Hanamichi
non era confuso, neanche rabbioso… gli sembrava semplicemente di non
riuscire più a pensare.
Con decisione si incamminò verso casa,
avanzando meccanicamente, rigidamente, senza guardarsi indietro e sordo
ad eventuali richiami da parte di Sendoh o… Rukawa, richiami che
comunque non ci furono.
Quando
entrò in casa, vide la madre seduta sul divano, intenta a riattaccare i
bottoni di una sua camicia con la televisione accesa in sottofondo e un’unica
luce, quella sul tavolino, ad illuminare il lavoro che la donna stava
compiendo. Improvvisamente al ragazzo si appannò la vista… gli
sembrava allo stesso tempo consolante e
penoso quel quadro che aveva davanti.
"Ehi,
Hanamichi! Già di ritorno? Pensavo che la festa finisse ben più tardi…
Hai accompagnato Rukawa-kun a casa?"
Il
rossino non le rispose. Si avvicinò alla madre, sedendole accanto e
appoggiandole la testa sulla spalla, come non faceva da quando era un
bambino, da quando il padre…
"Cosa
ti succede? Hana…" stavolta il tono della donna era veramente
preoccupato. Poggiò il lavoro sul tavolino basso davanti al divano, e
azzardò una carezza sulla spalla del figlio.
Lui
lasciò andare un sospiro, poi si rimise dritto:
"Non
è niente, sono un po’ stanco. La fatica di questi ultimi giorni sta
cominciando a farsi sentire", poi si alzò in piedi, pronto a
dirigersi verso le scale.
"Sei
sicuro di non volerne parlare? A volte sfogarsi con qualcuno, sentire
una opinione imparziale, può essere d’aiuto".
Hanamichi
rimase per qualche secondo in silenzio, sembrava quasi che la madre
sapesse cosa era successo, anche se non era possibile. No, non poteva
ancora parlarne con nessuno, ci sarebbe stato troppo da spiegare, e non
solo ciò che era accaduto in quelle ultime sere. Aveva bisogno di
solitudine, di silenzio… di qualche minuto per cercare di fare ordine
in tutta quella situazione.
"Grazie
mamma, davvero non è niente" provò a mormorare con un tono meno
lugubre, e finalmente raggiunse la sua stanza.
Si
spogliò velocemente e si infilò nel letto al buio. Come lo aveva
chiamato Akira Sendoh? Un perdente, un bifolco… una persona senza
speranza. Lo aveva pensato così tante volte lui stesso che quasi non
poteva biasimare l’altro per averglielo rinfacciato. Eppure in quei
giorni aveva pensato che finalmente anche per lui potessero finalmente
aprirsi delle prospettive, gli sembrava che avere accanto… Rukawa…
lo rendesse in grado di fare qualsiasi cosa. E invece si era illuso, non
era stato che una presa in giro, un momento di svago. Chissà come
dovevano essersi divertiti quei due dietro le sue spalle, chissà come
doveva essere sembrato patetico, con il suo atteggiamento da gradasso di
periferia, agli occhi del figlio di un milionario, di un ragazzo che
poteva davvero avere tutto, e non solo sogni.
Lui
ci aveva creduto, si era innamorato sul serio, e invece era stato
ingannato. Così imparava a buttarsi a capofitto, a non riflettere, a
fare sempre di testa propria.
Per
fortuna adesso non si sarebbero più visti. Ora che il gioco era stato
scoperto, era molto improbabile che Kaede Rukawa, il rampollo, si
facesse ancora vedere nella sala verniciature della Shohoku Inc.
No,
quello non era mai stato il posto per lui; quelle settimane non erano
state altro che il cambiamento d’aria per un ragazzo viziato, l’antidoto
temporaneo ad un momento di noia. Sendoh era stato chiaro: erano altri
gli ambienti congeniali alla kits… a Rukawa, sicuramente i Country
Club, i locali alla moda, le feste esclusive. Come doveva essergli
sembrato ridicolo andare con lui in quei pub per morti di fame in cui lo
invitava! E il ristorante della madre di Yohei… come doveva essergli
sembrato semplice, familiare. Altro che l’impressione che Hanamichi
voleva lasciargli… quelle ore insieme per Rukawa dovevano essere state
una sofferenza ininterrotta.
Comunque
il moretto si era preso la sua rivincita in pieno… e il tensai strinse
i denti al solo pensiero di quello che era appena accaduto: lo aveva
umiliato, lo aveva fatto sentire un pezzente, gli aveva tolto dignità
davanti alla persona più insignificante che esistesse, a quell’Akira
Sendoh che doveva aver goduto come non mai a vederlo al tappeto! Chissà
cosa avevano scommesso per riuscire a ridicolizzarlo in quel modo…
doveva essere stato qualcosa di prezioso se Rukawa si era abbassato fino
al punto di baciarlo!
Bastardi…
BASTARDI ENTRAMBI! Aveva detto bene quando se ne era andato, erano degni
uno dell’altro, viziati e marci fino al midollo. Loro ne erano usciti
peggio di lui, alla fine. Hanamichi era rimasto se stesso, erano loro
che avevano condotto quella recita. Peccato per i prossimi che avrebbero
ingannato, ma lui ormai ne era fuori. Lo avevano preso in giro, lo
avevano insultato, ma alla fine a lui era rimasta la dignità di essere
sempre stato sincero. Poteva non sembrare molto, ma era la cosa che i
suoi genitori gli avevano insegnato essere la più importante di tutte.
Il
pensiero non era consolante come avrebbe desiderato, ma gli permetteva
di recuperare la rabbia, la determinazione di cui si era sentito privo
da quando aveva lasciato quei due. Il giorno dopo lui sarebbe tornato in
fabbrica a testa alta… era sempre Hanamichi Sakuragi, e poteva aver
perso molte delle speranze di cui si era nutrito in quelle ultime
settimane, ma non si sarebbe mai mostrato sconfitto, ferito. Il tensai
non era un perdente, non lo era mai stato!
La
mattina seguente, quando la sveglia suonò, Sakuragi era già sveglio.
Non gli capitava spesso di anticipare il trillo stridente della
scatoletta di plastica, infatti non era mai riuscito ad abituarsi a
quegli orari impossibili, ma quella mattina si era svegliato, e non
aveva fatto che girarsi nel letto, con le labbra strette e con gli occhi
che rimanevano sbarrati, opponendosi alla sua volontà di tornare al
sonno. Gli sembrava che ogni volta che tentava di chiuderli, gli si
materializzasse davanti l’immagine di Kaede Rukawa e Akira Sendoh, e
così immediatamente riprendeva a fissare la luce dei lampioni che
filtrava dalle imposte.
Dopo
aver spento la sveglia, si vestì abbastanza velocemente, prese il bento
che la madre gli aveva preparato, approfittando di una delle poche
serate che non passava in ospedale, e uscì di casa dimenticandosi
completamente, probabilmente per la prima volta nella sua vita, di fare
colazione.
Sul
treno non fece altro che guardare, senza vederlo, il paesaggio della
periferia della città, mentre insieme ad altri mille operai si avviava
verso l’area industriale.
No,
non era come essere tornati indietro nel tempo, non era come se l’incontro
con Rukawa non ci fosse mai stato, magari fosse stato così! No, l’amarezza,
l’umiliazione e il rimpianto rimanevano, ed era questo che gli faceva
ignorare tutto ciò che gli capitava attorno. Era come se in quel
momento desiderasse essere invisibile, non essere costretto a interagire
con gli altri, come se il suo sogno fosse poter scomparire.
"Ehi,
Hanamichi! Finalmente ti rivedo… credevo che non avresti più preso
questo treno!"
Senza
accorgersene si era seduto al solito posto, sul solito vagone, e così
Yohei non aveva fatto alcuna fatica a trovarlo.
"E
come pensavi che ci arrivassi in fabbrica, volando?!" gli rispose
lui, bruscamente.
"Ohi,
ohi, ohi… qualcuno è di malumore stamattina! Cos’è, Rukawa non ti
ha dato il bacetto della buonanotte, ieri sera?" e Mito scoppiò a
ridere, dando contemporaneamente una manata sulla schiena dell’amico.
"Piantala!"
gli sibilò Hanamichi, voltandogli poi le spalle e ricominciando a
guardare fuori dal finestrino.
Non
ci mancava altro che qualcuno gli ricordasse, e nominasse per di più,
quel bugiardo…
Quando
entrò nello spogliatoio e cominciò a cambiarsi, per poco non cedette
ad una furia omicida quando vide l’oggetto del suo odio entrare nella
stanza. Cos’è, era venuto a godersi lo spettacolo fino in fondo?
Oppure si era così divertito da voler continuare ancora quella farsa?
Appena infilata la tuta da lavoro, sbatté violentemente lo sportello
metallico dell’armadietto e si diresse verso l’uscita senza guardare
nessuno. Poteva sentirsi addosso gli occhi preoccupati di Kogure, poteva
avvertire la smorfia divertita dello sdentato, quella contrariata di
Akagi, anche l’aria di sufficienza di Miyagi, ma quello che lo feriva
di più era l’indifferenza di Rukawa.
"Hanamichi!
Ma si può sapere che ti prende?!" il quattr’occhi, trafelato, lo
aveva raggiunto nella sala verniciature, e adesso gli stava abbarbicato
ad un braccio, tentando di farlo voltare in modo da poterlo guardare in
faccia.
Lui
tentò di scrollarselo di dosso con un movimento brusco, ma in fondo
sapeva che il Megane-kun non lo avrebbe lasciato andare finché non gli
avesse detto cosa era successo:
"Se
fossi in te, mi chiederei chi è davvero Hisashi Mitsui…" gli
sibilò crudelmente.
Per
un momento l’altro lo guardò con espressione interrogativa:
"Che
stai dicendo, Hanamichi?!"
"Visto
che Kaede Rukawa si è rivelato non essere esattamente un ragazzo come
noi, mi domando se anche Mitsui non abbia qualcosa da nascondere… mi
sembra che i due avessero detto di essere amici da parecchio"
continuò lui, continuando a settare i comandi della verniciatrice.
"Continuo
a non capire… E poi perché ieri sera sei sparito senza dire niente a
nessuno?"
Il
tensai scoppiò a ridere, poi si fermò, guardando fisso il compagno:
"Ieri
sera ho finalmente capito qualcosa di più sul misterioso Kaede Rukawa…
hai mai pensato che fosse troppo bello per essere vero? – e rise di
nuovo – Mai frase è stata più giusta!"
Kogure
si stava cominciando a spazientire:
"Sembri
ubriaco, parli a vanvera…" e fece per allontanarsi, ma Hanamichi
lo fermò per un braccio:
"Non
volevi sapere? Beh, Kaede Rukawa lavora con noi perché si è annoiato
della sua vita di figlio di papà, perché si è stancato di tutti i
suoi soldi, e ha deciso di giocare all’operaio. Ieri sera un ‘amico’
ha avuto la cortesia di dirmi che è il figlio di Takeo Akuzawa!"
Kogure
sorrise, scuotendo la testa:
"Per
un momento mi avevi spaventato! Smettila di dire cretinate e torna al
lavoro… non mi piace l’umore con cui sei arrivato stamattina".
"Continua
a credere alle loro prese in giro, quattr’occhi, se questo ti rende
felice… Certo, non tutti hanno il coraggio di affrontare la verità e
giocarsi quello che hanno. Continua così, almeno ti terrai quel
bugiardo sfregiato!"
Durante
l’intera giornata Hanamichi rimase da solo, cercando di evitare
qualsiasi scambio con i colleghi. Riuscì anche ad evitare Yohei per il
pranzo, e ovviamente non rispose a nessuno degli sguardi imploranti di
Kogure, quegli sguardi che lo pregavano di tornare al solito umore…
eppure, da un breve scambio tra il Megane-kun e il suo Mitsui, il
rossino si rese conto, con un sorriso cattivo, che problemi cominciavano
ad essercene anche nel loro Eden.
Quando,
a fine turno, uscì quasi per ultimo dall’edificio, fu con
indifferenza che si rese conto che c’era qualcuno che non era ancora
andato via, e che lo stava aspettando appena fuori del cancello.
"Hanamichi,
non credi che dovremmo parlare?" si sentì apostrofare da una voce
morbida, quella voce che, contro la sua volontà, aveva ancora il potere
di fargli accelerare il sangue nelle vene.
"Credo
proprio che non abbiamo nulla da dirci, Rukawa" rispose,
continuando a camminare verso la stazione.
Si
sentì una mano sul braccio, e si girò di scatto:
"Non
ci senti? Non voglio sapere niente. Guardarti, sentire la tua voce mi fa
solo venire la nausea!" lo sferzò.
"Quello
che ha detto Sendoh è vero – mormorò il moretto, cercando di non
lasciarsi fermare dall’orgoglio – ma io non ti volevo
ingannare".
"Peccato,
non sei riuscito nel tuo intento. Almeno ti sei divertito?" gli
ribatté Hanamichi, con un sorriso tirato.
"Sì,
fino a ieri sera mi sono anche divertito" rispose Kaede, nei cui
occhi stavano cominciando a balenare lampi di rabbia.
"Già,
ieri sera lo scherzo è finito… speravi che potesse andare avanti a
lungo, vero? Come deve essere stato divertente venire in incognito a
controllare i tuoi schiavi… ti ha fatto sentire tutto il tuo potere,
vero? E non pensare di poter continuare questo gioco a lungo. Ancora non
ho avvertito tutti, ma se non ti decidi ad andartene e a lasciarci in
pace, appenderò i cartelli all’ingresso. Non siamo i vostri
burattini".
Aveva
provato una strana soddisfazione nel sibilargli quelle parole, aveva
sentito una gioia dolorosa nel vedere quegli occhi diventare sempre più
freddi. Probabilmente Kaede Rukawa stava ancora recitando, ma non era
male scoprire che le sue accuse avevano il potere di colpirlo.
"Pensi
veramente che fosse tutto falso?" l’altro gli chiese freddamente.
Hanamichi
scoppiò a ridere, una risata sgradevolmente stridula:
"Certo
che lo era! E credo di aver anche capito quale fosse lo scopo…"
aggiunse poi, abbassando la voce e portandoglisi più vicino.
"E
sarebbe?" Rukawa non si spostò di un passo, nonostante quella
improvvisa vicinanza.
Sakuragi
gli passò la mano sul bavero della giacca, lentamente, stringendo poi
la stoffa tra le dita:
"Non
eri pronto quella sera, eh? E io che ti avevo anche creduto… come mi
eri sembrato puro, ingenuo… e invece ieri sera ho capito: stavate
organizzando un bel giochetto con Akira Sendoh, eh?! Un bel
divertimento, e io dovevo essere il pollo" e sorrise ancora,
portando ora il dorso della mano contro la guancia di Rukawa, che voltò
la testa con disgusto.
"Non
capisco cosa vai blaterando".
"Ah,
no? Io credo proprio di sì… nelle vostre menti malate dovevate aver
organizzato tutto nei minimi dettagli. Le vostre nottate dovevano essere
diventate noiose e avete pensato di aggiungermi al gioco… chissà con
quanti altri lo avete fatto, chissà quante volte avete diviso il vostro
piacere con qualche altra vittima. Ma io non sono così…"
Hanamichi
non riuscì a terminare la frase; uno schiaffo che lo obbligò a voltare
la faccia lo colpì prima che riuscisse a finire. Si portò la mano
contro il punto colpito, a toccare la pelle bollente.
"Sei
malato, Sakuragi: la tua stupidità è superata solo dalla tua
perversione; l’idiota sono stato io ad averti sopravvalutato. L’unica
cosa che mi consola è che non rivedrò mai più la tua faccia".
"Fai
anche l’offeso? Sei patetico, un fottutissimo figlio di papà che si
crede di essere chissà chi! Vattene da Sendoh, siete proprio fatti l’uno
per l’altro…".
Le
parole di Hanamichi raggiunsero però Kaede Rukawa quando già stava
salendo sulla sua jeep. Un Rukawa che non si era guardato indietro
nemmeno una volta.
Fino
a quando non andò a letto, quella sera, il rossino si sentì molto
soddisfatto di se stesso; era contento di aver smaltito un po’ della
rabbia che per tutte le ventiquattro ore precedenti gli aveva covato
dentro, era contento di aver potuto finalmente dire quello che pensava a
quel presuntuoso che credeva di poter giocare con i sentimenti degli
altri, a quel pivello, sfondato di soldi, che pensava di poterlo piegare
ai giochi malati che doveva avere organizzato insieme a quel bastardo di
Akira Sendoh.
Purtroppo
però la soddisfazione non durò a lungo. Quella notte dormì male,
spesso gli vennero in mente momenti di quegli ultimi giorni, momenti in
cui l’espressione di Rukawa, le sue reazioni, erano sembrate così
spontanee che era difficile crederle parte di una recita.
Tutta
la notte, tutta la notte il viso di Kaede quando erano stati nella sala
d’aspetto dell’ospedale, oppure il viso di Kaede quando mangiavano
insieme nel parco e la kitsune lo ascoltava parlare di tutto quello che
gli passava per la testa, oppure l’espressione di quella sera a casa
sua, quando le cose avevano cominciato a prendere una piega più…
intima. Ecco, tutto questo lo perseguitò durante la notte, e ci furono
anche immagini degli ultimi due giorni… quando Rukawa aveva cercato di
fermarlo per parlargli, ben due volte. E ogni volta lui non lo aveva
fatto spiegare, ogni volta aveva deciso che non potessero esserci
giustificazioni. E così doveva essere. Gli bastava ripensare alla
faccia di Akira Sendoh per esserne sicuro.
Quando
la mattina arrivò in fabbrica, cominciò subito a guardarsi intorno.
Improvvisamente provava un po’ di disagio per come si era comportato
il giorno prima, e adesso che era più calmo sentiva che, se Rukawa lo
avesse implorato con le parole giuste, avrebbe anche potuto dargli la
possibilità di ascoltarlo.
Sì,
forse era troppo magnanimo, ma del tensai non poteva dirsi che non
permetteva anche a chi cadeva la possibilità di un riscatto, sebbene
certamente non avrebbe mai creduto al cento per cento di
quello che la kitsune avesse avuto da dirgli.
Quando
però entrò nella sala verniciature, Hanamichi fu accolto da una
atmosfera strana, tesa.
Akagi
gli porse la sua scheda per la giornata quasi lanciandogliela contro,
per poi cominciare a sbuffare tipo toro inferocito; Kogure sembrava meno
rilassato del solito, e si era già gettato nel lavoro, apparendo così
preso da non poter dare ascolto a nessuno dei compagni… qualcosa di
strano rispetto agli ultimi giorni, quando i suoi sorrisi sembravano
illuminare l’intera sala. E poi sembrava proprio che lo sfregiato e il
piccolo principe non fossero ancora arrivati.
Il
rossino decise di non perdere troppo tempo e di cominciare con i compiti
della giornata. Ogni tanto non poté, però, evitare di darsi un’occhiata
intorno, per vedere se la situazione fosse tornata alla normalità. A
preoccuparlo era poi la prolungata assenza dei due neoassunti.
Continuando a mantenere l’atteggiamento distaccato del giorno
precedente, non fece domande e cercò di rimanere in disparte il più
possibile, sebbene risparmiandosi le espressioni truci che aveva
sfoderato nelle ultime ventiquattro ore a chiunque avesse cercato di
avvicinarglisi.
E
quella sera si ritrovarono tutti in palestra, per gli allenamenti.
Stavolta, sebbene l’assenza a lavoro di Rukawa e Mitsui potesse essere
attribuita ad un giorno si ferie, il fatto che i due non fossero
presenti non faceva presagire nulla di buono.
Terminato
il riscaldamento, Akagi li invitò tutti al centro del campo:
"Devo
farvi una comunicazione – cominciò, la voce come sempre tonante, ma
anche carica di rabbia e disappunto – Come avrete notato, stasera, ma
anche oggi in fabbrica, mancano due membri dello Shohoku, Hisashi Mitsui
e Kaede Rukawa…".
Alcuni
dei ragazzi intorno al capitano cominciarono a bisbigliare.
"Silenzio!
Potrete fare domande quando avrò finito.
Ieri
sera mi hanno chiamato e mi hanno comunicato la loro intenzione di
lasciare il lavoro. Pare che sia stato loro offerto un posto migliore,
per il quale avevano fatto domanda un po’ di tempo fa. Insomma,
nonostante la vicinanza con le gare finali del torneo, hanno detto che
era un’occasione troppo importante, che non potevano perderla, e così
si sono licenziati. Di conseguenza hanno lasciato la squadra di basket.
Ora,
non voglio che tutti voi pensiate che la loro assenza ci tolga qualsiasi
possibilità per il campionato… sono due ottimi giocatori, ma lo
Shohoku siamo tutti noi, quindi rimbocchiamoci le maniche e alleniamoci
più duramente del solito. Abbiamo un nome e una posizione da
difendere!" e, detto questo, sbatté con violenza il pugno sul
tavolo al quale si era appoggiato.
Hanamichi
inghiottì a vuoto più di una volta: gli sembrava come se qualcuno lo
avesse colpito a tradimento e adesso lui faticava anche a respirare.
Kaede
Rukawa se ne era andato. Aveva fatto esattamente come lui gli aveva
detto, ed era uscito dalle loro vite… peccato che adesso la cosa
apparisse molto meno piena di fascino di quanto non lo fosse stata la
sera prima, quando lo aveva fatto sentire così leggero potersi
rivolgere al compagno con tutta quella rabbia.
Si
girò lentamente verso Kogure, e si accorse del suo capo chino e dello
sguardo fisso sul pavimento… chissà se il quattr’occhi aveva avuto
qualche avvisaglia o se la cosa fosse stata una sorpresa anche per lui.
Gli
allenamenti procedettero stancamente. Nonostante le parole del capitano,
l’assenza delle due matricole si faceva sentire. Rukawa e Mitsui erano
sempre stati uno stimolo per tutti, vedere loro giocare portava a dare
tutti se stessi per eguagliarli, per dimostrare di valere qualcosa. E
invece quella sera lo Shohoku sarebbe stato sconfitto anche da una
squadra di ragazzini.
Terminato
l’allenamento, toccava a Kogure pulire la palestra prima di andar via.
Hanamichi fece la doccia per ultimo e si vestì con calma. Quanto tutti
gli altri furono usciti, tornò sul campo, sedendosi sulla panca delle
riserve.
"Ancora
non sei andato a casa, Sakuragi-kun?" gli chiese il quattr’occhi,
non appena lo notò. Nonostante gli avesse rivolto per primo la parola,
era chiaro dal suo tono che non avesse molta voglia di scambiare quattro
chiacchiere, sebbene la sua educazione lo obbligasse ad essere comunque
cortese.
"Volevo
parlarti".
Per
un momento non ci fu che il fruscio dello spazzolone che scorreva sul
pavimento.
"Sapevi
già che Rukawa e Mitsui avevano lasciato lo Shohoku?"
Kogure
cercò di rimettere a posto un pallone, tentando un lancio da lontano
nel cesto sotto il canestro. Il pallone rimbalzò sugli altri ed uscì
di nuovo, rotolando tra i piedi di Hanamichi.
"Ieri
sera Mitsui-san è passato a casa mia" rispose il quattr’occhi,
sorridendo mestamente.
"Gli
hai chiesto delle spiegazioni?" insistette il rossino, passandosi
il pallone da una mano all’altra.
"No,
non ce ne è stato bisogno. Mi ha raccontato tutto lui".
"Ah,
hai avuto più di quel che ho avuto io! Anche lui un ricco figlio di
papà, eh?" e Hanamichi scosse la testa.
Kogure
rimase in silenzio, apparentemente preso dalla raccolta dei fogli con
gli schemi che Akagi aveva lasciato sul tavolo. Poi però lasciò stare
tutto e si sedette accanto al compagno:
"Mitsui
mi ha spiegato che è stata un’idea del padre di Rukawa, in modo che
il figlio conoscesse meglio la realtà che presto sarebbe stato chiamato
a dirigere. A quanto pare Kaede-chan non è mai stato molto interessato
agli affari di famiglia, e così questa volta non si è potuto tirare
indietro. Doveva essere un esperimento di due settimane, ma poi c’è
stato il basket, le nostre… amicizie, e così la cosa è andata
avanti. Mi ha spiegato che volevano dircelo, ma che era difficile
trovare le parole giuste".
Hanamichi
rise:
"E
tu te la sei bevuta! Quattr’occhi, sei proprio un ingenuo!"
"No,
solo uno stupido. Gli ho detto di non farsi mai più vedere… mi
sembrava la frase giusta, mi sentivo il protagonista di un film a
scacciarlo, tradito e ferito nell’orgoglio, e invece mi stavo giocando
la cosa più bella che mi fosse mai successa".
Kogure
si alzò in piedi:
"Ho
terminato con le pulizie, credo che sia il caso che tu vada. Ora devo
chiudere".
Mentre
aspettava il treno per tornare a casa, Hanamichi non poté fare a meno
di avvertire un senso di tristezza e di vuoto. Quegli ultimi mesi erano
stati così pieni di avvenimenti… ogni mattina, quando si alzava,
sentiva di avere uno scopo, di poter raggiungere la felicità anche con
un solo scambio di sguardi, e adesso gli sembrava proprio di non avere
più nulla.
Quando
Akagi aveva detto che Mitsui e Rukawa avevano lasciato lo Shohoku, non c’era
stata alcuna soddisfazione. Cosa si aspettava, che Kaede cominciasse a
seguirlo, implorando il suo perdono? Era stato uno sciocco solo a
pensarlo. Rukawa non era così. Aveva tentato di spiegargli e lui lo
aveva respinto, e quel ragazzo era troppo orgoglioso per tentare ancora.
Non era difficile capire che quella kitsune aveva un orgoglio tale da
portarlo tranquillamente a soffrire pene indicibili pur di non piegarsi
davanti a nessuno. E aveva già fatto molto a tentare di parlargli due
volte… una terza non ci sarebbe mai stata.
Il
rossino scosse la testa, doveva essere l’ora tarda a fargli pensare
certe idiozie. Era lui a dover essere arrabbiato, era lui ad essere
stato preso in giro, e probabilmente, in quell’esatto momento, mentre
lui stava salendo sull’ultimo treno della sera per raggiungere la
periferia in cui abitava, Rukawa si stava divertendo da qualche parte
insieme ad Akira Sendoh!
Il
solo pensiero gli fece serrare la mascella e stringere i pugni.
Nei
giorni successivi tutto andò avanti stancamente. Sembrava che tutti
allo Shohoku si sentissero stranamente a corto di entusiasmo. Akagi era
preoccupato per le partite del campionato, Kogure sembrava sempre con la
mente da qualche altra parte, Yohei non riusciva a capire cosa avesse il
suo migliore amico e manteneva un atteggiamento molto cauto nei suoi
confronti, Miyagi sembrava aver qualche problema di troppo con la sua
Ayako e il resto della Sakuragi Gundan… beh, quelli chi li ammazzava?!
Pachinko, ramen e prese in giro erano più che sufficienti per superare
qualsiasi difficoltà!
"Domani
avremo la semifinale con il Ryonan. Spero che una partita vera vi darà
la grinta che in questi ultimi giorni ho visto latitare… Ricordatevi
che si deve vincere per forza: non aspettatevi da me discorsi diabetici
sull’importanza del partecipare: a me non me ne frega un accidente di
queste stronzate! Domani dobbiamo vincere, costi quel che costi!"
Akagi
non aveva parlato, aveva proprio ruggito, e alcuni dei giocatori
mostravano ora sul volto i segni inequivocabili del terrore.
"Io
mi occuperò di Uozumi – riprese il capitano – Miyagi, tu dovrai
controllare Fukuda, e tu, mostro, a te il compito di bloccare Sendoh…"
terminò, rivolgendosi ad Hanamichi.
L’allenamento
li vide più reattivi che nelle ultime settimane, e per Sakuragi questo
improvviso ardore portava un nome e un cognome, ovviamente quelli dell’orrido
porcospino.
"Ehi,
vacci piano, scimmia! Per poco non mi hai buttato per terra!" si
lamentò ad un certo punto Miyagi, che casualmente si era ritrovato sul
cammino di un rossino lanciato a canestro come un caterpillar verso un
cumulo di sabbia.
"Se
hai paura di confrontarti con me, puoi anche evitare di giocare la
partita di domani" gli replicò lui, deciso a rialzare lo spirito
agonistico della squadra.
L’indomani
avrebbe rivisto Akira Sendoh per la prima volta dopo quella sera… l’indomani
avrebbe probabilmente incontrato di nuovo Kaede Rukawa, che sicuramente
non sarebbe riuscito a rimanere lontano dal parquet… l’indomani
avrebbe avuto il primo assaggio della sua rivincita!
E
finalmente arrivò il giorno della sfida: i ragazzi si erano ritrovati
tutti davanti al cancello dello Shohoku, pronti a partire. Stavolta non
sarebbero andati con il solito pulmino sgangherato, ma il viaggio
sarebbe stato fatto con tre automobili appena sfornate dalla fabbrica, e
che proprio per questo non assicuravano al 100% l’arrivo a
destinazione, più la macchina di Ayako, nominata manager della squadra.
Mentre
i giocatori si dividevano tra le varie vetture, Hanamichi si sentì
arpionare il braccio. Si voltò di scatto e si trovò di fronte al volto
molto deciso della ragazza dai capelli ricci:
"Tu
vieni con me, tensai" gli sibilò Ayako, trascinandoselo verso la
propria automobile.
Pur
non sapendo a cosa fosse dovuto tanto onore, e pur essendosi accorto
degli sguardi assassini lanciatigli da Miyagi, il rossino seguì la
manager, sedendosi nel posto del passeggero.
La
partenza con sgommata non contribuì a diminuire la sua inquietudine…
"Ayako…
non siamo in ritardo!" tentò di ricordarle.
"Stai
zitto, razza di idiota! Sono io a dover parlare, tu ascolta e rispondi
solo sì o no. Capito?"
"Ma…
che ti prende? EHI! Il semaforo era rosso!!!" urlò, vedendo che la
ragazza sembrava seguire un codice della strada molto personale.
"Rallenterò
solo quando avrai detto di aver capito, deficiente!" gli rispose
lei, impassibile.
"Ok…
anche se non capisco che diavolo vuoi sapere!"
"E’
vero che tu e Rukawa eravate diventati amici… intimi?"
Al
nome della kitsune, Hanamichi si irrigidì.
"Sì
o no?" insistette la manager, svoltando con uno stridio
agghiacciante delle ruote.
"SI’!"
rispose lui, attaccandosi alla maniglia per non finirle addosso.
"Bene.
Tu non sapevi chi fosse veramente, vero?"
"No!"
stavolta aveva risposto subito. L’argomento non gli piaceva, ma
sembrava che, per aver salva la vita, l’unica soluzione fosse
rispondere prontamente.
"Io
sono la segretaria di Takeo Akuzawa, e conosco Kaede già da un po’…"
Improvvisamente
ad Hanamichi venne in mente lo scambio di battute tra i due alla serata
di presentazione delle finali del torneo. Effettivamente allora gli
erano sembrati strani i bisbigli che i due si erano rivolti.
"E
allora?" chiese, sbuffando per dimostrare che l’argomento non gli
interessava.
"Kaede
è un tipo in gamba. E’ sempre vissuto molto solo: era molto attaccato
alla madre, almeno da quello che racconta il padre, e la sua morte è
stata un colpo dal quale non si è mai ripreso del tutto. Pare che abbia
sempre avuto una certa difficoltà nei rapporti con gli altri… è
molto riservato, molto introverso; credo che solo Hisashi Mitsui sia
riuscito a penetrare il guscio che lo protegge. E Mitsui non è mai
stato più di un amico" e Hanamichi si ritrovò oggetto di uno
sguardo tagliente come un bisturi.
"Non
capisco cosa…" provò ad inserirsi.
"Che
tu non capisca, anzi, che tu non capisca assolutamente nulla, questo è
certo! Cosa hai detto a Kaede quando hai scoperto che era il figlio di
Azukawa? Lo hai insultato?"
"Sì.
Non mi sembra difficile da indovinare. Tu come avresti reagito?"
adesso si era stancato di sentirsi attaccare. Lui era stato ingannato…
sembrava che nessuno se lo ricordasse!
"Sei
veramente un do’aho! COME DIAVOLO TI E’ VENUTO IN MENTE?! Credi che
per Rukawa-kun sia stato facile affezionarsi, legarsi a te? E come lo
ringrazi? Insultandolo… IDIOTA! DOPPIO IDIOTA!" e nuova sterzata
su due ruote sole.
"NON
SONO UN IDIOTA! Si è divertito alle mie spalle… lui e quell’Akira
Sendoh! Loro pensavano di aver trovato il fesso da ingannare… chissà
cosa stavano architettando, e io dovevo ringraziarli, secondo te?! Ma
sei sana di mente?"
"Io
sì, tu no! Si può sapere che c’entra Akira Sendoh?"
"E’
stato lui a dirmi di Akuzawa. Kaede-kun si è scordato di raccontarti
questo particolare?" e Hanamichi rise.
"Non
è stato Rukawa a parlarmi della cosa, ma Hisashi – mormorò la
ragazza, poi riprese con decisione – E tu pensi che Kaede e Sendoh
abbiano architettato qualcosa insieme?"
"Sì".
"E
perché?"
Il
rossino sorrise ancora:
"E’
chiaro che stanno insieme. Non hai visto come quel porcospino se lo
guardava durante l’amichevole, e anche la sera della
presentazione?" non era piacevole ammettere quella cosa davanti a
qualcuno, ma tanto ormai negare l’evidenza era solo patetico.
"Rukawa
e Sendoh non stanno insieme. Questo sembra essere il particolare che ti
è sfuggito… il presidente del Ryonan ha sempre avuto un debole per
Kaede, ma non ha mai avuto nessuna speranza. Credo che abbia preso più
rifiuti lui da Rukawa che… - e la ragazza si voltò a guardarlo –
che tu in tutta la tua vita. Il che è tutto dire!".
"E
tu che ne sai? Mi sembra che sia un po’ troppo informata…"
"Non
te l’ha mai detto nessuno che le ‘assistenti’ sanno le cose
prima di tutti? E poi una parola qui, una parola lì… e la segretaria
di Sendoh è stata una fonte inesauribile di informazioni".
Rimasero
in silenzio per qualche minuto, con Ayako che finalmente sembrava aver
deciso di utilizzare una guida un po’ più normale.
"Cosa
hai intenzione di fare, adesso?" la voce della ragazza era molto
più gentile, sembrava quasi calda.
"Non
posso fare niente. Ormai credo che ci sia davvero poco da recuperare. E
poi, anche se non sta con Sendoh e se non voleva prendermi in giro,
rimane che mi ha mentito".
"Già,
capisco. Non ti riprenderai mai più, ha tradito la tua fiducia e non c’è
niente che ti farà comprendere perché lo ha fatto… – gli sibilò
la manager, sarcastica – Lo sapevo che eri un idiota!" e con un’ultima
sgommata, si fermò nel parcheggio del Ryonan.
"Ayako…"
"Esci
immediatamente da questa macchina. Quando ti ho fatto salire mi sembravi
solo confuso, ora so che non c’è un briciolo di intelligenza o buon
senso in te. Scendi".
E
Sakuragi scese. Era sempre più disorientato, però sapeva che le parole
che aveva sentito prima da Kogure e poi dalla manager gli avevano
mostrato un nuovo modo di vedere la situazione, e che adesso tutto era
infinitamente più difficile e indefinito.
Quando
i giocatori dello Shohoku fecero il loro ingresso, compatti, nella
palestra del Ryonan, si accorsero che era davvero stracolma di gente:
sembrava che tutti gli operai della casa automobilistica fossero
presenti, quella sera, e anche gli operai dello Shohoku avevano fatto in
modo di partecipare in massa per sostenere i propri giocatori. Il
frastuono era pauroso, a stento si riuscivano a sentire le parole dell’arbitro
che stava assegnando i campi e preparandosi per la palla a due.
Hanamichi
aveva immediatamente cercato con gli occhi Akira Sendoh, e non aveva
dovuto faticare molto per vederlo in mezzo agli altri giocatori,
sorridente e tranquillo. E poi i loro sguardi si erano incrociati, e
quel sorriso si era allargato, ma era anche diventato falso e cattivo.
Da parte del rossino, invece, c’era stata una espressione tutt’altro
che amichevole, uno sguardo di odio, una promessa di resa dei conti sul
campo.
Nella
palestra piena era difficile individuare qualcuno tra il pubblico,
eppure, prima del fischio di inizio, Sakuragi non poté resistere alla
tentazione di cercare di individuare Rukawa. Quando era entrato aveva
subito sentito un brivido corrergli lungo la schiena, ed era sicuro che
quella sensazione fosse dovuta alla presenza del volpino. Chissà dov’era,
chissà se avrebbe fatto il tifo per loro… Ok, lo sapeva che Rukawa
avrebbe tifato per loro, e non solo perché era la squadra della
fabbrica del padre, ma perché aveva dato anche lui tutto se stesso
durante gli allenamenti e le partite.
Adesso
che la nebbia causata dalla rabbia stava cominciando a diradarsi, ad
Hanamichi sembrava di riconoscere finalmente tanti particolari che
mostravano chiaramente che quello che il compagno gli aveva tenuto
nascosto non era che un particolare quasi insignificante della sua vita.
Forse si stava illudendo, ma adesso il rossino stava cominciando a
convincersi che quelli che Rukawa aveva condiviso con lui erano i suoi
veri sogni, la vera vita che avrebbe voluto condurre.
E
Akira Sendoh poteva provare quanto voleva… non avrebbe mai avuto
alcuna speranza!
L’arbitro
lanciò la palla: Uozumi, del Ryonan, e Akagi, il gorilla, saltarono
insieme per aggiudicarsi il primo attacco dell’incontro, e la partita
cominciò.
Ad
Hanamichi sembrava di non riuscire a trovare sintonia con i compagni. Le
sue mosse erano dettate dal tentativo di stare attaccato ad Akira
Sendoh, di non lasciargli alcun margine di manovra, e così spesso
dimenticava di tenere il suo ruolo negli schemi.
"Zuccone,
vuoi deciderti a concentrarti?! Non vedi che sei sempre fuori
posizione?" il tono di Miyagi era esasperato e preoccupato; la
partita era cominciata da pochi minuti e lo Shohoku era già sotto di
sei punti. Quel Fukuda sembrava scatenato, e Uozumi aveva fatto un dunk
che rivaleggiava con quelli del gorilla… il tabellone ancora tremava.
Il
rossino annuì, passandosi il dorso della mano sulla fronte per
asciugarsi il sudore. La tensione psicologica, più di quella fisica, lo
stava schiantando.
"Ancora
non ti sei ripreso dal nostro ultimo incontro?- gli mormorò Sendoh,
sorridendo divertito – Sapevo che eri un debole! E pensavi di poter
conquistare Rukawa… davvero ridicolo!" poi lo sorpassò,
involandosi verso il canestro.
Hanamichi
si lanciò all’inseguimento, ma non poté far nulla per contrastare il
tiro in sospensione dell’avversario. Eppure, eppure c’era qualcosa
nella rabbia di Akira Sendoh che faceva crollare tutte le idee che
Sakuragi si era messo in testa dopo il loro ultimo scontro. Il giocatore
del Ryonan sembrava rabbioso, sembrava sibilargli ogni parola… e
quello non era l’atteggiamento di qualcuno sicuro di quel che ha, non
era l’atteggiamento di chi non lo considerava più un pericolo. E
questo stava a confermare… le parole di Ayako: Akira Sendoh non era il
ragazzo di Rukawa, non lo era mai stato. Certamente Kaede gli aveva
mentito, nascondendogli la sua vera identità, ma non c’era stato
altro, non c’era stato il desiderio di prenderlo in giro, di metterlo
in ridicolo. Non c’era stata qualche oscura macchinazione organizzata
insieme al porcospino, niente di tutto questo. E lui… lui era stato
solo un cretino.
La
sorpresa la sera della festa era stata tanta, e certamente Hanamichi
sentiva di avere avuto delle giustificazioni per la propria reazione, ma
nello stesso tempo, ad ogni minuto che passava, si rendeva conto di
quanto avesse frainteso. E adesso… adesso doveva cercare di
recuperare, doveva trovare il modo di parlare con Rukawa, di spiegargli
e di farsi perdonare le parole che gli aveva rivolto.
Sapeva
che sarebbe stata dura, che certe cose, del cui solo ricordo adesso si
vergognava miseramente, non sarebbero state facili da dimenticare, ma
nello stesso tempo non si sarebbe dato per vinto: lui era il tensai, lui
non si tirava mai indietro davanti alle sfide, e questa era sicuramente
una delle più importanti che si fosse mai trovato a cercare di vincere.
Si
voltò ancora una volta verso gli spalti affollati: il pubblico del
Ryonan faceva un tifo infernale, sembrava di stare in una arena,
battevano quelle bottiglie di plastica contro le balaustre, e urlavano a
squarciagola il nome del loro campione.
Hanamichi
riportò lo sguardo su Akira Sendoh: non poteva farsi battere da quell’idiota,
doveva sconfiggerlo fuori e dentro il campo, solo in questo modo avrebbe
fatto capire a Rukawa quanto valeva.
Alla
ripresa del gioco, Sakuragi spinse ancora di più, si avventò su ogni
palla, spronò i compagni, lottò per ogni rimbalzo, e pian piano lo
Shohoku si riprese. In un momento di pausa, con tutti i giocatori fermi
in mezzo al campo per riprendere fiato, il rossino si avvicinò alla
stella del Ryonan:
"Credo
che adesso tu cominci a capire di avermi sottovalutato!" gli
sibilò, sorridendo come prima Sendoh aveva fatto con lui.
L’altro
non riuscì a ribattere, troppo preso a cercare di respirare dopo l’ultima
corsa a protezione del suo canestro.
Alla
fine del primo tempo, le squadre erano separate da un solo punto, con lo
Shohoku in vantaggio sul Ryonan. Akagi, raccolta la squadra intorno a
sé, annuì rapidamente in segno di approvazione, ma subito riprese il
solito tono burbero:
"Stiamo
andando bene, ma la partita è ancora lunga, e i nostri avversari sono
tutt’altro che da sottovalutare! Miyagi… ricordati che Fukuda è
sempre velenoso, non fartelo sfuggire; Sakuragi, Sendoh è un osso duro,
non continuare a cercare lo scontro a due, in quello non potrai vincere.
Ricordati che non sei Rukawa!"
Hanamichi
sobbalzò, sentendo quel nome. Poi borbottò qualcosa di
inintelligibile, voltando le spalle ai compagni di squadra, e riportando
lo sguardo sul pubblico.
E
fu in quel momento che lo vide.
Kaede
Rukawa era seduto all’altezza del secondo anello, accanto ad Ayako. E
dietro di lui c’era Hisashi Mitsui. Per qualche istante Hanamichi
rimase fermo, gli occhi fissi sul ragazzo mescolato tra il pubblico,
quel ragazzo che non doveva stargli così lontano… Alzò il braccio,
stringendo il pugno: Rukawa doveva capire che tutto quello che Sakuragi
avrebbe fatto in campo, da quel momento in poi, sarebbe stato fatto solo
per lui.
La
partita riprese con uno Shohoku più agguerrito che mai. La spinta
propulsiva del rossino servì da sprone anche ai compagni, e ancora più
di prima, quando il ragazzo era stato il primo a risvegliarsi dal
torpore a cui li aveva indotti il gioco preciso, ma dal ritmo lento, del
Ryonan, divenne il fulcro delle manovre della squadra, combattendo
persino con il proprio capitano per impadronirsi di ogni palla.
Mancavano
due minuti al termine della partita e le squadre erano in parità. Gli
sforzi dello Shohoku avevano trovato pronta risposta nelle manovre della
squadra di Akira Sendoh, e in particolare proprio nel
presidente/giocatore, che aveva spesso fatto la differenza.
Ad
Hanamichi non era sfuggito che anche il porcospino avesse individuato
Rukawa, e che spesso, dopo un punto particolarmente spettacolare, si
voltasse verso quella parte delle gradinate per sfoderare il suo
inconfondibile ghigno.
Due
minuti in cui giocarsi non solo la partita sul campo…
Gorilla
Dunk! Lo Shohoku salì di due punti.
Immediatamente
il Ryonan impostò il contrattacco. Il gioco di Fukuda spiazzò prima
Miyagi e poi Kogure, e il passaggio per Uozumi fu semplicemente perfetto…
Di
nuovo in parità.
Miyagi
si rimpossessò del pallone, cominciando una nuova manovra… stavolta
avanzando in maniera più guardinga. C’erano da fare i conti anche con
il cronometro.
Passaggio
filtrante per Akagi, ma Uozumi sbarrava ogni via. Di nuovo Miyagi,
passaggio veloce a Kogure, che di prima girò su Hanamichi.
Il
rossino, avendo deciso di non fermarsi a congratularsi con se stesso per
la fiducia che i compagni riponevano in lui, visto che gli avevano
affidato l’ultimo attacco (oppure volevano che fosse lui a prendersi
la colpa in caso di sconfitta?), riuscì ad aggirare Fukuda e a passare
la linea dei tre metri.
Porcospino
all’orizzonte! Stavolta il ghigno era disegnato sul volto del rossino,
però! Stare insieme a Rukawa non gli aveva portato solo momenti
meravigliosi, passati a contemplare la perfezione volpesca del suo
ragazzo, ma anche ore e ore di pratica al campetto del parco, e in
particolare due o tre lezioni davvero indimenticabili sui tiri in
sospensione…
Con
sicurezza, Hanamichi alzò le braccia e tirò, e sembrò quasi che l’intero
palazzetto stesse trattenendo il respiro, mentre il pallone descriveva
la sua parabola.
E
poi tutto il pubblico si alzò in piedi ad applaudire.
Adesso
lo Shohoku era avanti di due punti, ma mancavano ancora ventidue secondi
alla fine dell’incontro.
Sendoh
si impossessò della palla. Il sorriso non lo aveva abbandonato, sebbene
non avesse più la rilassatezza dei primi minuti di gioco. Con
tranquillità, come se quei numeri rossi non scorressero anche per lui,
superò la metà campo, raggiungendo i compagni già schierati in
posizione di attacco.
Finta
verso Uozumi, passaggio a Fukuda, uno-due velocissimo che lo ritrovò in
volo verso il canestro, con il solo Hanamichi a sbarrargli la strada.
Ma
il re dei rimbalzi non era certamente stato incoronato invano… una
stoppata che aveva del miracoloso, una elevazione straordinaria, e non
aveva neanche sfiorato l’avversario.
L’arbitro,
però, doveva avere evidenti problemi di vista… il fischio del fallo
ricacciò in gola l’urlo di gioia dello Shohoku.
Akagi
si portò a ridosso del direttore di gara, il viso da primate
trasformato dalla rabbia. Non era fallo, non c’era stato alcun
contatto, era stata una delle entrate più pulite dell’incontro… ma
era anche stata una entrata su Akira Sendoh, e questo arrivava a
cambiare le regole di qualsiasi regolamento.
Hanamichi
si voltò verso il pubblico, rimanendo in piedi, dritto, con le braccia
tese e le mani strette in pugni serrati, e con una voglia incredibile di
urlare, di picchiare, di andarsene da quella palestra… E poi vide
Kaede Rukawa, in piedi dietro alla balaustra, una espressione furiosa
nello sguardo che il rossino poteva percepire perfettamente anche da
quella distanza.
I
loro occhi si incontrarono, e per la prima volta dopo tantissimi giorni
Sakuragi vi vide simpatia, vi avvertì qualcosa di caldo. E poi un
semplice gesto, uno scuotere la testa che era un chiaro invito a
calmarsi, a controllare la rabbia e ad agire da adulto anche davanti ad
una ingiustizia.
Primo
tiro libero… il pallone disegnò una parabola perfetta, andando ad
insaccarsi senza sfiorare altro che la rete del canestro.
Secondo
tiro libero… i giocatori dello Shohoku si disposero a semicerchio, le
braccia sulle spalle gli uni degli altri e uno sguardo che era
incredibile non avesse la forza di spostare da solo la sfera arancione.
Sendoh
si rimise in posizione, e l’arbitro fischiò.
Il
grido che si levò dal campo sovrastò quasi quello del pubblico…
"SHOHOKU
FIGHT!" avevano gridato tutti insieme i giocatori della fabbrica
delle utilitarie. Da soli, senza l’appoggio di nessuno, dovendo anche
contrastare quella che era stata fin troppo palesemente una ingiustizia,
avevano battuto il Ryonan, il favorito per la finale del torneo, e anche
adesso, dopo aver visto la palla arancione rimbalzare sull’anello di
metallo, sembravano quasi increduli di esserci riusciti.
Hanamichi,
cercando di districarsi dall’abbraccio di Akagi e dalle pacche di
Yohei, si voltò di nuovo verso gli spalti, cercando con lo sguardo la
persona per la quale aveva dato tutto se stesso, ma sulla gradinata era
rimasta solo Ayako. Di Rukawa e Mitsui non era rimasta alcuna traccia.
"Ehi,
scimmia… dove stai andando?!"
La
voce di Yohei cercò di fermarlo, ma il tensai era già lanciato verso l’uscita
che lo avrebbe portato nel piazzale antistante il palazzetto dello sport
del Ryonan; dopo la conversazione con Ayako, e dopo tutto quello che
anche lui aveva pensato in quegli ultimi giorni, era chiaro che c’erano
stati troppi fraintendimenti, e che quello che avevano costruito lui e
Rukawa era troppo importante per essere lasciato andare senza una
spiegazione, senza tentare un chiarimento.
Corse
verso il parcheggio, sperando di trovare il suo volpino vicino alla
jeep, ma sembrava proprio che non ci fosse nessuno. Controllò ogni
automobile, ogni angolo nascosto.
Niente.
"Smettila
di affannarti tanto; se ne è andato".
Come
fare a non riconoscere la voce indisponente di Hisashi Mitsui?
"Che
diavolo vuoi, sdentato! Non mi sembra di averti chiesto aiuto…"
Lo
sfregiato sorrise, scuotendo la testa:
"E’
per questo che ti trovi in questo casino, proprio perché fai tutto di
testa… scusa, di segatura tua!"
"Senti
chi parla di segatura! Sbaglio o anche tu hai qualche piccolo problemino
in campo sentimentale? Mi sbaglio, o il quattr’occhi ti ha
mollato?" e Hanamichi scoppiò a ridere, continuando però a
guardarsi intorno. Rukawa non poteva essere lontano!
L’espressione
di Mitsui si incupì:
"Rimane
che io ho tutte le intenzioni di recuperare la situazione. E ce la
farò!"
"E
pensi che io possa fallire? Ce la farò anche io, sempre che riesca a
trovare quella stupida kitsune fuggitiva!" ribatté pronto
Hanamichi.
Mitsui
lo guardò per qualche momento con espressione pensosa, poi lasciò
andare un sospiro e scosse la testa: "Probabilmente sbaglio, ma,
tanto, peggio di così non può andare. Rukawa, prima di andare via, mi
ha detto che voleva passare a trovare una paziente in ospedale. Non ha
detto più di questo, ma forse per te è sufficiente per trovarlo".
Hanamichi
lo guardò con la bocca aperta: quello che lo sdentato gli aveva
rivelato doveva essere sufficiente per individuare il suo Kaede.
Sicuramente era andato a trovare la signora che avevano salvato insieme…
anche se era strano che la donna fosse ancora in ospedale. Quella era
però l’unica idea che gli venisse in mente.
"Beh…
- borbottò a disagio – Anche se non te lo meriti… grazie
Mitchi" e cominciò a correre verso la nuova destinazione.
"E
NON CHIAMARMI MITCHI, IDIOTA!!" lo raggiunse l’urlo di Mitsui,
quando ormai lui aveva già svoltato l’angolo.
Un
turbine coi capelli rossi attraversò la città, fermando macchine,
investendo bambini e carrozzine, saltando cassonetti e scavalcando muri…
e alla fine si fermò davanti all’ingresso dell’ospedale:
"Sono…
pant pant… qui per vedere… pant… la paziente che era nella stanza…
pant…"
L’infermiera
non lo fece terminare:
"Ah,
di nuovo tu, Sakuragi-kun! Sì, immagino per chi sei venuto: la signora
ha avuto una piccola ricaduta, ma tu conosci già la strada, no? Vai
pure" gli disse, sorridendo.
Hanamichi
si diresse verso gli ascensori praticamente in trans. Mentre correva
attraverso la città, non aveva avuto il tempo di pensare a quello che
avrebbe fatto una volta di nuovo faccia a faccia con Kaede, e adesso
sembrava proprio che stesse per essere colto da un attacco di panico.
Sempre
camminando rigidamente, raggiunse la stanza giusta, rimanendo per un
istante sulla soglia per prendere fiato ed affrontare la situazione. E
mentre stava lì, immobile, sentì che dentro qualcuno stava parlando…
"…e
sembrava veramente perso. Non posso dire di conoscervi bene, ma so
distinguere il senso di colpa e il desiderio di tornare indietro.
Sicuramente Sakuragi-kun è stato impulsivo… ma è triste non dare una
seconda possibilità".
E
quindi la ‘voce’ di Rukawa:
"Mph!"
"Rukawa-kun…
prima che tra voi nascesse qualcosa Hanamichi è venuto da me. Era
incerto, pensava che avresti potuto respingerlo, ma era anche raggiante,
perché finalmente gli sembrava di aver trovato qualcosa per cui
lottare. Capisco i fraintendimenti… immagino che la situazione non sia
semplice da risolvere, ma prova a metterti nei suoi panni: davvero vuoi
privare entrambi della possibilità di essere felici?"
Il
rossino, dietro la porta, trattenne il respiro: nella stanza non si
sentiva alcun rumore, solo il ronzio del riscaldamento e il rumore dei
rami che, sospinti dal vento, accarezzavano i vetri della grande
finestra.
‘Rispondi…’
pensò Hanamichi, abbandonandosi con la schiena contro il muro e
chiudendo gli occhi.
E
finalmente si sentì la voce di Rukawa, appena un sussurro morbido:
"Ha
detto delle cose che… e ne era convinto – poteva immaginarlo
sollevare il viso, ed assumere una espressione dura – No, non credo di
potergli dare una seconda possibilità: non credo che la voglia, e non
credo che la meriti".
Sakuragi
si lasciò scivolare lungo il muro, fino a ritrovarsi seduto sul
linoleum lucido. Nascosto com’era dalla porta della stanza, ebbe poi
solo la possibilità di sentire i passi di Kaede allontanarsi decisi
verso gli ascensori, mentre la donna, bloccata sul letto, lo richiamava
indietro, invano.
Probabilmente
non furono che pochi istanti, poi il rossino sentì di nuovo la stessa
voce femminile:
"Hanamichi,
entra. Lo so che sei lì fuori".
Inizialmente
il ragazzo non prese neanche in considerazione la possibilità di avere
la forza di alzarsi e di entrare nella stanza, ma poi lo fece,
somigliando nei suoi movimenti più ad uno zombie che ad un essere
umano.
"Lo
sapevo che eri lì fuori… hai fatto bene a venire fin qui!" gli
disse la donna, sorridendo.
Sakuragi
scosse la testa. Dopo aver sentito le parole dalla viva voce di Rukawa,
neanche la persona più ottimista della Terra poteva sostenere che lui
avesse ancora qualche speranza… ma, evidentemente, dal sorriso della
signora che aveva di fronte, qualcuno ancora tanto cieco da non
riconoscerlo ci doveva essere.
"Non
fare quella faccia disperata, Hanamichi, questo non è il momento per
perdersi d’animo, ma di agire!" la donna esclamò con il tono di
un generale che sta preparando il piano di battaglia.
"Non
mi sembra che ci sia molto da fare, ormai" mormorò il ragazzo,
abbandonandosi con la grazia di un sacco di patate sulla sedia vicina al
letto.
La
signora scosse la testa:
"Si
può sapere che cosa ti ha tanto scoraggiato? Invece di essere così
disfattista, dovresti fremere all’idea di riconquistare la tua kitsune.
Cosa hai?"
Hanamichi
non riuscì a nascondere il proprio stupore: come diavolo era possibile
non capire il suo stato d’animo, dopo che Kaede aveva appena affermato
di non avere alcuna intenzione di dargli un’altra possibilità? E poi
non è che la situazione si fosse ancora chiarita… rimaneva sempre che
il volpino gli aveva nascosto parecchie cose, e tutte importanti!
"Mi
sembra proprio di aver sentito Ru… Rukawa dire che non mi vuole più
vedere" riuscì a borbottare, osservandosi attentamente le scarpe.
"E
allora?" gli rispose lei, spazientita.
"Beh…
non mi sembra che ci sia molto da aggiungere. Evidentemente non c’è
alcuna possibilità di poter parlare. Insomma, è finita".
La
donna scosse la testa, abbandonandosi stancamente contro i cuscini:
"Non
è possibile! – poi, ritornando dritta e riacquistando il tono
battagliero – Smettila di piangerti addosso! Ti è mai venuto in mente
che esistono delle persone che, pur pensando una cosa, affermano il
contrario?"
"No".
"Hanamichi!!
E’ una delle regole elementari quando si decide di conquistare
qualcuno: non bisogna fermarsi alle parole, al comportamento di
superficie, ma bisogna imparare a decifrare le sfumature, ad inserirle
nel contesto giusto, e quindi leggere correttamente i segni!"
"Che
c’entrano le traduzioni?" chiese il rossino, stavolta davvero
stupito.
E
la signora si ributtò indietro, rischiando danni irreversibili alla
spina dorsale:
"Sto
quasi per rinunciare…"
Hanamichi
la fissò incuriosito:
"Perché
non mi spiega bene perché pensa che potrei avere ancora delle speranze,
e perché non mi dà qualche consiglio su come agire?"
Visto
che sembrava che la donna ne sapesse molto più di lui di relazioni in
generale, e di Rukawa in particolare, poteva essere una buona idea
affidarsi a lei.
"Non
devi preparare né pozioni magiche, né discorsi da Cirano…"
L’espressione
interrogativa del rossino le fece fare un gesto con la mano come a dire
che non importava e di non interromperla:
"Insomma,
quello che voglio dirti è che non ti serve poi così tanto per poter
risolvere tutti i tuoi problemi. Sii onesto, spiega quali sono i tuoi
sentimenti, tutto quello che hai provato da quando vi siete conosciuti
fino ad ora, senza tralasciare nulla, senza nascondere la delusione e il
senso di tradimento provati la sera della festa… con il
porcospino!"
La
donna sembrava ricordare il nome che Hanamichi aveva affibbiato a
Sendoh, nonché i dettagli di quello che era successo la sera della
presentazione delle squadre. E non poteva essere stato che Rukawa a
parlargliene, e se lo aveva fatto, voleva dire che quello che era
accaduto non era stato né accantonato, né dimenticato.
"E
lei pensa che potrebbe funzionare?"
"Con
due persone normali, direi decisamente di sì. Con voi due? Beh… le
probabilità diminuiscono…"
"Ma…
ma perché…" Hanamichi replicò, non del tutto convinto che non
far parte dell’insieme delle persone normali fosse esattamente un
complimento.
La
donna scoppiò a ridere:
"Sono
sicurissima che andrà tutto bene: vai e parlagli. E dopo voglio
conoscere tutti i particolari, ricordatene!"
Il
turbine rosso venne avvistato attraversare le strade di Yokohama per la
seconda volta, quella sera… e per un momento il Tensai pensò che
sarebbe stato bene individuare subito la tana dove si era nascosta la
sua kitsune, perché tra partita e maratone, quella sera era davvero
distrutto.
In
ogni caso, Hanamichi puntò dritto verso la casa di Kaede, ritenendola
il posto più plausibile in cui trovare il ragazzo a quell’ora.
Aveva
quasi dimenticato quell’accidenti di rampicante che impediva anche
solo di avvicinarsi al citofono! Incuneandosi tra le fronde, riuscì a
premere il pulsante. Non appena sentì la voce morbida di Kaede
rispondere, il discorsetto compito e ragionevole che si era preparato
sembrò svanire nel nulla… nessuna dichiarazione ferma, nessuna parola
di perdono offerta magnanimamente e con il giusto tono ferito:
"Sono
Sakuragi… dobbiamo parlare".
Probabilmente
neanche nei film coi Ninja venivano pronunciate battute così deficienti…
"Vattene".
Togliendosi
una foglia dall’occhio, il tensai realizzò che quel volpino
deficiente doveva aver chiuso la comunicazione… come osava? Dopo tutto
quello che lui aveva passato in quei giorni, era il minimo che Kaede si
prostrasse ai suoi piedi, implorando di essere perdonato!
Si
riattaccò al citofono, tenendo il pulsante premuto per almeno cinque
minuti.
"Ti
ho detto di andar via!"
"Devo
parlarti, e non me ne andrò, e continuerò a suonare, a telefonarti, e
sbattere fra loro i coperchi dei cassonetti finché non ti deciderai ad
essere ragionevole e ad aprire!"
"Ragionevole
io?! Buonanotte, idiota, spero che stanotte nevichi!"
E
di nuovo si sentì il rumore della comunicazione chiusa.
Un
dito a premere il bottone del citofono, l’altro a scegliere il numero
di Kaede dalla rubrica del telefonino, e la punta rinforzata degli
anfibi a sbattere contro il cassonetto metallico, Hanamichi decise che
la battaglia aveva avuto inizio, e che sarebbe durata tutta la notte, se
fosse stato necessario.
Quaranta
minuti dopo, il pollice era un’appendice del citofono, e il piede
batteva il tempo dei suoi ululati, o meglio, della melodia che aveva
composto, a squarciagola, con il nome di Rukawa:
"Kaeeee…
Ka-Ka-Ka… Kaeeedeee…Kaeeee… Ka-Ka-Ka… Kaeeedeee…".
Il
cancelletto di ferro si aprì improvvisamente, facendolo quasi cadere a
terra.
"Kaeeeedeeee…"
continuò Hanamichi, ormai rapito dalla canzone che aveva composto.
"Razza
di imbecille, decerebrato, idiota, deficiente…" lo salutò
Rukawa, la cui espressione non faceva presagire assolutamente nulla di
buono.
"Ehi,
sei sceso finalmente, volpacchiotto!" gli replicò però il rossino,
candidamente. E gli sorrise anche, staccando finalmente il dito dal
pulsante per far vedere il segno tondo che gli si era impresso nella
pelle.
"Hai
trenta secondi, poi devi andartene. Non ho nessuna voglia di sentire le
tue cretinate… credo che tu sia stato già abbastanza chiaro quando
abbiamo parlato l’ultima volta".
Il
tono gelido non fermò assolutamente Hanamichi:
"Qui
fuori fa freddo. Probabilmente il tuo augurio di vedere la neve è stato
ascoltato da qualcuno di importante… Non potremmo andare a parlare in
un posto più caldo? – il ragazzo si fermò pensoso, poi si lanciò
– Sono anche disposto ad offrirti una birra. Sempre che non sia troppo
plebea per te…" aggiunse poi a voce più bassa.
Stavolta
Rukawa non lo insultò. Per qualche istante non disse niente,
limitandosi a guardarlo con una espressione seria, poi riaprì il
cancello, avviandosi di nuovo verso casa:
"Che
fai fermo come un ebete? Anche a casa mia è arrivato il riscaldamento,
e credo anche di avere una confezione di Bud da sei".
E
il tensai, senza neanche sforzarsi di nascondere il ghigno che gli si
era disegnato sul viso, non si fece ripetere l’invito due volte.
L’appartamento
era enorme… assolutamente diverso da qualsiasi cosa Hanamichi avesse
mai visto prima. Non si poteva certo dire che le case dei suoi amici
assomigliassero a questa; c’era qualcosa di indipendente, di studiato,
di personale praticamente in ogni cosa che arredava quella stanza enorme
in cui si accedeva direttamente dal portone di ingresso.
"Siediti
sul divano, io vado a prendere le birre" gli disse Kaede,
freddamente.
La
cucina era in un angolo, con il lungo bancone di legno nel quale erano
incassati il lavandino, i cassetti e gli elettrodomestici, e davanti
aveva un tavolo quadrato… quel tavolo che sembrava fatto apposta per
lunghe colazioni a due.
Non
volendo sembrare troppo impacciato, o troppo preso dallo studio di
quello strano appartamento, il rossino decise di sedersi sul divano, e
di interessarsi vivamente ai volumi che riempivano la libreria che
arrivava fino al soffitto e che faceva un arco intorno alla finestra.
"Bell’acquario…"
mormorò, quando Kaede si sedette su una poltrona, appoggiando il
vassoio sul tavolino basso tra di loro.
"Immagino
che tu non sia venuto per dirmi questo" lo gelò immediatamente
Rukawa.
Ok,
sembrava proprio che non fosse il caso di perdersi in convenevoli.
"Senti,
forse quella sera alla festa ho reagito male. Insomma… non è stato
piacevole scoprire tutto così all’improvviso… e dalla boccaccia di
Akira Sendoh, per di più – aggiunse sottovoce – comunque, volevo
dirti che… beh, quello che provo per te non è cambiato. Come spiegare…
- oddio, stava cominciando ad impappinarsi! – Pensavo che fra noi ci
fosse un certo tipo di rapporto, e invece ho scoperto che mi nascondevi
tantissimo di te… però poi ho capito che forse non erano le cose più
importanti. Non so come spiegarmi – ripeté – Vorrei che tu mi
perdonassi per le cose che ti ho detto, e che mi dessi un’altra
possibilità. Vorrei che stavolta ci dicessimo tutto… io sono convinto
che noi staremmo bene insieme…" terminò, con la gola secca e
ormai un tono implorante.
Perché
Kaede non parlava? Perché era rimasto a fissarlo con quello sguardo
impenetrabile?
"Ehm…
non dici niente? Ok, ho detto delle cose sbagliate, vi ho accusato di
volermi prendere in giro…" si interruppe, notando il sopracciglio
sollevato dell’altro "Va bene, hai ragione, vi ho accusato di
qualcosa di peggio, ma non credere che Sendoh non volesse averti tutto
per sé! Quel bastardo stava facendo di tutto per farmi credere le cose
più brutte, per portarti via!! Lo so, io sono stato stupido e ci ho
creduto, però devi capire che la situazione era tale che non era facile
capire cosa stesse succedendo… Kaede… Kaede? Di’ qualcosa!"
Rukawa
si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra:
"Non
penserai che ti basti venire qui, chiedere scusa, perché tutto sia
dimenticato, vero?" sibilò.
"Speravo
che avrebbe aiutato…" provò a scherzare lui, sorridendo, ma
tornando subito serio all’occhiata inceneritrice dell’altro.
"Anche
io avevo cercato di spiegarti… non mi sembra che tu me ne abbia dato
modo. Adesso perché io dovrei starti a sentire?"
Sembrava
proprio che la kitsune non volesse far niente per facilitargli le cose.
Anzi, probabilmente tra loro non c’era più nulla da cercare di
ricostruire… eppure Hanamichi non poteva accettare di smettere di
combattere.
"Avevi
ragione: quella volta ti ho accusato delle cose peggiori che mi erano
venute in mente, ma davvero non… non capivo! Mi sentivo tradito,
ingannato…" si fermò, perché sapeva che ammettere quello che
stava per dire avrebbe messo a nudo tutte le sue insicurezze, il fatto
di non sentirsi degno dell’altro:
"Volevo
ferirti come tu avevi ferito me, volevo vedere nel tuo viso lo stesso
dolore che c’era stato nel mio quando Sendoh mi aveva accusato di
essere stato un idiota a pensare di poterti conquistare. Volevo far
vedere che anche una persona come me può far soffrire uno di voi…"
mormorò piano.
Rukawa
si era di nuovo voltato verso la finestra. Non rispose subito, ci furono
degli attimi di silenzio che sembrarono pesare come ore, poi il ragazzo
moro si voltò di nuovo verso di lui:
"Perché
sembri così convinto che la mia vita debba essere tanto diversa dalla
tua?"
Hanamichi
arrossì:
"Non
ti sembra ovvio? Tuo padre, la tua macchina, questa casa… io non ho
mai neanche immaginato qualcosa di simile. Ogni cosa è studiata, ogni
cosa è facile per te! Io e mia madre abbiamo sempre dovuto lottare.
Apparteniamo a due mondi completamente diversi, Kaede Rukawa".
L’altro
scosse la testa:
"Pensi
che la mia vita e quella di mia madre sia stata semplice? Akuzawa-san mi
ha riconosciuto ufficialmente solo parecchi anni dopo la mia nascita.
Fino ad allora, mia madre ed io abbiamo sempre vissuto da soli: lei è
sempre stata troppo orgogliosa per chiedergli qualcosa, ha sempre voluto
che noi ce la facessimo senza il suo aiuto. Il loro è stato un rapporto
strano… - il ragazzo si interruppe per qualche secondo, come se
proprio in quel momento gli venissero in mente nuovi particolari di
quella relazione che aveva trasformato la vita della madre e poi la sua
– Mia madre non voleva niente di mio padre… voleva solo lui, e non l’ha
mai potuto avere completamente".
Hanamichi
si alzò dal divano: in quel momento gli sembrò la cosa più giusta da
fare, non solo quella che desiderava di più. Si avvicinò al compagno,
sostenendo quello sguardo nel quale erano presenti in ugual misura le
emozioni e lo sforzo di non farle trapelare, e gli passò le braccia
intorno alla vita, forzandolo ad appoggiarsi contro il suo petto.
E
Rukawa lo fece.
"Kaede,
non te lo chiederò più, sparirò dalla tua vita, se vorrai, ma
veramente pensi che non ci sia un’altra possibilità per noi? Io
vorrei che noi ricominciassimo tutto da capo… raccontandoci tutto –
qui si fermò, grattandosi la nuca – Ok, di me ormai conosci
praticamente ogni avventura! Però – e tornò serio – Potremmo
provare a vedere se le cose possono funzionare anche… con le nostre
differenze. Io credo che ne valga la pena".
Hanamichi
si fermò, aspettando la risposta con il cuore che batteva all’impazzata,
e con il desiderio irresistibile di accarezzare i capelli morbidi del
ragazzo che gli stava ancora appoggiato addosso.
Dopo
qualche minuto di attesa, il tensai cominciò a spazientirsi, oltre che
a rischiare un arresto cardiaco:
"Ohi,
mica starai dormendo?!"
Si
ritrovò con una gomitata nel fianco (e un livido certo qualche ora
dopo), e poi la voce effettivamente un po’ assonnata di Rukawa
finalmente si fece sentire:
"Non
so perché ti dia retta: non sono affatto sicuro che tu ti meriti il mio
perdono…"
"Maaaaa
kitsuneeeeee" cominciò a lamentarsi il rossino, che fu però
tacitato da un’altra gomitata, che lo portò anche a pensare che il
volpacchiotto fosse davvero troppo ossuto…
"…come
dicevo prima che la tua bocca larga mi interrompesse, non te lo meriti,
ma possiamo darci un’altra possibilità. E spero che stavolta ti
accorgerai fino in fondo che le nostre differenze non sono poi così
grandi".
Hanamichi
cercò di trattenersi dal desiderio di cominciare a zompettare in mezzo
alla stanza, oppure di lanciare il volpacchiotto per aria, per vedere
fin dove riusciva a farlo volare, e invece sollevò il viso di Kaede,
fino a catturarne lo sguardo. Poi gli sorrise e lo baciò, e di nuovo
furono stelle e pianeti… anche qualche satellite e un po’ di
meteoriti, ma soprattutto la consapevolezza di aver ritrovato il mondo
meraviglioso che si materializzava solo quando loro due erano insieme.
"Stavolta
non ci sarà niente che potrà separarci…" mormorò, rafforzando
il concetto con un altro bacio.
"Ecco,
cerca di tenerlo bene a mente, anche perché io non ho alcuna intenzione
di darti altre possibilità!"
"Volpaccia
indisponente! Non mi sembra che tu sia proprio senza responsabilità…
- ma vedendo lo sguardo dell’altro incupirsi, il rossino alzò le mani
– Ok, ok, non mi sembra proprio il caso di cominciare un’altra
discussione!" e per essere sicuro di evitarla, decise di fare in
modo che la volpe fosse occupata in altre attività…
Due
settimane dopo, lo Shohoku, di nuovo al completo, grazie all’inaspettato
ritorno in fabbrica, e quindi in squadra, di Mitsui e Rukawa, affrontò
il Kainan, nella finale del torneo nazionale.
La
squadra dei carri armati, la terribile compagine che aveva dominato i
campionati degli ultimi anni, si dimostrò all’altezza della propria
fama, ma quella sera lo Shohoku aveva una marcia in più, uno spirito in
grado di supplire a qualsiasi carenza tecnica.
Quando
l’arbitro fischiò la fine dell’incontro, nessuno tra il pubblico
poteva credere che davvero la squadra delle utilitarie fosse riuscita
nell’impresa. E nella tribuna riservata alle autorità, Hanamichi vide
qualcuno che meno di tutti avrebbe desiderato quel risultato. Fu quindi
proprio ad Akira Sendoh che il rossino indirizzò il pugno sollevato in
segno di vittoria, tenendo contemporaneamente l’altro braccio serrato
intorno alle spalle della kitsune.
E
Mitsui e Kogure? Sembrava che, dopo la tempesta, anche per loro due
fosse ritornato il sole… almeno a giudicare dal fatto che, terminato l’incontro,
lo sfregiato, l’insopportabile, strafottente simil-teppista, era corso
dal quattr’occhi e lo aveva praticamente lanciato in aria.
Quella
sera, mentre Rukawa finiva di prepararsi, Hanamichi uscì di soppiatto
dallo spogliatoio per fare una telefonata. Quando la kitsune lo
raggiunse, si stava rimettendo il cellulare in tasca:
"Ehm…
dovevo fare una chiamata urgente…" rispose, impacciato, all’occhiata
interrogativa del compagno.
"Hn".
Ok,
non era stato abbastanza esaustivo…
"Ho
chiamato la signora Fujitsu" spiegò, diserbando un pezzo di aiola
con la punta della scarpa.
"Hn?"
Per
fortuna che Hanamichi sapeva dare il giusto significato a tutti i
grugniti di Rukawa, altrimenti tra loro il dialogo sarebbe stato davvero
impossibile.
"La
signora che abbiamo aiutato ha un nome, lo sai, vero? Volevo dirle che
abbiamo vinto il torneo" va bene, non le aveva detto solo questo,
però ‘anche’ questo!
"Immagino
il suo interesse! – Kaede si fermò, poi guardò il rossino,
sorridendo lievemente – Le hai raccontato tutti i dettagli, oppure
qualche particolare hai deciso di tenerlo per noi?"
"Beh,
a grandi linee le ho detto tutto; per i dettagli c’è tempo…
KAEDE!!! Come fai a sapere che le ho detto di noi?!" esclamò poi
Hanamichi. Possibile che la kitsune leggesse nel pensiero?!
"Perché,
a dispetto delle tue teorie, tu sei un do’aho e io il tensai!"
"NON
OSARE APPROPRIARTI DEL MIO TITOLO!!!"
E
come spesso accadeva in quei giorni, i giocatori dello Shohoku
assistettero allo spettacolo di un rossino urlante dietro ad un moretto
dall’aria annoiata e indifferente. Alcuni di loro si strinsero nelle
spalle, altri sollevarono gli occhi al cielo, altri ancora scuoterono la
testa; la maggior parte di loro, però, esibì anche un sorriso
divertito, avendo da tempo capito quale fosse la realtà che si
nascondeva dietro le discussioni dei due compagni.
Come
era prevedibile, qualche settimana dopo Rukawa lasciò nuovamente la
fabbrica, stavolta in maniera definitiva. Nonostante le insistenze del
padre, aveva infatti definitivamente deciso che la carriera aziendale
non era per lui. La sua passione rimaneva il basket, e decise di
continuare a giocare, entrando in una squadra professionistica.
Contemporaneamente tornò anche all’università, seguendo l’altra
sua passione, quella per le lingue, e accettando il posto di assistente
che il suo professore di inglese gli aveva offerto quando aveva
terminato gli studi.
Anche
Hanamichi lasciò lo Shohoku Inc: dopo essere tornato con Kaede, gli
sembrava di avere improvvisamente la possibilità di ricominciare la sua
vita da zero, sulla base di quelle che erano le sue vere passioni, i
suoi sogni, e la prima cosa che si impose di fare fu tentare il tutto
per tutto per realizzare i sogni che aveva nutrito per tanti anni.
Continuò
a giocare a basket, del resto dal Tensai non ci si poteva aspettare
nulla di meno, e contemporaneamente si impegnò anche, e con successo,
per diventare allenatore di una squadra di liceali, riuscendo così ad
unire il divertimento ad uno stipendio fisso.
"Ehi,
kitsune, questo scatolone dove va messo?"
Hanamichi,
circondato dalla baraonda del nuovo appartamento che avevano preso
insieme, sembrava ancora completamente all’oscuro della sistemazione
definitiva che avrebbero preso le cose, sue e di Kaede, ancora chiuse
nei pacchi.
"Forse
se ci guardi dentro potresti averne un’idea! E poi, se fuori c’è
scritto ‘libri’, non pensi che dovrebbe andare nel soggiorno?"
Il
rossino scosse la testa: per essere una volpaccia muta, ogni tanto
Rukawa diventava quasi logorroico…
Sistemati
i libri negli scaffali, Hanamichi si diresse verso la cucina, dove erano
ammonticchiati tutti gli scatoloni sui quali Kaede aveva scritto con il
pennarello ‘kitchen’, nel suo vano tentativo di avvicinare il
compagno all’inglese.
"Se
ci avesse disegnato sopra un fornello, sarebbe stato più chiaro!"
borbottò il rossino, tra i denti.
"Hai
detto qualcosa?" gli arrivò la voce di Rukawa dalla stanza da
letto.
"HO
FAME!!!" rispose il tensai, considerando che tanto anche questo era
vero… ma, come al solito, la sua protesta non ebbe effetti.
Dopo
aver finito di sistemare pentole, provviste e elettrodomestici da
cucina, gentili doni del padre di Rukawa, quindi i libri di ricette
regalati dalla madre del tensai e dalla signora Fujitsu, e poi piatti,
bicchieri, posate e quant’altro sembrava essere indispensabile,
secondo tutte le persone che conoscevano, per prepararsi un’insalata e
un panino, Hanamichi superò il bancone ad isola, tornando nella zona
soggiorno e spaparanzandosi sul divano.
Chiuse
gli occhi e sorrise: era il loro appartamento. Lo avevano pagato a
metà, era in una zona non periferica, ma nemmeno nel quartiere
prestigioso dove stava Rukawa prima, ed era… normale: un appartamento
adatto a due ragazzi che lavoravano e che volevano farcela da soli.
"Hai
terminato di sistemare di là?" chiese, alzandosi di nuovo in piedi
e dirigendosi verso la camera da letto.
Proprio
in quel momento Rukawa emerse dalla stanza, chiudendosi la porta dietro
le spalle:
"Ho
quasi finito. Ho fame anche io – al che Hanamichi fece tanto d’occhi,
considerando che la kitsune non sembrava mai aver preso la sana
abitudine di mangiare – Ordiniamo qualcosa".
Un
bel po’ di pizza, patatine krokky, coca-cola e gelato (quasi tutti
nello stomaco del rossino) dopo, il tensai pensò di aver conquistato
davvero l’Eldorado. Era bellissimo stare sdraiato sul divano, la testa
in grembo a Rukawa, e le dita sottili del moretto a massaggiargli i
capelli… niente di più meraviglioso! E poi… beh, era parecchio che
stavano insieme, ma ancora… come dire, non avevano fatto uno dei passi
più importanti. E quella sera, forse…
"Do’aho…
io vado a prepararmi per dormire. Ho un po’ di mal di testa…"
COOOSAAAA???!!!
Dopo tutto quel tempo, dopo quell’attesa estenuante, dopo tutto lo
sforzo che aveva fatto per mantenersi paziente, proprio la loro prima
notte insieme Kaede aveva mal di testa??!!
"Stai…
stai molto male?" chiese esitante, sperando che l’altro guarisse
all’improvviso.
"Niente
che una buona notte di riposo e sonno ininterrotto non possa
guarire" e Rukawa si alzò dal divano, dirigendosi verso il bagno.
Sakuragi
rimase immobile. Poteva sentire appena il rumore della doccia, e
pensieri non proprio casti gli si stavano affastellando nella testa, ma
contemporaneamente non poteva che ripetersi di stare calmo. Ok, i suoi
piani per quella sera erano rovinati, ma tutto sommato non erano che
rimandati al giorno successivo… avevano aspettato così tanto che una
notte in più non poteva certo fare tutta questa differenza!
Peccato
che fosse così difficile convincersi delle sue stesse ragioni.
Quando
sentì Rukawa andare nella stanza da letto, si alzò dal divano e
cominciò a rimettere tutto a posto e a spengere le luci. Diede un’ultima
occhiata fuori della finestra e gli tornò il sorriso… era la loro
casa, l’inizio della loro vita insieme! Non c’era motivo per essere
tristi… e poi la cosa più importante era che Kaede stesse bene.
Entrò
nella stanza da letto, e rimase impietrito.
Sugli
scaffali, sul davanzale della finestra e sulla mensola dello specchio
ardevano candele che mandavano un lieve profumo di vaniglia. Le tende
erano tirate, la luce, oltre a quella delle fiammelle, veniva solo dalle
piccole lampade sui comodini. Sulla scrivania c’era un mazzo di fiori
secchi, e alle pareti Kaede aveva appeso tutte le stampe che avevano
scelto insieme durante le settimane che avevano preceduto il trasloco. E
poi il tappeto… quel tappeto non lo aveva mai visto, ma copriva quasi
l’intero pavimento, dando ancora più calore alla stanza.
Ma
questa era solo atmosfera, la cosa importante era… era quel ragazzo
meraviglioso steso sul letto.
Hanamichi
si sostenne con una mano contro il muro: Kaede era steso sull’addome,
le lenzuola chiare che creavano contemporaneamente un contrasto con i
jeans che ancora indossava, per poi quasi confondersi con la pelle della
schiena e delle braccia, avvolte intorno al cuscino…
E
poi i suoi capelli che si allargavano scompostamente sulla federa
immacolata, mentre, dal viso voltato verso di lui, due occhi di un
azzurro intensissimo sembravano lanciargli uno sguardo di invito.
Il
rossino inghiottì a vuoto, poi si schiarì la gola:
"Ancora
mal di testa?" chiese incerto. Oddio, quella situazione non gli
sembrava esprimere una idea di malattia, ma con la kitsune era sempre
meglio andare con i piedi di piombo. Se aveva frainteso, era meglio
scoprirlo senza esporsi troppo! Ok, in realtà ‘qualcosa’ che
sicuramente aveva frainteso, e che per di più sembrava assai poco
interessata a nascondere il proprio interesse, stava diventando
piuttosto difficile da celare…
Rukawa
sembrava proprio aver seguito il filo dei pensieri del compagno, perché
abbassò lo sguardo sul suo corpo, accelerando quasi impercettibilmente
il respiro una volta che si fu accorto dell’emozione di
Hanamichi. Poi però il ragazzo riportò l’attenzione sul viso del
tensai, allungando un braccio e facendogli lentamente il segno di
avvicinarsi:
"Mi
sento meglio… e mi è anche passato il sonno".
Una
persona con meno autocontrollo del tensai non avrebbe saputo resistere a
una tale provocazione, ma Sakuragi sapeva come affrontare da uomo
compassato e navigato certe situazioni. E così… con un unico balzo fu
sul letto, atterrando non proprio dolcemente sulla sua kitsune, che nel
frattempo si era voltata completamente verso di lui.
Petto
contro petto, le braccia di Hanamichi intorno alla vita di Kaede, i loro
respiri che ormai si mescolavano, e nell’imminenza di un bacio di
quelli risucchia polmoni, il rossino sorrise, scuotendo la testa:
"Mi
ci avevi davvero fatto credere, pensavo veramente che ti sentissi male!
Volpaccia dispettosa… Ma adesso è arrivato il momento della vendetta
del tensai!"
"Vedi
di non farmene pentire" gli rispose Rukawa distogliendo lo sguardo
e accennando un sorriso stranamente dolce, quasi timido.
"Stai
pur certo che Hanamichi Sakuragi in certe cose è il migliore!" si
vantò fieramente il rossino, poi però, quasi immediatamente, non
riuscì a trattenere una esclamazione di dolore: "AHIO!!!! Perché
mi hai dato una gomitata, adesso?!!!!".
"Sei
il migliore, eh? Hai molta esperienza, quindi! Beh, la cosa non mi
piace".
Hanamichi
per un momento fu preso dal panico: il volpacchiotto aveva frainteso!!
Insomma, lui voleva dire che era il migliore perché lo era in tutte le
cose, e non che si fosse ripassato mezza Kanagawa! E poi in realtà le
sue esperienze erano state solo con le ragazze…
Non
aveva rovinato tutto, vero?
"KITSUNE!!
Vediamo di partire con il piede giusto: io sono il tensai, e il tensai
è sempre il migliore; secondo, in questi mesi mi hai lasciato tempo di
sognare parecchio, e sognando mi sono venute molte idee che mi fanno
pensare che andrà tutto bene – e qui arrossì un pochino… non aveva
solo sognato, si era anche documentato – e terzo… ma perché non ti
sei messo addosso i pantaloni della tuta, o meglio… il pigiama?!
Questi jeans sono difficili da sfilare!"
E
a questo punto ebbe la soddisfazione di rivedere, nel volto solitamente
serio di Rukawa, quello stesso sorriso che lo aveva tanto stupito pochi
istanti prima. Desideroso di catturare quell’istante, Hanamichi si
chinò sul compagno, baciandolo lievemente, e immediatamente sentì le
braccia di Kaede stringerglisi intorno al collo.
Pur
nell’incertezza di cosa ‘esattamente’ dovesse fare, il rossino
quella sera si confermò un tensai non solo di nome: come sempre,
superò ogni ostacolo, affrontò l’ignoto con decisione, si rivelò
ugualmente dolce e passionale, dimostrò, come aveva sostenuto già a
parole, di essere il migliore, ed ebbe per la prima volta la
soddisfazione di vedere il compagno cedergli il controllo e far
finalmente trapelare ogni emozione, ogni sensazione.
E
quando, quasi all’alba, le candele consumate si spensero, sembrava
proprio che il pentimento fosse l’ultimo dei pensieri nella testa di
Kaede Rukawa.
Catena
di Montaggio - The End
N.B.
Kaede, così come descritto da Hanamichi nelle ultime righe del
capitolo, è stata ispirato da una immagine di una disegnatrice
bravissima, Sabrina, che me l’ha inviata moltissimo tempo fa e
che ha acconsentito a inserirla nel sito che abbiamo aperto con
Nausicaa e Calipso.