Una Alternative Universe per un’occasione speciale e per due amiche speciali…

Tantissimi e affettuosissimi auguri di Buon Compleanno a Nausicaa e Calipso!!! A loro è dedicata questa fic che sviluppa una vecchia idea di cui avevamo parlato insieme tanto tempo fa.

Un baciotto a Ria e Sabry.

Buona Lettura.  

 


 

Catena di Montaggio 

Parte IV

di Greta

 

 

Hanamichi non era confuso, neanche rabbioso… gli sembrava semplicemente di non riuscire più a pensare. 

Con decisione si incamminò verso casa, avanzando meccanicamente, rigidamente, senza guardarsi indietro e sordo ad eventuali richiami da parte di Sendoh o… Rukawa, richiami che comunque non ci furono.

Quando entrò in casa, vide la madre seduta sul divano, intenta a riattaccare i bottoni di una sua camicia con la televisione accesa in sottofondo e un’unica luce, quella sul tavolino, ad illuminare il lavoro che la donna stava compiendo. Improvvisamente al ragazzo si appannò la vista… gli sembrava allo stesso tempo consolante e penoso quel quadro che aveva davanti.

"Ehi, Hanamichi! Già di ritorno? Pensavo che la festa finisse ben più tardi… Hai accompagnato Rukawa-kun a casa?"

Il rossino non le rispose. Si avvicinò alla madre, sedendole accanto e appoggiandole la testa sulla spalla, come non faceva da quando era un bambino, da quando il padre…

"Cosa ti succede? Hana…" stavolta il tono della donna era veramente preoccupato. Poggiò il lavoro sul tavolino basso davanti al divano, e azzardò una carezza sulla spalla del figlio.

Lui lasciò andare un sospiro, poi si rimise dritto:

"Non è niente, sono un po’ stanco. La fatica di questi ultimi giorni sta cominciando a farsi sentire", poi si alzò in piedi, pronto a dirigersi verso le scale.

"Sei sicuro di non volerne parlare? A volte sfogarsi con qualcuno, sentire una opinione imparziale, può essere d’aiuto".

Hanamichi rimase per qualche secondo in silenzio, sembrava quasi che la madre sapesse cosa era successo, anche se non era possibile. No, non poteva ancora parlarne con nessuno, ci sarebbe stato troppo da spiegare, e non solo ciò che era accaduto in quelle ultime sere. Aveva bisogno di solitudine, di silenzio… di qualche minuto per cercare di fare ordine in tutta quella situazione.

"Grazie mamma, davvero non è niente" provò a mormorare con un tono meno lugubre, e finalmente raggiunse la sua stanza.

Si spogliò velocemente e si infilò nel letto al buio. Come lo aveva chiamato Akira Sendoh? Un perdente, un bifolco… una persona senza speranza. Lo aveva pensato così tante volte lui stesso che quasi non poteva biasimare l’altro per averglielo rinfacciato. Eppure in quei giorni aveva pensato che finalmente anche per lui potessero finalmente aprirsi delle prospettive, gli sembrava che avere accanto… Rukawa… lo rendesse in grado di fare qualsiasi cosa. E invece si era illuso, non era stato che una presa in giro, un momento di svago. Chissà come dovevano essersi divertiti quei due dietro le sue spalle, chissà come doveva essere sembrato patetico, con il suo atteggiamento da gradasso di periferia, agli occhi del figlio di un milionario, di un ragazzo che poteva davvero avere tutto, e non solo sogni.

Lui ci aveva creduto, si era innamorato sul serio, e invece era stato ingannato. Così imparava a buttarsi a capofitto, a non riflettere, a fare sempre di testa propria.

Per fortuna adesso non si sarebbero più visti. Ora che il gioco era stato scoperto, era molto improbabile che Kaede Rukawa, il rampollo, si facesse ancora vedere nella sala verniciature della Shohoku Inc.

No, quello non era mai stato il posto per lui; quelle settimane non erano state altro che il cambiamento d’aria per un ragazzo viziato, l’antidoto temporaneo ad un momento di noia. Sendoh era stato chiaro: erano altri gli ambienti congeniali alla kits… a Rukawa, sicuramente i Country Club, i locali alla moda, le feste esclusive. Come doveva essergli sembrato ridicolo andare con lui in quei pub per morti di fame in cui lo invitava! E il ristorante della madre di Yohei… come doveva essergli sembrato semplice, familiare. Altro che l’impressione che Hanamichi voleva lasciargli… quelle ore insieme per Rukawa dovevano essere state una sofferenza ininterrotta.

Comunque il moretto si era preso la sua rivincita in pieno… e il tensai strinse i denti al solo pensiero di quello che era appena accaduto: lo aveva umiliato, lo aveva fatto sentire un pezzente, gli aveva tolto dignità davanti alla persona più insignificante che esistesse, a quell’Akira Sendoh che doveva aver goduto come non mai a vederlo al tappeto! Chissà cosa avevano scommesso per riuscire a ridicolizzarlo in quel modo… doveva essere stato qualcosa di prezioso se Rukawa si era abbassato fino al punto di baciarlo!

Bastardi… BASTARDI ENTRAMBI! Aveva detto bene quando se ne era andato, erano degni uno dell’altro, viziati e marci fino al midollo. Loro ne erano usciti peggio di lui, alla fine. Hanamichi era rimasto se stesso, erano loro che avevano condotto quella recita. Peccato per i prossimi che avrebbero ingannato, ma lui ormai ne era fuori. Lo avevano preso in giro, lo avevano insultato, ma alla fine a lui era rimasta la dignità di essere sempre stato sincero. Poteva non sembrare molto, ma era la cosa che i suoi genitori gli avevano insegnato essere la più importante di tutte.

Il pensiero non era consolante come avrebbe desiderato, ma gli permetteva di recuperare la rabbia, la determinazione di cui si era sentito privo da quando aveva lasciato quei due. Il giorno dopo lui sarebbe tornato in fabbrica a testa alta… era sempre Hanamichi Sakuragi, e poteva aver perso molte delle speranze di cui si era nutrito in quelle ultime settimane, ma non si sarebbe mai mostrato sconfitto, ferito. Il tensai non era un perdente, non lo era mai stato!

La mattina seguente, quando la sveglia suonò, Sakuragi era già sveglio. Non gli capitava spesso di anticipare il trillo stridente della scatoletta di plastica, infatti non era mai riuscito ad abituarsi a quegli orari impossibili, ma quella mattina si era svegliato, e non aveva fatto che girarsi nel letto, con le labbra strette e con gli occhi che rimanevano sbarrati, opponendosi alla sua volontà di tornare al sonno. Gli sembrava che ogni volta che tentava di chiuderli, gli si materializzasse davanti l’immagine di Kaede Rukawa e Akira Sendoh, e così immediatamente riprendeva a fissare la luce dei lampioni che filtrava dalle imposte.

Dopo aver spento la sveglia, si vestì abbastanza velocemente, prese il bento che la madre gli aveva preparato, approfittando di una delle poche serate che non passava in ospedale, e uscì di casa dimenticandosi completamente, probabilmente per la prima volta nella sua vita, di fare colazione.

Sul treno non fece altro che guardare, senza vederlo, il paesaggio della periferia della città, mentre insieme ad altri mille operai si avviava verso l’area industriale.

No, non era come essere tornati indietro nel tempo, non era come se l’incontro con Rukawa non ci fosse mai stato, magari fosse stato così! No, l’amarezza, l’umiliazione e il rimpianto rimanevano, ed era questo che gli faceva ignorare tutto ciò che gli capitava attorno. Era come se in quel momento desiderasse essere invisibile, non essere costretto a interagire con gli altri, come se il suo sogno fosse poter scomparire.

"Ehi, Hanamichi! Finalmente ti rivedo… credevo che non avresti più preso questo treno!"

Senza accorgersene si era seduto al solito posto, sul solito vagone, e così Yohei non aveva fatto alcuna fatica a trovarlo.

"E come pensavi che ci arrivassi in fabbrica, volando?!" gli rispose lui, bruscamente.

"Ohi, ohi, ohi… qualcuno è di malumore stamattina! Cos’è, Rukawa non ti ha dato il bacetto della buonanotte, ieri sera?" e Mito scoppiò a ridere, dando contemporaneamente una manata sulla schiena dell’amico.

"Piantala!" gli sibilò Hanamichi, voltandogli poi le spalle e ricominciando a guardare fuori dal finestrino.

Non ci mancava altro che qualcuno gli ricordasse, e nominasse per di più, quel bugiardo…

Quando entrò nello spogliatoio e cominciò a cambiarsi, per poco non cedette ad una furia omicida quando vide l’oggetto del suo odio entrare nella stanza. Cos’è, era venuto a godersi lo spettacolo fino in fondo? Oppure si era così divertito da voler continuare ancora quella farsa? Appena infilata la tuta da lavoro, sbatté violentemente lo sportello metallico dell’armadietto e si diresse verso l’uscita senza guardare nessuno. Poteva sentirsi addosso gli occhi preoccupati di Kogure, poteva avvertire la smorfia divertita dello sdentato, quella contrariata di Akagi, anche l’aria di sufficienza di Miyagi, ma quello che lo feriva di più era l’indifferenza di Rukawa.

"Hanamichi! Ma si può sapere che ti prende?!" il quattr’occhi, trafelato, lo aveva raggiunto nella sala verniciature, e adesso gli stava abbarbicato ad un braccio, tentando di farlo voltare in modo da poterlo guardare in faccia.

Lui tentò di scrollarselo di dosso con un movimento brusco, ma in fondo sapeva che il Megane-kun non lo avrebbe lasciato andare finché non gli avesse detto cosa era successo:

"Se fossi in te, mi chiederei chi è davvero Hisashi Mitsui…" gli sibilò crudelmente.

Per un momento l’altro lo guardò con espressione interrogativa:

"Che stai dicendo, Hanamichi?!"

"Visto che Kaede Rukawa si è rivelato non essere esattamente un ragazzo come noi, mi domando se anche Mitsui non abbia qualcosa da nascondere… mi sembra che i due avessero detto di essere amici da parecchio" continuò lui, continuando a settare i comandi della verniciatrice.

"Continuo a non capire… E poi perché ieri sera sei sparito senza dire niente a nessuno?"

Il tensai scoppiò a ridere, poi si fermò, guardando fisso il compagno:

"Ieri sera ho finalmente capito qualcosa di più sul misterioso Kaede Rukawa… hai mai pensato che fosse troppo bello per essere vero? – e rise di nuovo – Mai frase è stata più giusta!"

Kogure si stava cominciando a spazientire:

"Sembri ubriaco, parli a vanvera…" e fece per allontanarsi, ma Hanamichi lo fermò per un braccio:

"Non volevi sapere? Beh, Kaede Rukawa lavora con noi perché si è annoiato della sua vita di figlio di papà, perché si è stancato di tutti i suoi soldi, e ha deciso di giocare all’operaio. Ieri sera un ‘amico’ ha avuto la cortesia di dirmi che è il figlio di Takeo Akuzawa!"

Kogure sorrise, scuotendo la testa:

"Per un momento mi avevi spaventato! Smettila di dire cretinate e torna al lavoro… non mi piace l’umore con cui sei arrivato stamattina".

"Continua a credere alle loro prese in giro, quattr’occhi, se questo ti rende felice… Certo, non tutti hanno il coraggio di affrontare la verità e giocarsi quello che hanno. Continua così, almeno ti terrai quel bugiardo sfregiato!"

Durante l’intera giornata Hanamichi rimase da solo, cercando di evitare qualsiasi scambio con i colleghi. Riuscì anche ad evitare Yohei per il pranzo, e ovviamente non rispose a nessuno degli sguardi imploranti di Kogure, quegli sguardi che lo pregavano di tornare al solito umore… eppure, da un breve scambio tra il Megane-kun e il suo Mitsui, il rossino si rese conto, con un sorriso cattivo, che problemi cominciavano ad essercene anche nel loro Eden.

Quando, a fine turno, uscì quasi per ultimo dall’edificio, fu con indifferenza che si rese conto che c’era qualcuno che non era ancora andato via, e che lo stava aspettando appena fuori del cancello.

"Hanamichi, non credi che dovremmo parlare?" si sentì apostrofare da una voce morbida, quella voce che, contro la sua volontà, aveva ancora il potere di fargli accelerare il sangue nelle vene.

"Credo proprio che non abbiamo nulla da dirci, Rukawa" rispose, continuando a camminare verso la stazione.

Si sentì una mano sul braccio, e si girò di scatto:

"Non ci senti? Non voglio sapere niente. Guardarti, sentire la tua voce mi fa solo venire la nausea!" lo sferzò.

"Quello che ha detto Sendoh è vero – mormorò il moretto, cercando di non lasciarsi fermare dall’orgoglio – ma io non ti volevo ingannare".

"Peccato, non sei riuscito nel tuo intento. Almeno ti sei divertito?" gli ribatté Hanamichi, con un sorriso tirato.

"Sì, fino a ieri sera mi sono anche divertito" rispose Kaede, nei cui occhi stavano cominciando a balenare lampi di rabbia.

"Già, ieri sera lo scherzo è finito… speravi che potesse andare avanti a lungo, vero? Come deve essere stato divertente venire in incognito a controllare i tuoi schiavi… ti ha fatto sentire tutto il tuo potere, vero? E non pensare di poter continuare questo gioco a lungo. Ancora non ho avvertito tutti, ma se non ti decidi ad andartene e a lasciarci in pace, appenderò i cartelli all’ingresso. Non siamo i vostri burattini".

Aveva provato una strana soddisfazione nel sibilargli quelle parole, aveva sentito una gioia dolorosa nel vedere quegli occhi diventare sempre più freddi. Probabilmente Kaede Rukawa stava ancora recitando, ma non era male scoprire che le sue accuse avevano il potere di colpirlo.

"Pensi veramente che fosse tutto falso?" l’altro gli chiese freddamente.

Hanamichi scoppiò a ridere, una risata sgradevolmente stridula:

"Certo che lo era! E credo di aver anche capito quale fosse lo scopo…" aggiunse poi, abbassando la voce e portandoglisi più vicino.

"E sarebbe?" Rukawa non si spostò di un passo, nonostante quella improvvisa vicinanza.

Sakuragi gli passò la mano sul bavero della giacca, lentamente, stringendo poi la stoffa tra le dita:

"Non eri pronto quella sera, eh? E io che ti avevo anche creduto… come mi eri sembrato puro, ingenuo… e invece ieri sera ho capito: stavate organizzando un bel giochetto con Akira Sendoh, eh?! Un bel divertimento, e io dovevo essere il pollo" e sorrise ancora, portando ora il dorso della mano contro la guancia di Rukawa, che voltò la testa con disgusto.

"Non capisco cosa vai blaterando".

"Ah, no? Io credo proprio di sì… nelle vostre menti malate dovevate aver organizzato tutto nei minimi dettagli. Le vostre nottate dovevano essere diventate noiose e avete pensato di aggiungermi al gioco… chissà con quanti altri lo avete fatto, chissà quante volte avete diviso il vostro piacere con qualche altra vittima. Ma io non sono così…"

Hanamichi non riuscì a terminare la frase; uno schiaffo che lo obbligò a voltare la faccia lo colpì prima che riuscisse a finire. Si portò la mano contro il punto colpito, a toccare la pelle bollente.

"Sei malato, Sakuragi: la tua stupidità è superata solo dalla tua perversione; l’idiota sono stato io ad averti sopravvalutato. L’unica cosa che mi consola è che non rivedrò mai più la tua faccia".

"Fai anche l’offeso? Sei patetico, un fottutissimo figlio di papà che si crede di essere chissà chi! Vattene da Sendoh, siete proprio fatti l’uno per l’altro…".

Le parole di Hanamichi raggiunsero però Kaede Rukawa quando già stava salendo sulla sua jeep. Un Rukawa che non si era guardato indietro nemmeno una volta.

Fino a quando non andò a letto, quella sera, il rossino si sentì molto soddisfatto di se stesso; era contento di aver smaltito un po’ della rabbia che per tutte le ventiquattro ore precedenti gli aveva covato dentro, era contento di aver potuto finalmente dire quello che pensava a quel presuntuoso che credeva di poter giocare con i sentimenti degli altri, a quel pivello, sfondato di soldi, che pensava di poterlo piegare ai giochi malati che doveva avere organizzato insieme a quel bastardo di Akira Sendoh.

Purtroppo però la soddisfazione non durò a lungo. Quella notte dormì male, spesso gli vennero in mente momenti di quegli ultimi giorni, momenti in cui l’espressione di Rukawa, le sue reazioni, erano sembrate così spontanee che era difficile crederle parte di una recita.

Tutta la notte, tutta la notte il viso di Kaede quando erano stati nella sala d’aspetto dell’ospedale, oppure il viso di Kaede quando mangiavano insieme nel parco e la kitsune lo ascoltava parlare di tutto quello che gli passava per la testa, oppure l’espressione di quella sera a casa sua, quando le cose avevano cominciato a prendere una piega più… intima. Ecco, tutto questo lo perseguitò durante la notte, e ci furono anche immagini degli ultimi due giorni… quando Rukawa aveva cercato di fermarlo per parlargli, ben due volte. E ogni volta lui non lo aveva fatto spiegare, ogni volta aveva deciso che non potessero esserci giustificazioni. E così doveva essere. Gli bastava ripensare alla faccia di Akira Sendoh per esserne sicuro.

Quando la mattina arrivò in fabbrica, cominciò subito a guardarsi intorno. Improvvisamente provava un po’ di disagio per come si era comportato il giorno prima, e adesso che era più calmo sentiva che, se Rukawa lo avesse implorato con le parole giuste, avrebbe anche potuto dargli la possibilità di ascoltarlo.

Sì, forse era troppo magnanimo, ma del tensai non poteva dirsi che non permetteva anche a chi cadeva la possibilità di un riscatto, sebbene certamente non avrebbe mai creduto al cento per cento di quello che la kitsune avesse avuto da dirgli.

Quando però entrò nella sala verniciature, Hanamichi fu accolto da una atmosfera strana, tesa.

Akagi gli porse la sua scheda per la giornata quasi lanciandogliela contro, per poi cominciare a sbuffare tipo toro inferocito; Kogure sembrava meno rilassato del solito, e si era già gettato nel lavoro, apparendo così preso da non poter dare ascolto a nessuno dei compagni… qualcosa di strano rispetto agli ultimi giorni, quando i suoi sorrisi sembravano illuminare l’intera sala. E poi sembrava proprio che lo sfregiato e il piccolo principe non fossero ancora arrivati.

Il rossino decise di non perdere troppo tempo e di cominciare con i compiti della giornata. Ogni tanto non poté, però, evitare di darsi un’occhiata intorno, per vedere se la situazione fosse tornata alla normalità. A preoccuparlo era poi la prolungata assenza dei due neoassunti. Continuando a mantenere l’atteggiamento distaccato del giorno precedente, non fece domande e cercò di rimanere in disparte il più possibile, sebbene risparmiandosi le espressioni truci che aveva sfoderato nelle ultime ventiquattro ore a chiunque avesse cercato di avvicinarglisi.

E quella sera si ritrovarono tutti in palestra, per gli allenamenti. Stavolta, sebbene l’assenza a lavoro di Rukawa e Mitsui potesse essere attribuita ad un giorno si ferie, il fatto che i due non fossero presenti non faceva presagire nulla di buono.

Terminato il riscaldamento, Akagi li invitò tutti al centro del campo:

"Devo farvi una comunicazione – cominciò, la voce come sempre tonante, ma anche carica di rabbia e disappunto – Come avrete notato, stasera, ma anche oggi in fabbrica, mancano due membri dello Shohoku, Hisashi Mitsui e Kaede Rukawa…".

Alcuni dei ragazzi intorno al capitano cominciarono a bisbigliare.

"Silenzio! Potrete fare domande quando avrò finito.

Ieri sera mi hanno chiamato e mi hanno comunicato la loro intenzione di lasciare il lavoro. Pare che sia stato loro offerto un posto migliore, per il quale avevano fatto domanda un po’ di tempo fa. Insomma, nonostante la vicinanza con le gare finali del torneo, hanno detto che era un’occasione troppo importante, che non potevano perderla, e così si sono licenziati. Di conseguenza hanno lasciato la squadra di basket.

Ora, non voglio che tutti voi pensiate che la loro assenza ci tolga qualsiasi possibilità per il campionato… sono due ottimi giocatori, ma lo Shohoku siamo tutti noi, quindi rimbocchiamoci le maniche e alleniamoci più duramente del solito. Abbiamo un nome e una posizione da difendere!" e, detto questo, sbatté con violenza il pugno sul tavolo al quale si era appoggiato.

Hanamichi inghiottì a vuoto più di una volta: gli sembrava come se qualcuno lo avesse colpito a tradimento e adesso lui faticava anche a respirare.

Kaede Rukawa se ne era andato. Aveva fatto esattamente come lui gli aveva detto, ed era uscito dalle loro vite… peccato che adesso la cosa apparisse molto meno piena di fascino di quanto non lo fosse stata la sera prima, quando lo aveva fatto sentire così leggero potersi rivolgere al compagno con tutta quella rabbia.

Si girò lentamente verso Kogure, e si accorse del suo capo chino e dello sguardo fisso sul pavimento… chissà se il quattr’occhi aveva avuto qualche avvisaglia o se la cosa fosse stata una sorpresa anche per lui.

Gli allenamenti procedettero stancamente. Nonostante le parole del capitano, l’assenza delle due matricole si faceva sentire. Rukawa e Mitsui erano sempre stati uno stimolo per tutti, vedere loro giocare portava a dare tutti se stessi per eguagliarli, per dimostrare di valere qualcosa. E invece quella sera lo Shohoku sarebbe stato sconfitto anche da una squadra di ragazzini.

Terminato l’allenamento, toccava a Kogure pulire la palestra prima di andar via. Hanamichi fece la doccia per ultimo e si vestì con calma. Quanto tutti gli altri furono usciti, tornò sul campo, sedendosi sulla panca delle riserve.

"Ancora non sei andato a casa, Sakuragi-kun?" gli chiese il quattr’occhi, non appena lo notò. Nonostante gli avesse rivolto per primo la parola, era chiaro dal suo tono che non avesse molta voglia di scambiare quattro chiacchiere, sebbene la sua educazione lo obbligasse ad essere comunque cortese.

"Volevo parlarti".

Per un momento non ci fu che il fruscio dello spazzolone che scorreva sul pavimento.

"Sapevi già che Rukawa e Mitsui avevano lasciato lo Shohoku?"

Kogure cercò di rimettere a posto un pallone, tentando un lancio da lontano nel cesto sotto il canestro. Il pallone rimbalzò sugli altri ed uscì di nuovo, rotolando tra i piedi di Hanamichi.

"Ieri sera Mitsui-san è passato a casa mia" rispose il quattr’occhi, sorridendo mestamente.

"Gli hai chiesto delle spiegazioni?" insistette il rossino, passandosi il pallone da una mano all’altra.

"No, non ce ne è stato bisogno. Mi ha raccontato tutto lui".

"Ah, hai avuto più di quel che ho avuto io! Anche lui un ricco figlio di papà, eh?" e Hanamichi scosse la testa.

Kogure rimase in silenzio, apparentemente preso dalla raccolta dei fogli con gli schemi che Akagi aveva lasciato sul tavolo. Poi però lasciò stare tutto e si sedette accanto al compagno:

"Mitsui mi ha spiegato che è stata un’idea del padre di Rukawa, in modo che il figlio conoscesse meglio la realtà che presto sarebbe stato chiamato a dirigere. A quanto pare Kaede-chan non è mai stato molto interessato agli affari di famiglia, e così questa volta non si è potuto tirare indietro. Doveva essere un esperimento di due settimane, ma poi c’è stato il basket, le nostre… amicizie, e così la cosa è andata avanti. Mi ha spiegato che volevano dircelo, ma che era difficile trovare le parole giuste".

Hanamichi rise:

"E tu te la sei bevuta! Quattr’occhi, sei proprio un ingenuo!"

"No, solo uno stupido. Gli ho detto di non farsi mai più vedere… mi sembrava la frase giusta, mi sentivo il protagonista di un film a scacciarlo, tradito e ferito nell’orgoglio, e invece mi stavo giocando la cosa più bella che mi fosse mai successa".

Kogure si alzò in piedi:

"Ho terminato con le pulizie, credo che sia il caso che tu vada. Ora devo chiudere".

Mentre aspettava il treno per tornare a casa, Hanamichi non poté fare a meno di avvertire un senso di tristezza e di vuoto. Quegli ultimi mesi erano stati così pieni di avvenimenti… ogni mattina, quando si alzava, sentiva di avere uno scopo, di poter raggiungere la felicità anche con un solo scambio di sguardi, e adesso gli sembrava proprio di non avere più nulla.

Quando Akagi aveva detto che Mitsui e Rukawa avevano lasciato lo Shohoku, non c’era stata alcuna soddisfazione. Cosa si aspettava, che Kaede cominciasse a seguirlo, implorando il suo perdono? Era stato uno sciocco solo a pensarlo. Rukawa non era così. Aveva tentato di spiegargli e lui lo aveva respinto, e quel ragazzo era troppo orgoglioso per tentare ancora. Non era difficile capire che quella kitsune aveva un orgoglio tale da portarlo tranquillamente a soffrire pene indicibili pur di non piegarsi davanti a nessuno. E aveva già fatto molto a tentare di parlargli due volte… una terza non ci sarebbe mai stata.

Il rossino scosse la testa, doveva essere l’ora tarda a fargli pensare certe idiozie. Era lui a dover essere arrabbiato, era lui ad essere stato preso in giro, e probabilmente, in quell’esatto momento, mentre lui stava salendo sull’ultimo treno della sera per raggiungere la periferia in cui abitava, Rukawa si stava divertendo da qualche parte insieme ad Akira Sendoh!

Il solo pensiero gli fece serrare la mascella e stringere i pugni.

Nei giorni successivi tutto andò avanti stancamente. Sembrava che tutti allo Shohoku si sentissero stranamente a corto di entusiasmo. Akagi era preoccupato per le partite del campionato, Kogure sembrava sempre con la mente da qualche altra parte, Yohei non riusciva a capire cosa avesse il suo migliore amico e manteneva un atteggiamento molto cauto nei suoi confronti, Miyagi sembrava aver qualche problema di troppo con la sua Ayako e il resto della Sakuragi Gundan… beh, quelli chi li ammazzava?! Pachinko, ramen e prese in giro erano più che sufficienti per superare qualsiasi difficoltà!

"Domani avremo la semifinale con il Ryonan. Spero che una partita vera vi darà la grinta che in questi ultimi giorni ho visto latitare… Ricordatevi che si deve vincere per forza: non aspettatevi da me discorsi diabetici sull’importanza del partecipare: a me non me ne frega un accidente di queste stronzate! Domani dobbiamo vincere, costi quel che costi!"

Akagi non aveva parlato, aveva proprio ruggito, e alcuni dei giocatori mostravano ora sul volto i segni inequivocabili del terrore.

"Io mi occuperò di Uozumi – riprese il capitano – Miyagi, tu dovrai controllare Fukuda, e tu, mostro, a te il compito di bloccare Sendoh…" terminò, rivolgendosi ad Hanamichi.

L’allenamento li vide più reattivi che nelle ultime settimane, e per Sakuragi questo improvviso ardore portava un nome e un cognome, ovviamente quelli dell’orrido porcospino.

"Ehi, vacci piano, scimmia! Per poco non mi hai buttato per terra!" si lamentò ad un certo punto Miyagi, che casualmente si era ritrovato sul cammino di un rossino lanciato a canestro come un caterpillar verso un cumulo di sabbia.

"Se hai paura di confrontarti con me, puoi anche evitare di giocare la partita di domani" gli replicò lui, deciso a rialzare lo spirito agonistico della squadra.

L’indomani avrebbe rivisto Akira Sendoh per la prima volta dopo quella sera… l’indomani avrebbe probabilmente incontrato di nuovo Kaede Rukawa, che sicuramente non sarebbe riuscito a rimanere lontano dal parquet… l’indomani avrebbe avuto il primo assaggio della sua rivincita!

E finalmente arrivò il giorno della sfida: i ragazzi si erano ritrovati tutti davanti al cancello dello Shohoku, pronti a partire. Stavolta non sarebbero andati con il solito pulmino sgangherato, ma il viaggio sarebbe stato fatto con tre automobili appena sfornate dalla fabbrica, e che proprio per questo non assicuravano al 100% l’arrivo a destinazione, più la macchina di Ayako, nominata manager della squadra.

Mentre i giocatori si dividevano tra le varie vetture, Hanamichi si sentì arpionare il braccio. Si voltò di scatto e si trovò di fronte al volto molto deciso della ragazza dai capelli ricci:

"Tu vieni con me, tensai" gli sibilò Ayako, trascinandoselo verso la propria automobile.

Pur non sapendo a cosa fosse dovuto tanto onore, e pur essendosi accorto degli sguardi assassini lanciatigli da Miyagi, il rossino seguì la manager, sedendosi nel posto del passeggero.

La partenza con sgommata non contribuì a diminuire la sua inquietudine…

"Ayako… non siamo in ritardo!" tentò di ricordarle.

"Stai zitto, razza di idiota! Sono io a dover parlare, tu ascolta e rispondi solo sì o no. Capito?"

"Ma… che ti prende? EHI! Il semaforo era rosso!!!" urlò, vedendo che la ragazza sembrava seguire un codice della strada molto personale.

"Rallenterò solo quando avrai detto di aver capito, deficiente!" gli rispose lei, impassibile.

"Ok… anche se non capisco che diavolo vuoi sapere!"

"E’ vero che tu e Rukawa eravate diventati amici… intimi?"

Al nome della kitsune, Hanamichi si irrigidì.

"Sì o no?" insistette la manager, svoltando con uno stridio agghiacciante delle ruote.

"SI’!" rispose lui, attaccandosi alla maniglia per non finirle addosso.

"Bene. Tu non sapevi chi fosse veramente, vero?"

"No!" stavolta aveva risposto subito. L’argomento non gli piaceva, ma sembrava che, per aver salva la vita, l’unica soluzione fosse rispondere prontamente.

"Io sono la segretaria di Takeo Akuzawa, e conosco Kaede già da un po’…"

Improvvisamente ad Hanamichi venne in mente lo scambio di battute tra i due alla serata di presentazione delle finali del torneo. Effettivamente allora gli erano sembrati strani i bisbigli che i due si erano rivolti.

"E allora?" chiese, sbuffando per dimostrare che l’argomento non gli interessava.

"Kaede è un tipo in gamba. E’ sempre vissuto molto solo: era molto attaccato alla madre, almeno da quello che racconta il padre, e la sua morte è stata un colpo dal quale non si è mai ripreso del tutto. Pare che abbia sempre avuto una certa difficoltà nei rapporti con gli altri… è molto riservato, molto introverso; credo che solo Hisashi Mitsui sia riuscito a penetrare il guscio che lo protegge. E Mitsui non è mai stato più di un amico" e Hanamichi si ritrovò oggetto di uno sguardo tagliente come un bisturi.

"Non capisco cosa…" provò ad inserirsi.

"Che tu non capisca, anzi, che tu non capisca assolutamente nulla, questo è certo! Cosa hai detto a Kaede quando hai scoperto che era il figlio di Azukawa? Lo hai insultato?"

"Sì. Non mi sembra difficile da indovinare. Tu come avresti reagito?" adesso si era stancato di sentirsi attaccare. Lui era stato ingannato… sembrava che nessuno se lo ricordasse!

"Sei veramente un do’aho! COME DIAVOLO TI E’ VENUTO IN MENTE?! Credi che per Rukawa-kun sia stato facile affezionarsi, legarsi a te? E come lo ringrazi? Insultandolo… IDIOTA! DOPPIO IDIOTA!" e nuova sterzata su due ruote sole.

"NON SONO UN IDIOTA! Si è divertito alle mie spalle… lui e quell’Akira Sendoh! Loro pensavano di aver trovato il fesso da ingannare… chissà cosa stavano architettando, e io dovevo ringraziarli, secondo te?! Ma sei sana di mente?"

"Io sì, tu no! Si può sapere che c’entra Akira Sendoh?"

"E’ stato lui a dirmi di Akuzawa. Kaede-kun si è scordato di raccontarti questo particolare?" e Hanamichi rise.

"Non è stato Rukawa a parlarmi della cosa, ma Hisashi – mormorò la ragazza, poi riprese con decisione – E tu pensi che Kaede e Sendoh abbiano architettato qualcosa insieme?"

"Sì".

"E perché?"

Il rossino sorrise ancora:

"E’ chiaro che stanno insieme. Non hai visto come quel porcospino se lo guardava durante l’amichevole, e anche la sera della presentazione?" non era piacevole ammettere quella cosa davanti a qualcuno, ma tanto ormai negare l’evidenza era solo patetico.

"Rukawa e Sendoh non stanno insieme. Questo sembra essere il particolare che ti è sfuggito… il presidente del Ryonan ha sempre avuto un debole per Kaede, ma non ha mai avuto nessuna speranza. Credo che abbia preso più rifiuti lui da Rukawa che… - e la ragazza si voltò a guardarlo – che tu in tutta la tua vita. Il che è tutto dire!".

"E tu che ne sai? Mi sembra che sia un po’ troppo informata…"

"Non te l’ha mai detto nessuno che le ‘assistenti’ sanno le cose prima di tutti? E poi una parola qui, una parola lì… e la segretaria di Sendoh è stata una fonte inesauribile di informazioni".

Rimasero in silenzio per qualche minuto, con Ayako che finalmente sembrava aver deciso di utilizzare una guida un po’ più normale.

"Cosa hai intenzione di fare, adesso?" la voce della ragazza era molto più gentile, sembrava quasi calda.

"Non posso fare niente. Ormai credo che ci sia davvero poco da recuperare. E poi, anche se non sta con Sendoh e se non voleva prendermi in giro, rimane che mi ha mentito".

"Già, capisco. Non ti riprenderai mai più, ha tradito la tua fiducia e non c’è niente che ti farà comprendere perché lo ha fatto… – gli sibilò la manager, sarcastica – Lo sapevo che eri un idiota!" e con un’ultima sgommata, si fermò nel parcheggio del Ryonan.

"Ayako…"

"Esci immediatamente da questa macchina. Quando ti ho fatto salire mi sembravi solo confuso, ora so che non c’è un briciolo di intelligenza o buon senso in te. Scendi".

E Sakuragi scese. Era sempre più disorientato, però sapeva che le parole che aveva sentito prima da Kogure e poi dalla manager gli avevano mostrato un nuovo modo di vedere la situazione, e che adesso tutto era infinitamente più difficile e indefinito.

Quando i giocatori dello Shohoku fecero il loro ingresso, compatti, nella palestra del Ryonan, si accorsero che era davvero stracolma di gente: sembrava che tutti gli operai della casa automobilistica fossero presenti, quella sera, e anche gli operai dello Shohoku avevano fatto in modo di partecipare in massa per sostenere i propri giocatori. Il frastuono era pauroso, a stento si riuscivano a sentire le parole dell’arbitro che stava assegnando i campi e preparandosi per la palla a due.

Hanamichi aveva immediatamente cercato con gli occhi Akira Sendoh, e non aveva dovuto faticare molto per vederlo in mezzo agli altri giocatori, sorridente e tranquillo. E poi i loro sguardi si erano incrociati, e quel sorriso si era allargato, ma era anche diventato falso e cattivo. Da parte del rossino, invece, c’era stata una espressione tutt’altro che amichevole, uno sguardo di odio, una promessa di resa dei conti sul campo.

Nella palestra piena era difficile individuare qualcuno tra il pubblico, eppure, prima del fischio di inizio, Sakuragi non poté resistere alla tentazione di cercare di individuare Rukawa. Quando era entrato aveva subito sentito un brivido corrergli lungo la schiena, ed era sicuro che quella sensazione fosse dovuta alla presenza del volpino. Chissà dov’era, chissà se avrebbe fatto il tifo per loro… Ok, lo sapeva che Rukawa avrebbe tifato per loro, e non solo perché era la squadra della fabbrica del padre, ma perché aveva dato anche lui tutto se stesso durante gli allenamenti e le partite.

Adesso che la nebbia causata dalla rabbia stava cominciando a diradarsi, ad Hanamichi sembrava di riconoscere finalmente tanti particolari che mostravano chiaramente che quello che il compagno gli aveva tenuto nascosto non era che un particolare quasi insignificante della sua vita. Forse si stava illudendo, ma adesso il rossino stava cominciando a convincersi che quelli che Rukawa aveva condiviso con lui erano i suoi veri sogni, la vera vita che avrebbe voluto condurre.

E Akira Sendoh poteva provare quanto voleva… non avrebbe mai avuto alcuna speranza!

L’arbitro lanciò la palla: Uozumi, del Ryonan, e Akagi, il gorilla, saltarono insieme per aggiudicarsi il primo attacco dell’incontro, e la partita cominciò.

Ad Hanamichi sembrava di non riuscire a trovare sintonia con i compagni. Le sue mosse erano dettate dal tentativo di stare attaccato ad Akira Sendoh, di non lasciargli alcun margine di manovra, e così spesso dimenticava di tenere il suo ruolo negli schemi.

"Zuccone, vuoi deciderti a concentrarti?! Non vedi che sei sempre fuori posizione?" il tono di Miyagi era esasperato e preoccupato; la partita era cominciata da pochi minuti e lo Shohoku era già sotto di sei punti. Quel Fukuda sembrava scatenato, e Uozumi aveva fatto un dunk che rivaleggiava con quelli del gorilla… il tabellone ancora tremava.

Il rossino annuì, passandosi il dorso della mano sulla fronte per asciugarsi il sudore. La tensione psicologica, più di quella fisica, lo stava schiantando.

"Ancora non ti sei ripreso dal nostro ultimo incontro?- gli mormorò Sendoh, sorridendo divertito – Sapevo che eri un debole! E pensavi di poter conquistare Rukawa… davvero ridicolo!" poi lo sorpassò, involandosi verso il canestro.

Hanamichi si lanciò all’inseguimento, ma non poté far nulla per contrastare il tiro in sospensione dell’avversario. Eppure, eppure c’era qualcosa nella rabbia di Akira Sendoh che faceva crollare tutte le idee che Sakuragi si era messo in testa dopo il loro ultimo scontro. Il giocatore del Ryonan sembrava rabbioso, sembrava sibilargli ogni parola… e quello non era l’atteggiamento di qualcuno sicuro di quel che ha, non era l’atteggiamento di chi non lo considerava più un pericolo. E questo stava a confermare… le parole di Ayako: Akira Sendoh non era il ragazzo di Rukawa, non lo era mai stato. Certamente Kaede gli aveva mentito, nascondendogli la sua vera identità, ma non c’era stato altro, non c’era stato il desiderio di prenderlo in giro, di metterlo in ridicolo. Non c’era stata qualche oscura macchinazione organizzata insieme al porcospino, niente di tutto questo. E lui… lui era stato solo un cretino.

La sorpresa la sera della festa era stata tanta, e certamente Hanamichi sentiva di avere avuto delle giustificazioni per la propria reazione, ma nello stesso tempo, ad ogni minuto che passava, si rendeva conto di quanto avesse frainteso. E adesso… adesso doveva cercare di recuperare, doveva trovare il modo di parlare con Rukawa, di spiegargli e di farsi perdonare le parole che gli aveva rivolto.

Sapeva che sarebbe stata dura, che certe cose, del cui solo ricordo adesso si vergognava miseramente, non sarebbero state facili da dimenticare, ma nello stesso tempo non si sarebbe dato per vinto: lui era il tensai, lui non si tirava mai indietro davanti alle sfide, e questa era sicuramente una delle più importanti che si fosse mai trovato a cercare di vincere.

Si voltò ancora una volta verso gli spalti affollati: il pubblico del Ryonan faceva un tifo infernale, sembrava di stare in una arena, battevano quelle bottiglie di plastica contro le balaustre, e urlavano a squarciagola il nome del loro campione.

Hanamichi riportò lo sguardo su Akira Sendoh: non poteva farsi battere da quell’idiota, doveva sconfiggerlo fuori e dentro il campo, solo in questo modo avrebbe fatto capire a Rukawa quanto valeva.

Alla ripresa del gioco, Sakuragi spinse ancora di più, si avventò su ogni palla, spronò i compagni, lottò per ogni rimbalzo, e pian piano lo Shohoku si riprese. In un momento di pausa, con tutti i giocatori fermi in mezzo al campo per riprendere fiato, il rossino si avvicinò alla stella del Ryonan:

"Credo che adesso tu cominci a capire di avermi sottovalutato!" gli sibilò, sorridendo come prima Sendoh aveva fatto con lui.

L’altro non riuscì a ribattere, troppo preso a cercare di respirare dopo l’ultima corsa a protezione del suo canestro.

Alla fine del primo tempo, le squadre erano separate da un solo punto, con lo Shohoku in vantaggio sul Ryonan. Akagi, raccolta la squadra intorno a sé, annuì rapidamente in segno di approvazione, ma subito riprese il solito tono burbero:

"Stiamo andando bene, ma la partita è ancora lunga, e i nostri avversari sono tutt’altro che da sottovalutare! Miyagi… ricordati che Fukuda è sempre velenoso, non fartelo sfuggire; Sakuragi, Sendoh è un osso duro, non continuare a cercare lo scontro a due, in quello non potrai vincere. Ricordati che non sei Rukawa!"

Hanamichi sobbalzò, sentendo quel nome. Poi borbottò qualcosa di inintelligibile, voltando le spalle ai compagni di squadra, e riportando lo sguardo sul pubblico.

E fu in quel momento che lo vide.

Kaede Rukawa era seduto all’altezza del secondo anello, accanto ad Ayako. E dietro di lui c’era Hisashi Mitsui. Per qualche istante Hanamichi rimase fermo, gli occhi fissi sul ragazzo mescolato tra il pubblico, quel ragazzo che non doveva stargli così lontano… Alzò il braccio, stringendo il pugno: Rukawa doveva capire che tutto quello che Sakuragi avrebbe fatto in campo, da quel momento in poi, sarebbe stato fatto solo per lui.

La partita riprese con uno Shohoku più agguerrito che mai. La spinta propulsiva del rossino servì da sprone anche ai compagni, e ancora più di prima, quando il ragazzo era stato il primo a risvegliarsi dal torpore a cui li aveva indotti il gioco preciso, ma dal ritmo lento, del Ryonan, divenne il fulcro delle manovre della squadra, combattendo persino con il proprio capitano per impadronirsi di ogni palla.

Mancavano due minuti al termine della partita e le squadre erano in parità. Gli sforzi dello Shohoku avevano trovato pronta risposta nelle manovre della squadra di Akira Sendoh, e in particolare proprio nel presidente/giocatore, che aveva spesso fatto la differenza.

Ad Hanamichi non era sfuggito che anche il porcospino avesse individuato Rukawa, e che spesso, dopo un punto particolarmente spettacolare, si voltasse verso quella parte delle gradinate per sfoderare il suo inconfondibile ghigno.

Due minuti in cui giocarsi non solo la partita sul campo…

Gorilla Dunk! Lo Shohoku salì di due punti.

Immediatamente il Ryonan impostò il contrattacco. Il gioco di Fukuda spiazzò prima Miyagi e poi Kogure, e il passaggio per Uozumi fu semplicemente perfetto…

Di nuovo in parità.

Miyagi si rimpossessò del pallone, cominciando una nuova manovra… stavolta avanzando in maniera più guardinga. C’erano da fare i conti anche con il cronometro.

Passaggio filtrante per Akagi, ma Uozumi sbarrava ogni via. Di nuovo Miyagi, passaggio veloce a Kogure, che di prima girò su Hanamichi.

Il rossino, avendo deciso di non fermarsi a congratularsi con se stesso per la fiducia che i compagni riponevano in lui, visto che gli avevano affidato l’ultimo attacco (oppure volevano che fosse lui a prendersi la colpa in caso di sconfitta?), riuscì ad aggirare Fukuda e a passare la linea dei tre metri.

Porcospino all’orizzonte! Stavolta il ghigno era disegnato sul volto del rossino, però! Stare insieme a Rukawa non gli aveva portato solo momenti meravigliosi, passati a contemplare la perfezione volpesca del suo ragazzo, ma anche ore e ore di pratica al campetto del parco, e in particolare due o tre lezioni davvero indimenticabili sui tiri in sospensione…

Con sicurezza, Hanamichi alzò le braccia e tirò, e sembrò quasi che l’intero palazzetto stesse trattenendo il respiro, mentre il pallone descriveva la sua parabola.

E poi tutto il pubblico si alzò in piedi ad applaudire.

Adesso lo Shohoku era avanti di due punti, ma mancavano ancora ventidue secondi alla fine dell’incontro.

Sendoh si impossessò della palla. Il sorriso non lo aveva abbandonato, sebbene non avesse più la rilassatezza dei primi minuti di gioco. Con tranquillità, come se quei numeri rossi non scorressero anche per lui, superò la metà campo, raggiungendo i compagni già schierati in posizione di attacco.

Finta verso Uozumi, passaggio a Fukuda, uno-due velocissimo che lo ritrovò in volo verso il canestro, con il solo Hanamichi a sbarrargli la strada.

Ma il re dei rimbalzi non era certamente stato incoronato invano… una stoppata che aveva del miracoloso, una elevazione straordinaria, e non aveva neanche sfiorato l’avversario.

L’arbitro, però, doveva avere evidenti problemi di vista… il fischio del fallo ricacciò in gola l’urlo di gioia dello Shohoku.

Akagi si portò a ridosso del direttore di gara, il viso da primate trasformato dalla rabbia. Non era fallo, non c’era stato alcun contatto, era stata una delle entrate più pulite dell’incontro… ma era anche stata una entrata su Akira Sendoh, e questo arrivava a cambiare le regole di qualsiasi regolamento.

Hanamichi si voltò verso il pubblico, rimanendo in piedi, dritto, con le braccia tese e le mani strette in pugni serrati, e con una voglia incredibile di urlare, di picchiare, di andarsene da quella palestra… E poi vide Kaede Rukawa, in piedi dietro alla balaustra, una espressione furiosa nello sguardo che il rossino poteva percepire perfettamente anche da quella distanza.

I loro occhi si incontrarono, e per la prima volta dopo tantissimi giorni Sakuragi vi vide simpatia, vi avvertì qualcosa di caldo. E poi un semplice gesto, uno scuotere la testa che era un chiaro invito a calmarsi, a controllare la rabbia e ad agire da adulto anche davanti ad una ingiustizia.

Primo tiro libero… il pallone disegnò una parabola perfetta, andando ad insaccarsi senza sfiorare altro che la rete del canestro.

Secondo tiro libero… i giocatori dello Shohoku si disposero a semicerchio, le braccia sulle spalle gli uni degli altri e uno sguardo che era incredibile non avesse la forza di spostare da solo la sfera arancione.

Sendoh si rimise in posizione, e l’arbitro fischiò.

Il grido che si levò dal campo sovrastò quasi quello del pubblico…

"SHOHOKU FIGHT!" avevano gridato tutti insieme i giocatori della fabbrica delle utilitarie. Da soli, senza l’appoggio di nessuno, dovendo anche contrastare quella che era stata fin troppo palesemente una ingiustizia, avevano battuto il Ryonan, il favorito per la finale del torneo, e anche adesso, dopo aver visto la palla arancione rimbalzare sull’anello di metallo, sembravano quasi increduli di esserci riusciti.

Hanamichi, cercando di districarsi dall’abbraccio di Akagi e dalle pacche di Yohei, si voltò di nuovo verso gli spalti, cercando con lo sguardo la persona per la quale aveva dato tutto se stesso, ma sulla gradinata era rimasta solo Ayako. Di Rukawa e Mitsui non era rimasta alcuna traccia.

"Ehi, scimmia… dove stai andando?!"

La voce di Yohei cercò di fermarlo, ma il tensai era già lanciato verso l’uscita che lo avrebbe portato nel piazzale antistante il palazzetto dello sport del Ryonan; dopo la conversazione con Ayako, e dopo tutto quello che anche lui aveva pensato in quegli ultimi giorni, era chiaro che c’erano stati troppi fraintendimenti, e che quello che avevano costruito lui e Rukawa era troppo importante per essere lasciato andare senza una spiegazione, senza tentare un chiarimento.

Corse verso il parcheggio, sperando di trovare il suo volpino vicino alla jeep, ma sembrava proprio che non ci fosse nessuno. Controllò ogni automobile, ogni angolo nascosto.

Niente.

"Smettila di affannarti tanto; se ne è andato".

Come fare a non riconoscere la voce indisponente di Hisashi Mitsui?

"Che diavolo vuoi, sdentato! Non mi sembra di averti chiesto aiuto…"

Lo sfregiato sorrise, scuotendo la testa:

"E’ per questo che ti trovi in questo casino, proprio perché fai tutto di testa… scusa, di segatura tua!"

"Senti chi parla di segatura! Sbaglio o anche tu hai qualche piccolo problemino in campo sentimentale? Mi sbaglio, o il quattr’occhi ti ha mollato?" e Hanamichi scoppiò a ridere, continuando però a guardarsi intorno. Rukawa non poteva essere lontano!

L’espressione di Mitsui si incupì:

"Rimane che io ho tutte le intenzioni di recuperare la situazione. E ce la farò!"

"E pensi che io possa fallire? Ce la farò anche io, sempre che riesca a trovare quella stupida kitsune fuggitiva!" ribatté pronto Hanamichi.

Mitsui lo guardò per qualche momento con espressione pensosa, poi lasciò andare un sospiro e scosse la testa: "Probabilmente sbaglio, ma, tanto, peggio di così non può andare. Rukawa, prima di andare via, mi ha detto che voleva passare a trovare una paziente in ospedale. Non ha detto più di questo, ma forse per te è sufficiente per trovarlo".

Hanamichi lo guardò con la bocca aperta: quello che lo sdentato gli aveva rivelato doveva essere sufficiente per individuare il suo Kaede. Sicuramente era andato a trovare la signora che avevano salvato insieme… anche se era strano che la donna fosse ancora in ospedale. Quella era però l’unica idea che gli venisse in mente.

"Beh… - borbottò a disagio – Anche se non te lo meriti… grazie Mitchi" e cominciò a correre verso la nuova destinazione.

"E NON CHIAMARMI MITCHI, IDIOTA!!" lo raggiunse l’urlo di Mitsui, quando ormai lui aveva già svoltato l’angolo.

Un turbine coi capelli rossi attraversò la città, fermando macchine, investendo bambini e carrozzine, saltando cassonetti e scavalcando muri… e alla fine si fermò davanti all’ingresso dell’ospedale:

"Sono… pant pant… qui per vedere… pant… la paziente che era nella stanza… pant…"

L’infermiera non lo fece terminare:

"Ah, di nuovo tu, Sakuragi-kun! Sì, immagino per chi sei venuto: la signora ha avuto una piccola ricaduta, ma tu conosci già la strada, no? Vai pure" gli disse, sorridendo.

Hanamichi si diresse verso gli ascensori praticamente in trans. Mentre correva attraverso la città, non aveva avuto il tempo di pensare a quello che avrebbe fatto una volta di nuovo faccia a faccia con Kaede, e adesso sembrava proprio che stesse per essere colto da un attacco di panico.

Sempre camminando rigidamente, raggiunse la stanza giusta, rimanendo per un istante sulla soglia per prendere fiato ed affrontare la situazione. E mentre stava lì, immobile, sentì che dentro qualcuno stava parlando…

"…e sembrava veramente perso. Non posso dire di conoscervi bene, ma so distinguere il senso di colpa e il desiderio di tornare indietro. Sicuramente Sakuragi-kun è stato impulsivo… ma è triste non dare una seconda possibilità".

E quindi la ‘voce’ di Rukawa:

"Mph!"

"Rukawa-kun… prima che tra voi nascesse qualcosa Hanamichi è venuto da me. Era incerto, pensava che avresti potuto respingerlo, ma era anche raggiante, perché finalmente gli sembrava di aver trovato qualcosa per cui lottare. Capisco i fraintendimenti… immagino che la situazione non sia semplice da risolvere, ma prova a metterti nei suoi panni: davvero vuoi privare entrambi della possibilità di essere felici?"

Il rossino, dietro la porta, trattenne il respiro: nella stanza non si sentiva alcun rumore, solo il ronzio del riscaldamento e il rumore dei rami che, sospinti dal vento, accarezzavano i vetri della grande finestra.

‘Rispondi…’ pensò Hanamichi, abbandonandosi con la schiena contro il muro e chiudendo gli occhi.

E finalmente si sentì la voce di Rukawa, appena un sussurro morbido:

"Ha detto delle cose che… e ne era convinto – poteva immaginarlo sollevare il viso, ed assumere una espressione dura – No, non credo di potergli dare una seconda possibilità: non credo che la voglia, e non credo che la meriti".

Sakuragi si lasciò scivolare lungo il muro, fino a ritrovarsi seduto sul linoleum lucido. Nascosto com’era dalla porta della stanza, ebbe poi solo la possibilità di sentire i passi di Kaede allontanarsi decisi verso gli ascensori, mentre la donna, bloccata sul letto, lo richiamava indietro, invano.

Probabilmente non furono che pochi istanti, poi il rossino sentì di nuovo la stessa voce femminile:

"Hanamichi, entra. Lo so che sei lì fuori".

Inizialmente il ragazzo non prese neanche in considerazione la possibilità di avere la forza di alzarsi e di entrare nella stanza, ma poi lo fece, somigliando nei suoi movimenti più ad uno zombie che ad un essere umano.

"Lo sapevo che eri lì fuori… hai fatto bene a venire fin qui!" gli disse la donna, sorridendo.

Sakuragi scosse la testa. Dopo aver sentito le parole dalla viva voce di Rukawa, neanche la persona più ottimista della Terra poteva sostenere che lui avesse ancora qualche speranza… ma, evidentemente, dal sorriso della signora che aveva di fronte, qualcuno ancora tanto cieco da non riconoscerlo ci doveva essere.

"Non fare quella faccia disperata, Hanamichi, questo non è il momento per perdersi d’animo, ma di agire!" la donna esclamò con il tono di un generale che sta preparando il piano di battaglia.

"Non mi sembra che ci sia molto da fare, ormai" mormorò il ragazzo, abbandonandosi con la grazia di un sacco di patate sulla sedia vicina al letto.

La signora scosse la testa:

"Si può sapere che cosa ti ha tanto scoraggiato? Invece di essere così disfattista, dovresti fremere all’idea di riconquistare la tua kitsune. Cosa hai?"

Hanamichi non riuscì a nascondere il proprio stupore: come diavolo era possibile non capire il suo stato d’animo, dopo che Kaede aveva appena affermato di non avere alcuna intenzione di dargli un’altra possibilità? E poi non è che la situazione si fosse ancora chiarita… rimaneva sempre che il volpino gli aveva nascosto parecchie cose, e tutte importanti!

"Mi sembra proprio di aver sentito Ru… Rukawa dire che non mi vuole più vedere" riuscì a borbottare, osservandosi attentamente le scarpe.

"E allora?" gli rispose lei, spazientita.

"Beh… non mi sembra che ci sia molto da aggiungere. Evidentemente non c’è alcuna possibilità di poter parlare. Insomma, è finita".

La donna scosse la testa, abbandonandosi stancamente contro i cuscini:

"Non è possibile! – poi, ritornando dritta e riacquistando il tono battagliero – Smettila di piangerti addosso! Ti è mai venuto in mente che esistono delle persone che, pur pensando una cosa, affermano il contrario?"

"No".

"Hanamichi!! E’ una delle regole elementari quando si decide di conquistare qualcuno: non bisogna fermarsi alle parole, al comportamento di superficie, ma bisogna imparare a decifrare le sfumature, ad inserirle nel contesto giusto, e quindi leggere correttamente i segni!"

"Che c’entrano le traduzioni?" chiese il rossino, stavolta davvero stupito.

E la signora si ributtò indietro, rischiando danni irreversibili alla spina dorsale:

"Sto quasi per rinunciare…"

Hanamichi la fissò incuriosito:

"Perché non mi spiega bene perché pensa che potrei avere ancora delle speranze, e perché non mi dà qualche consiglio su come agire?"

Visto che sembrava che la donna ne sapesse molto più di lui di relazioni in generale, e di Rukawa in particolare, poteva essere una buona idea affidarsi a lei.

"Non devi preparare né pozioni magiche, né discorsi da Cirano…"

L’espressione interrogativa del rossino le fece fare un gesto con la mano come a dire che non importava e di non interromperla:

"Insomma, quello che voglio dirti è che non ti serve poi così tanto per poter risolvere tutti i tuoi problemi. Sii onesto, spiega quali sono i tuoi sentimenti, tutto quello che hai provato da quando vi siete conosciuti fino ad ora, senza tralasciare nulla, senza nascondere la delusione e il senso di tradimento provati la sera della festa… con il porcospino!"

La donna sembrava ricordare il nome che Hanamichi aveva affibbiato a Sendoh, nonché i dettagli di quello che era successo la sera della presentazione delle squadre. E non poteva essere stato che Rukawa a parlargliene, e se lo aveva fatto, voleva dire che quello che era accaduto non era stato né accantonato, né dimenticato.

"E lei pensa che potrebbe funzionare?"

"Con due persone normali, direi decisamente di sì. Con voi due? Beh… le probabilità diminuiscono…"

"Ma… ma perché…" Hanamichi replicò, non del tutto convinto che non far parte dell’insieme delle persone normali fosse esattamente un complimento.

La donna scoppiò a ridere:

"Sono sicurissima che andrà tutto bene: vai e parlagli. E dopo voglio conoscere tutti i particolari, ricordatene!"

Il turbine rosso venne avvistato attraversare le strade di Yokohama per la seconda volta, quella sera… e per un momento il Tensai pensò che sarebbe stato bene individuare subito la tana dove si era nascosta la sua kitsune, perché tra partita e maratone, quella sera era davvero distrutto.

In ogni caso, Hanamichi puntò dritto verso la casa di Kaede, ritenendola il posto più plausibile in cui trovare il ragazzo a quell’ora.

Aveva quasi dimenticato quell’accidenti di rampicante che impediva anche solo di avvicinarsi al citofono! Incuneandosi tra le fronde, riuscì a premere il pulsante. Non appena sentì la voce morbida di Kaede rispondere, il discorsetto compito e ragionevole che si era preparato sembrò svanire nel nulla… nessuna dichiarazione ferma, nessuna parola di perdono offerta magnanimamente e con il giusto tono ferito:

"Sono Sakuragi… dobbiamo parlare".

Probabilmente neanche nei film coi Ninja venivano pronunciate battute così deficienti…

"Vattene".

Togliendosi una foglia dall’occhio, il tensai realizzò che quel volpino deficiente doveva aver chiuso la comunicazione… come osava? Dopo tutto quello che lui aveva passato in quei giorni, era il minimo che Kaede si prostrasse ai suoi piedi, implorando di essere perdonato!

Si riattaccò al citofono, tenendo il pulsante premuto per almeno cinque minuti.

"Ti ho detto di andar via!"

"Devo parlarti, e non me ne andrò, e continuerò a suonare, a telefonarti, e sbattere fra loro i coperchi dei cassonetti finché non ti deciderai ad essere ragionevole e ad aprire!"

"Ragionevole io?! Buonanotte, idiota, spero che stanotte nevichi!"

E di nuovo si sentì il rumore della comunicazione chiusa.

Un dito a premere il bottone del citofono, l’altro a scegliere il numero di Kaede dalla rubrica del telefonino, e la punta rinforzata degli anfibi a sbattere contro il cassonetto metallico, Hanamichi decise che la battaglia aveva avuto inizio, e che sarebbe durata tutta la notte, se fosse stato necessario.

Quaranta minuti dopo, il pollice era un’appendice del citofono, e il piede batteva il tempo dei suoi ululati, o meglio, della melodia che aveva composto, a squarciagola, con il nome di Rukawa:

"Kaeeee… Ka-Ka-Ka… Kaeeedeee…Kaeeee… Ka-Ka-Ka… Kaeeedeee…".

Il cancelletto di ferro si aprì improvvisamente, facendolo quasi cadere a terra.

"Kaeeeedeeee…" continuò Hanamichi, ormai rapito dalla canzone che aveva composto.

"Razza di imbecille, decerebrato, idiota, deficiente…" lo salutò Rukawa, la cui espressione non faceva presagire assolutamente nulla di buono.

"Ehi, sei sceso finalmente, volpacchiotto!" gli replicò però il rossino, candidamente. E gli sorrise anche, staccando finalmente il dito dal pulsante per far vedere il segno tondo che gli si era impresso nella pelle.

"Hai trenta secondi, poi devi andartene. Non ho nessuna voglia di sentire le tue cretinate… credo che tu sia stato già abbastanza chiaro quando abbiamo parlato l’ultima volta".

Il tono gelido non fermò assolutamente Hanamichi:

"Qui fuori fa freddo. Probabilmente il tuo augurio di vedere la neve è stato ascoltato da qualcuno di importante… Non potremmo andare a parlare in un posto più caldo? – il ragazzo si fermò pensoso, poi si lanciò – Sono anche disposto ad offrirti una birra. Sempre che non sia troppo plebea per te…" aggiunse poi a voce più bassa.

Stavolta Rukawa non lo insultò. Per qualche istante non disse niente, limitandosi a guardarlo con una espressione seria, poi riaprì il cancello, avviandosi di nuovo verso casa:

"Che fai fermo come un ebete? Anche a casa mia è arrivato il riscaldamento, e credo anche di avere una confezione di Bud da sei".

E il tensai, senza neanche sforzarsi di nascondere il ghigno che gli si era disegnato sul viso, non si fece ripetere l’invito due volte.

L’appartamento era enorme… assolutamente diverso da qualsiasi cosa Hanamichi avesse mai visto prima. Non si poteva certo dire che le case dei suoi amici assomigliassero a questa; c’era qualcosa di indipendente, di studiato, di personale praticamente in ogni cosa che arredava quella stanza enorme in cui si accedeva direttamente dal portone di ingresso.

"Siediti sul divano, io vado a prendere le birre" gli disse Kaede, freddamente.

La cucina era in un angolo, con il lungo bancone di legno nel quale erano incassati il lavandino, i cassetti e gli elettrodomestici, e davanti aveva un tavolo quadrato… quel tavolo che sembrava fatto apposta per lunghe colazioni a due.

Non volendo sembrare troppo impacciato, o troppo preso dallo studio di quello strano appartamento, il rossino decise di sedersi sul divano, e di interessarsi vivamente ai volumi che riempivano la libreria che arrivava fino al soffitto e che faceva un arco intorno alla finestra.

"Bell’acquario…" mormorò, quando Kaede si sedette su una poltrona, appoggiando il vassoio sul tavolino basso tra di loro.

"Immagino che tu non sia venuto per dirmi questo" lo gelò immediatamente Rukawa.

Ok, sembrava proprio che non fosse il caso di perdersi in convenevoli.

"Senti, forse quella sera alla festa ho reagito male. Insomma… non è stato piacevole scoprire tutto così all’improvviso… e dalla boccaccia di Akira Sendoh, per di più – aggiunse sottovoce – comunque, volevo dirti che… beh, quello che provo per te non è cambiato. Come spiegare… - oddio, stava cominciando ad impappinarsi! – Pensavo che fra noi ci fosse un certo tipo di rapporto, e invece ho scoperto che mi nascondevi tantissimo di te… però poi ho capito che forse non erano le cose più importanti. Non so come spiegarmi – ripeté – Vorrei che tu mi perdonassi per le cose che ti ho detto, e che mi dessi un’altra possibilità. Vorrei che stavolta ci dicessimo tutto… io sono convinto che noi staremmo bene insieme…" terminò, con la gola secca e ormai un tono implorante.

Perché Kaede non parlava? Perché era rimasto a fissarlo con quello sguardo impenetrabile?

"Ehm… non dici niente? Ok, ho detto delle cose sbagliate, vi ho accusato di volermi prendere in giro…" si interruppe, notando il sopracciglio sollevato dell’altro "Va bene, hai ragione, vi ho accusato di qualcosa di peggio, ma non credere che Sendoh non volesse averti tutto per sé! Quel bastardo stava facendo di tutto per farmi credere le cose più brutte, per portarti via!! Lo so, io sono stato stupido e ci ho creduto, però devi capire che la situazione era tale che non era facile capire cosa stesse succedendo… Kaede… Kaede? Di’ qualcosa!"

Rukawa si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra:

"Non penserai che ti basti venire qui, chiedere scusa, perché tutto sia dimenticato, vero?" sibilò.

"Speravo che avrebbe aiutato…" provò a scherzare lui, sorridendo, ma tornando subito serio all’occhiata inceneritrice dell’altro.

"Anche io avevo cercato di spiegarti… non mi sembra che tu me ne abbia dato modo. Adesso perché io dovrei starti a sentire?"

Sembrava proprio che la kitsune non volesse far niente per facilitargli le cose. Anzi, probabilmente tra loro non c’era più nulla da cercare di ricostruire… eppure Hanamichi non poteva accettare di smettere di combattere.

"Avevi ragione: quella volta ti ho accusato delle cose peggiori che mi erano venute in mente, ma davvero non… non capivo! Mi sentivo tradito, ingannato…" si fermò, perché sapeva che ammettere quello che stava per dire avrebbe messo a nudo tutte le sue insicurezze, il fatto di non sentirsi degno dell’altro:

"Volevo ferirti come tu avevi ferito me, volevo vedere nel tuo viso lo stesso dolore che c’era stato nel mio quando Sendoh mi aveva accusato di essere stato un idiota a pensare di poterti conquistare. Volevo far vedere che anche una persona come me può far soffrire uno di voi…" mormorò piano.

Rukawa si era di nuovo voltato verso la finestra. Non rispose subito, ci furono degli attimi di silenzio che sembrarono pesare come ore, poi il ragazzo moro si voltò di nuovo verso di lui:

"Perché sembri così convinto che la mia vita debba essere tanto diversa dalla tua?"

Hanamichi arrossì:

"Non ti sembra ovvio? Tuo padre, la tua macchina, questa casa… io non ho mai neanche immaginato qualcosa di simile. Ogni cosa è studiata, ogni cosa è facile per te! Io e mia madre abbiamo sempre dovuto lottare. Apparteniamo a due mondi completamente diversi, Kaede Rukawa".

L’altro scosse la testa:

"Pensi che la mia vita e quella di mia madre sia stata semplice? Akuzawa-san mi ha riconosciuto ufficialmente solo parecchi anni dopo la mia nascita. Fino ad allora, mia madre ed io abbiamo sempre vissuto da soli: lei è sempre stata troppo orgogliosa per chiedergli qualcosa, ha sempre voluto che noi ce la facessimo senza il suo aiuto. Il loro è stato un rapporto strano… - il ragazzo si interruppe per qualche secondo, come se proprio in quel momento gli venissero in mente nuovi particolari di quella relazione che aveva trasformato la vita della madre e poi la sua – Mia madre non voleva niente di mio padre… voleva solo lui, e non l’ha mai potuto avere completamente".

Hanamichi si alzò dal divano: in quel momento gli sembrò la cosa più giusta da fare, non solo quella che desiderava di più. Si avvicinò al compagno, sostenendo quello sguardo nel quale erano presenti in ugual misura le emozioni e lo sforzo di non farle trapelare, e gli passò le braccia intorno alla vita, forzandolo ad appoggiarsi contro il suo petto.

E Rukawa lo fece.

"Kaede, non te lo chiederò più, sparirò dalla tua vita, se vorrai, ma veramente pensi che non ci sia un’altra possibilità per noi? Io vorrei che noi ricominciassimo tutto da capo… raccontandoci tutto – qui si fermò, grattandosi la nuca – Ok, di me ormai conosci praticamente ogni avventura! Però – e tornò serio – Potremmo provare a vedere se le cose possono funzionare anche… con le nostre differenze. Io credo che ne valga la pena".

Hanamichi si fermò, aspettando la risposta con il cuore che batteva all’impazzata, e con il desiderio irresistibile di accarezzare i capelli morbidi del ragazzo che gli stava ancora appoggiato addosso.

Dopo qualche minuto di attesa, il tensai cominciò a spazientirsi, oltre che a rischiare un arresto cardiaco:

"Ohi, mica starai dormendo?!"

Si ritrovò con una gomitata nel fianco (e un livido certo qualche ora dopo), e poi la voce effettivamente un po’ assonnata di Rukawa finalmente si fece sentire:

"Non so perché ti dia retta: non sono affatto sicuro che tu ti meriti il mio perdono…"

"Maaaaa kitsuneeeeee" cominciò a lamentarsi il rossino, che fu però tacitato da un’altra gomitata, che lo portò anche a pensare che il volpacchiotto fosse davvero troppo ossuto…

"…come dicevo prima che la tua bocca larga mi interrompesse, non te lo meriti, ma possiamo darci un’altra possibilità. E spero che stavolta ti accorgerai fino in fondo che le nostre differenze non sono poi così grandi".

Hanamichi cercò di trattenersi dal desiderio di cominciare a zompettare in mezzo alla stanza, oppure di lanciare il volpacchiotto per aria, per vedere fin dove riusciva a farlo volare, e invece sollevò il viso di Kaede, fino a catturarne lo sguardo. Poi gli sorrise e lo baciò, e di nuovo furono stelle e pianeti… anche qualche satellite e un po’ di meteoriti, ma soprattutto la consapevolezza di aver ritrovato il mondo meraviglioso che si materializzava solo quando loro due erano insieme.

"Stavolta non ci sarà niente che potrà separarci…" mormorò, rafforzando il concetto con un altro bacio.

"Ecco, cerca di tenerlo bene a mente, anche perché io non ho alcuna intenzione di darti altre possibilità!"

"Volpaccia indisponente! Non mi sembra che tu sia proprio senza responsabilità… - ma vedendo lo sguardo dell’altro incupirsi, il rossino alzò le mani – Ok, ok, non mi sembra proprio il caso di cominciare un’altra discussione!" e per essere sicuro di evitarla, decise di fare in modo che la volpe fosse occupata in altre attività…

Due settimane dopo, lo Shohoku, di nuovo al completo, grazie all’inaspettato ritorno in fabbrica, e quindi in squadra, di Mitsui e Rukawa, affrontò il Kainan, nella finale del torneo nazionale.

La squadra dei carri armati, la terribile compagine che aveva dominato i campionati degli ultimi anni, si dimostrò all’altezza della propria fama, ma quella sera lo Shohoku aveva una marcia in più, uno spirito in grado di supplire a qualsiasi carenza tecnica.

Quando l’arbitro fischiò la fine dell’incontro, nessuno tra il pubblico poteva credere che davvero la squadra delle utilitarie fosse riuscita nell’impresa. E nella tribuna riservata alle autorità, Hanamichi vide qualcuno che meno di tutti avrebbe desiderato quel risultato. Fu quindi proprio ad Akira Sendoh che il rossino indirizzò il pugno sollevato in segno di vittoria, tenendo contemporaneamente l’altro braccio serrato intorno alle spalle della kitsune.

E Mitsui e Kogure? Sembrava che, dopo la tempesta, anche per loro due fosse ritornato il sole… almeno a giudicare dal fatto che, terminato l’incontro, lo sfregiato, l’insopportabile, strafottente simil-teppista, era corso dal quattr’occhi e lo aveva praticamente lanciato in aria.

Quella sera, mentre Rukawa finiva di prepararsi, Hanamichi uscì di soppiatto dallo spogliatoio per fare una telefonata. Quando la kitsune lo raggiunse, si stava rimettendo il cellulare in tasca:

"Ehm… dovevo fare una chiamata urgente…" rispose, impacciato, all’occhiata interrogativa del compagno.

"Hn".

Ok, non era stato abbastanza esaustivo…

"Ho chiamato la signora Fujitsu" spiegò, diserbando un pezzo di aiola con la punta della scarpa.

"Hn?"

Per fortuna che Hanamichi sapeva dare il giusto significato a tutti i grugniti di Rukawa, altrimenti tra loro il dialogo sarebbe stato davvero impossibile.

"La signora che abbiamo aiutato ha un nome, lo sai, vero? Volevo dirle che abbiamo vinto il torneo" va bene, non le aveva detto solo questo, però ‘anche’ questo!

"Immagino il suo interesse! – Kaede si fermò, poi guardò il rossino, sorridendo lievemente – Le hai raccontato tutti i dettagli, oppure qualche particolare hai deciso di tenerlo per noi?"

"Beh, a grandi linee le ho detto tutto; per i dettagli c’è tempo… KAEDE!!! Come fai a sapere che le ho detto di noi?!" esclamò poi Hanamichi. Possibile che la kitsune leggesse nel pensiero?!

"Perché, a dispetto delle tue teorie, tu sei un do’aho e io il tensai!"

"NON OSARE APPROPRIARTI DEL MIO TITOLO!!!"

E come spesso accadeva in quei giorni, i giocatori dello Shohoku assistettero allo spettacolo di un rossino urlante dietro ad un moretto dall’aria annoiata e indifferente. Alcuni di loro si strinsero nelle spalle, altri sollevarono gli occhi al cielo, altri ancora scuoterono la testa; la maggior parte di loro, però, esibì anche un sorriso divertito, avendo da tempo capito quale fosse la realtà che si nascondeva dietro le discussioni dei due compagni.

 

Come era prevedibile, qualche settimana dopo Rukawa lasciò nuovamente la fabbrica, stavolta in maniera definitiva. Nonostante le insistenze del padre, aveva infatti definitivamente deciso che la carriera aziendale non era per lui. La sua passione rimaneva il basket, e decise di continuare a giocare, entrando in una squadra professionistica. Contemporaneamente tornò anche all’università, seguendo l’altra sua passione, quella per le lingue, e accettando il posto di assistente che il suo professore di inglese gli aveva offerto quando aveva terminato gli studi.

Anche Hanamichi lasciò lo Shohoku Inc: dopo essere tornato con Kaede, gli sembrava di avere improvvisamente la possibilità di ricominciare la sua vita da zero, sulla base di quelle che erano le sue vere passioni, i suoi sogni, e la prima cosa che si impose di fare fu tentare il tutto per tutto per realizzare i sogni che aveva nutrito per tanti anni.

Continuò a giocare a basket, del resto dal Tensai non ci si poteva aspettare nulla di meno, e contemporaneamente si impegnò anche, e con successo, per diventare allenatore di una squadra di liceali, riuscendo così ad unire il divertimento ad uno stipendio fisso.

"Ehi, kitsune, questo scatolone dove va messo?"

Hanamichi, circondato dalla baraonda del nuovo appartamento che avevano preso insieme, sembrava ancora completamente all’oscuro della sistemazione definitiva che avrebbero preso le cose, sue e di Kaede, ancora chiuse nei pacchi.

"Forse se ci guardi dentro potresti averne un’idea! E poi, se fuori c’è scritto ‘libri’, non pensi che dovrebbe andare nel soggiorno?"

Il rossino scosse la testa: per essere una volpaccia muta, ogni tanto Rukawa diventava quasi logorroico…

Sistemati i libri negli scaffali, Hanamichi si diresse verso la cucina, dove erano ammonticchiati tutti gli scatoloni sui quali Kaede aveva scritto con il pennarello ‘kitchen’, nel suo vano tentativo di avvicinare il compagno all’inglese.

"Se ci avesse disegnato sopra un fornello, sarebbe stato più chiaro!" borbottò il rossino, tra i denti.

"Hai detto qualcosa?" gli arrivò la voce di Rukawa dalla stanza da letto.

"HO FAME!!!" rispose il tensai, considerando che tanto anche questo era vero… ma, come al solito, la sua protesta non ebbe effetti.

Dopo aver finito di sistemare pentole, provviste e elettrodomestici da cucina, gentili doni del padre di Rukawa, quindi i libri di ricette regalati dalla madre del tensai e dalla signora Fujitsu, e poi piatti, bicchieri, posate e quant’altro sembrava essere indispensabile, secondo tutte le persone che conoscevano, per prepararsi un’insalata e un panino, Hanamichi superò il bancone ad isola, tornando nella zona soggiorno e spaparanzandosi sul divano.

Chiuse gli occhi e sorrise: era il loro appartamento. Lo avevano pagato a metà, era in una zona non periferica, ma nemmeno nel quartiere prestigioso dove stava Rukawa prima, ed era… normale: un appartamento adatto a due ragazzi che lavoravano e che volevano farcela da soli.

"Hai terminato di sistemare di là?" chiese, alzandosi di nuovo in piedi e dirigendosi verso la camera da letto.

Proprio in quel momento Rukawa emerse dalla stanza, chiudendosi la porta dietro le spalle:

"Ho quasi finito. Ho fame anche io – al che Hanamichi fece tanto d’occhi, considerando che la kitsune non sembrava mai aver preso la sana abitudine di mangiare – Ordiniamo qualcosa".

Un bel po’ di pizza, patatine krokky, coca-cola e gelato (quasi tutti nello stomaco del rossino) dopo, il tensai pensò di aver conquistato davvero l’Eldorado. Era bellissimo stare sdraiato sul divano, la testa in grembo a Rukawa, e le dita sottili del moretto a massaggiargli i capelli… niente di più meraviglioso! E poi… beh, era parecchio che stavano insieme, ma ancora… come dire, non avevano fatto uno dei passi più importanti. E quella sera, forse…

"Do’aho… io vado a prepararmi per dormire. Ho un po’ di mal di testa…"

COOOSAAAA???!!! Dopo tutto quel tempo, dopo quell’attesa estenuante, dopo tutto lo sforzo che aveva fatto per mantenersi paziente, proprio la loro prima notte insieme Kaede aveva mal di testa??!!

"Stai… stai molto male?" chiese esitante, sperando che l’altro guarisse all’improvviso.

"Niente che una buona notte di riposo e sonno ininterrotto non possa guarire" e Rukawa si alzò dal divano, dirigendosi verso il bagno.

Sakuragi rimase immobile. Poteva sentire appena il rumore della doccia, e pensieri non proprio casti gli si stavano affastellando nella testa, ma contemporaneamente non poteva che ripetersi di stare calmo. Ok, i suoi piani per quella sera erano rovinati, ma tutto sommato non erano che rimandati al giorno successivo… avevano aspettato così tanto che una notte in più non poteva certo fare tutta questa differenza!

Peccato che fosse così difficile convincersi delle sue stesse ragioni.

Quando sentì Rukawa andare nella stanza da letto, si alzò dal divano e cominciò a rimettere tutto a posto e a spengere le luci. Diede un’ultima occhiata fuori della finestra e gli tornò il sorriso… era la loro casa, l’inizio della loro vita insieme! Non c’era motivo per essere tristi… e poi la cosa più importante era che Kaede stesse bene.

Entrò nella stanza da letto, e rimase impietrito.

Sugli scaffali, sul davanzale della finestra e sulla mensola dello specchio ardevano candele che mandavano un lieve profumo di vaniglia. Le tende erano tirate, la luce, oltre a quella delle fiammelle, veniva solo dalle piccole lampade sui comodini. Sulla scrivania c’era un mazzo di fiori secchi, e alle pareti Kaede aveva appeso tutte le stampe che avevano scelto insieme durante le settimane che avevano preceduto il trasloco. E poi il tappeto… quel tappeto non lo aveva mai visto, ma copriva quasi l’intero pavimento, dando ancora più calore alla stanza.

Ma questa era solo atmosfera, la cosa importante era… era quel ragazzo meraviglioso steso sul letto.

Hanamichi si sostenne con una mano contro il muro: Kaede era steso sull’addome, le lenzuola chiare che creavano contemporaneamente un contrasto con i jeans che ancora indossava, per poi quasi confondersi con la pelle della schiena e delle braccia, avvolte intorno al cuscino…

E poi i suoi capelli che si allargavano scompostamente sulla federa immacolata, mentre, dal viso voltato verso di lui, due occhi di un azzurro intensissimo sembravano lanciargli uno sguardo di invito.

Il rossino inghiottì a vuoto, poi si schiarì la gola:

"Ancora mal di testa?" chiese incerto. Oddio, quella situazione non gli sembrava esprimere una idea di malattia, ma con la kitsune era sempre meglio andare con i piedi di piombo. Se aveva frainteso, era meglio scoprirlo senza esporsi troppo! Ok, in realtà ‘qualcosa’ che sicuramente aveva frainteso, e che per di più sembrava assai poco interessata a nascondere il proprio interesse, stava diventando piuttosto difficile da celare…

Rukawa sembrava proprio aver seguito il filo dei pensieri del compagno, perché abbassò lo sguardo sul suo corpo, accelerando quasi impercettibilmente il respiro una volta che si fu accorto dell’emozione di Hanamichi. Poi però il ragazzo riportò l’attenzione sul viso del tensai, allungando un braccio e facendogli lentamente il segno di avvicinarsi:

"Mi sento meglio… e mi è anche passato il sonno".

Una persona con meno autocontrollo del tensai non avrebbe saputo resistere a una tale provocazione, ma Sakuragi sapeva come affrontare da uomo compassato e navigato certe situazioni. E così… con un unico balzo fu sul letto, atterrando non proprio dolcemente sulla sua kitsune, che nel frattempo si era voltata completamente verso di lui.

Petto contro petto, le braccia di Hanamichi intorno alla vita di Kaede, i loro respiri che ormai si mescolavano, e nell’imminenza di un bacio di quelli risucchia polmoni, il rossino sorrise, scuotendo la testa:

"Mi ci avevi davvero fatto credere, pensavo veramente che ti sentissi male! Volpaccia dispettosa… Ma adesso è arrivato il momento della vendetta del tensai!"

"Vedi di non farmene pentire" gli rispose Rukawa distogliendo lo sguardo e accennando un sorriso stranamente dolce, quasi timido.

"Stai pur certo che Hanamichi Sakuragi in certe cose è il migliore!" si vantò fieramente il rossino, poi però, quasi immediatamente, non riuscì a trattenere una esclamazione di dolore: "AHIO!!!! Perché mi hai dato una gomitata, adesso?!!!!".

"Sei il migliore, eh? Hai molta esperienza, quindi! Beh, la cosa non mi piace".

Hanamichi per un momento fu preso dal panico: il volpacchiotto aveva frainteso!! Insomma, lui voleva dire che era il migliore perché lo era in tutte le cose, e non che si fosse ripassato mezza Kanagawa! E poi in realtà le sue esperienze erano state solo con le ragazze…

Non aveva rovinato tutto, vero?

"KITSUNE!! Vediamo di partire con il piede giusto: io sono il tensai, e il tensai è sempre il migliore; secondo, in questi mesi mi hai lasciato tempo di sognare parecchio, e sognando mi sono venute molte idee che mi fanno pensare che andrà tutto bene – e qui arrossì un pochino… non aveva solo sognato, si era anche documentato – e terzo… ma perché non ti sei messo addosso i pantaloni della tuta, o meglio… il pigiama?! Questi jeans sono difficili da sfilare!"

E a questo punto ebbe la soddisfazione di rivedere, nel volto solitamente serio di Rukawa, quello stesso sorriso che lo aveva tanto stupito pochi istanti prima. Desideroso di catturare quell’istante, Hanamichi si chinò sul compagno, baciandolo lievemente, e immediatamente sentì le braccia di Kaede stringerglisi intorno al collo.

Pur nell’incertezza di cosa ‘esattamente’ dovesse fare, il rossino quella sera si confermò un tensai non solo di nome: come sempre, superò ogni ostacolo, affrontò l’ignoto con decisione, si rivelò ugualmente dolce e passionale, dimostrò, come aveva sostenuto già a parole, di essere il migliore, ed ebbe per la prima volta la soddisfazione di vedere il compagno cedergli il controllo e far finalmente trapelare ogni emozione, ogni sensazione.

E quando, quasi all’alba, le candele consumate si spensero, sembrava proprio che il pentimento fosse l’ultimo dei pensieri nella testa di Kaede Rukawa.

 

Catena di Montaggio - The End

 

 N.B. Kaede, così come descritto da Hanamichi nelle ultime righe del capitolo, è stata ispirato da una immagine di una disegnatrice bravissima, Sabrina, che me l’ha inviata moltissimo tempo fa e che ha acconsentito a inserirla nel sito che abbiamo aperto con Nausicaa e Calipso.

 

 


 

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