Disclaimers: tutti i diritti appartengono al sensei
Kurumada. Considero Shaka un uomo molto elevato, ma al contempo
penso che sia stato così preso dal praticare l’ascesi a tutti i costi da non
essersi reso conto di esser diventato, col passare del tempo, preda della
testardaggine e dell’orgoglio, il che credo potrebbe giustificare il suo
carattere non sempre amabile ( e che l’episodio qui di seguito non ha certo
contribuito ad addolcire ;P); diciamo che penso che per un po’ la sua
personalità abbia soffocato il vero moto della sua anima ma che alla fine
questa abbia prevalso riportandolo con i piedi per terra e ad una visione
effettiva delle cose che lo ha reso più umano. Ho cercato di trovare un
inizio di questo processo in questa fic, che va letta come l’antefatto di
“Ciò che scosse l’animo di un Buddha ”. La figura di Astrea è tratta dal mitico, in tutti i
sensi, Graves “ I miti greci” e per la visione di Shaka ringrazio Battiato
per la sua magnifica, omonima, canzone. E perdonatemi l’uso improprio del termine cerchio, mi sono adeguata all’uso che se ne fa nel linguaggio comune^^
Cercare la via di
Korin “Io fuggii dalla Terra
disgustata dall’egoismo degli uomini, cercai in cielo un luogo in cui il mio
cuore non fosse continuamente straziato dalle ingiurie e dalle crudeltà
perpetrate in mio nome.” La donna intrecciò le dita,
portando le mani al petto, lo sguardo carico di dolore. “Ho lasciato che altri operassero
eppure creature divine ed umane hanno cercato di farmi tornare sulla mia
decisione…e tu sai quanto questo ripensamento mi sia costato… tornare sapendo
che solo pochi tra gli uomini che si riempiono la bocca con il mio nome
colmano anche il cuore allo stesso modo è stato il mio voto d’amore nei
confronti dei pochi… perché così spesso su questa gemma azzurra che galleggia
nel cielo i diritti dei pochi valgono più di quelli presunti dei molti che li
depredano di ogni cosa…sono tornata e il mio cuore sanguina ogni giorno e
ancora desidero tornare nel cielo dove è rimasta la traccia del mio
passaggio.” Sbatté le ciglia, gli occhi
profondi, di un colore indefinibile, resi lucidi da lacrime non ancora
versate. “E ora proprio tu…che conosci
me e il Divino meglio di chiunque altro mi procuri altrettanto dolore…tu mi
cacci, nel tuo cuore non c’è quasi più posto per me…troppo spazio è invaso
dall’incertezza e dalla cecità caparbia così tipica degli uomini…perché tu
non cada nel tranello che ti tende l’ombra, perché tu possa continuare ad
essere diverso da chi mi insulta, ti dico che se vuoi che continui ad abitare
in te allora non strappare ciò che ti turba o lo renderai sempre più
radicato, come un’erba maligna le cui radici si nascondono in profondità…ma
soffocalo con la luce per non lasciargli lo spazio per sopravvivere.” D’incanto lo spazio intorno a
lei assunse consistenza; perplesso Shaka scoprì di trovarsi circondato di
crisantemi di ogni foggia e colore, che oscillavano lievi al passaggio di una
brezza impercettibile. Ne percepì il profumo così caratteristico, amplificato
dallo stato meditativo in cui si trovava. “Sei sorpreso?” Con le dita affusolate la
donna carezzò le corolle. “Eppure questi fiori sono così
simili a me…quando tutto si prepara alla morte o alla rinascita essi
continuano a fiorire, fino a che apparentemente il gelo non spezza le loro
esistenze…ma le loro radici rimangono vive e aspettano…e come loro anche la
mia pianta ha radici profonde, ben più di quelle della gramigna…” Shaka scosse la testa. “Non vi comprendo.” ammise,
umilmente. Per un attimo il viso
femminile si addolcì, mitigando la pena dello sguardo. “Io non posso far altro che
indicarti il sentiero, starà a te scoprirlo e percorrerlo secondo la Legge o contro di Essa.” si chinò a
raccogliere un fiore rosso, simile ad una margherita “Cerca nel disegno
eterno del cerchio e della spirale e mi permetterai di tornare a
germogliare.” Gli mostrò il disegno perfetto
del cuore giallo del fiore. “Gli uomini hanno dato strani
significati ad una creazione tanto sublime…per alcuni commemora la morte, per
altri le premesse per la nascita di un’altra vita…ora sta a te decidere se
nella tua anima diverrà l’omaggio alla mia tomba o alla nostra unione.” Raddrizzò la schiena e lasciò
cadere le mani lungo i fianchi coperti da un abito semplice e luminoso. “Io sono Astrea, così ho
parlato.” * Shaka trasse un respiro profondo,
come se si fosse appena svegliato da un incubo. Cercò di calmare il respiro e
scoprì contrariato di non riuscirci. Intorno a lui la campagna mormorava
dolcemente, come se nulla fosse accaduto ma gli uccelli si erano allontanati
spaventati. Sospirò ancora, mesto. Nascondere a se stesso che era turbato era
una codardia che si era ben guardato dal commettere, tuttavia era
profondamente infastidito dalla situazione, a maggior ragione dopo il
messaggio che aveva ricevuto. Si alzò e cominciò a camminare senza fretta. Da
qualche tempo aveva udito voci deboli ma allarmanti che avrebbero potuto
scardinare completamente l’ordine costituito a cui ogni Saint si atteneva
rigidamente. Erano poco più che sussurri che aveva percepito nei suoi
frequenti viaggi al di là dello spazio fisico ma sapere che ogni cosa si
manifestava prima nei mondi invisibili gli era bastato perché informasse il Sacerdote. Aveva ricevuto un
ringraziamento cortese e aveva creduto che quel messaggio avrebbe finalmnte
messo a tacere il brusio dei suoi pensieri. Piegò le labbra in una smorfia
appena accennata. In quel momento desiderava più di ogni altra cosa liberarsi
da quello stato di agitazione così invadente e fastidioso. Un suono metallico, melodioso
e non udibile da altri lo sorprese. In un gesto istintivo si voltò in
direzione delle montagne lontane. Aggrottò le sopracciglia. Mu stava
percorrendo come sempre i ghiacciai col suo pensiero, incurante delle accuse
che pendevano sul suo capo. Non aveva mai fatto nulla per nascondersi, ben
sapendo che gli spettri che vigilavano sulla sua casa non avrebbero potuto
fare nulla contro un Saint di alto rango ben intenzionato a raggiungerlo. Emise un sibilo indispettito.
In momenti come quello, così frequenti negli ultimi tempi, trovava irritante
quel baluginare lontano che gli ricordava come altri riuscissero a percorrere
con sicurezza la propria strada. Mu sembrava radicato al suo modo di vivere
quanto i monti che lo ospitavano. Con un gesto insolito si ravviò i capelli.
Eppure la luce che vedeva non aveva nulla di impuro, era dorata e divina…in
un altro momento forse si sarebbe fermato serenamente a contemplarla come
accadeva quando risaliva le montagne per celebrare l’ingresso del Sole nella
costellazione del Toro. Mu era sempre presente in quella occasione, cortese e
sorridente come una creatura celeste. Non avrebbe potuto mentire così bene da
ingannarlo. O almeno ne era quasi certo. Scosse la testa e riprese a
camminare. Non aveva il tempo per pensare all’effettiva o presunta innocenza
del suo pari. Si diresse volontariamente verso una piccola raccolta d’acqua.
I pavoni lo degnarono appena di un’occhiata distratta. Shaka raccolse un
ciottolo e lo soppesò qualche istante quindi lo gettò senza forza nell’acqua
bassa. Si morse il labbro inferiore mentre osservava il liquido incresparsi.
Conosceva a menadito la simbologia legata al cerchio, ciò nonostante la
ripercorse nel tentativo di trovare qualche indizio che potesse guidarlo.
Gettò un’altra pietra nell’acqua e poi un’altra ancora fino a che anche la
sua pazienza cominciò a risentire di quel gesto meccanico e inutile. E infine
si chiese in tutta sincerità cosa potesse esserci di così importante di cui
non era a conoscenza. Si sedette sull’erba,
assumendo la posizione del loto. Aveva un assoluto bisogno di calmare la
mente e riprendere daccapo il filo dei suoi pensieri. Dal silenzio che arrivò
a ritagliarsi però non riuscì ad escludere un suono lieve, metallico,
identico a quello potente che riecheggiava sulle montagne. Aggrottò le
sopracciglia quando comprese che proveniva dalla sorgente. Probabilmente la
fonte traeva la sua origine da una falda alimentata dalle montagne. Sbatté le
palpebre, incurante del suo gesto. Non aveva mai notato prima di allora che
la memoria dell’acqua fosse tanto potente da trascinare con sé anche
l’impronta del passaggio di un Saint. Un’immagine fuggevole lo fece
irrigidire, tuttavia fu troppo breve perché potesse identificarla. Rimase a pensare seduto sulla riva fino al
calar della notte e solo quando la luna illuminò il cielo si concesse un
sospiro abbattuto. Non riusciva a concentrarsi su quanto stava facendo: era
troppo distratto dal suono melodioso che si era fatto più forte provenendo
sia dal’acqua che dai monti. Sembrava che in quei giorni non riuscisse fare a meno di ascoltare il rumore dei
passi del Saint dell’Ariete. Piegò le labbra in una piccola
smorfia. Conosceva da tempo la sua fama, si vociferava spesso sulla sua non
ben chiara fedeltà nei confronti del Santuario e sul fatto che fosse
perlomeno scorretto che lui fosse l’unico a poter riunire la Terra al Cielo.
In verità l’unica cosa di cui poteva dirsi certo era il fatto che il cloth
rimaneva fedelmente al suo fianco e che Mu possedeva poteri tali che un animo
corrotto non avrebbe esitato ad usare in modi ben diversi. Questo avrebbe
dovuto chiarire molte cose. Almeno in linea teorica. Sbuffò irritato. Non poteva
certo incolparlo, eppure Shaka desiderò ardentemente che il suo lontano
compagno smettesse una buona volta di aggirarsi sui ghiacciai e lo lasciasse finalmente
immergere nel silenzio. Scrollò leggermente le spalle
e tese una mano verso l’acqua, ma quando le sue dita ne toccarono la
superficie le ritirò come se si fosse scottato. Aveva visto chiaramente una
spirale. Ne sfiorò di nuovo la superficie, concentrandosi e di nuovo vide la
stessa figura, in lontananza, come se la stesse osservando dall’alto. E per il resto della notte non
riuscì a vedere altro. Quando il cielo rischiarò ad
est Shaka chinò il capo, sconfitto. Era chiaro che non vedeva oltre ciò che
desiderava vedere. Non era del tutto sincero con se stesso ed era una
mancanza pericolosa. Osservandosi con distacco si accorse che i suoi pensieri
ultimamente deviavano dalla via lungo cui avrebbe voluto costringerli per
prestare attenzione all’operato del Gold dell’Ariete. Ammise finalmente che
questo era in parte causa del risentimento che ultimamente sentiva nei suoi
confronti, amplificato dalla consapevolezza che lui sembrava lasciarsi
scorrere addosso ogni diceria e accusa con uno stoicismo sentiva di
invidiargli. In buona sostanza avrebbe potuto affermare con sicurezza che era
Mu la fonte del suo turbamento. Espirò profondamente. Non c’era motivo perché
dovesse occupare così tanta parte della sua mente. Perlomeno in apparenza. Chiuse gli occhi e tornò a
concentrarsi, nella speranza che avere accettato questo pensiero potesse
aiutarlo nella sua ricerca. La spirale apparve più nitida e vicina e
finalmente si accorse che in realtà era formata da più circonferenze
concentriche. Aggrottò le sopracciglia. Quell’ immagine era familiare, gli
era parso di intravederla più volte nelle vicinanze delle fonti alimentate
dai monti. D’un tratto si sentì pervadere da una sensazione indefinibile, una
commistione di tristezza, vergogna e nostalgia. Era legata indissolubilmente
alla figura disegnata nella sua mente e lo toccava nel profondo, più di
qualunque altra cosa avesse mai provato fino a quel momento. Respirando a
fondo calmò il cuore e decise che se voleva liberarsi da quello stato di
agitazione così fastidiosa e persistente avrebbe dovuto vivere appieno quanto
gli stava accadendo. Lasciò quindi che il fiume profondo e al contempo lento
e maestoso con cui era venuto a contatto gli scorresse nell’animo; scoprì che
la calma dell’ acqua era tae solo
perché la sua forza era imbrigliata con energia e sapienza e che se avesse
potuto scorrere liberamente avrebbe devastato ogni cosa. Il fiume seguiva il
suo corso solo perché c’era una volontà a costringerlo, un proposito e uno
scopo che impedivano qualsiasi cedimento. Mantenendo il contatto con la
realtà incorporea Shaka si concesse un attimo di respiro. Pur essendo abituato a
trattenere il suo potere e le sue emozioni era sorpreso da quella forza che
eguagliava, se non superava, la sua. Aveva scoperto che la finta spirale e
un’entità potente e regale erano unite in maniera inscindibile ma ciò
continuava a non dare risposte. Scosse la testa. L’unica cosa che lo
consolava era che la sua ricerca lo assorbiva al punto tale da distoglierlo
da ogni altra cosa. Concentrandosi di nuovo sul
respiro ricominciò a cercare una risposta. Finalmente la figura apparve
nitida e vicina, al punto che, sorpreso, si accorse di stare osservando
canali concentrici, con ponti e chiuse. Era una città splendida e maestosa,
la cui ricchezza brillava sulle cupole ricoperte d’oro e argento e il cui
cuore cantava nelle voci di preghiera che poteva udire. Una città che onorava
l’universo riproducendo nella sua forma le orbite celesti. Shaka abbandonò tanto in
fretta lo stato meditativo che il suo cuore si fermò un istante, quindi si
coprì la bocca con una mano, con gli occhi aperti che in realtà non
riuscivano a mettere a fuoco nulla. Atlantide. Non voleva credere a ciò che
aveva visto. Assolutamente. Per qualche minuto rimase
immobile, incurante del mondo, teso al massimo per scacciare quella visione.
Infine si accorse che la sua era la stessa caparbietà cieca e stolta che
veniva rimproverata agli uomini. Poggiò la fronte nel palmo della mano,
sospirando. Aveva avuto la soluzione dell’enigma sempre a portata di mano,
troppo evidente e al contempo troppo scomoda per accettarla. Provò una
vergogna profonda per essersi comportato in un modo tanto immaturo. Era noto
a tutti che l’attuale Saint dell’Ariete discendeva da un popolo così antico
che era quasi un sacrilegio definire umano, eppure, in relazione alle
catastrofi che lo avevano decimato aveva sempre covato un certo sospetto se
non addirittura una sorta di superiorità nei confronti del suo pari. Si
poteva dire che discendesse da gente sacrilega, questo era il motivo per cui
non riusciva a comprendere perché osservandolo si potesse vedere solo oro,
perché tra tutti i Saint solo un sospetto traditore avesse il potere di far
scendere il Cielo sulla Terra Si morse il labbro inferiore, imbarazzato.
Probabilmente in Mu si rispecchiava l’origine del suo popolo e il tempo in
cui la sua comunione con il sacro era autentica. Tuttavia rimaneva un
“probabilmente” e quell’incertezza lo aveva reso debole e cieco. Umilmente osservò di nuovo se
stesso, i sentimenti contrastanti che lo coglievano quando avvertiva la
presenza di Mu e finalmente trovò il coraggio di ammettere la causa del suo
turbamento. Alzò gli occhi al cielo. Era stato troppo superbo nel pensare che
non sarebbe mai stato catturato da una laccio tanto sottile e subdolo. Era
umiliante scoprire di non essere diverso da tanti altri esseri umani. O forse avrebbe dovuto
considerala una benedizione. Infine decise che solo con il
tempo avrebbe potuto propendere per l’una o per l’altra ipotesi. Pensò al suo
cloth che dormiva quietamente circondato dal loto e in qualche modo ne sentì
lo spirito più vicino. Sorrise lievemente e scoprì che quella lezione di
umiltà e autoconsapevolezza lo aveva rinfrancato. Avrebbe continuato a
meditare su quanto aveva scoperto su se stesso, avrebbe provato ad accettarlo
e atteso con uno spirito decisamente diverso la cerimonia primaverile
dell’anno successivo. *Astrea rappresenta la
Giustizia fuggita dalla Terra disgustata dai crimini degli uomini, Trovò
rifugio in cielo e si trasformò nella costellazione della Vergine. Ho un po’
addomesticato il mito per “esigenze di copione”. ;P
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