Come vuoi- rispose poi.-Vuol dire che mi rivolgerò a
“qualcun’altra”.-
Hanamichi sentì il sangue
gelarsi nelle vene. –Non lo farai.-
Rukawa rispose: -Tu
dici?-
–Lei non è più la tua
donna. Non verrà.-disse Hanamichi con la voce che gli tremava.
-Vedremo.- rispose Rukawa,
e mise giù il telefono.
Hanamichi ebbe paura.
Sapeva che lei ci sarebbe andata, comunque e in qualunque caso, se lui
l’avesse chiamata. Ma lui davvero l’avrebbe fatto?
Ricompose il numero del
compagno: era occupato.
Hanamichi guardò
l’orologio: aveva meno di trenta minuti. Si vestì di corsa e si precipitò
alla stazione. Il treno della notte passava più raramente, quindi perse
molto più tempo e quando arrivò sotto casa di Rukawa erano già le dieci e
mezza.
Hanamichi guardò verso la
stanza di Kaede. Era illuminata dalla luce elettrica. Gli sembrò un buon
segno, sapeva che i gusti particolari del suo compagno di squadra non gli
avrebbero permesso una notte senza nessun “accorgimento”, la luce del
lampadario gli sembrò davvero troppo banale. Tirò un sospiro di sollievo. Ma
avvicinandosi al cancelletto notò una bicicletta da ragazza parcheggiata
vicino alla porta d’ingresso. Strabuzzò gli occhi. Sentiva un dolore
lancinante al petto. C’era Haruko, in casa da sola con Rukawa. Questa idea
lo fece impazzire.
Senza capire niente,
Hanamichi aprì il cancelletto, percorse il sentiero, aprì la porta,
fortunatamente avevano scordato di chiuderla. Entrò nella casa della volpe.
Al piano di sotto era
tutto buio. Vide che la luce filtrava dal piano superiore. Col cuore che gli
martellava, salì i gradini, si avvicinò alla porta della stanza e guardò
dentro, restando nascosto dal buio del corridoio.
Quello che vide gli tolse
il fiato.
La luce della lampadina
del comodino, il disordine in giro, le veneziane delle grandi finestre
abbassate, la stanza sembrava spoglia come lui non l’aveva mai vista.
Sul letto, poi..
Rukawa sembrava
indemoniato. Era sopra di lei, e si muoveva con troppa forza, troppa furia,
troppo in fretta. Non riusciva a vederlo in viso, ma niente della sua lenta
sensualità felina era sopravvissuto.
Lei aveva la testa
riversa all’indietro, emetteva dei gridolini, e tra uno e l’altro diceva –Rukawa,
ti prego..mi fai male..fai piano..-
Non era Haruko. Era
un’altra della scuola, una del suo fan club, forse.
Hanamichi si chiese per
quale ragione questo non lo sollevava per niente. Non sapeva perché, ma non
gliene fregava niente se quella troietta era o non era Haruko. Quella si
stava facendo scopare da Rukawa. Da Rukawa. Stringeva i pugni. Aveva il
cervello annebbiato. Non notò quanto quello era diverso da cosa Rukawa
faceva con lui. Non riusciva a pensare ad altro che a Kaede che si muoveva
sopra di lei, alle grida di lei.
Entrò nella stanza.
Rukawa si era accorto da
un pezzo che lui era là, quindi continuava senza dare segni di voler
fermarsi. Ma lei appena vide Hanamichi gettò un grido, spinse via Rukawa e
si coprì col lenzuolo.
Rukawa si limitò a
sdraiarsi sul letto coprendosi anche lui e guardando Hana, come se non
gliene fregasse niente di tutto quello che succedeva.
Lei, rossa come un
peperone, mormorò un –Sakuragi..che ci fai qui…-Poi troppo confusa per
ragionare e chiedersi il perché di quella scena grottesca si rivestì in
fretta e furia, dicendo:
-Sakuragi...non dirlo ad
Haruko e alle altre ragazze..è stato più forte di me..mi ha chiamato lui,
capisci...e io..so che è scorretto..però…ti prego..non lo dirai, vero? Eh?-
E corse via dalla stanza.
Hanamichi non capì niente
di quello che lei gli diceva, nemmeno la guardò. Sentiva le orecchie che
ronzavano, e il sangue che gli ribolliva.
-Che vuoi? – Gli chiese
Rukawa, che intanto si era alzato e si era infilato i jeans.
Hanamichi non parlava.
Stava zitto e fermo davanti alla porta della stanza.
-Do’aho- Diceva Rukawa
avvicinandosi. -TU, che cosa vuoi? Che COSA?- Scandendo le ultime due
parole.
Hanamichi lo guardava.
Aveva qualcosa di strano. Era arrabbiato. Sembrava frustrato, e sembrava
anche ..non sapeva perché, Hana, ma gli sembrò che Rukawa avesse paura.
Corrugò le sopracciglia, scrutandolo.
-Perché sei piombato qui?
Quando hai visto cosa succedeva, perché sei rimasto? Hai visto che non era
la Akagi, se avessi creduto che fosse lei saresti piombato dentro la stanza
e me l’avresti strappata di mano, quindi l’hai visto bene che non era lei.
Perché non te ne se andato? Eh, Idiota? - Rukawa lo incalzava con quelle
strane domande che sembravano non dovere avere risposta.
-Non è vero, non..non ho
visto bene, credevo…fosse Haruko.- rispose Hanamichi, non sapendo cosa dire.
Non era vero, era evidente che non lo fosse.
Rukawa sbatté il pugno
chiuso contro il muro accanto a lui.
-Sakuragi. Stammi a
sentire. Basta. Mi arrendo. Nonostante tutto questo, tutta la fatica, tutto
quello che ho dovuto organizzare, tutte le persone che ho dovuto calpestare,
tu ancora non capisci. O meglio, fai finta di non capire. Basta. Non ce la
faccio più. Vattene da questa casa e non tornare mai più. Il patto è rotto.
Tieniti la tua Akagi, sposatela, facci trenta marmocchi idioti come voi,
basta che te ne vai fuori dalle palle immediatamente. -
Sarebbe stato un grido,
se Rukawa fosse stato uno che è in grado di gridare. Ma non era così, e
tutta l’energia trattenuta di quel grido inespresso scolava come lame dalle
parole: ognuna feriva Hanamichi profondamente. Non sopportava di vedere
Rukawa, di ascoltare le sue parole. Non capiva quello che diceva. Non voleva
capirlo: voleva solo scappare. Voltò le spalle e corse giù dalle scale, uscì
chiudendosi la porta alle spalle.
Rimase per qualche minuto
fermo davanti alla casa di Rukawa, con l’aria fredda che gli faceva
rallentare il sangue, e il cervello che riprendeva a funzionare, e le parole
del compagno che risuonavano nella sua mente: che cosa vuoi, tu? Perché sei
qui, tu?
Ci vollero solo degli
istanti. Tutto era già chiaro, compiutamente, nella sua mente, si trattava
di darsi il permesso di leggerlo. Hanamichi si trovò in mezzo alla strada,
subito fuori dal cancello della casa di Rukawa, con una frase che il suo il
suo cervello ripeteva, e ripeteva, come un’ossessione: “Sono innamorato di
lui”.
All’inizio ne fu
terrorizzato. Gli sembrò stupido, e suicida. Gli sembrò che era il modo più
sicuro per soffrire come un cane.
Si sedette per terra, con
le spalle appoggiate al muro di recinzione della casa della Kitsune, e con
calma ripensò a tutto quello che era successo in quei due mesi. A quello che
lui gli aveva detto quella sera. A com’era diverso quando faceva l’amore con
lui da come l’aveva visto scoparsi quella ragazza.
Tutto gli sembrò talmente
chiaro da fargli chiedere perché mai c’era stato così tanto a rendersene
conto. Lui lo amava, e probabilmente Kaede amava lui, anche se piuttosto che
dimostrarglielo in un modo normale avrebbe preferito farsi appendere per i
piedi a una ruota panoramica.
Gli veniva da ridere
forte. Era tutto perfetto, era tutto nelle sue mani, eppure non lo aveva
visto fino a un momento prima.
Ripensò a quanto il suo
Kitsune dovesse essere estenuato, a come sicuramente tutte le volte che lui
se ne andava da casa sua si chiedesse “chissà se l’idiota ci è arrivato”.
Il suo Kitsune. Suo, si
ripeteva, sorridendo.
E con quel sorriso sulle
labbra si addormentò.
Erano le tre del mattino
quando Kaede, stufo di rigirarsi nel letto senza riuscire ad addormentarsi,
una sensazione a lui assolutamente ignota e per questo ancora più
fastidiosa, si era vestito ed era uscito di casa per andare a camminare un
po’ sul lungomare, e maledire il nome di quell’idiota, l’idea di quell’idiota,
e pensare a cosa diavolo doveva fare ancora per dimostrargli senza
possibilità di confutazione che loro due erano, semplicemente, due in uno e
uno in due. Che esistevano solo insieme, e non c’era altro da dire. Che non
si sarebbe arreso, non adesso che aveva visto quanto era indispensabile
stare col Do’aho, adesso che lo aveva vissuto, assaggiato, assaporato. La
sua carne, le sue frasi accennate che rivelavano la sua anima, un’anima
ragazzina che continuava a sopravvivere pura e bellissima anche in mezzo a
tutto quel sangue e a tutto quell’esplodere di sensi.
“Quell’anima è mia”, si
diceva Rukawa. “E’ un fatto. Lo capirà. Se ne renderà conto. E sarà mio per
intero.”
Uscendo dal cancelletto,
Rukawa vide qualcuno addormentato con la schiena appoggiata al muretto, con
l’inconfondibile testa rossa reclinata sulla spalla, la bocca aperta, le
gambe distese. Era proprio lui. L’idiota.
Gli tirò un calcio.
-Sveglia, idiota.
Hanamichi voltò la testa
verso di lui, senza aprire gli occhi.
- Kitsune?
- Hn.
Hanamichi si schiarì la
voce, arrochita dal freddo. Si umettò le labbra, sorrise, e disse: -Sai…-
-Cosa?- sbuffò Rukawa.
-Ho capito. -
Rukawa rimase
paralizzato. Passarono diversi secondi prima che riuscisse a calmarsi,
accovacciarsi avvicinando il volto a quello di Hanamichi, e dire: -Cosa hai
detto?-
Hanamichi aprì uno
spiraglio di occhi, e ripetè: -Adesso ho capito.-
Rukawa lo guardava. Gli
occhi leggermente dilatati, le mani che appena tremavano, la bocca secca,
aspettava.
Hanamichi adesso lo
guardava in faccia. -Sono innamorato di te. -, disse.
Rukawa non sapeva cosa
fare. Hanamichi era lì, seduto sotto casa sua, era rimasto lì per ore sotto
quel freddo, e adesso, dopo tutto quel tempo, quando aveva disperato che
succedesse più, gli aveva detto che era innamorato di lui. Così. Lo aveva
appena realizzato, e senza neppure pensarci aveva aspettato all’addiaccio
che lui uscisse e glielo aveva detto. Rukawa si sentiva stupido e codardo.
Si alzò. Afferrò
Hanamichi per il bavero del giaccone, se lo trascinò in casa, su per le
scale che portavano alla sua stanza.
Hanamichi disse: -No,
Kitsune, fammi andare a casa mia, credo di avere la febbre, devo dormire, ti
ho aspettato tutta la notte al freddo, ma adesso non ce la faccio proprio a
far l’amore con te…-
Rukawa continuava a
camminare. Entrati nella sua stanza, gli tolse il giaccone e i vestiti, gli
fece indossare una sua tuta, poi si cambiò anche lui e si infilò sotto le
coperte.
Hanamichi restava fermo
in mezzo alla stanza.
-Dimmi solo una cosa,
Sakuragi - Disse Rukawa.
-Cosa?
-Sarai così lento a
capire TUTTO?- Sbuffò mentre sollevava un lembo della coperta e gli faceva
posto nel suo letto.
Hanamichi con una risata
balzò sul letto di Kaede, si infilò sotto le coperte, stringendolo,
assaporando il profumo dei suoi capelli.
Rukawa, il viso sepolto
nell’incavo della sua spalla, avvicinò la bocca al suo orecchio, e con una
voce mormorata, leggerissima, disse: -Finalmente, Do’aho.-
Hanamichi lo strinse più
forte.
Quel tepore li avvolgeva.
Nessuno dei due avrebbe saputo dire se erano le coperte, o la febbre di
Hanamichi, o una sensazione indefinibile di aria tiepida, di rilassante
dolcezza che si diffondeva dentro di loro.
Abbracciandosi, si
addormentarono.
Insieme.
Note:
chiedo umilmente scusa,
so che è una bestemmia l’aver solo nominato la deficiente (io detesto
Haruko^^) a fianco del divino Kitsune, ma è un artificio scenico,
concedetemelo, in fondo lui la tratta male..giuro che non si sono mai
neppure tenuti per mano!^^
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