Che
diavolo ci faceva Akira Sendoh davanti alla casa di Kaede?
Hanamichi
si voltò verso il compagno, sperando di scorgere nel suo viso
lo stesso stupore, e invece vi trovò la solita espressione
impassibile.
“E’
venuto per te?” si decise a chiedergli dopo qualche istante di
silenzio, sfoderando un tono che voleva essere casuale, ma che
gli riuscì solo freddo.
Rukawa
non gli rispose, ma aprì lo sportello e scese dalla jeep,
dirigendosi lentamente verso Sendoh, che si era staccato dal
cancello per andargli incontro.
Anche
Hanamichi balzò immediatamente fuori dalla macchina, e in pochi
passi fu tra la kitsune e l’idiota dai capelli a punta:
“Ti
sei perso, oppure la lezione che ti abbiamo dato in campo non ti
è bastata?” sibilò all’indirizzo del porcospino,
stringendo contemporaneamente i pugni, pronto a scattare se
l’altro avesse deciso di reagire nel modo sbagliato… che in
quel momento significava anche solo rivolgere mezza sillaba a
Kaede.
Akira
Sendoh sorrise, proprio come se Sakuragi avesse appena fatto una
battuta, poi si voltò verso Rukawa, indicando il rossino con il
pollice alzato:
“Pensavo
che puntassi più in alto, Kaede-kun; tuo padre sa a chi ti
accompagni?” chiese, mantenendo quel sorriso che non riusciva
però a nascondere del tutto l’espressione rabbiosa negli
occhi.
“Quello
che faccio io non è affar tuo, e ti ho già detto che non devi
venire qui”.
La
risposta fredda di Rukawa agitò e rassicurò insieme Sakuragi.
Lo rassicurò perché non dava speranze all’idiota ridens,
quel presuntuoso che pensava di poter avere sempre tutto con uno
schiocco delle dita, ma lo preoccupava perché indicava che
quella persecuzione con i capelli a punta doveva aver dato
fastidio al volpacchiotto ben più di una volta.
“Hai
capito quello che ti ha detto? Tornatene nella tua super villa,
nel tuo attico, ovunque sia la tua tana, e lasciaci in pace:
Kaede ed io non ti vogliamo tra i piedi!” Hanamichi aveva
fatto un passo avanti, e adesso era nella posizione perfetta sia
per far partire un diretto al mento, sia per sfoderare una delle
sue famose testate.
L’altro
sollevò un sopracciglio:
“Kaede?
Devi sentirti molto sicuro di te, operaio…
com’è che ti chiami, pel di carota?”
E
il pugno partì… il rossino non era certamente tipo da
sopportare un tono e delle parole simili da nessuno, e presto i
due si ritrovarono impegnati in un combattimento senza
esclusione di colpi. Dopo una mossa fulminea con cui il tensai
riuscì ad assestare un pugno violento nello stomaco
dell’avversario, e proprio nel momento in cui Sendoh si
piegava in avanti, chiudendosi su se stesso, la mano chiusa di
Hanamichi sfiorò inavvertitamente quelle spine appiccicose…
Immediatamente
il ragazzo si tirò indietro, pulendosi contro la stoffa dei
pantaloni… quella sostanza gelatinosa era qualcosa di
rivoltante!!
Lo
scontro proseguì finché entrambi non si ritrovarono ansimanti
e piegati in due dal dolore. Con il respiro corto e le mani sui
fianchi, i loro occhi continuavano a bruciare di rabbia,
minacciandosi nuovi attacchi che si sarebbero tramutati in realtà
non appena i due avessero recuperato un po’ di fiato.
“Smettetela”.
La
voce fredda di Rukawa finalmente spezzò la tensione, scaricando
l’atmosfera.
“Questo
stronzo non ha alcun diritto di venire qui!” sibilò
Hanamichi, continuando a guardare l’avversario e a studiarne i
movimenti, sicuro che quel bastardo sarebbe stato pronto ad
approfittare di qualsiasi suo momento di distrazione.
Come
diavolo osava Akira Sendoh venire a spadroneggiare davanti alla
casa di Kaede? Certo, lo aveva visto e gli era piaciuto, e
adesso pensava di poterselo prendere, così come doveva essere
abituato a fare con tutte le cose che lo attiravano. Ma il
volpacchiotto non era sul mercato, e un pescecane come il
padrone del Ryonan poteva cominciare ad andarsi a cercare altre
prede!
“Sei
tu a non aver alcun diritto di sollevare lo sguardo, figurarsi
le tue mani luride, su Kaede Rukawa! Lui non è per te,
ricordatelo; tu non sei nessuno, e quando tutto questo sarà
finito…”
“Akira,
stai zitto!”
Sendoh
si voltò verso il moretto, e sorrise lievemente, sorriso che
poi si caricò nuovamente di sarcasmo quando lo sguardo del
ragazzo si riportò nuovamente su Hanamichi:
“Quando
tutto questo sarà finito, di te non ci ricorderemo più neanche
la faccia!”
“Bastardo!
Adesso te la tolgo io quella smorfia da idiota!” e il rossino
si scagliò nuovamente all’attacco.
“Smettila,
Sakuragi!” lo bloccò però la voce ferma della kitsune.
Sendoh
rise all’espressione combattuta del rossino, poi scosse la
testa:
“Dagli
retta… è per il tuo bene!- poi accennò con il capo un saluto
verso Rukawa -Noi avremo certamente occasione di rivederci
presto, Kaede-kun”.
Hanamichi
lo lasciò andare, ma solo perché il suo braccio era serrato
nella morsa delle dita della sua kitsune, che sembrava volerlo
frenare e calmare insieme. Il porcospino salì quindi sulla sua
automobile sportiva, partendo con una sgommata.
“Quel
bastardo! Ma… come osa venire qui e spadroneggiare! Pensa di
poter aver tutto, ma non ha capito con chi ha a che fare!
Nessuno prende quello che è di Hanamichi Sakuragi…” sibilò,
ancora carico di rabbia.
Rukawa
si voltò lentamente verso di lui:
“E
cosa sarebbe di Hanamichi Sakuragi?” gli chiese freddamente.
“Tu,
ovviamente! Insomma – e cominciò ad impappinarsi – dopo…
dopo… beh, dopo quello che ti ho detto, mi sembra che fossimo
d’accordo che… che…” oddio, ma perché quella stupida
kitsune doveva sempre metterlo in queste situazioni antipatiche?
“Dopo
quello che è successo – lo interruppe l’altro, facendo
risuonare una nota gelida nel suo tono determinato – faremmo
entrambi bene ad andare a dormire. Buonanotte”.
Sakuragi
rimase immobile, con la bocca leggermente aperta, a guardare
Rukawa armeggiare con la serratura del cancello, e poi sparire
nel buio del vialetto che portava alla casa. Le cose stavano
andando così bene, e improvvisamente era cambiato tutto… si
infilò le mani in tasca e, con la testa incassata nelle spalle,
s’incamminò a piedi, in teoria verso il suo quartiere, ma in
realtà avanzando a caso.
Si
ritrovò davanti all’ospedale della madre; entrò senza
neanche sapere il perché. L’infermiera alla reception lo
riconobbe dalla notte di qualche settimana prima e gli sorrise,
e a quel punto, senza neanche pensarci, lui chiese della signora
che avevano accompagnato con Kaede, invece che della madre.
“Sei
stato fortunato, Sakuragi-kun; domani verrà dimessa, e questa
è la sua ultima notte qui. Le farà piacere avere una
visita!”
Il
ragazzo raggiunse la stanza, e trovò la donna seduta sul letto,
con la schiena sostenuta dai cuscini, che leggeva una rivista
appoggiata sulla gamba mantenuta rigida dal guscio di gesso.
Si
fermò sulla soglia, quasi avesse paura di disturbarla,
entrando. Fu lei, sollevando casualmente lo sguardo, a risolvere
la situazione: gli sorrise e subito gli fece cenno di
avvicinarsi, chiudendo contemporaneamente il giornale.
“Volevo…
volevo vedere come stava…” cominciò lui, un po’
imbarazzato.
“Siediti
su quella sedia, Hanamichi-chan… - la signora sorrise – mi
sembra quasi di conoscerti, con tutte le cose che mi ha
raccontato tua madre! E’ molto orgogliosa di te, lo sai?”
Sakuragi
arrossì ancora di più, e abbassò lo sguardo, sperando
contemporaneamente che la madre non avesse raccontato proprio
‘tutte’ le sue imprese!
“Sei
da solo? – e la donna guardò verso la porta – Quel bel
ragazzo dell’altra sera non è venuto?”
Hanamichi
continuò a non guardarla, ma scosse lentamente la testa.
“Peccato!
Siete molto amici, vero?”
Come
rispondere ad una domanda come quella quando neanche lui sapeva
quali fossero i rapporti tra loro?
“Non
ci conosciamo da tantissimo, stiamo ancora vedendo se possa
nascere qualcosa tra noi” disse, sottovoce.
Per
qualche istante nella stanza ci fu silenzio, poi la voce della
donna si levò più dolce, più comprensiva:
“Non
stai parlando solo di amicizia, vero? Avevo notato, quella sera,
che lo guardavi in un modo strano… ma non ero sicura. Ti
piace?”
Lui
rise nervosamente:
“Non
capisco… non capisco di cosa…”
Ma
lei lo interruppe con un gesto della mano e scuotendo la testa:
“Alla
mia età non si ha il tempo di perdersi in giri di parole.
Diventa estremamente più comodo andare dritti al punto, e credo
di averlo colpito… vero?”
Non
rispondendo, il rossino in qualche modo confermò quella
conclusione.
“Spero
che tu glielo abbia detto… non potrei metterci la mano sul
fuoco, ma credo che anche lui potrebbe ricambiarti. E poi sembra
un ragazzo in gamba…”
“Sì,
gliel’ho detto…” la interruppe Hanamichi, sperando però
di non aver frenato le riflessioni della donna.
La
signora batté le mani, somigliando improvvisamente più ad una
bambina che ad una anziana ancorata ad un letto d’ospedale:
“E
lui cosa ti ha risposto?”
“Niente.
Non mi ha detto niente. Mi ha chiesto di riportarlo a casa – e
qui Sakuragi rise – Certamente qualcosa di non molto
incoraggiante!”
“Sei
sicuro? Ma… tu gli hai detto che lo amavi, e poi?”
Ehm,
era assurdo ritrovarsi a raccontare cose così private ad una
persona completamente sconosciuta, ma ad Hanamichi sembrava
quella che forse poteva capire meglio cosa gli stesse
succedendo, forse perché era stata l’unica a vederli insieme,
a vederli collaborare a qualcosa.
“Dopo
avergli detto che… beh, quello, l’ho baciato…”
“Bravo!
Così si fa!” lo approvò la donna.
“Lui
all’inizio mi ha respinto…”
“Reazione
naturale”.
Hanamichi
fu per un istante distratto da quel tono da consulente
sentimentale, poi però riprese a raccontare, diventando man
mano sempre più scarlatto:
“Mi
ha respinto, ma io gli ho detto che lo amavo, e poi l’ho
baciato di nuovo, e questa volta… beh, insomma… lui non è
rimasto passivo” concluse, abbassando lo sguardo.
“E
allora perché hai questa faccia funerea?! E’ andato tutto
bene!”
Lui
scosse la testa:
“Quando
ci siamo separati, non è che Kaede mi abbia detto di amarmi, o
di trovarmi affascinante, irresistibile o meraviglioso. In realtà
non mi ha neanche definito simpatico… - e il rossino si
interruppe, grattandosi la testa – E poi mi ha detto di
riportarlo a casa. Insomma, non ho capito a…”
“A
che punto siete?” concluse la donna per lui.
Hanamichi
annuì:
“E
poi davanti al suo portone c’era l’orrido porcospino!”
sibilò, la rabbia che tornava a ribollire. Lo sguardo perplesso
della signora lo portò però a doversi spiegare:
“Parlo
di Akira Sendoh, l’amministratore delegato della Ryonan Inc.
Da quando abbiamo giocato l’amichevole, ho notato che quel
demente non stacca mai gli occhi dal mio volpacchiotto. E non è
difficile capire che lui ha molto più da offrire di me!” si
sfogò.
“E
pensi che al tuo ‘volpacchiotto’ questo possa interessare?
Hai notato un interesse nei confronti di questo istrice,
qualcosa che giustifichi questi tuoi sospetti?”
Sakuragi
si fermò per qualche istante a pensare, e per aiutarsi cominciò
anche a grattarsi il mento con la mano, ma alla fine non poté
che scuotere la testa:
“No,
per la verità non ho notato un attaccamento particolare da
parte di Rukawa. Bisogna però dire che lui non è il tipo che
faccia capire chiaramente cosa pensa” aggiunse, non riuscendo
a superare le proprie paure.
La
donna scosse la testa, poi cominciò a parlare, lentamente:
“Non
credo che dovresti essere così geloso. Se, come pensi, questo
porcospino ha tante cose da offrire, eppure non ha suscitato
alcun interesse nel tuo amico, dovresti smetterla di
arrovellarti e concentrarti invece su quello che potrebbe
esserci tra voi. Già da domani devi cercare di parlargli, di
fargli capire che le parole che gli hai detto erano sincere, che
tu lo ami davvero. Sono sicura – e gli posò una mano sul
braccio – sono sicura che andrà tutto bene. Sono vecchia, e
spero di capire qualcosa della vita, ormai, e quella sera ho
visto tra voi qualcosa… sì, qualcosa che mi fa pensare che
siate tra i fortunati che si sono trovati presto. Convincilo,
apriti con lui, sii sempre onesto, e sono sicura che andrà
tutto bene…”
Hanamichi
sorrise, un po’ vergognoso dopo il lungo discorso della donna.
In qualche modo era stato investito di una bella responsabilità:
fare breccia nel cuore della kitsune non era certamente uno
scherzo! Però si sentiva anche molto ottimista: lei li aveva
visti insieme, e, se aveva detto che erano fatti l’uno per
l’altro, doveva pur avere qualche motivo per affermarlo, no?
Ancora
una volta fu risvegliato dai suoi sogni ad occhi aperti su volpi
e tane dalla voce scherzosa della compagna:
“E
comunque pretendo un aggiornamento regolare… datti una mossa,
che io certo non ringiovanisco, e non vorrei essere già polvere
quando finalmente ti sarai deciso a parlargli!”
“Ma…
ma cosa dice!” si riscosse il rossino, imbarazzato
dall’accenno alla polvere.
Lei
però continuò ad annuire:
“Fatti
avanti, e poi tornate a trovarmi. Ormai mi sento parte della
vostra storia…”.
Il
giorno successivo, il suono della sveglia trovò Hanamichi già
con gli occhi spalancati. Tutta la notte non aveva fatto che
pensare a quello che era accaduto, e al modo migliore per
piegare Kaede Rukawa alla forza dei suoi sentimenti. Ogni tanto
ridacchiava come un idiota, il che avveniva esattamente quando
ripensava al momento in cui il loro bacio era diventato vero, al
momento in cui il volpacchiotto lo aveva ricambiato, ogni tanto
però si innervosiva o si arrabbiava addirittura, arrivando a
dare pugni nel cuscino, ed era quando gli si materializzava
davanti l’immagine insopportabile della iena ridens.
Appena
sentì il suono trapanante della sveglia, la raggiunse e con la
mano aperta schiacciò la levetta, rischiando di mandare in
frantumi l’intera scatoletta di plastica, poi corse nella
doccia, ingurgitò la colazione, si calò nei nuovi pantaloni
neri che gli aveva comprato la madre e nel maglione a collo alto
grigio scuro, quello che non aveva più indossato dalla festa di
Natale di Yohei, due anni prima, e finalmente fu pronto per
uscire… davanti a lui il solo obiettivo di conquistare
definitivamente la kitsune.
Arrivò
in fabbrica incredibilmente presto, cosa che non era mai
accaduta per quel turno delle sette che lo vedeva
inevitabilmente arrivare correndo, superare tutta la gente
all’ingresso e avventarsi sul lettore del cartellino prima che
scattassero le 7.01.
Ancora
con il fiatone, si appostò in un angolo strategico, un angolo
dal quale non avrebbe potuto fallire un tempestivo avvistamento
della volpaccia, e infatti, appena dieci minuti dopo, un
volpino, alto, snello, caschetto nero e occhi azzurri, fu
individuato mentre scendeva da una macchina scura insieme ad uno
spaventapasseri sfregiato.
Hanamichi
strinse gli occhi, cercando di cogliere, anche da così lontano,
l’espressione sul viso di Rukawa, ma tutto sommato gli
sembrava apatica esattamente come il resto della settimana. Per
un istante decise di degnare di un’occhiata anche quel
teppista travestito da lavoratore onesto di Mitsui, e gli sembrò
di intuire che stesse blaterando qualcosa di sicuramente molto
noioso, a giudicare dall’espressione indifferente del suo
volpacchiotto.
Ok,
quando il gioco si fa duro…
Sakuragi
si staccò dal muro, e con passo deciso, quel passo in grado di
scuotere la fabbrica dalle fondamenta, si portò di fronte ai
due:
“Rukawa…
dobbiamo parlare”.
E
fin qui tutto bene. Sulla metropolitana aveva provato la frase
almeno una decina di volte, e sapeva che sarebbe stato
convincente, glielo aveva confermato anche il vecchietto che gli
sedeva di fronte.
“Mph!”
fu la reazione dell’altro, che tirò dritto.
Hanamichi
però non si perse d’animo, inseguì la kitsune e gli si portò
di nuovo davanti, fermandolo.
“Hai
sbagliato la risposta!!!!” gli comunicò.
“Ehi,
scimmia, perché non schiodi? Forse non l’hai intuito, ma ci
stai dando fastidio…”
“Sei
tu che devi sparire, stupido rifiuto umano! – Hanamichi era
ormai determinato a non farsi fermare da niente e nessuno –
Rukawa… ti ho detto che dobbiamo parlare, è importante” e
il suo tono, partito deciso, sembrò improvvisamente assumere
una sfumatura supplichevole.
“Hisashi,
va’ pure avanti; ti raggiungo tra qualche minuto”.
Era
chiaro che lo sfregiato non fosse troppo contento di queste
parole, e infatti mantenne per qualche istante uno sguardo
interrogativo sul volto dell’amico. Poi, però, accorgendosi
di quanto l’altro fosse irremovibile, scosse la testa e, non
senza prima lanciare uno sguardo minaccioso all’indirizzo del
rossino, li precedette verso lo spogliatoio.
Ok,
anche la seconda parte del piano era andata a buon fine, adesso
rimaneva la fase tre… convincere il volpacchiotto della forza
e della sincerità dei suoi sentimenti, e obbligarlo a
riconoscere di ricambiarli.
“Seguimi”
gli ordinò Hanamichi, imboccando le scale che portavano al
solaio, sicuramente deserto a quell’ora della mattina. Rukawa
non fece obiezioni e camminò dietro di lui, in silenzio.
“Senti…
io… beh, riguardo a quello che è successo ieri sera… - come
era tutto più difficile quando ci si trovava faccia a faccia
con Kaede, piuttosto che con uno specchio! – io volevo…
ecco, non so se…”
Non
riuscì ad andare avanti che l’altro lo fermò:
“Non
c’è bisogno di parlarne. E’ stato uno sbaglio e non devi
starti a giustificare… Se ci riprovi, però, sei un do’aho
morto”.
La
voce di Rukawa era stata definitiva, e le parole erano tutte
sbagliate!!! Come fare a dirgli che era veramente innamorato di
lui? Come andare avanti, ora che sapeva che la kitsune sembrava
aver tutt’altro che gradito le sue attenzioni?
“Non
hai capito niente!!” esclamò Hanamichi, passandosi una mano
tra i capelli e l’altra sugli occhi.
Adesso
lo sguardo di Kaede sembrava stupito, anche se sempre duro.
“Sì,
non hai capito niente!! – e il tensai si avvicinò al
compagno, appoggiandogli le mani sulle spalle – Io sono
innamorato di te, moltissimo, praticamente dal primo momento che
ti ho visto!! Ieri sera… ieri sera ho trovato finalmente il
coraggio di dirtelo, e da ieri sera non faccio che chiedermi se
anche tu… anche tu… beh, provi qualcosa per me. Insomma –
e il ragazzo sentì la pelle del viso ardergli – so di non
essere esattamente un gran partito, so che quell’idiota,
rivoltante, viscido verme di Akira Sendoh ha sicuramente più
punti a suo favore di me, però, da quando ti ho conosciuto, ho
cominciato a provare dei sentimenti che non avevo mai provato
per nessuno. Quando ti guardo, quando parliamo… io sento
qualcosa che mi si stringe nello stomaco, e contemporaneamente
mi viene voglia di sorridere, e non intendo le mie risate da
tensai, intendo sorridere come quando si è veramente felici,
come quando si tocca il cielo con un dito. Io questo lo provo
solo per te, con te. Credo… credo che noi andremmo molto
d’accordo, credo proprio che saremmo felici. Insomma, abbiamo
tante cose in comune: io sono un campione di basket, e tu non
sei così scarso, e poi entrambi lavoriamo in fabbrica, a tutti
e due piace il mare, insieme abbiamo aiutato quella signora in
difficoltà…”
“…entrambi
siamo giapponesi, tutti e due viviamo a Yokohama…”
Kaede…
Kaede gli stava sorridendo?!
E
anche Hanamichi sorrise:
“Beh,
c’è anche questo, no? Comunque, ecco, io vorrei sapere cosa
ne pensi… ieri mi era sembrato, per un momento, che anche
tu…” e qui si fermò, arrossendo ancora di più, sempre che
fosse possibile.
Rukawa
ridivenne serio, e non gli rispose.
“Ti
prego… di’ qualcosa, non mi puoi tenere in sospeso in questo
modo!”
“Non
credo che sarebbe una buona idea”.
Cosa?!
Non credeva che sarebbe stata una buona idea? Ma che razza di
risposta era quella…
“Perché?!”
Hanamichi non aveva la minima intenzione di arrendersi, ed anzi,
fece un passo avanti, fino a portarsi a pochi centimetri dal
corpo dell’altro, le mani che avevano lasciato le spalle di
Kaede per scivolargli dietro la schiena.
“Noi
non ci conosciamo. Credo che tu, come tanti, ti sia lasciato
attrarre dall’aspetto fisico”.
Hanamichi
impiegò qualche secondo per processare quella parola, poi però
cominciò a scuotere violentemente la testa:
“HAI
PROPRIO LA ZUCCA DURA, KITSUNE!! – si fermò qualche secondo
per riprendere fiato, poi proseguì – Mi piace tutto di te,
non solo il tuo aspetto!! Non è mai stata la cosa più
importante… quello che sento, quello che ho cercato di dirti,
è che quando stiamo insieme io mi sento diverso, migliore, mi
torna la speranza di non stare buttando la mia vita!”
Non
pensava che sarebbe arrivato ad esporsi tanto, ad aprire così
presto davanti a Kaede quella che era una delle sue ferite più
dolorose, quel sentirsi vecchio a ventitre anni, senza
possibilità di migliorare la propria vita. Le ore in fabbrica,
il pub, gli allenamenti di basket… tutto era arrivato a
sembrargli una prigione; e poi era piombato nella sua vita Kaede
Rukawa, e tutto aveva ripreso colore, anche le cose più tristi.
E non era stato il suo aspetto ad attrarlo, era stato il fatto
che con lui sapeva di poter condividere dei sogni, di avere
trovato la persona che poteva capirlo, spronarlo, farlo
ricominciare a combattere, perché nella sua kitsune Hanamichi
sentiva lo stesso fuoco che aveva bruciato anche lui fino a
qualche anno prima.
Rimase
in silenzio, impaurito all’idea di scoprirsi ancora, di
rivelare di più ed essere ancora più ferito da un eventuale
rifiuto. Eppure voleva contemporaneamente che l’altro lo
capisse, che comprendesse quanto fosse importante per lui quello
che rappresentava il loro rapporto.
“E
la sorella di Akagi? Yohei diceva che…”
Il
rossino non gli permise di continuare:
“La
sorella di Akagi non ha mai significato nulla!
E’
vero, c’è stato un momento in cui ho pensato che potesse
piacermi, ma sapevo benissimo che in realtà non era così.
Non
ho mai amato nessuno come te, mai. E non è facile ammettere di
essere innamorati di un ragazzo, nel caso te lo fossi chiesto.
E’ stato uno shock anche per me, ma sarei stato un cretino,
veramente un do’aho come mi accusi sempre di essere, se non lo
avessi riconosciuto davanti a te, se non avessi almeno provato a
farti ricambiare i miei sentimenti…”.
Nuovamente
lunghi e imbarazzanti istanti di silenzio.
Hanamichi
abbassò lo sguardo, e non riuscì a trattenere un sospiro: ok,
si era sbagliato, Rukawa non aveva alcun interesse per lui e non
avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti. Non era una situazione
facile da accettare, e lui non era abituato a rinunciare
facilmente, ma sembrava proprio che in quel momento insistere
fosse la cosa peggiore. Poteva solo sperare che l’altro fosse
incerto, che avesse bisogno di chiarirsi anche con se stesso.
“Torniamo
alle verniciature, tra poco suonerà la sirena, e Akagi poi chi
lo sente se non ci vede arrivare… passi per me, che sono
abituato ai suoi rimbrotti, ma non è davvero il caso che ti
rovini l’ordine di servizio per niente” mormorò. Già,
proprio come se i suoi sentimenti non fossero altro che niente,
polvere e immondizia.
Si
avviò verso la porta, quando sentì una mano stringergli il
polso:
“Non
credevo che il tensai che ho imparato a conoscere in questi
giorni si arrendesse senza combattere…”
Hanamichi
si voltò, e la sua espressione non portava certamente tracce di
resa:
“Credo
solo che tu abbia ancora bisogno di un po’ di tempo, ma ti
prometto che alla fine cederai al grande Sakuragi. Il tensai non
conosce sconfitta…”
“Davvero?”
Rukawa
aveva pronunciato quell’unica parola con una strana
intonazione, e per la prima volta ad Hanamichi sembrò di
vederlo arrossire leggermente… e la sua mano era ancora lì, a
sfiorargli il polso.
Le
sue iniziative migliori erano sempre state quelle non
programmate, ma ideate e attuate sul momento. Con mossa fulminea
Sakuragi si avventò sulla kitsune, addossandola contro la porta
di ferro, e poi si avvicinò al suo viso bellissimo. Stava per
baciare Rukawa, quando capì che stavolta doveva fermarsi, che
non poteva ripetere la scena della sera precedente, che doveva
capire…
“Ti
sto per baciare, kitsune. Se hai qualcosa in contrario, vedi di
parlare adesso, perché poi non mi fermerò finché non saremo
entrambi senza fiato!” gli annunciò, stringendogli le braccia
intorno alla vita e soffiandogli le parole sul viso.
“Chiacchieri
troppo, scimmia…”
E
a questo punto Hanamichi decise che la sua risposta l’aveva
avuta… si chinò su quel ragazzo che ormai considerava suo, e
lo baciò. E fu un bacio diverso, ancora più travolgente di
quello della sera precedente, perché stavolta lui sapeva che i
propri sentimenti non sarebbero stati respinti, che Kaede Rukawa
in qualche modo lo ricambiava, che quello non era che l’inizio
di qualcosa di fantastico, di una avventura meravigliosa che li
avrebbe visti sempre insieme.
Quando
furono entrambi senza fiato, ma proprio sul cianotico spinto, il
rossino si decise a lasciare andare la bocca del compagno,
limitandosi a serrarselo contro il petto in una morsa dalla
quale era impossibile sottrarsi… e lo intenerì sentire le
braccia della kitsune rimanere allacciate intorno al suo collo,
in una stretta rilassata; e lo fece sorridere,
contemporaneamente, vedere la fronte di Kaede appoggiata contro
la sua spalla, come se il ragazzo cercasse di nascondere il
viso, quasi volesse avere il tempo di ricomporsi.
In
quel momento echeggiò il suono acuto della sirena che li
richiamava al lavoro.
“Come
stai?”
Hanamichi
si rese conto di non aver pronunciato esattamente una frase da
tensai, ma era comunque inavvertitamente riuscito a mormorare
quelle parole con una tale dolcezza che stranamente non gli
causarono un bel pugno sul naso.
“Pensi
di essere il baciatore fatale? Sto perfettamente bene”.
Probabilmente
troppo, perché sembrava che Rukawa trovasse improvvisamente
difficile sciogliere l’abbraccio intorno al collo di
Hanamichi.
“Potremmo
prenderci una giornata di riposo… insomma, abbiamo tantissime
cose da dirci! Io devo raccontarti tutta la mia vita, e poi devo
preparare la presentazione a tutto il parentado… prima devo
presentarti a zia Momoe, però… lei è sempre stata gelosa di
tutti gli altri, soprattutto della cugina Evelina, e quindi non
possiamo farle lo sgarbo di ignorarla; e poi ci sono anche i
miei amici dell’asilo, sono sicuro di non poter essere così
incivile da non presentarti anche a loro, e poi…”
“Hanamichi…”
“E
la mia maestra? Certo, anche lei: sai che, nonostante non fossi
certamente un bambino dolce e tranquillo, lei mi dava ugualmente
i premi di buona condotta? Credo di avere ancora la gommina
profumata a forma di fragola…”
“Hanamichi!”
“E
i professori delle medie… c’era quello di inglese che non si
riusciva mai a capire quando parlava. Secondo me doveva essere
del Kansai…”
“HANAMICHI!”
Finalmente
il rossino si fermò, riportando la propria attenzione sul
compagno:
“Sì,
amore? Ti serve qualcosa? Ti sei fatto male? Devo… devo
portarti in braccio in infermeria? CHIAMO UN’AMBULANZA!! NON
TI MUOVERE!!!!” e tentò di aprire la porta, ormai in preda al
panico.
“Vuoi
piantarla di fare l’idiota?!”
“IO
NON SONO UN IDIOTA!! IO SONO IL TENSAI…”
Non
doveva essere però stato molto convincente, perché il suo
Kaede-chan aveva scosso ripetutamente la testa in un gesto che
non sembrava esattamente carico di dolci promesse d’amore…
“Se…
se davvero non stai male, cosa ti succede, cucciolino?”
“E
non osare mai più chiamarmi cucciolino!” gli sibilò Rukawa.
“Sì,
pupattolino…”
“HANAMICHI!!”
“KAEDE!!”
E
a questo punto il ragazzo moro non poté far altro che scuotere
nuovamente la testa, poi voltò le spalle, dirigendosi verso le
scale:
“Io
torno in sala. Quando ti riprendi, ti conviene tornare al
lavoro. La sirena è suonata, e Akagi non gradirà un tuo nuovo
ritardo”.
Solo
quando l’altro era ormai sparito da un paio di minuti,
Hanamichi si riprese dalla sorpresa:
“KAEDE!!!
ASPETTAMI!!!” e caracollò giù per le scale dietro al suo
volpacchiotto.
La
giornata passò con Hanamichi in uno stato di continua
distrazione verso il lavoro e gli altri operai, e di
iper-attenzione nei riguardi di Rukawa. Non gli sembrava vero di
potersi avvicinare e mormorargli frasi nell’orecchio,
chiedendogli come stesse e aggiornandolo continuamente sul
trascorrere dei minuti, sul conto alla rovescia verso l’ora
che li avrebbe visti liberi dalla fabbrica, e finalmente con un
po’ di tempo a disposizione da passare da soli.
Quando
a fine turno andarono tutti nello spogliatoio per cambiarsi, i
suoi tentativi di proteggere il corpo del compagno dagli sguardi
altrui furono ancora più decisi del solito… non che fosse
l’unico ad ergersi a protezione di un collega, visto che anche
quello sdentato di Mitsui sembrava aver copiato la sua tattica
per difendere la privacy del Kimi-kun; e quando finalmente
Hanamichi riuscì a passare la vigilanza dello sfregiato per
scambiare un’occhiata con il quattr’occhi, si rese conto che
anche da quel lato le cose dovevano star procedendo alla grande,
visto che il sorriso e lo sguardo di Kogure lasciavano assai
pochi dubbi su quello che doveva essere il suo rapporto con il
teppista.
Peccato
però che il ragazzo dimostrasse un cattivo gusto così
spiccato… secondo Hanamichi la persona giusta per Kiminobu era
sempre stata Akagi, soprattutto considerando che il gorilla si
sarebbe finalmente placato se avesse avuto accanto una persona
come il quattr’occhi. Vabbé, peccato non poter decidere la
vita degli altri!! Ma almeno aveva la soddisfazione della
propria, e le cose gli stavano andando così bene che poteva
anche sopportare la delusione di ritrovarsi quel Mitsui sempre
tra i piedi…
Usciti
dalla fabbrica, il tensai decise di portare la kitsune in un
piccolo pub nascosto in una delle stradine del centro, un locale
che frequentava poco, in genere, perché certamente non adatto
alle scorribande da alcolizzati della Gundan.
Rimasero
fino all’orario di chiusura, Hanamichi a raccontare un
episodio dietro l’altro, come se volesse che Kaede recuperasse
tutti insieme gli anni in cui non sospettavano neanche
l’esistenza l’uno dell’altro, e Rukawa ad ascoltare, e ad
intervenire ogni tanto con qualche domanda, qualche commento,
qualche insulto…
“E
tu non mi racconti niente? Capisco che la storia della cugina
Evelina sia impareggiabile, ma sono sicuro che anche nel vostro
mondo di volpi debba essere successo qualcosa di interessante…
e poi il tensai è generoso, ascolterò anche se si tratta di
cose mortalmente noiose!” provò a pungolare il compagno.
Rukawa
però scosse la testa:
“Niente
di particolare… famiglia normale, niente fratelli o sorelle,
molte aspettative da parte di mio padre, pochi ricordi di mia
madre… - e qui la sua voce si abbassò - Niente fuori dalla
norma” concluse il ragazzo moro, tornando poi a concentrarsi
sulla sua birra.
Sakuragi,
nonostante le sue parole e certi suoi atteggiamenti, non era però
né stupido, né insensibile.
Abbassò
lo sguardo sul proprio bicchiere, e trattenne tutte le domande
che gli erano venute. Era chiaro che Rukawa non doveva aver
avuto una infanzia felicissima… Hanamichi aveva perduto il
padre già abbastanza grande, e sapeva quale dolore si provasse,
quindi il fatto che Kaede avesse perso la madre ancora molto
piccolo gli faceva pensare che ben poco di ‘normale’ ci
fosse stato nella vita del compagno. Inoltre sembrava che questo
padre fosse una specie di incubo, pressante e opprimente.
Quando
la cameriera arrivò con il conto, si presentò la decisione di
come finire la serata… insomma, era la loro prima uscita
ufficiale, come coppia, e Hanamichi avrebbe voluto terminarla
avviticchiato addosso al suo volpacchiotto, ad aspettare
l’alba insieme sul mare, oppure, sempre avviticchiati (questa
parte era una costante) davanti al fuoco di un camino acceso…
oppure…
“Che
diavolo ti prende che ridi come un idiota?!”
Ogni
tanto Rukawa doveva riuscire a comprendere la profondità di
certi suoi pensieri… e poi LUI non sembrava MAI un idiota!
“IO
non rido come un idiota! Sto pensando che… beh, la notte è
ancora giovane, e…”
“Domani
mattina abbiamo il turno presto. Ci conviene andare a dormire,
se vogliamo essere di qualche utilità” lo gelò l’altro.
“Andare
a dormire? Non mi sembra un’idea malvagia…” e di nuovo gli
si stampò un bel sorriso sulla faccia.
L’occhiata
gelida di Rukawa, però, gli fece pensare che forse aveva corso
un po’ troppo:
“Ehm,
volevo dire che hai ragione, tutto sommato ci siamo stancati,
oggi, e non vorrei che tu perdessi troppe ore di sonno… ti
devi riposare, considerando che… beh, insomma, noi…
allenamenti… lavoro… passeggiate… ehm, luna piena stasera,
eh?”
La
sua kitsune scosse la testa:
“Accompagnami
a casa; puoi prenderti la macchina, se vuoi”.
Sebbene
fosse felice che il volpacchiotto si preoccupasse abbastanza per
lui da affidargli la sua jeep, Hanamichi pensò che presto
avrebbero dovuto risolvere un problema di comunicazione, oltre a
quello, che lui intendeva superare al più presto, che vedeva
coinvolti i loro scambi di coccole. Insomma, mica poteva
trattenersi a vita! Da quando aveva visto Kaede per la prima
volta, aveva dovuto trattenersi dal saltargli addosso, oppure
dal caricarselo su una spalla e trascinarselo in un luogo
appartato… quella pelle chiara e morbida, qui capelli di seta,
quelle mani sottili ma forti…
“Do’aho,
sembri un pomodoro” gli comunicò freddamente l’oggetto
delle sue elucubrazioni. Lui si portò la mano dietro la nuca,
ed emise una risatina imbarazzata. Ok, al momento sembrava che
la nottata di intimità andasse posticipata…
Pur
non sapendo come, il rossino riuscì a fronteggiare da uomo il
momento della separazione, il che vuol dire che rimase per un
buon quarto d’ora con la faccia schiacciata contro il
finestrino e la bocca aperta, nonostante la kitsune fosse
velocemente scomparsa dietro il cancello.
Ok,
come disse qualcuno in un film polpettoso che sua madre aveva
cercato di fargli vedere almeno quindici volte, ‘domani
è un altro giorno’… e così avviò il motore e si
diresse verso casa, cantando a squarciagola.
Il
giorno dopo, esattamente alle sette meno un quarto, Hanamichi e
jeep erano di nuovo davanti allo stesso cancello. Questa idea
era maturata durante la notte, e gli era sembrata immediatamente
degna del suo genio, e così si era preparato in quattro e
quattr’otto, si era spalmato un tubo di gel sui capelli, si
era infilato la giacca di pelle, quella che la madre definiva
‘lisa’, ma che lui sapeva benissimo essere solo ‘vissuta’,
e si era precipitato, con la carrozza e l’armatura
scintillante, a prendere la sua… il suo… insomma, Kaede!
Strombazzò
felice nella strada deserta, in modo che l’altro sapesse che
il suo cocchio era già pronto, e poi aspettò, appoggiato
contro il cofano della macchina.
“Che
diavolo ti viene in mente?!” gli sibilò Rukawa, appena uscito
dal portone “Avrai svegliato tutto il vicinato, razza di
do’aho!”
“Buongiorno
anche a te, amore!” lo salutò il rossino, sporgendosi poi per
baciarlo, ma urtando solo contro uno zigomo, pure duro.
“Stai
fermo!”
“Volpino
timido…” mormorò Hanamichi, scuotendo la testa, ma
continuando a sorridere. Sapeva che doveva dare ancora un po’
di tempo al compagno per abituarsi alla sua espansività.
Quella
di andare insieme al lavoro divenne un’abitudine, così come
mangiare insieme, oppure finire in qualche pub, quando non era
serata di allenamenti.
Probabilmente
Kogure era l’unico ad essersi accorto di quello che stava
succedendo, o almeno così pareva ad Hanamichi. Qualche dubbio
lo aveva anche su Mitsui, che sembrava ogni tanto rivolgere dei
sorrisini ammiccanti a Rukawa, e delle occhiate inceneritici
invece verso di lui, occhiate che sembravano minacciarlo di
amputazioni indicibili nel caso in cui avesse finito per
provocare qualsiasi tipo di dispiacere al volpino… come se
questo potesse accadere!
E
presto cominciò il campionato nazionale. Lo Shohoku non partiva
certamente come la favorita del proprio girone, nonostante la
vittoria storica nell’amichevole contro il Ryonan Inc., e così
si ritrovò subito in un gruppo di ferro, dovendo combattere
ogni partita punto su punto per poter passare alla fase
successiva.
Akagi
sembrava molto contento dell’andamento della squadra, sebbene
cercasse in ogni modo di non far trapelare la propria
soddisfazione. E Hanamichi? Anche lui lo era… a parte il
rendimento sportivo, quel periodo gli aveva portato moltissime
soddisfazioni, sebbene ci fosse ancora quell’irrigidimento in
Kaede ogni volta che le cose si facevano un po’ appassionate.
Il rossino non faceva fatica a capire la tensione del compagno,
la difficoltà a lasciarsi andare… anche lui in certi momenti,
a dire il vero soprattutto quando erano lontani, aveva pensato
che la situazione non doveva essere forzata, ma poi, ogni volta
che si trovava vicino al volpino, sembrava tutto così naturale,
che stava diventando sempre più difficile fermarsi quando Kaede
mostrava la propria insofferenza. Ecco, forse questo era
l’unico neo, per il resto le cose andavano alla grande,
entrambi stavano bene insieme, potevano parlare per ore (ok,
parlava soprattutto Hanamichi), oppure rimanere in silenzio
sulla sponda del laghetto artificiale o sulla spiaggia, ed
essere sempre e comunque più vicini l’uno all’altro di
quanto lo fossero mai stati con qualsiasi altra persona.
Guadagnato
finalmente l’accesso alla seconda fase del torneo, il capitano
decise di lasciare ai compagni di squadra qualche sera di libertà.
Evidentemente gli sguardi imploranti di Miyagi e Kogure, o forse
quelli minacciosi di Mitsui e di Hanamichi, dovevano aver
convinto il gorilla che quello fosse proprio il momento giusto
per una pausa.
“Che
ne dici di affittare un film, e vedercelo a casa mia,
spanciandoci di pizza e patatine?”
Hanamichi
aveva pensato all’organizzazione della serata per quasi una
settimana, contando anche sul turno di lavoro notturno della
madre, e finalmente aveva trovato il coraggio di proporre la sua
idea alla kitsune. Fino a quel momento i loro momenti di
solitudine non erano mai stati veramente ‘privati’, se si
escludevano quelli in macchina, e invece l’invito a casa sua
li avrebbe portati proprio nella situazione ideale per… beh,
lasciarsi un po’ andare, diciamo.
Si
accorse subito che le sue parole avevano avuto l’immediato
effetto di far irrigidire il compagno, ma non tornò indietro,
limitandosi ad aspettare una risposta, qualunque essa fosse.
Ormai
l’ora del pranzo era quasi finita. Sembrava che per la prima
volta Kaede Rukawa sentisse l’urgenza di finire il proprio
bento, occorrenza mai capitata fino ad allora, ma Hanamichi non
si scompose: avrebbe aspettato finché l’altro non si fosse
deciso, non avrebbe fatto un solo mezzo passo indietro.
Quando
la sirena suonò e Kaede si alzò da terra per dirigersi verso
la porta che portava alle scale, il rossino lo superò con passo
deciso, ma senza correre, bloccandogli la fuga. Non disse una
parola, ma guardò il compagno sollevando un sopracciglio.
“Non
sai che le patatine vengono fritte nell’olio di macchina?”
fu la risposta sorprendente che gli arrivò.
“Co…
COOOSAAA?!”
“Sì,
l’ho letto poco tempo fa. Io non mangio schifezze” ribadì
Rukawa.
“Per
tua informazione, le Krokky non vengono fritte nell’olio di
macchina, e comunque c’è anche la pizza… o il digiuno, se
preferisci. Verrai, allora?”
Era
chiaro che, se solo al moretto fosse venuta in mente una scusa
plausibile, avrebbe felicemente declinato l’invito, ma
sembrava che questa volta gli fosse venuta meno la solita
prontezza, o che forse volesse dare al compagno quella
possibilità che fino ad allora gli aveva negato:
“A
che ora?”
“Le
sette” riuscì ad alitare Hanamichi, cercando di convincere il
muscolo cardiaco a rimanere ancorato al corpo, invece di
agitarsi forsennatamente, tipo pendolo impazzito.
“Spero
che ci sarà anche del succo d’ananas…” gli rispose
l’altro, aggirandolo per aprire la porta.
“Fiumi,
mari, oceani…”.
La
preparazione del Tensai seguì i riti usuali, e cioè la prova
di cinque paia di pantaloni diversi, per poi optare per i soliti
jeans un po’ scoloriti, ma che gli fasciavano le gambe
mettendo in mostra tutti i suoi muscoli, e poi i cinquanta
abbinamenti con tutte le magliette che possedeva, sia estive che
invernali. Il maglione nero a collo alto si rivelò però quello
più adatto per dargli un aspetto serio e nello stesso tempo
affascinante, intrigante. E poi dovette sistemarsi i capelli…
ecco, i capelli erano l’orgoglio del tensai: ogni mese li
curava con affetto e attenzione, scegliendo sempre la nuance
giusta per dargli esattamente l’aspetto del ragazzo ribelle…
e proprio quella sera, davanti allo specchio, dopo aver ammirato
per un quarto d’ora buono la tonalità ‘rosso
d’autunno’, fida compagna di tutto l’ultimo anno, ebbe però
la sgradita sorpresa di riscoprirsi a corto di gel, grazie al
consumo selvaggio che ne aveva fatto nelle ultime settimane.
All’inizio fu colto dal panico: non poteva non farsi trovare
al meglio proprio quella sera, ma dopo aver provato in ogni modo
di far stare in piega le sue ciocche ribelli con la sola forza
del pensiero, si arrese ad una sistemazione più naturale… che
però, vista la bellezza folgorante del tensai, tutto sommato si
rivelò un ripiego più che accettabile.
Scese
nel soggiorno, e tutto era già pronto: la videocassetta
dell’ultimo kolossal americano aspettava sul tavolino basso,
mentre il carrello al lato del divano aveva almeno cinque
cartoni di succo d’ananas, la coca cola, la scodellona con le
krokky, e il vassoio in cui avrebbero messo la pizza, non appena
fosse arrivata. Tutto perfetto! Spense le luci in modo da
ottenere una illuminazione, o meglio mancanza di illuminazione,
strategica, e, proprio mentre si dirigeva ancora una volta nel
bagno per darsi un’ultima occhiata, sentì suonare il
citofono…
Era
arrivato!
Quando
aprì la porta, ancora una volta si trovò a trattenere
inavvertitamente il respiro: Kaede era bellissimo. Il montgomery
grigio scuro e la sciarpona bordeaux lo proteggevano dal freddo
che aveva avuto l’effetto immediato di arrossargli la pelle
delicata del viso, e i capelli gli ricadevano sulla fronte,
facendo venire ad Hanamichi un desiderio irresistibile di
sfiorarglieli, di portarli indietro per potergli accarezzare il
viso…
“Entra…
che stai ancora a fare lì al freddo!” balbettò con voce
rauca, non appena si riprese.
“Pensavo
che non me l’avresti mai detto…” borbottò l’altro,
mascherando dietro il tono brusco il proprio imbarazzo. Davanti
al camino acceso, Rukawa si sfilò il cappotto, scoprendo i
jeans blu scuro e lo spesso maglione color panna. Hanamichi
sorrise: non aveva mai avuto bisogno di chiederglielo, ma sapeva
benissimo che la kitsune soffriva moltissimo il freddo, era
evidente dai maglioni con le maniche lunghe che gli coprivano
interamente le mani, dal suo scegliere sempre la panchina al
sole quando uscivano all’aperto, dal sistemarsi dal lato del
riscaldamento, quando andavano in qualche pub. Eppure quella
pelle nivea non doveva neanche sopportare il caldo
dell’estate… probabilmente, come il rossino era più che
convinto dal primo momento in cui lo aveva visto, Kaede doveva
essere tenuto con ogni cura in… una teca di cristallo!!! Sìsìsì!
Quella era la giusta soluzione!
“Che
hai da ridere, dohao!”
L’oggetto
di tanta venerazione non sembrava a volte brillare per acume.
Come non capire che il tensai aveva appena avuto una delle sue
famosissime, nonché genialissime, idee?
“Acciambellati…
ehm, sistemati sul divano, che vado a preparare i popcorn e ad
avvertire Pizza in un
battito cardiaco di portare la nostra ordinazione!” esclamò,
scomparendo in un baleno dietro la porta della cucina.
Tutto
stava andando secondo i piani…
“Credevo
che i popcorn fossero bianchi…” notò Rukawa, quando
Sakuragi tornò gongolante con una ciotola piena di palline
minuscole e brunite.
“Eh?!
Cosa…” il rossino abbassò lo sguardo e si accorse che le
creature che dovevano accompagnarli durante il film avevano
fatto in modo di non collaborare “Devono essere scaduti…
accidenti a Takamiya e al suo discount più-compri-meno-spendi!-
borbottò poi fra i denti – E comunque non c’è problema –
si riprese immediatamente, cercando di ritrovare l’entusiasmo
– Ci sono sempre le krokky!”
Con
il procedere del film, lo spazio che separava Hanamichi dal suo
volpino andò sempre più diminuendo. Prima per sporgersi a
prendere una patatina, poi per la pizza, infine per il bicchiere
di coca cola e il telecomando, dopo tre quarti d’ora Sakuragi
aveva il braccio stabilmente intorno alle spalle del compagno, e
dopo un’ora la sua testa si era finalmente sistemata contro
l’orecchio di Kaede, in modo da potergli depositare veloci, ma
frequenti, baci sul collo.
Hanamichi
sentiva ancora quella rigidità nell’altro all’evolvere
delle sue manovre, ma era anche come se Rukawa stesse cercando
di trattenersi dall’allontanarlo, come se stesse combattendo
la propria ritrosia, il proprio imbarazzo, per dare una
possibilità a quello che poteva nascere tra loro.
Quando
cominciarono a scorrere i titoli di coda, il tensai decise che
la mossa giusta era mettere un po’ di musica di sottofondo,
per rilassare ancora di più l’atmosfera, e poi, per
completare il piano, cominciò a massaggiare lentamente, con
movimenti che dovevano essere carichi di sensualità, le spalle
del compagno.
Sentendo
Rukawa rilassarsi, sciogliersi sotto le sue mani, Hanamichi
sorrise: ormai sapeva come intrappolare la sua volpe! La kitsune
quella sera non aveva scampo. Improvvisamente, però, sentì
qualcosa di strano… il respiro di Kaede era sì rilassato, ma
sembrava anche che… che…
Non
era possibile!
Quella
stupida volpe si era addormentata… (*)
Scuotendo
la testa, per l’improvvisa svolta subita dalla sua manovra di
seduzione, Sakuragi decise che l’unica cosa da fare, visto che
svegliare Rukawa era fuori discussione, considerando che le sue
reazioni non erano solitamente molto amichevoli, era portare il
volpino nella sua camera, e metterlo a letto. Portarlo in
braccio gli piacque enormemente; gli sembrava di avere
finalmente il pieno controllo della situazione, di averlo in
pugno. Lo depositò sul letto, gli sfilò il maglione e i jeans,
ripetendosi come un mantra che non doveva avere pensieri impuri
guardando quel corpo magnifico, e lo coprì con il piumone,
spogliandosi poi velocemente anche lui e raggiungendolo sotto le
coperte.
Il
problema ora era addormentarsi…
Come
poteva addormentarsi con il compagno finalmente così vicino?
Era assolutamente fuori discussione! Si voltò a guardarlo nella
pallida luce che i lampioni della strada facevano filtrare
attraverso le imposte, e pensò ancora una volta che non aveva
mai visto niente di più bello, nessuno così determinato,
nessuno dalla personalità così particolare ed affascinante.
Si
girò ancora. Possibile che in tutti quegli anni non si fosse
mai accorto di quanto fosse scomodo quel letto? Come aveva fatto
a dormirci?!
Improvvisamente,
però, si voltò anche Kaede, finendo per poggiargli la testa
sulla spalla.
QUESTA
ERA UNA PROVOCAZIONE BELLA E BUONA!
E
quando qualcosa provocava Hanamichi, Hanamichi raccoglieva la
sfida!
Cominciò
ad accarezzare le spalle della sua kitsune, e presto le sue mani
scesero lungo la schiena pallida, disegnando movimenti circolari
su quella pelle calda e morbida.
Rukawa
si mosse ancora, sistemandoglisi meglio contro il petto.
Con
la mano destra lui gli accarezzò i capelli, mentre l’altra
continuava a scendere…
“Cosa
stai facendo…” si sentì improvvisamente soffiare sul collo.
Ehm…
cosa dire?!
“Niente,
cercavo di farti rilassare…”
“Mi
sembra che la cosa non abbia lo stesso effetto su di te”
constatò l’altro, con lo stesso tono impassibile che avrebbe
usato parlando del tempo.
Hanamichi
arrossì; effettivamente ‘qualcosa’ era tutt’altro che a
riposo… anzi, diciamo che era di vedetta da qualche minuto,
riempiendolo di imbarazzo.
“Gli
ho detto che non era il caso… non mi ha ascoltato!” provò a
scherzare, sperando che non ci fosse abbastanza luce per rendere
visibile il colore vermiglio del suo volto.
Kaede
provò a scostarsi, ma lui lo trattenne:
“E’
naturale, Kae-chan, siamo adulti, stiamo… stiamo insieme, non
dovrebbe essere qualcosa di cui vergognarsi” mormorò con voce
inaspettatamente bassa.
L’altro
tornò ad appoggiarsi a lui:
“Non
credo di essere pronto”.
Rimasero
in silenzio per qualche minuto, poi Hanamichi tornò a stringere
le braccia intorno alla schiena del compagno:
“Possiamo
anche rimanere così, non trovi? Non voglio certamente forzarti,
anche se… beh, va bene, abbiamo ancora un mucchio di tempo,
nessuno ci corre dietro, no?”
Rukawa
annuì, pur essendo chiaro ad entrambi che il rossino non stava
facendo altro che cercare di convincersi di qualcosa che ancora
non riusciva a comprendere completamente…
E
presto si arrivò alla seconda fase del torneo, che vide lo
Shohoku affrontare delle squadre di altre prefetture, alcune
delle quali gli diedero davvero parecchio filo da torcere. Più
di una volta sembrò che la squadra non avesse alcuna possibilità
di uscire vittoriosa dagli scontri, ma sembrava che
all’interno del gruppo si fosse creata una strana alchimia,
qualcosa che permetteva a ragazzi ostinati e spesso presuntuosi,
di diventare un vero team, di collaborare e aiutarsi, nei
momenti di difficoltà. E così lo Shohoku, insieme a Ryonan,
Kainan e Suzuwa furono le squadre qualificate per le semifinali.
Mai la fabbrica delle utilitarie si era ritrovata così in
alto… e adesso doveva scontrarsi, sul parquet, con una
concorrenza di altissimo livello. Tutti sapevano, e soprattutto
i vertici della Shohoku Inc, che una vittoria non avrebbe avuto
ripercussioni solo sportive, ma che avrebbe rilanciato
l’immagine dell’azienda come neanche una campagna
pubblicitaria su tutti i network nazionali sarebbe mai riuscita
a fare. E poi perché, in caso, non utilizzare il basket come
simbolo della compagnia?
Vista
l’importanza che il torneo stava acquistando, i vertici delle
quattro società decisero di organizzare una serata di
presentazione delle squadre, pensando a questo evento anche come
a un modo per presentarsi al meglio, cercando di impressionare i
rivali e dimostrarsi i più forti.
“Ehi,
avete sentito che per sabato sera è stata affittata la sala
banchetti del Five Stars? Non posso credere che gli spilorci del
consiglio di amministrazione siano arrivati a tanto!” esclamò
Yohei, studiando il cartoncino di invito che aveva appena
trovato nella sua cartella della posta aziendale.
“Aya-kun
mi ha detto che il nuovo amministratore è meno spilorcio dei
precedenti. Probabilmente non vuole sfigurare con quelli della
Kainan Inc. Insomma, quelli ci vanno di carro armato… bisogna
che ci corazziamo anche noi!”
“Battutona,
Miyagi… ormai sei proprio uno stratega!” intervenne Mitsui,
che, con la scusa di sporgersi per sottrarre il cartoncino dalle
mani del nanetto, si era spalmato sopra al quattr’occhi.
“Di
cosa state cianciando, dementi… il tensai è arrivato: tacete
ed inchinatevi”.
“Ci
mancava solo l’idiota! Sei in ritardo, stupida scimmia
deficiente!”
“Ma…
gori!! Mi hai fatto male…”
Nella
concitazione della discussione, nessuno si accorse
dell’occhiata preoccupata che Mitsui aveva rivolto a Rukawa,
non appena questi aveva fatto il proprio ingresso nello
spogliatoio…
Il
sabato sera, Hanamichi si presentò puntuale sotto casa della
kitsune; si era fatto un dovere di andarlo a prendere per poi
fare un ingresso trionfale, insieme,
nella sala principale del Five Stars. Certo, il fatto che, a
parte il quattr’occhi, nessuno sapesse esattamente come
stessero le cose, toglieva parte della soddisfazione di quella
apparizione ‘congiunta’, ma non per questo il rossino era
meno orgoglioso… sapeva bene che il fatto di costituire un
muro intorno a Kaede Rukawa gli avrebbe comunque riservato
parecchia considerazione tra gli altri invitati. Inoltre doveva
esserci pure quell’orrido coso spinoso che era il presidente
della Ryonan Inc. Sarebbe stato un vero piacere vederlo in
disparte a ingoiare bile…
Suonò
il campanello della casa di Kaede infilandosi tra le fronde del
rampicante che copriva la recinzione… possibile che a nessuno
fosse mai venuto in mente di potarlo? Gente strana…
Come
da circolare della Direzione, quella sera tutti i giocatori
dovevano indossare la divisa sociale, quella con il logo della
Shohoku Inc. sul taschino.
Tutto sommato l’amministrazione non aveva lesinato sugli
abiti, che infatti non erano proprio orridi, anzi… Hanamichi
poteva quasi dire, o meglio, senza quasi, che quello era il
vestito più elegante che avesse mai indossato: il completo era
grigio scuro, la camicia celeste e la cravatta aveva sottili
righe oblique grigio chiare su fondo nero. Quando si era visto
allo specchio, più o meno un’ora prima, al rossino era quasi
sembrato di essere pronto per un matrimonio… e questa idea se
ne era trascinate dietro altre, finché alla fine non si era
dovuto sedere per respirare lentamente e profondamente.
L’immagine di lui con i capelli appena, e ad arte, brizzolati
sulle tempie, di Kaede sempre meraviglioso e di tanti pargoletti
dai capelli rossi e gli occhi blu era stata decisamente troppo!
Quando
sentì il portone aprirsi, emise uno sbuffo fin troppo plateale:
“Pensavo
che non saresti più sceso; il restauro è durato a lun…” e
qui si fermò, senza neanche terminare la frase.
Se
lui si era sentito quasi un adone, in quel completo elegante,
Kaede era… era… era qualcosa di più!
“Sei…
sei…”
“Chiudi
la bocca, o ti ci entrerà una mosca!” lo riprese l’altro,
al quale, evidentemente, l’emozione per quella serata non
aveva migliorato i modi.
“STUPIDA
VOLPE DEFICIENTE! Volevo farti un complimento, e tu invece sei
sempre il solito yogurt!”
“Ecco,
allora la prossima volta risparmiatelo. E adesso muoviti, che
saremo gli ultimi”.
Hanamichi
scosse la testa, ma poi gli tornò il sorriso: tanto lo sapeva
che la sua era una volpe modesta e timida, e che la sua reazione
estasiata doveva avergli fatto piacere!
Il
tragitto fino al Five Stars fu piuttosto tranquillo. Kaede
sembrava pensieroso, non aveva fatto altro che guardare fuori
dal finestrino, e per qualche istante Hanamichi aveva pensato
che forse il compagno non avesse poi tutta questa voglia di
andare alla festa. Ad un certo punto era stato anche incerto se
proporre di andarsene da qualche altra parte, infischiandosene
della presentazione, ma poi si era fermato: quella era una
occasione importante per loro, era impossibile che Kaede non
volesse parteciparvi!
Lasciarono
i cappotti al guardaroba ed entrarono nella sala già piena.
Parecchi occhi si voltarono verso di loro, e lui sorrise ancora.
Sapeva che quella sarebbe stata la reazione, e si sentiva
orgoglioso e tronfio mentre avanzava in mezzo alla folla,
cercando di raggiungere, con Rukawa che lo seguiva a pochi
centimetri, gli altri compagni dello Shohoku.
Non
aveva impiegato molto tempo a localizzarli: Mitsui aveva un
bicchiere di qualcosa di trasparente in mano, e a Sakuragi non
serviva una sfera di cristallo per capire che non si trattava di
acqua, e manteneva la solita espressione distaccata, anche se
quella sera sembrava anche un po’ preoccupato… possibile che
qualcosa non andasse con il quattr’occhi?
Kogure
però sembrava tranquillo: anche lui stringeva un bicchiere in
mano, con qualcosa di rosa e un ombrellino. Sicuramente un
analcolico.
E
Akagi… come si faceva a non riconoscere Akagi? In quel momento
sembrava un totem grigio, bardato in quel completo che lo
rendeva ancora più rigido. Ah, e c’era anche Haruko… da
brava sorellina aveva accettato di accompagnare il gorilla.
Yohei,
Takamiya, Okuso e Noma stazionavano dal lato del buffet, con il
cambusiere della squadra sempre pronto a riempirsi il piatto con
tutto quello che i camerieri mettevano a disposizione.
E
poi c’erano Miyagi e quella brunetta dai capelli ricci, sì,
la segretaria dell’amministratore, Ayako. Chissà come era
riuscito, il nanetto, a convincerla ad andare con lui…
“Ehi
sfigati! Sentivate la nostra mancanza, vero? Serata fiacca, ma
ora ci si comincia a divertire!”
“Kaede,
perché non sei venuto da solo, invece di trascinarti questa
zavorra?” Mitsui rispose direttamente a Rukawa, facendo finta
che il rossino non avesse neanche parlato.
“Oi,
sdentato, guarda che stavo parlando io!”
Hisashi
si voltò verso Akagi:
“Senti
anche tu una mosca fastidiosa? Dovremmo chiedere un po’ di
DDT…”
E
il gorilla rise… qualcosa di realmente inquietante!
“Ma
tu non mi difendi?” si lamentò Hanamichi, voltandosi verso
Rukawa, e trovandolo impegnato in uno scambio di frasi appena
sussurrate con Ayako: “Ehi, bella… vedi di schiodare! – il
rossino riprese subito la segretaria, e, non potendo portare la
vera ragione, dopo qualche istante di meditazioni aggiunse –
Hai già il tappo. Qui non siamo in Mormonia, la poligamia è illegale!”
“Finché
non sarò sposata, ho tutto il diritto di cercare di conquistare
Rukawa-kun!” gli ribatté immediatamente la ragazza,
strizzando però contemporaneamente l’occhio a Ryota.
Proprio
in quel momento, il presidente della Suzuwa prese il microfono
per il discorso di circostanza. Nella sala scese il silenzio,
mentre l’uomo parlava del valore dello sport, dell’impegno
delle quattro società nella costruzione di nuovi spazi
attrezzati nella periferia della città, di un match come
parabola di vita, bla, bla, bla.
“Smettila
di sbadigliare, do’aho!”
“Parli
tu, che stai in piedi con gli occhi chiusi… pensavo che ci
riuscissero solo i cavalli!”
“Schhhhh!
Volete stare zitti?” e questa era Ayako.
“Perché
‘sto tizio è sempre così palloso?” i due yen di Mitsui.
“Ho
fame…” Takamiya.
“Se
non la piantate, do un pugno in testa a tutti quanti!” ruggì
Akagi.
E
alla sua voce cavernicola si voltò quasi l’intera assemblea,
indirizzandogli un ‘SILENZIO!’ feroce.
Ben
gli stava al gorilla, così imparava a rompere sempre le
scatole!
“E
adesso vorrei invitare i quattro capitani per una stretta di
mano” concluse il Presidente della Suzuwa.
Akagi,
Uozumi, Kiyota e Takeo salirono sul palco, facendo a gara per
chi dava la stretta più virile, con Akagi che riuscì a
sfoderare un sorriso stoico mentre Uozumi gli stritolava
l’arto.
“Temo
proprio che ci siamo giocati i gorilla dunk…” commentò
Yohei per tutti.
Dopo
il brindisi al ‘vinca il migliore’ pronunciato dai quattro
presidenti, la gente cominciò a mescolarsi nella sala, con i
giocatori che non persero occasione di scambiarsi battute su
come i loro rispettivi team avrebbero stracciato la concorrenza.
Hanamichi
notò con sempre più fastidio che il presidente-giocatore del
Ryonan sembrava non staccarsi mai dal fianco di Rukawa,
nonostante il viso del volpacchiotto mostrasse indubbiamente
parecchio fastidio. Più di una volta il rossino tentò di
avvicinarsi per salvare il compagno, ma sembrava che ci fosse
sempre qualcosa ad ostacolarlo… le chiacchiere di Yohei, le
sfide di Takamiya, gli insulti appena velati di Mitsui, e lui
continuava a rimanere ancorato al gruppo dello Shohoku, mentre
quell’orrido porcospino con i capelli a punta sorrideva,
parlava, sorrideva, ingollava bicchieri di champagne,
sorrideva… aveva già detto che Sendoh continuava a sorridere?
Ormai Hanamichi sentiva un fastidio, un prurito nelle mani
appena fissava lo sguardo sul Presidente del Ryonan Inc., che a
fatica riusciva a mantenere la calma e a non strangolarlo lì,
davanti a tutti. Peccato dover mantenere la calma… faceva bene
ad odiare tutte quelle occasioni sociali!
E
improvvisamente, dopo più di cinque minuti in cui aveva dovuto
prestare attenzione ad Haruko, che cianciava qualcosa riguardo
agli ingredienti del ponce, si accorse che Kaede e Sendoh non
erano più nella sala…
“Dove
diavolo sono andati!” sibilò, senza rivolgersi a nessuno in
particolare.
“Hanamichi,
calmati… di cosa stai parlando?” Kogure gli si era
avvicinato, preoccupato nel vedere l’improvvisa rabbia
dell’amico.
Lui
si voltò verso il quattr’occhi, stringendo i pugni:
“Erano
qui, due minuti fa, e adesso non ci sono più! Devo trovarli,
chissà quel… quel porco…” e non terminò la frase,
camminando in fretta, con decisione, verso l’uscita.
Appena
arrivato all’esterno, l’aria gelida lo calmò un po’, ma
la rabbia tornò non appena vide Akira Sendoh, con la mano sul
braccio di Rukawa, che gli sussurrava qualcosa a breve, troppo
breve, distanza dal viso.
“Togligli
immediatamente le mani di dosso, imbecille!” urlò Hanamichi,
cercando di mettersi in mezzo ai due.
Sendoh
si voltò verso di lui, e rise:
“Di
nuovo tu? Pensavo che avessi capito che sei solo un perdente…
Kaede ti ha parlato una volta, e adesso pensi di contare
qualcosa per lui? Torna a giocare con i tuoi amici, qui sei
assolutamente di troppo!”.
“Sembra
che l’ultima lezione non ti sia bastata, stronzetto viziato
– gli ribatté Hanamichi, spingendolo via puntandogli le mani
sul petto – E adesso vattene, Kaede e io dobbiamo tornare
dentro”.
“Sei
molto sicuro di te, eh? E’ quasi comico… pensi di essergli
tanto vicino, e invece non sai niente. E’ davvero divertente!
Kaede… - e si rivolse a Rukawa - …non mi dire che questo
scimmione pensa veramente che a te importi qualcosa di lui?”
“Ti
ho già detto di lasciarmi stare, Sendoh. La mia vita non è
affar tuo”.
“Anche
quando ti butti via con un rifiuto come quello? Pensi che tuo
padre apprezzerebbe questa tua scelta?” e il Presidente del
Ryonan scosse la testa e scoppiò a ridere, rendendo fin troppo
evidente, con il suo tono di voce elevato, il numero eccessivo
di alcolici che doveva aver consumato durante la serata.
“Stupido
porcospino, adesso mi hai proprio stufato! Ti ho detto di
andartene. Lasciaci in pace, né io né Rukawa ti vogliamo nella
nostra vita. Perché non torni con i figli di papà come te, e
non la pianti di starci sempre intorno… sei veramente
patetico!” sbottò Hanamichi, che ormai faticava sempre di più
a dissuadere il suo pugno dal desiderato incontro ravvicinato
con la mandibola di Akira Sendoh.
“Come
ti senti sicuro, eh, idiota? Certo… nella tua ingenuità pensi
di aver trovato il paradiso. Sarà davvero dura quanto ci sarà
il risveglio… mi viene quasi il desiderio di accelerare la
cosa!”
“Sakuragi,
andiamo. E’ inutile rimanere qui, è ubriaco…” intervenne
Rukawa, voltando le spalle al Presidente del Ryonan e
dirigendosi verso l’entrata.
Ma
Hanamichi non poteva permettere che quello stronzo avesse
l’ultima parola. E poi cosa voleva dire tutto quel discorso?
Cosa c’era che lui non sapeva?
“Porcospino,
ormai parli a vanvera, eh? L’alcool ti ha bruciato il
cervello, e in quella scatola che chiami testa ti è rimasta
solo cenere. Mi dispiace per te: hai perso e non sei neanche
abbastanza uomo da accettarlo! Mi fai pena…” e gli voltò
anche lui le spalle.
L’altro,
però, lo afferrò per il braccio, obbligandolo a girarsi:
“Tu
invece ti senti molto uomo, eh? Molto sicuro di te… uno
stupido operaio senza alcuna speranza, senza alcuna prospettiva
se non quella di passare dalla verniciatrice alla pressa, e che
spera di legare la sua vita a Kaede Rukawa… mi viene davvero
da ridere!”
“Ti
viene mai il dubbio che ci sia gente per la quale questo sia
abbastanza?” il sibilo stavolta venne da Rukawa, anche lui
piuttosto alterato, nonostante il solito tono apparentemente
imperturbabile.
“Come
se non ti conoscessi! Certo, puoi rinunciare a molto, ma in
fondo un po’ viziato lo sei anche tu, no? Non credo che
reggeresti a lungo la vita nella topaia che questo fallito
potrebbe offrirti… oppure saresti tu a mantenerlo? Beh, in
questo modo avrebbe davvero vinto la lotteria!”
“Sei
davvero più idiota di quanto credessi… non solo fai truccare
le partite per sembrare il miglior giocatore del Giappone, ma te
ne esci pure con queste stronzate perché non sai accettare che
non tutti sono disposti a vendersi l’anima per i soldi. Beh,
impara che ci sono persone che si accontentano di poco e sono
felici lo stesso! Kaede, adesso andiamo via” e Hanamichi si
avvicinò al compagno.
“Ci
saranno anche persone così, sgorbio, ma non Kaede Rukawa… Non
credo che tu possa tenere tanto a questo scimmione – aggiunse
ancora Sendoh, rivolgendosi al moretto – se non gli hai
neanche detto chi sei veramente. Cos’è, hai trovato un
giocattolone un po’ stupidotto, e intendi divertirti ad
illuderlo finché la vita dell’operaio non ti avrà stancato?
Non sa che appena ti sarai stufato tornerai al Country Club,
alle partite a golf con gli amici di tuo padre, alle regate?
Povero stupido Hanamichi Sakuragi: una divertente novità pronta
ad essere accantonata quando finalmente tornerai in te. Sai
benissimo che non potrai mai condividere niente con una persona
così, è questione… – e qui il presidente del Ryonan squadrò
Hanamichi da capo a piedi – …di livello”.
“Che
diavolo stai dicendo, imbecille!” e stavolta il rossino afferrò
il rivale per la camicia.
“Sendoh,
stai zitto!” cercò di intervenire Rukawa.
“Ma
perché… sarà così divertente vedere la sua espressione
estatica quando crederà di aver vinto il primo premio alla
pesca di Natale! – e quindi il porcospino, come lo chiamava
Sakuragi, si voltò verso il rossino – Kaede Rukawa, così
fine, così elegante, così riservato… non ti sei mai chiesto
perché abiti in un appartamento lussuoso come quello? – e
rise vedendo l’espressione stupita di Sakuragi – Già, ci
sei mai entrato, stupido scimmione? Evidentemente con tutta la
sua ‘amicizia’ per te, non te ne ha mai considerato degno. E
la jeep? Non ti stupisce che un operaio così giovane abbia una
macchina così costosa? Lo sai quanto costa un’automobile come
quella? Ma già, al massimo tu puoi aspirare ad una bicicletta,
con quello che guadagni!”
“Il
padre…” boccheggiò Hanamichi.
“Sì,
è vero, gliel’ha regalata il padre… un padre molto ricco,
un padre che ha da poco rilevato la Shohoku Inc., un padre che
possiede alcune delle società più in vista del Giappone, un
padre che forse dovresti aver sentito nominare. Ma forse, nella
periferia in cui vivi, non è ancora arrivato il nome di Takeo
Akuzawa…”
E
invece anche ad Hanamichi era giunto quel nome, quello del nuovo
Presidente della Shohoku Inc, il re dell’acciaio che aveva
deciso di cominciare ad investire nel mondo dell’automobile.
“Cosa
c’entra Akuzawa con Rukawa…” riuscì a mormorare
faticosamente.
“Semplice:
il tuo Kaede ha deciso di mantenere il nome della madre, quando
suo padre lo ha riconosciuto. Entrambi orgogliosi, madre e
figlio! E adesso… adesso che hai capito, ti toglierai
finalmente dai piedi, bifolco?” e Sendoh rise ancora, una
risata falsa, fatta con gli occhi fissi in quelli di Rukawa,
quasi che improvvisamente gli fosse venuta paura di aver detto
troppo, di aver esagerato a rivelare tutto contro la volontà
dell’altro.
“Hanamichi…”
mormorò Kaede, allungando il braccio per sfiorarlo.
Sakuragi
sollevò lo sguardo dall’asfalto, gli occhi che mostravano
incredulità e delusione. Ci mise qualche istante per
rispondere, prolungando quel silenzio carico di tensione:
“E’…
è vero?” chiese, guardando dritto in faccia quello che non
riusciva a capire se fosse ancora il suo volpino, oppure un
completo estraneo.
Anche
Rukawa non rispose subito, ma poi la sua voce si levò decisa:
“Sì,
è vero, ma posso spiegarti…”
L’altro
però lo interruppe:
“Vattene.
Non voglio più vederti… siete degni l’uno dell’altro”.
“Hanamichi…”
tentò ancora Rukawa, ma il rossino lo scansò con decisione, e
senza aggiungere altro li lasciò entrambi lì, finalmente
liberi di ridere di lui…
Dovevano
aver aspettato quel momento per settimane.
Fine
Terza Parte
(*)
Brian A. Kinney e Justin Taylor, episodio 11 (mi pare) della
seconda serie di Queer as Folk.