Una Alternative Universe per un’occasione speciale e per due amiche speciali…

Tantissimi e affettuosissimi auguri di Buon Compleanno a Nausicaa e Calipso!!! A loro è dedicata questa fic che sviluppa una vecchia idea di cui avevamo parlato insieme tanto tempo fa.

Un baciotto a Ria e Sabry.

Buona Lettura.  


 

Catena di Montaggio 

Parte III

di Greta

 

Che diavolo ci faceva Akira Sendoh davanti alla casa di Kaede?

Hanamichi si voltò verso il compagno, sperando di scorgere nel suo viso lo stesso stupore, e invece vi trovò la solita espressione impassibile.

“E’ venuto per te?” si decise a chiedergli dopo qualche istante di silenzio, sfoderando un tono che voleva essere casuale, ma che gli riuscì solo freddo.

Rukawa non gli rispose, ma aprì lo sportello e scese dalla jeep, dirigendosi lentamente verso Sendoh, che si era staccato dal cancello per andargli incontro.

Anche Hanamichi balzò immediatamente fuori dalla macchina, e in pochi passi fu tra la kitsune e l’idiota dai capelli a punta:

“Ti sei perso, oppure la lezione che ti abbiamo dato in campo non ti è bastata?” sibilò all’indirizzo del porcospino, stringendo contemporaneamente i pugni, pronto a scattare se l’altro avesse deciso di reagire nel modo sbagliato… che in quel momento significava anche solo rivolgere mezza sillaba a Kaede.

Akira Sendoh sorrise, proprio come se Sakuragi avesse appena fatto una battuta, poi si voltò verso Rukawa, indicando il rossino con il pollice alzato:

“Pensavo che puntassi più in alto, Kaede-kun; tuo padre sa a chi ti accompagni?” chiese, mantenendo quel sorriso che non riusciva però a nascondere del tutto l’espressione rabbiosa negli occhi.

“Quello che faccio io non è affar tuo, e ti ho già detto che non devi venire qui”.

La risposta fredda di Rukawa agitò e rassicurò insieme Sakuragi. Lo rassicurò perché non dava speranze all’idiota ridens, quel presuntuoso che pensava di poter avere sempre tutto con uno schiocco delle dita, ma lo preoccupava perché indicava che quella persecuzione con i capelli a punta doveva aver dato fastidio al volpacchiotto ben più di una volta.

“Hai capito quello che ti ha detto? Tornatene nella tua super villa, nel tuo attico, ovunque sia la tua tana, e lasciaci in pace: Kaede ed io non ti vogliamo tra i piedi!” Hanamichi aveva fatto un passo avanti, e adesso era nella posizione perfetta sia per far partire un diretto al mento, sia per sfoderare una delle sue famose testate.

L’altro sollevò un sopracciglio:

Kaede? Devi sentirti molto sicuro di te, operaio… com’è che ti chiami, pel di carota?”

E il pugno partì… il rossino non era certamente tipo da sopportare un tono e delle parole simili da nessuno, e presto i due si ritrovarono impegnati in un combattimento senza esclusione di colpi. Dopo una mossa fulminea con cui il tensai riuscì ad assestare un pugno violento nello stomaco dell’avversario, e proprio nel momento in cui Sendoh si piegava in avanti, chiudendosi su se stesso, la mano chiusa di Hanamichi sfiorò inavvertitamente quelle spine appiccicose…

Immediatamente il ragazzo si tirò indietro, pulendosi contro la stoffa dei pantaloni… quella sostanza gelatinosa era qualcosa di rivoltante!!

Lo scontro proseguì finché entrambi non si ritrovarono ansimanti e piegati in due dal dolore. Con il respiro corto e le mani sui fianchi, i loro occhi continuavano a bruciare di rabbia, minacciandosi nuovi attacchi che si sarebbero tramutati in realtà non appena i due avessero recuperato un po’ di fiato.

“Smettetela”.

La voce fredda di Rukawa finalmente spezzò la tensione, scaricando l’atmosfera.

“Questo stronzo non ha alcun diritto di venire qui!” sibilò Hanamichi, continuando a guardare l’avversario e a studiarne i movimenti, sicuro che quel bastardo sarebbe stato pronto ad approfittare di qualsiasi suo momento di distrazione.

Come diavolo osava Akira Sendoh venire a spadroneggiare davanti alla casa di Kaede? Certo, lo aveva visto e gli era piaciuto, e adesso pensava di poterselo prendere, così come doveva essere abituato a fare con tutte le cose che lo attiravano. Ma il volpacchiotto non era sul mercato, e un pescecane come il padrone del Ryonan poteva cominciare ad andarsi a cercare altre prede!

“Sei tu a non aver alcun diritto di sollevare lo sguardo, figurarsi le tue mani luride, su Kaede Rukawa! Lui non è per te, ricordatelo; tu non sei nessuno, e quando tutto questo sarà finito…”

“Akira, stai zitto!”

Sendoh si voltò verso il moretto, e sorrise lievemente, sorriso che poi si caricò nuovamente di sarcasmo quando lo sguardo del ragazzo si riportò nuovamente su Hanamichi:

“Quando tutto questo sarà finito, di te non ci ricorderemo più neanche la faccia!”

“Bastardo! Adesso te la tolgo io quella smorfia da idiota!” e il rossino si scagliò nuovamente all’attacco.

“Smettila, Sakuragi!” lo bloccò però la voce ferma della kitsune.

Sendoh rise all’espressione combattuta del rossino, poi scosse la testa:

“Dagli retta… è per il tuo bene!- poi accennò con il capo un saluto verso Rukawa -Noi avremo certamente occasione di rivederci presto, Kaede-kun”.

Hanamichi lo lasciò andare, ma solo perché il suo braccio era serrato nella morsa delle dita della sua kitsune, che sembrava volerlo frenare e calmare insieme. Il porcospino salì quindi sulla sua automobile sportiva, partendo con una sgommata.

“Quel bastardo! Ma… come osa venire qui e spadroneggiare! Pensa di poter aver tutto, ma non ha capito con chi ha a che fare! Nessuno prende quello che è di Hanamichi Sakuragi…” sibilò, ancora carico di rabbia.

Rukawa si voltò lentamente verso di lui:

“E cosa sarebbe di Hanamichi Sakuragi?” gli chiese freddamente.

“Tu, ovviamente! Insomma – e cominciò ad impappinarsi – dopo… dopo… beh, dopo quello che ti ho detto, mi sembra che fossimo d’accordo che… che…” oddio, ma perché quella stupida kitsune doveva sempre metterlo in queste situazioni antipatiche?

“Dopo quello che è successo – lo interruppe l’altro, facendo risuonare una nota gelida nel suo tono determinato – faremmo entrambi bene ad andare a dormire. Buonanotte”.

Sakuragi rimase immobile, con la bocca leggermente aperta, a guardare Rukawa armeggiare con la serratura del cancello, e poi sparire nel buio del vialetto che portava alla casa. Le cose stavano andando così bene, e improvvisamente era cambiato tutto… si infilò le mani in tasca e, con la testa incassata nelle spalle, s’incamminò a piedi, in teoria verso il suo quartiere, ma in realtà avanzando a caso.

Si ritrovò davanti all’ospedale della madre; entrò senza neanche sapere il perché. L’infermiera alla reception lo riconobbe dalla notte di qualche settimana prima e gli sorrise, e a quel punto, senza neanche pensarci, lui chiese della signora che avevano accompagnato con Kaede, invece che della madre.

“Sei stato fortunato, Sakuragi-kun; domani verrà dimessa, e questa è la sua ultima notte qui. Le farà piacere avere una visita!”

Il ragazzo raggiunse la stanza, e trovò la donna seduta sul letto, con la schiena sostenuta dai cuscini, che leggeva una rivista appoggiata sulla gamba mantenuta rigida dal guscio di gesso.

Si fermò sulla soglia, quasi avesse paura di disturbarla, entrando. Fu lei, sollevando casualmente lo sguardo, a risolvere la situazione: gli sorrise e subito gli fece cenno di avvicinarsi, chiudendo contemporaneamente il giornale.

“Volevo… volevo vedere come stava…” cominciò lui, un po’ imbarazzato.

“Siediti su quella sedia, Hanamichi-chan… - la signora sorrise – mi sembra quasi di conoscerti, con tutte le cose che mi ha raccontato tua madre! E’ molto orgogliosa di te, lo sai?”

Sakuragi arrossì ancora di più, e abbassò lo sguardo, sperando contemporaneamente che la madre non avesse raccontato proprio ‘tutte’ le sue imprese!

“Sei da solo? – e la donna guardò verso la porta – Quel bel ragazzo dell’altra sera non è venuto?”

Hanamichi continuò a non guardarla, ma scosse lentamente la testa.

“Peccato! Siete molto amici, vero?”

Come rispondere ad una domanda come quella quando neanche lui sapeva quali fossero i rapporti tra loro?

“Non ci conosciamo da tantissimo, stiamo ancora vedendo se possa nascere qualcosa tra noi” disse, sottovoce.

Per qualche istante nella stanza ci fu silenzio, poi la voce della donna si levò più dolce, più comprensiva:

“Non stai parlando solo di amicizia, vero? Avevo notato, quella sera, che lo guardavi in un modo strano… ma non ero sicura. Ti piace?”

Lui rise nervosamente:

“Non capisco… non capisco di cosa…”

Ma lei lo interruppe con un gesto della mano e scuotendo la testa:

“Alla mia età non si ha il tempo di perdersi in giri di parole. Diventa estremamente più comodo andare dritti al punto, e credo di averlo colpito… vero?”

Non rispondendo, il rossino in qualche modo confermò quella conclusione.

“Spero che tu glielo abbia detto… non potrei metterci la mano sul fuoco, ma credo che anche lui potrebbe ricambiarti. E poi sembra un ragazzo in gamba…”

“Sì, gliel’ho detto…” la interruppe Hanamichi, sperando però di non aver frenato le riflessioni della donna.

La signora batté le mani, somigliando improvvisamente più ad una bambina che ad una anziana ancorata ad un letto d’ospedale:

“E lui cosa ti ha risposto?”

“Niente. Non mi ha detto niente. Mi ha chiesto di riportarlo a casa – e qui Sakuragi rise – Certamente qualcosa di non molto incoraggiante!”

“Sei sicuro? Ma… tu gli hai detto che lo amavi, e poi?”

Ehm, era assurdo ritrovarsi a raccontare cose così private ad una persona completamente sconosciuta, ma ad Hanamichi sembrava quella che forse poteva capire meglio cosa gli stesse succedendo, forse perché era stata l’unica a vederli insieme, a vederli collaborare a qualcosa.

“Dopo avergli detto che… beh, quello, l’ho baciato…”

“Bravo! Così si fa!” lo approvò la donna.

“Lui all’inizio mi ha respinto…”

“Reazione naturale”.

Hanamichi fu per un istante distratto da quel tono da consulente sentimentale, poi però riprese a raccontare, diventando man mano sempre più scarlatto:

“Mi ha respinto, ma io gli ho detto che lo amavo, e poi l’ho baciato di nuovo, e questa volta… beh, insomma… lui non è rimasto passivo” concluse, abbassando lo sguardo.

“E allora perché hai questa faccia funerea?! E’ andato tutto bene!”

Lui scosse la testa:

“Quando ci siamo separati, non è che Kaede mi abbia detto di amarmi, o di trovarmi affascinante, irresistibile o meraviglioso. In realtà non mi ha neanche definito simpatico… - e il rossino si interruppe, grattandosi la testa – E poi mi ha detto di riportarlo a casa. Insomma, non ho capito a…”

“A che punto siete?” concluse la donna per lui.

Hanamichi annuì:

“E poi davanti al suo portone c’era l’orrido porcospino!” sibilò, la rabbia che tornava a ribollire. Lo sguardo perplesso della signora lo portò però a doversi spiegare:

“Parlo di Akira Sendoh, l’amministratore delegato della Ryonan Inc. Da quando abbiamo giocato l’amichevole, ho notato che quel demente non stacca mai gli occhi dal mio volpacchiotto. E non è difficile capire che lui ha molto più da offrire di me!” si sfogò.

“E pensi che al tuo ‘volpacchiotto’ questo possa interessare? Hai notato un interesse nei confronti di questo istrice, qualcosa che giustifichi questi tuoi sospetti?”

Sakuragi si fermò per qualche istante a pensare, e per aiutarsi cominciò anche a grattarsi il mento con la mano, ma alla fine non poté che scuotere la testa:

“No, per la verità non ho notato un attaccamento particolare da parte di Rukawa. Bisogna però dire che lui non è il tipo che faccia capire chiaramente cosa pensa” aggiunse, non riuscendo a superare le proprie paure.

La donna scosse la testa, poi cominciò a parlare, lentamente:

“Non credo che dovresti essere così geloso. Se, come pensi, questo porcospino ha tante cose da offrire, eppure non ha suscitato alcun interesse nel tuo amico, dovresti smetterla di arrovellarti e concentrarti invece su quello che potrebbe esserci tra voi. Già da domani devi cercare di parlargli, di fargli capire che le parole che gli hai detto erano sincere, che tu lo ami davvero. Sono sicura – e gli posò una mano sul braccio – sono sicura che andrà tutto bene. Sono vecchia, e spero di capire qualcosa della vita, ormai, e quella sera ho visto tra voi qualcosa… sì, qualcosa che mi fa pensare che siate tra i fortunati che si sono trovati presto. Convincilo, apriti con lui, sii sempre onesto, e sono sicura che andrà tutto bene…”

Hanamichi sorrise, un po’ vergognoso dopo il lungo discorso della donna. In qualche modo era stato investito di una bella responsabilità: fare breccia nel cuore della kitsune non era certamente uno scherzo! Però si sentiva anche molto ottimista: lei li aveva visti insieme, e, se aveva detto che erano fatti l’uno per l’altro, doveva pur avere qualche motivo per affermarlo, no?

Ancora una volta fu risvegliato dai suoi sogni ad occhi aperti su volpi e tane dalla voce scherzosa della compagna:

“E comunque pretendo un aggiornamento regolare… datti una mossa, che io certo non ringiovanisco, e non vorrei essere già polvere quando finalmente ti sarai deciso a parlargli!”

“Ma… ma cosa dice!” si riscosse il rossino, imbarazzato dall’accenno alla polvere.

Lei però continuò ad annuire:

“Fatti avanti, e poi tornate a trovarmi. Ormai mi sento parte della vostra storia…”.

Il giorno successivo, il suono della sveglia trovò Hanamichi già con gli occhi spalancati. Tutta la notte non aveva fatto che pensare a quello che era accaduto, e al modo migliore per piegare Kaede Rukawa alla forza dei suoi sentimenti. Ogni tanto ridacchiava come un idiota, il che avveniva esattamente quando ripensava al momento in cui il loro bacio era diventato vero, al momento in cui il volpacchiotto lo aveva ricambiato, ogni tanto però si innervosiva o si arrabbiava addirittura, arrivando a dare pugni nel cuscino, ed era quando gli si materializzava davanti l’immagine insopportabile della iena ridens.

Appena sentì il suono trapanante della sveglia, la raggiunse e con la mano aperta schiacciò la levetta, rischiando di mandare in frantumi l’intera scatoletta di plastica, poi corse nella doccia, ingurgitò la colazione, si calò nei nuovi pantaloni neri che gli aveva comprato la madre e nel maglione a collo alto grigio scuro, quello che non aveva più indossato dalla festa di Natale di Yohei, due anni prima, e finalmente fu pronto per uscire… davanti a lui il solo obiettivo di conquistare definitivamente la kitsune.

Arrivò in fabbrica incredibilmente presto, cosa che non era mai accaduta per quel turno delle sette che lo vedeva inevitabilmente arrivare correndo, superare tutta la gente all’ingresso e avventarsi sul lettore del cartellino prima che scattassero le 7.01.

Ancora con il fiatone, si appostò in un angolo strategico, un angolo dal quale non avrebbe potuto fallire un tempestivo avvistamento della volpaccia, e infatti, appena dieci minuti dopo, un volpino, alto, snello, caschetto nero e occhi azzurri, fu individuato mentre scendeva da una macchina scura insieme ad uno spaventapasseri sfregiato.

Hanamichi strinse gli occhi, cercando di cogliere, anche da così lontano, l’espressione sul viso di Rukawa, ma tutto sommato gli sembrava apatica esattamente come il resto della settimana. Per un istante decise di degnare di un’occhiata anche quel teppista travestito da lavoratore onesto di Mitsui, e gli sembrò di intuire che stesse blaterando qualcosa di sicuramente molto noioso, a giudicare dall’espressione indifferente del suo volpacchiotto.

Ok, quando il gioco si fa duro…

Sakuragi si staccò dal muro, e con passo deciso, quel passo in grado di scuotere la fabbrica dalle fondamenta, si portò di fronte ai due:

“Rukawa… dobbiamo parlare”.

E fin qui tutto bene. Sulla metropolitana aveva provato la frase almeno una decina di volte, e sapeva che sarebbe stato convincente, glielo aveva confermato anche il vecchietto che gli sedeva di fronte.

“Mph!” fu la reazione dell’altro, che tirò dritto.

Hanamichi però non si perse d’animo, inseguì la kitsune e gli si portò di nuovo davanti, fermandolo.

“Hai sbagliato la risposta!!!!” gli comunicò.

“Ehi, scimmia, perché non schiodi? Forse non l’hai intuito, ma ci stai dando fastidio…”

“Sei tu che devi sparire, stupido rifiuto umano! – Hanamichi era ormai determinato a non farsi fermare da niente e nessuno – Rukawa… ti ho detto che dobbiamo parlare, è importante” e il suo tono, partito deciso, sembrò improvvisamente assumere una sfumatura supplichevole.

“Hisashi, va’ pure avanti; ti raggiungo tra qualche minuto”.

Era chiaro che lo sfregiato non fosse troppo contento di queste parole, e infatti mantenne per qualche istante uno sguardo interrogativo sul volto dell’amico. Poi, però, accorgendosi di quanto l’altro fosse irremovibile, scosse la testa e, non senza prima lanciare uno sguardo minaccioso all’indirizzo del rossino, li precedette verso lo spogliatoio.

Ok, anche la seconda parte del piano era andata a buon fine, adesso rimaneva la fase tre… convincere il volpacchiotto della forza e della sincerità dei suoi sentimenti, e obbligarlo a riconoscere di ricambiarli.

“Seguimi” gli ordinò Hanamichi, imboccando le scale che portavano al solaio, sicuramente deserto a quell’ora della mattina. Rukawa non fece obiezioni e camminò dietro di lui, in silenzio.

“Senti… io… beh, riguardo a quello che è successo ieri sera… - come era tutto più difficile quando ci si trovava faccia a faccia con Kaede, piuttosto che con uno specchio! – io volevo… ecco, non so se…”

Non riuscì ad andare avanti che l’altro lo fermò:

“Non c’è bisogno di parlarne. E’ stato uno sbaglio e non devi starti a giustificare… Se ci riprovi, però, sei un do’aho morto”.

La voce di Rukawa era stata definitiva, e le parole erano tutte sbagliate!!! Come fare a dirgli che era veramente innamorato di lui? Come andare avanti, ora che sapeva che la kitsune sembrava aver tutt’altro che gradito le sue attenzioni?

“Non hai capito niente!!” esclamò Hanamichi, passandosi una mano tra i capelli e l’altra sugli occhi.

Adesso lo sguardo di Kaede sembrava stupito, anche se sempre duro.

“Sì, non hai capito niente!! – e il tensai si avvicinò al compagno, appoggiandogli le mani sulle spalle – Io sono innamorato di te, moltissimo, praticamente dal primo momento che ti ho visto!! Ieri sera… ieri sera ho trovato finalmente il coraggio di dirtelo, e da ieri sera non faccio che chiedermi se anche tu… anche tu… beh, provi qualcosa per me. Insomma – e il ragazzo sentì la pelle del viso ardergli – so di non essere esattamente un gran partito, so che quell’idiota, rivoltante, viscido verme di Akira Sendoh ha sicuramente più punti a suo favore di me, però, da quando ti ho conosciuto, ho cominciato a provare dei sentimenti che non avevo mai provato per nessuno. Quando ti guardo, quando parliamo… io sento qualcosa che mi si stringe nello stomaco, e contemporaneamente mi viene voglia di sorridere, e non intendo le mie risate da tensai, intendo sorridere come quando si è veramente felici, come quando si tocca il cielo con un dito. Io questo lo provo solo per te, con te. Credo… credo che noi andremmo molto d’accordo, credo proprio che saremmo felici. Insomma, abbiamo tante cose in comune: io sono un campione di basket, e tu non sei così scarso, e poi entrambi lavoriamo in fabbrica, a tutti e due piace il mare, insieme abbiamo aiutato quella signora in difficoltà…”

“…entrambi siamo giapponesi, tutti e due viviamo a Yokohama…”

Kaede… Kaede gli stava sorridendo?!

E anche Hanamichi sorrise:

“Beh, c’è anche questo, no? Comunque, ecco, io vorrei sapere cosa ne pensi… ieri mi era sembrato, per un momento, che anche tu…” e qui si fermò, arrossendo ancora di più, sempre che fosse possibile.

Rukawa ridivenne serio, e non gli rispose.

“Ti prego… di’ qualcosa, non mi puoi tenere in sospeso in questo modo!”

“Non credo che sarebbe una buona idea”.

Cosa?! Non credeva che sarebbe stata una buona idea? Ma che razza di risposta era quella…

“Perché?!” Hanamichi non aveva la minima intenzione di arrendersi, ed anzi, fece un passo avanti, fino a portarsi a pochi centimetri dal corpo dell’altro, le mani che avevano lasciato le spalle di Kaede per scivolargli dietro la schiena.

“Noi non ci conosciamo. Credo che tu, come tanti, ti sia lasciato attrarre dall’aspetto fisico”.

Hanamichi impiegò qualche secondo per processare quella parola, poi però cominciò a scuotere violentemente la testa:

“HAI PROPRIO LA ZUCCA DURA, KITSUNE!! – si fermò qualche secondo per riprendere fiato, poi proseguì – Mi piace tutto di te, non solo il tuo aspetto!! Non è mai stata la cosa più importante… quello che sento, quello che ho cercato di dirti, è che quando stiamo insieme io mi sento diverso, migliore, mi torna la speranza di non stare buttando la mia vita!”

Non pensava che sarebbe arrivato ad esporsi tanto, ad aprire così presto davanti a Kaede quella che era una delle sue ferite più dolorose, quel sentirsi vecchio a ventitre anni, senza possibilità di migliorare la propria vita. Le ore in fabbrica, il pub, gli allenamenti di basket… tutto era arrivato a sembrargli una prigione; e poi era piombato nella sua vita Kaede Rukawa, e tutto aveva ripreso colore, anche le cose più tristi. E non era stato il suo aspetto ad attrarlo, era stato il fatto che con lui sapeva di poter condividere dei sogni, di avere trovato la persona che poteva capirlo, spronarlo, farlo ricominciare a combattere, perché nella sua kitsune Hanamichi sentiva lo stesso fuoco che aveva bruciato anche lui fino a qualche anno prima.

Rimase in silenzio, impaurito all’idea di scoprirsi ancora, di rivelare di più ed essere ancora più ferito da un eventuale rifiuto. Eppure voleva contemporaneamente che l’altro lo capisse, che comprendesse quanto fosse importante per lui quello che rappresentava il loro rapporto.

“E la sorella di Akagi? Yohei diceva che…”

Il rossino non gli permise di continuare:

“La sorella di Akagi non ha mai significato nulla!

E’ vero, c’è stato un momento in cui ho pensato che potesse piacermi, ma sapevo benissimo che in realtà non era così.

Non ho mai amato nessuno come te, mai. E non è facile ammettere di essere innamorati di un ragazzo, nel caso te lo fossi chiesto. E’ stato uno shock anche per me, ma sarei stato un cretino, veramente un do’aho come mi accusi sempre di essere, se non lo avessi riconosciuto davanti a te, se non avessi almeno provato a farti ricambiare i miei sentimenti…”.

Nuovamente lunghi e imbarazzanti istanti di silenzio.

Hanamichi abbassò lo sguardo, e non riuscì a trattenere un sospiro: ok, si era sbagliato, Rukawa non aveva alcun interesse per lui e non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti. Non era una situazione facile da accettare, e lui non era abituato a rinunciare facilmente, ma sembrava proprio che in quel momento insistere fosse la cosa peggiore. Poteva solo sperare che l’altro fosse incerto, che avesse bisogno di chiarirsi anche con se stesso.

“Torniamo alle verniciature, tra poco suonerà la sirena, e Akagi poi chi lo sente se non ci vede arrivare… passi per me, che sono abituato ai suoi rimbrotti, ma non è davvero il caso che ti rovini l’ordine di servizio per niente” mormorò. Già, proprio come se i suoi sentimenti non fossero altro che niente, polvere e immondizia.

Si avviò verso la porta, quando sentì una mano stringergli il polso:

“Non credevo che il tensai che ho imparato a conoscere in questi giorni si arrendesse senza combattere…”

Hanamichi si voltò, e la sua espressione non portava certamente tracce di resa:

“Credo solo che tu abbia ancora bisogno di un po’ di tempo, ma ti prometto che alla fine cederai al grande Sakuragi. Il tensai non conosce sconfitta…”

“Davvero?”

Rukawa aveva pronunciato quell’unica parola con una strana intonazione, e per la prima volta ad Hanamichi sembrò di vederlo arrossire leggermente… e la sua mano era ancora lì, a sfiorargli il polso.

Le sue iniziative migliori erano sempre state quelle non programmate, ma ideate e attuate sul momento. Con mossa fulminea Sakuragi si avventò sulla kitsune, addossandola contro la porta di ferro, e poi si avvicinò al suo viso bellissimo. Stava per baciare Rukawa, quando capì che stavolta doveva fermarsi, che non poteva ripetere la scena della sera precedente, che doveva capire…

“Ti sto per baciare, kitsune. Se hai qualcosa in contrario, vedi di parlare adesso, perché poi non mi fermerò finché non saremo entrambi senza fiato!” gli annunciò, stringendogli le braccia intorno alla vita e soffiandogli le parole sul viso.

“Chiacchieri troppo, scimmia…”

E a questo punto Hanamichi decise che la sua risposta l’aveva avuta… si chinò su quel ragazzo che ormai considerava suo, e lo baciò. E fu un bacio diverso, ancora più travolgente di quello della sera precedente, perché stavolta lui sapeva che i propri sentimenti non sarebbero stati respinti, che Kaede Rukawa in qualche modo lo ricambiava, che quello non era che l’inizio di qualcosa di fantastico, di una avventura meravigliosa che li avrebbe visti sempre insieme.

Quando furono entrambi senza fiato, ma proprio sul cianotico spinto, il rossino si decise a lasciare andare la bocca del compagno, limitandosi a serrarselo contro il petto in una morsa dalla quale era impossibile sottrarsi… e lo intenerì sentire le braccia della kitsune rimanere allacciate intorno al suo collo, in una stretta rilassata; e lo fece sorridere, contemporaneamente, vedere la fronte di Kaede appoggiata contro la sua spalla, come se il ragazzo cercasse di nascondere il viso, quasi volesse avere il tempo di ricomporsi.

In quel momento echeggiò il suono acuto della sirena che li richiamava al lavoro.

“Come stai?”

Hanamichi si rese conto di non aver pronunciato esattamente una frase da tensai, ma era comunque inavvertitamente riuscito a mormorare quelle parole con una tale dolcezza che stranamente non gli causarono un bel pugno sul naso.

“Pensi di essere il baciatore fatale? Sto perfettamente bene”.

Probabilmente troppo, perché sembrava che Rukawa trovasse improvvisamente difficile sciogliere l’abbraccio intorno al collo di Hanamichi.

“Potremmo prenderci una giornata di riposo… insomma, abbiamo tantissime cose da dirci! Io devo raccontarti tutta la mia vita, e poi devo preparare la presentazione a tutto il parentado… prima devo presentarti a zia Momoe, però… lei è sempre stata gelosa di tutti gli altri, soprattutto della cugina Evelina, e quindi non possiamo farle lo sgarbo di ignorarla; e poi ci sono anche i miei amici dell’asilo, sono sicuro di non poter essere così incivile da non presentarti anche a loro, e poi…”

“Hanamichi…”

“E la mia maestra? Certo, anche lei: sai che, nonostante non fossi certamente un bambino dolce e tranquillo, lei mi dava ugualmente i premi di buona condotta? Credo di avere ancora la gommina profumata a forma di fragola…”

“Hanamichi!”

“E i professori delle medie… c’era quello di inglese che non si riusciva mai a capire quando parlava. Secondo me doveva essere del Kansai…”

“HANAMICHI!”

Finalmente il rossino si fermò, riportando la propria attenzione sul compagno:

“Sì, amore? Ti serve qualcosa? Ti sei fatto male? Devo… devo portarti in braccio in infermeria? CHIAMO UN’AMBULANZA!! NON TI MUOVERE!!!!” e tentò di aprire la porta, ormai in preda al panico.

“Vuoi piantarla di fare l’idiota?!”

“IO NON SONO UN IDIOTA!! IO SONO IL TENSAI…”

Non doveva essere però stato molto convincente, perché il suo Kaede-chan aveva scosso ripetutamente la testa in un gesto che non sembrava esattamente carico di dolci promesse d’amore…

“Se… se davvero non stai male, cosa ti succede, cucciolino?”

“E non osare mai più chiamarmi cucciolino!” gli sibilò Rukawa.

“Sì, pupattolino…”

“HANAMICHI!!”

“KAEDE!!”

E a questo punto il ragazzo moro non poté far altro che scuotere nuovamente la testa, poi voltò le spalle, dirigendosi verso le scale:

“Io torno in sala. Quando ti riprendi, ti conviene tornare al lavoro. La sirena è suonata, e Akagi non gradirà un tuo nuovo ritardo”.

Solo quando l’altro era ormai sparito da un paio di minuti, Hanamichi si riprese dalla sorpresa:

“KAEDE!!! ASPETTAMI!!!” e caracollò giù per le scale dietro al suo volpacchiotto.

La giornata passò con Hanamichi in uno stato di continua distrazione verso il lavoro e gli altri operai, e di iper-attenzione nei riguardi di Rukawa. Non gli sembrava vero di potersi avvicinare e mormorargli frasi nell’orecchio, chiedendogli come stesse e aggiornandolo continuamente sul trascorrere dei minuti, sul conto alla rovescia verso l’ora che li avrebbe visti liberi dalla fabbrica, e finalmente con un po’ di tempo a disposizione da passare da soli.

Quando a fine turno andarono tutti nello spogliatoio per cambiarsi, i suoi tentativi di proteggere il corpo del compagno dagli sguardi altrui furono ancora più decisi del solito… non che fosse l’unico ad ergersi a protezione di un collega, visto che anche quello sdentato di Mitsui sembrava aver copiato la sua tattica per difendere la privacy del Kimi-kun; e quando finalmente Hanamichi riuscì a passare la vigilanza dello sfregiato per scambiare un’occhiata con il quattr’occhi, si rese conto che anche da quel lato le cose dovevano star procedendo alla grande, visto che il sorriso e lo sguardo di Kogure lasciavano assai pochi dubbi su quello che doveva essere il suo rapporto con il teppista.

Peccato però che il ragazzo dimostrasse un cattivo gusto così spiccato… secondo Hanamichi la persona giusta per Kiminobu era sempre stata Akagi, soprattutto considerando che il gorilla si sarebbe finalmente placato se avesse avuto accanto una persona come il quattr’occhi. Vabbé, peccato non poter decidere la vita degli altri!! Ma almeno aveva la soddisfazione della propria, e le cose gli stavano andando così bene che poteva anche sopportare la delusione di ritrovarsi quel Mitsui sempre tra i piedi…

Usciti dalla fabbrica, il tensai decise di portare la kitsune in un piccolo pub nascosto in una delle stradine del centro, un locale che frequentava poco, in genere, perché certamente non adatto alle scorribande da alcolizzati della Gundan.

Rimasero fino all’orario di chiusura, Hanamichi a raccontare un episodio dietro l’altro, come se volesse che Kaede recuperasse tutti insieme gli anni in cui non sospettavano neanche l’esistenza l’uno dell’altro, e Rukawa ad ascoltare, e ad intervenire ogni tanto con qualche domanda, qualche commento, qualche insulto…

“E tu non mi racconti niente? Capisco che la storia della cugina Evelina sia impareggiabile, ma sono sicuro che anche nel vostro mondo di volpi debba essere successo qualcosa di interessante… e poi il tensai è generoso, ascolterò anche se si tratta di cose mortalmente noiose!” provò a pungolare il compagno.

Rukawa però scosse la testa:

“Niente di particolare… famiglia normale, niente fratelli o sorelle, molte aspettative da parte di mio padre, pochi ricordi di mia madre… - e qui la sua voce si abbassò - Niente fuori dalla norma” concluse il ragazzo moro, tornando poi a concentrarsi sulla sua birra.

Sakuragi, nonostante le sue parole e certi suoi atteggiamenti, non era però né stupido, né insensibile.

Abbassò lo sguardo sul proprio bicchiere, e trattenne tutte le domande che gli erano venute. Era chiaro che Rukawa non doveva aver avuto una infanzia felicissima… Hanamichi aveva perduto il padre già abbastanza grande, e sapeva quale dolore si provasse, quindi il fatto che Kaede avesse perso la madre ancora molto piccolo gli faceva pensare che ben poco di ‘normale’ ci fosse stato nella vita del compagno. Inoltre sembrava che questo padre fosse una specie di incubo, pressante e opprimente.

Quando la cameriera arrivò con il conto, si presentò la decisione di come finire la serata… insomma, era la loro prima uscita ufficiale, come coppia, e Hanamichi avrebbe voluto terminarla avviticchiato addosso al suo volpacchiotto, ad aspettare l’alba insieme sul mare, oppure, sempre avviticchiati (questa parte era una costante) davanti al fuoco di un camino acceso… oppure…

“Che diavolo ti prende che ridi come un idiota?!”

Ogni tanto Rukawa doveva riuscire a comprendere la profondità di certi suoi pensieri… e poi LUI non sembrava MAI un idiota!

“IO non rido come un idiota! Sto pensando che… beh, la notte è ancora giovane, e…”

“Domani mattina abbiamo il turno presto. Ci conviene andare a dormire, se vogliamo essere di qualche utilità” lo gelò l’altro.

“Andare a dormire? Non mi sembra un’idea malvagia…” e di nuovo gli si stampò un bel sorriso sulla faccia.

L’occhiata gelida di Rukawa, però, gli fece pensare che forse aveva corso un po’ troppo:

“Ehm, volevo dire che hai ragione, tutto sommato ci siamo stancati, oggi, e non vorrei che tu perdessi troppe ore di sonno… ti devi riposare, considerando che… beh, insomma, noi… allenamenti… lavoro… passeggiate… ehm, luna piena stasera, eh?”

La sua kitsune scosse la testa:

“Accompagnami a casa; puoi prenderti la macchina, se vuoi”.

Sebbene fosse felice che il volpacchiotto si preoccupasse abbastanza per lui da affidargli la sua jeep, Hanamichi pensò che presto avrebbero dovuto risolvere un problema di comunicazione, oltre a quello, che lui intendeva superare al più presto, che vedeva coinvolti i loro scambi di coccole. Insomma, mica poteva trattenersi a vita! Da quando aveva visto Kaede per la prima volta, aveva dovuto trattenersi dal saltargli addosso, oppure dal caricarselo su una spalla e trascinarselo in un luogo appartato… quella pelle chiara e morbida, qui capelli di seta, quelle mani sottili ma forti…

“Do’aho, sembri un pomodoro” gli comunicò freddamente l’oggetto delle sue elucubrazioni. Lui si portò la mano dietro la nuca, ed emise una risatina imbarazzata. Ok, al momento sembrava che la nottata di intimità andasse posticipata…

Pur non sapendo come, il rossino riuscì a fronteggiare da uomo il momento della separazione, il che vuol dire che rimase per un buon quarto d’ora con la faccia schiacciata contro il finestrino e la bocca aperta, nonostante la kitsune fosse velocemente scomparsa dietro il cancello.

Ok, come disse qualcuno in un film polpettoso che sua madre aveva cercato di fargli vedere almeno quindici volte, ‘domani è un altro giorno’… e così avviò il motore e si diresse verso casa, cantando a squarciagola.

Il giorno dopo, esattamente alle sette meno un quarto, Hanamichi e jeep erano di nuovo davanti allo stesso cancello. Questa idea era maturata durante la notte, e gli era sembrata immediatamente degna del suo genio, e così si era preparato in quattro e quattr’otto, si era spalmato un tubo di gel sui capelli, si era infilato la giacca di pelle, quella che la madre definiva ‘lisa’, ma che lui sapeva benissimo essere solo ‘vissuta’, e si era precipitato, con la carrozza e l’armatura scintillante, a prendere la sua… il suo… insomma, Kaede!

Strombazzò felice nella strada deserta, in modo che l’altro sapesse che il suo cocchio era già pronto, e poi aspettò, appoggiato contro il cofano della macchina.

“Che diavolo ti viene in mente?!” gli sibilò Rukawa, appena uscito dal portone “Avrai svegliato tutto il vicinato, razza di do’aho!”

“Buongiorno anche a te, amore!” lo salutò il rossino, sporgendosi poi per baciarlo, ma urtando solo contro uno zigomo, pure duro.

“Stai fermo!”

“Volpino timido…” mormorò Hanamichi, scuotendo la testa, ma continuando a sorridere. Sapeva che doveva dare ancora un po’ di tempo al compagno per abituarsi alla sua espansività.

Quella di andare insieme al lavoro divenne un’abitudine, così come mangiare insieme, oppure finire in qualche pub, quando non era serata di allenamenti.

Probabilmente Kogure era l’unico ad essersi accorto di quello che stava succedendo, o almeno così pareva ad Hanamichi. Qualche dubbio lo aveva anche su Mitsui, che sembrava ogni tanto rivolgere dei sorrisini ammiccanti a Rukawa, e delle occhiate inceneritici invece verso di lui, occhiate che sembravano minacciarlo di amputazioni indicibili nel caso in cui avesse finito per provocare qualsiasi tipo di dispiacere al volpino… come se questo potesse accadere!

E presto cominciò il campionato nazionale. Lo Shohoku non partiva certamente come la favorita del proprio girone, nonostante la vittoria storica nell’amichevole contro il Ryonan Inc., e così si ritrovò subito in un gruppo di ferro, dovendo combattere ogni partita punto su punto per poter passare alla fase successiva.

Akagi sembrava molto contento dell’andamento della squadra, sebbene cercasse in ogni modo di non far trapelare la propria soddisfazione. E Hanamichi? Anche lui lo era… a parte il rendimento sportivo, quel periodo gli aveva portato moltissime soddisfazioni, sebbene ci fosse ancora quell’irrigidimento in Kaede ogni volta che le cose si facevano un po’ appassionate. Il rossino non faceva fatica a capire la tensione del compagno, la difficoltà a lasciarsi andare… anche lui in certi momenti, a dire il vero soprattutto quando erano lontani, aveva pensato che la situazione non doveva essere forzata, ma poi, ogni volta che si trovava vicino al volpino, sembrava tutto così naturale, che stava diventando sempre più difficile fermarsi quando Kaede mostrava la propria insofferenza. Ecco, forse questo era l’unico neo, per il resto le cose andavano alla grande, entrambi stavano bene insieme, potevano parlare per ore (ok, parlava soprattutto Hanamichi), oppure rimanere in silenzio sulla sponda del laghetto artificiale o sulla spiaggia, ed essere sempre e comunque più vicini l’uno all’altro di quanto lo fossero mai stati con qualsiasi altra persona.

Guadagnato finalmente l’accesso alla seconda fase del torneo, il capitano decise di lasciare ai compagni di squadra qualche sera di libertà. Evidentemente gli sguardi imploranti di Miyagi e Kogure, o forse quelli minacciosi di Mitsui e di Hanamichi, dovevano aver convinto il gorilla che quello fosse proprio il momento giusto per una pausa.

“Che ne dici di affittare un film, e vedercelo a casa mia, spanciandoci di pizza e patatine?”

Hanamichi aveva pensato all’organizzazione della serata per quasi una settimana, contando anche sul turno di lavoro notturno della madre, e finalmente aveva trovato il coraggio di proporre la sua idea alla kitsune. Fino a quel momento i loro momenti di solitudine non erano mai stati veramente ‘privati’, se si escludevano quelli in macchina, e invece l’invito a casa sua li avrebbe portati proprio nella situazione ideale per… beh, lasciarsi un po’ andare, diciamo.

Si accorse subito che le sue parole avevano avuto l’immediato effetto di far irrigidire il compagno, ma non tornò indietro, limitandosi ad aspettare una risposta, qualunque essa fosse.

Ormai l’ora del pranzo era quasi finita. Sembrava che per la prima volta Kaede Rukawa sentisse l’urgenza di finire il proprio bento, occorrenza mai capitata fino ad allora, ma Hanamichi non si scompose: avrebbe aspettato finché l’altro non si fosse deciso, non avrebbe fatto un solo mezzo passo indietro.

Quando la sirena suonò e Kaede si alzò da terra per dirigersi verso la porta che portava alle scale, il rossino lo superò con passo deciso, ma senza correre, bloccandogli la fuga. Non disse una parola, ma guardò il compagno sollevando un sopracciglio.

“Non sai che le patatine vengono fritte nell’olio di macchina?” fu la risposta sorprendente che gli arrivò.

“Co… COOOSAAA?!”

“Sì, l’ho letto poco tempo fa. Io non mangio schifezze” ribadì Rukawa.

“Per tua informazione, le Krokky non vengono fritte nell’olio di macchina, e comunque c’è anche la pizza… o il digiuno, se preferisci. Verrai, allora?”

Era chiaro che, se solo al moretto fosse venuta in mente una scusa plausibile, avrebbe felicemente declinato l’invito, ma sembrava che questa volta gli fosse venuta meno la solita prontezza, o che forse volesse dare al compagno quella possibilità che fino ad allora gli aveva negato:

“A che ora?”

“Le sette” riuscì ad alitare Hanamichi, cercando di convincere il muscolo cardiaco a rimanere ancorato al corpo, invece di agitarsi forsennatamente, tipo pendolo impazzito.

“Spero che ci sarà anche del succo d’ananas…” gli rispose l’altro, aggirandolo per aprire la porta.

“Fiumi, mari, oceani…”.

La preparazione del Tensai seguì i riti usuali, e cioè la prova di cinque paia di pantaloni diversi, per poi optare per i soliti jeans un po’ scoloriti, ma che gli fasciavano le gambe mettendo in mostra tutti i suoi muscoli, e poi i cinquanta abbinamenti con tutte le magliette che possedeva, sia estive che invernali. Il maglione nero a collo alto si rivelò però quello più adatto per dargli un aspetto serio e nello stesso tempo affascinante, intrigante. E poi dovette sistemarsi i capelli… ecco, i capelli erano l’orgoglio del tensai: ogni mese li curava con affetto e attenzione, scegliendo sempre la nuance giusta per dargli esattamente l’aspetto del ragazzo ribelle… e proprio quella sera, davanti allo specchio, dopo aver ammirato per un quarto d’ora buono la tonalità ‘rosso d’autunno’, fida compagna di tutto l’ultimo anno, ebbe però la sgradita sorpresa di riscoprirsi a corto di gel, grazie al consumo selvaggio che ne aveva fatto nelle ultime settimane. All’inizio fu colto dal panico: non poteva non farsi trovare al meglio proprio quella sera, ma dopo aver provato in ogni modo di far stare in piega le sue ciocche ribelli con la sola forza del pensiero, si arrese ad una sistemazione più naturale… che però, vista la bellezza folgorante del tensai, tutto sommato si rivelò un ripiego più che accettabile.

Scese nel soggiorno, e tutto era già pronto: la videocassetta dell’ultimo kolossal americano aspettava sul tavolino basso, mentre il carrello al lato del divano aveva almeno cinque cartoni di succo d’ananas, la coca cola, la scodellona con le krokky, e il vassoio in cui avrebbero messo la pizza, non appena fosse arrivata. Tutto perfetto! Spense le luci in modo da ottenere una illuminazione, o meglio mancanza di illuminazione, strategica, e, proprio mentre si dirigeva ancora una volta nel bagno per darsi un’ultima occhiata, sentì suonare il citofono…

Era arrivato!

Quando aprì la porta, ancora una volta si trovò a trattenere inavvertitamente il respiro: Kaede era bellissimo. Il montgomery grigio scuro e la sciarpona bordeaux lo proteggevano dal freddo che aveva avuto l’effetto immediato di arrossargli la pelle delicata del viso, e i capelli gli ricadevano sulla fronte, facendo venire ad Hanamichi un desiderio irresistibile di sfiorarglieli, di portarli indietro per potergli accarezzare il viso…

“Entra… che stai ancora a fare lì al freddo!” balbettò con voce rauca, non appena si riprese.

“Pensavo che non me l’avresti mai detto…” borbottò l’altro, mascherando dietro il tono brusco il proprio imbarazzo. Davanti al camino acceso, Rukawa si sfilò il cappotto, scoprendo i jeans blu scuro e lo spesso maglione color panna. Hanamichi sorrise: non aveva mai avuto bisogno di chiederglielo, ma sapeva benissimo che la kitsune soffriva moltissimo il freddo, era evidente dai maglioni con le maniche lunghe che gli coprivano interamente le mani, dal suo scegliere sempre la panchina al sole quando uscivano all’aperto, dal sistemarsi dal lato del riscaldamento, quando andavano in qualche pub. Eppure quella pelle nivea non doveva neanche sopportare il caldo dell’estate… probabilmente, come il rossino era più che convinto dal primo momento in cui lo aveva visto, Kaede doveva essere tenuto con ogni cura in… una teca di cristallo!!! Sìsìsì! Quella era la giusta soluzione!

“Che hai da ridere, dohao!”

L’oggetto di tanta venerazione non sembrava a volte brillare per acume. Come non capire che il tensai aveva appena avuto una delle sue famosissime, nonché genialissime, idee?

“Acciambellati… ehm, sistemati sul divano, che vado a preparare i popcorn e ad avvertire Pizza in un battito cardiaco di portare la nostra ordinazione!” esclamò, scomparendo in un baleno dietro la porta della cucina.

Tutto stava andando secondo i piani…

“Credevo che i popcorn fossero bianchi…” notò Rukawa, quando Sakuragi tornò gongolante con una ciotola piena di palline minuscole e brunite.

“Eh?! Cosa…” il rossino abbassò lo sguardo e si accorse che le creature che dovevano accompagnarli durante il film avevano fatto in modo di non collaborare “Devono essere scaduti… accidenti a Takamiya e al suo discount più-compri-meno-spendi!- borbottò poi fra i denti – E comunque non c’è problema – si riprese immediatamente, cercando di ritrovare l’entusiasmo – Ci sono sempre le krokky!”

Con il procedere del film, lo spazio che separava Hanamichi dal suo volpino andò sempre più diminuendo. Prima per sporgersi a prendere una patatina, poi per la pizza, infine per il bicchiere di coca cola e il telecomando, dopo tre quarti d’ora Sakuragi aveva il braccio stabilmente intorno alle spalle del compagno, e dopo un’ora la sua testa si era finalmente sistemata contro l’orecchio di Kaede, in modo da potergli depositare veloci, ma frequenti, baci sul collo.

Hanamichi sentiva ancora quella rigidità nell’altro all’evolvere delle sue manovre, ma era anche come se Rukawa stesse cercando di trattenersi dall’allontanarlo, come se stesse combattendo la propria ritrosia, il proprio imbarazzo, per dare una possibilità a quello che poteva nascere tra loro.

Quando cominciarono a scorrere i titoli di coda, il tensai decise che la mossa giusta era mettere un po’ di musica di sottofondo, per rilassare ancora di più l’atmosfera, e poi, per completare il piano, cominciò a massaggiare lentamente, con movimenti che dovevano essere carichi di sensualità, le spalle del compagno.

Sentendo Rukawa rilassarsi, sciogliersi sotto le sue mani, Hanamichi sorrise: ormai sapeva come intrappolare la sua volpe! La kitsune quella sera non aveva scampo. Improvvisamente, però, sentì qualcosa di strano… il respiro di Kaede era sì rilassato, ma sembrava anche che… che…

Non era possibile!

Quella stupida volpe si era addormentata… (*)

Scuotendo la testa, per l’improvvisa svolta subita dalla sua manovra di seduzione, Sakuragi decise che l’unica cosa da fare, visto che svegliare Rukawa era fuori discussione, considerando che le sue reazioni non erano solitamente molto amichevoli, era portare il volpino nella sua camera, e metterlo a letto. Portarlo in braccio gli piacque enormemente; gli sembrava di avere finalmente il pieno controllo della situazione, di averlo in pugno. Lo depositò sul letto, gli sfilò il maglione e i jeans, ripetendosi come un mantra che non doveva avere pensieri impuri guardando quel corpo magnifico, e lo coprì con il piumone, spogliandosi poi velocemente anche lui e raggiungendolo sotto le coperte.

Il problema ora era addormentarsi…

Come poteva addormentarsi con il compagno finalmente così vicino? Era assolutamente fuori discussione! Si voltò a guardarlo nella pallida luce che i lampioni della strada facevano filtrare attraverso le imposte, e pensò ancora una volta che non aveva mai visto niente di più bello, nessuno così determinato, nessuno dalla personalità così particolare ed affascinante.

Si girò ancora. Possibile che in tutti quegli anni non si fosse mai accorto di quanto fosse scomodo quel letto? Come aveva fatto a dormirci?!

Improvvisamente, però, si voltò anche Kaede, finendo per poggiargli la testa sulla spalla.

QUESTA ERA UNA PROVOCAZIONE BELLA E BUONA!

E quando qualcosa provocava Hanamichi, Hanamichi raccoglieva la sfida!

Cominciò ad accarezzare le spalle della sua kitsune, e presto le sue mani scesero lungo la schiena pallida, disegnando movimenti circolari su quella pelle calda e morbida.

Rukawa si mosse ancora, sistemandoglisi meglio contro il petto.

Con la mano destra lui gli accarezzò i capelli, mentre l’altra continuava a scendere…

“Cosa stai facendo…” si sentì improvvisamente soffiare sul collo.

Ehm… cosa dire?!

“Niente, cercavo di farti rilassare…”

“Mi sembra che la cosa non abbia lo stesso effetto su di te” constatò l’altro, con lo stesso tono impassibile che avrebbe usato parlando del tempo.

Hanamichi arrossì; effettivamente ‘qualcosa’ era tutt’altro che a riposo… anzi, diciamo che era di vedetta da qualche minuto, riempiendolo di imbarazzo.

“Gli ho detto che non era il caso… non mi ha ascoltato!” provò a scherzare, sperando che non ci fosse abbastanza luce per rendere visibile il colore vermiglio del suo volto.

Kaede provò a scostarsi, ma lui lo trattenne:

“E’ naturale, Kae-chan, siamo adulti, stiamo… stiamo insieme, non dovrebbe essere qualcosa di cui vergognarsi” mormorò con voce inaspettatamente bassa.

L’altro tornò ad appoggiarsi a lui:

“Non credo di essere pronto”.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Hanamichi tornò a stringere le braccia intorno alla schiena del compagno:

“Possiamo anche rimanere così, non trovi? Non voglio certamente forzarti, anche se… beh, va bene, abbiamo ancora un mucchio di tempo, nessuno ci corre dietro, no?”

Rukawa annuì, pur essendo chiaro ad entrambi che il rossino non stava facendo altro che cercare di convincersi di qualcosa che ancora non riusciva a comprendere completamente…

E presto si arrivò alla seconda fase del torneo, che vide lo Shohoku affrontare delle squadre di altre prefetture, alcune delle quali gli diedero davvero parecchio filo da torcere. Più di una volta sembrò che la squadra non avesse alcuna possibilità di uscire vittoriosa dagli scontri, ma sembrava che all’interno del gruppo si fosse creata una strana alchimia, qualcosa che permetteva a ragazzi ostinati e spesso presuntuosi, di diventare un vero team, di collaborare e aiutarsi, nei momenti di difficoltà. E così lo Shohoku, insieme a Ryonan, Kainan e Suzuwa furono le squadre qualificate per le semifinali. Mai la fabbrica delle utilitarie si era ritrovata così in alto… e adesso doveva scontrarsi, sul parquet, con una concorrenza di altissimo livello. Tutti sapevano, e soprattutto i vertici della Shohoku Inc, che una vittoria non avrebbe avuto ripercussioni solo sportive, ma che avrebbe rilanciato l’immagine dell’azienda come neanche una campagna pubblicitaria su tutti i network nazionali sarebbe mai riuscita a fare. E poi perché, in caso, non utilizzare il basket come simbolo della compagnia?

Vista l’importanza che il torneo stava acquistando, i vertici delle quattro società decisero di organizzare una serata di presentazione delle squadre, pensando a questo evento anche come a un modo per presentarsi al meglio, cercando di impressionare i rivali e dimostrarsi i più forti.

“Ehi, avete sentito che per sabato sera è stata affittata la sala banchetti del Five Stars? Non posso credere che gli spilorci del consiglio di amministrazione siano arrivati a tanto!” esclamò Yohei, studiando il cartoncino di invito che aveva appena trovato nella sua cartella della posta aziendale.

“Aya-kun mi ha detto che il nuovo amministratore è meno spilorcio dei precedenti. Probabilmente non vuole sfigurare con quelli della Kainan Inc. Insomma, quelli ci vanno di carro armato… bisogna che ci corazziamo anche noi!”

“Battutona, Miyagi… ormai sei proprio uno stratega!” intervenne Mitsui, che, con la scusa di sporgersi per sottrarre il cartoncino dalle mani del nanetto, si era spalmato sopra al quattr’occhi.

“Di cosa state cianciando, dementi… il tensai è arrivato: tacete ed inchinatevi”.

“Ci mancava solo l’idiota! Sei in ritardo, stupida scimmia deficiente!”

“Ma… gori!! Mi hai fatto male…”

Nella concitazione della discussione, nessuno si accorse dell’occhiata preoccupata che Mitsui aveva rivolto a Rukawa, non appena questi aveva fatto il proprio ingresso nello spogliatoio…

Il sabato sera, Hanamichi si presentò puntuale sotto casa della kitsune; si era fatto un dovere di andarlo a prendere per poi fare un ingresso trionfale, insieme, nella sala principale del Five Stars. Certo, il fatto che, a parte il quattr’occhi, nessuno sapesse esattamente come stessero le cose, toglieva parte della soddisfazione di quella apparizione ‘congiunta’, ma non per questo il rossino era meno orgoglioso… sapeva bene che il fatto di costituire un muro intorno a Kaede Rukawa gli avrebbe comunque riservato parecchia considerazione tra gli altri invitati. Inoltre doveva esserci pure quell’orrido coso spinoso che era il presidente della Ryonan Inc. Sarebbe stato un vero piacere vederlo in disparte a ingoiare bile…

Suonò il campanello della casa di Kaede infilandosi tra le fronde del rampicante che copriva la recinzione… possibile che a nessuno fosse mai venuto in mente di potarlo? Gente strana…

Come da circolare della Direzione, quella sera tutti i giocatori dovevano indossare la divisa sociale, quella con il logo della Shohoku Inc. sul  taschino. Tutto sommato l’amministrazione non aveva lesinato sugli abiti, che infatti non erano proprio orridi, anzi… Hanamichi poteva quasi dire, o meglio, senza quasi, che quello era il vestito più elegante che avesse mai indossato: il completo era grigio scuro, la camicia celeste e la cravatta aveva sottili righe oblique grigio chiare su fondo nero. Quando si era visto allo specchio, più o meno un’ora prima, al rossino era quasi sembrato di essere pronto per un matrimonio… e questa idea se ne era trascinate dietro altre, finché alla fine non si era dovuto sedere per respirare lentamente e profondamente. L’immagine di lui con i capelli appena, e ad arte, brizzolati sulle tempie, di Kaede sempre meraviglioso e di tanti pargoletti dai capelli rossi e gli occhi blu era stata decisamente troppo!

Quando sentì il portone aprirsi, emise uno sbuffo fin troppo plateale:

“Pensavo che non saresti più sceso; il restauro è durato a lun…” e qui si fermò, senza neanche terminare la frase.

Se lui si era sentito quasi un adone, in quel completo elegante, Kaede era… era… era qualcosa di più!

“Sei… sei…”

“Chiudi la bocca, o ti ci entrerà una mosca!” lo riprese l’altro, al quale, evidentemente, l’emozione per quella serata non aveva migliorato i modi.

“STUPIDA VOLPE DEFICIENTE! Volevo farti un complimento, e tu invece sei sempre il solito yogurt!”

“Ecco, allora la prossima volta risparmiatelo. E adesso muoviti, che saremo gli ultimi”.

Hanamichi scosse la testa, ma poi gli tornò il sorriso: tanto lo sapeva che la sua era una volpe modesta e timida, e che la sua reazione estasiata doveva avergli fatto piacere!

Il tragitto fino al Five Stars fu piuttosto tranquillo. Kaede sembrava pensieroso, non aveva fatto altro che guardare fuori dal finestrino, e per qualche istante Hanamichi aveva pensato che forse il compagno non avesse poi tutta questa voglia di andare alla festa. Ad un certo punto era stato anche incerto se proporre di andarsene da qualche altra parte, infischiandosene della presentazione, ma poi si era fermato: quella era una occasione importante per loro, era impossibile che Kaede non volesse parteciparvi!

Lasciarono i cappotti al guardaroba ed entrarono nella sala già piena. Parecchi occhi si voltarono verso di loro, e lui sorrise ancora. Sapeva che quella sarebbe stata la reazione, e si sentiva orgoglioso e tronfio mentre avanzava in mezzo alla folla, cercando di raggiungere, con Rukawa che lo seguiva a pochi centimetri, gli altri compagni dello Shohoku.

Non aveva impiegato molto tempo a localizzarli: Mitsui aveva un bicchiere di qualcosa di trasparente in mano, e a Sakuragi non serviva una sfera di cristallo per capire che non si trattava di acqua, e manteneva la solita espressione distaccata, anche se quella sera sembrava anche un po’ preoccupato… possibile che qualcosa non andasse con il quattr’occhi?

Kogure però sembrava tranquillo: anche lui stringeva un bicchiere in mano, con qualcosa di rosa e un ombrellino. Sicuramente un analcolico.

E Akagi… come si faceva a non riconoscere Akagi? In quel momento sembrava un totem grigio, bardato in quel completo che lo rendeva ancora più rigido. Ah, e c’era anche Haruko… da brava sorellina aveva accettato di accompagnare il gorilla.

Yohei, Takamiya, Okuso e Noma stazionavano dal lato del buffet, con il cambusiere della squadra sempre pronto a riempirsi il piatto con tutto quello che i camerieri mettevano a disposizione.

E poi c’erano Miyagi e quella brunetta dai capelli ricci, sì, la segretaria dell’amministratore, Ayako. Chissà come era riuscito, il nanetto, a convincerla ad andare con lui…

“Ehi sfigati! Sentivate la nostra mancanza, vero? Serata fiacca, ma ora ci si comincia a divertire!”

“Kaede, perché non sei venuto da solo, invece di trascinarti questa zavorra?” Mitsui rispose direttamente a Rukawa, facendo finta che il rossino non avesse neanche parlato.

“Oi, sdentato, guarda che stavo parlando io!”

Hisashi si voltò verso Akagi:

“Senti anche tu una mosca fastidiosa? Dovremmo chiedere un po’ di DDT…”

E il gorilla rise… qualcosa di realmente inquietante!

“Ma tu non mi difendi?” si lamentò Hanamichi, voltandosi verso Rukawa, e trovandolo impegnato in uno scambio di frasi appena sussurrate con Ayako: “Ehi, bella… vedi di schiodare! – il rossino riprese subito la segretaria, e, non potendo portare la vera ragione, dopo qualche istante di meditazioni aggiunse – Hai già il tappo. Qui non siamo in Mormonia, la poligamia è illegale!”

“Finché non sarò sposata, ho tutto il diritto di cercare di conquistare Rukawa-kun!” gli ribatté immediatamente la ragazza, strizzando però contemporaneamente l’occhio a Ryota.

Proprio in quel momento, il presidente della Suzuwa prese il microfono per il discorso di circostanza. Nella sala scese il silenzio, mentre l’uomo parlava del valore dello sport, dell’impegno delle quattro società nella costruzione di nuovi spazi attrezzati nella periferia della città, di un match come parabola di vita, bla, bla, bla.

“Smettila di sbadigliare, do’aho!”

“Parli tu, che stai in piedi con gli occhi chiusi… pensavo che ci riuscissero solo i cavalli!”

“Schhhhh! Volete stare zitti?” e questa era Ayako.

“Perché ‘sto tizio è sempre così palloso?” i due yen di Mitsui.

“Ho fame…” Takamiya.

“Se non la piantate, do un pugno in testa a tutti quanti!” ruggì Akagi.

E alla sua voce cavernicola si voltò quasi l’intera assemblea, indirizzandogli un ‘SILENZIO!’ feroce.

Ben gli stava al gorilla, così imparava a rompere sempre le scatole!

“E adesso vorrei invitare i quattro capitani per una stretta di mano” concluse il Presidente della Suzuwa.

Akagi, Uozumi, Kiyota e Takeo salirono sul palco, facendo a gara per chi dava la stretta più virile, con Akagi che riuscì a sfoderare un sorriso stoico mentre Uozumi gli stritolava l’arto.

“Temo proprio che ci siamo giocati i gorilla dunk…” commentò Yohei per tutti.

Dopo il brindisi al ‘vinca il migliore’ pronunciato dai quattro presidenti, la gente cominciò a mescolarsi nella sala, con i giocatori che non persero occasione di scambiarsi battute su come i loro rispettivi team avrebbero stracciato la concorrenza.

Hanamichi notò con sempre più fastidio che il presidente-giocatore del Ryonan sembrava non staccarsi mai dal fianco di Rukawa, nonostante il viso del volpacchiotto mostrasse indubbiamente parecchio fastidio. Più di una volta il rossino tentò di avvicinarsi per salvare il compagno, ma sembrava che ci fosse sempre qualcosa ad ostacolarlo… le chiacchiere di Yohei, le sfide di Takamiya, gli insulti appena velati di Mitsui, e lui continuava a rimanere ancorato al gruppo dello Shohoku, mentre quell’orrido porcospino con i capelli a punta sorrideva, parlava, sorrideva, ingollava bicchieri di champagne, sorrideva… aveva già detto che Sendoh continuava a sorridere? Ormai Hanamichi sentiva un fastidio, un prurito nelle mani appena fissava lo sguardo sul Presidente del Ryonan Inc., che a fatica riusciva a mantenere la calma e a non strangolarlo lì, davanti a tutti. Peccato dover mantenere la calma… faceva bene ad odiare tutte quelle occasioni sociali!

E improvvisamente, dopo più di cinque minuti in cui aveva dovuto prestare attenzione ad Haruko, che cianciava qualcosa riguardo agli ingredienti del ponce, si accorse che Kaede e Sendoh non erano più nella sala…

“Dove diavolo sono andati!” sibilò, senza rivolgersi a nessuno in particolare.

“Hanamichi, calmati… di cosa stai parlando?” Kogure gli si era avvicinato, preoccupato nel vedere l’improvvisa rabbia dell’amico.

Lui si voltò verso il quattr’occhi, stringendo i pugni:

“Erano qui, due minuti fa, e adesso non ci sono più! Devo trovarli, chissà quel… quel porco…” e non terminò la frase, camminando in fretta, con decisione, verso l’uscita.

Appena arrivato all’esterno, l’aria gelida lo calmò un po’, ma la rabbia tornò non appena vide Akira Sendoh, con la mano sul braccio di Rukawa, che gli sussurrava qualcosa a breve, troppo breve, distanza dal viso.

“Togligli immediatamente le mani di dosso, imbecille!” urlò Hanamichi, cercando di mettersi in mezzo ai due.

Sendoh si voltò verso di lui, e rise:

“Di nuovo tu? Pensavo che avessi capito che sei solo un perdente… Kaede ti ha parlato una volta, e adesso pensi di contare qualcosa per lui? Torna a giocare con i tuoi amici, qui sei assolutamente di troppo!”.

“Sembra che l’ultima lezione non ti sia bastata, stronzetto viziato – gli ribatté Hanamichi, spingendolo via puntandogli le mani sul petto – E adesso vattene, Kaede e io dobbiamo tornare dentro”.

“Sei molto sicuro di te, eh? E’ quasi comico… pensi di essergli tanto vicino, e invece non sai niente. E’ davvero divertente! Kaede… - e si rivolse a Rukawa - …non mi dire che questo scimmione pensa veramente che a te importi qualcosa di lui?”

“Ti ho già detto di lasciarmi stare, Sendoh. La mia vita non è affar tuo”.

“Anche quando ti butti via con un rifiuto come quello? Pensi che tuo padre apprezzerebbe questa tua scelta?” e il Presidente del Ryonan scosse la testa e scoppiò a ridere, rendendo fin troppo evidente, con il suo tono di voce elevato, il numero eccessivo di alcolici che doveva aver consumato durante la serata.

“Stupido porcospino, adesso mi hai proprio stufato! Ti ho detto di andartene. Lasciaci in pace, né io né Rukawa ti vogliamo nella nostra vita. Perché non torni con i figli di papà come te, e non la pianti di starci sempre intorno… sei veramente patetico!” sbottò Hanamichi, che ormai faticava sempre di più a dissuadere il suo pugno dal desiderato incontro ravvicinato con la mandibola di Akira Sendoh.

“Come ti senti sicuro, eh, idiota? Certo… nella tua ingenuità pensi di aver trovato il paradiso. Sarà davvero dura quanto ci sarà il risveglio… mi viene quasi il desiderio di accelerare la cosa!”

“Sakuragi, andiamo. E’ inutile rimanere qui, è ubriaco…” intervenne Rukawa, voltando le spalle al Presidente del Ryonan e dirigendosi verso l’entrata.

Ma Hanamichi non poteva permettere che quello stronzo avesse l’ultima parola. E poi cosa voleva dire tutto quel discorso? Cosa c’era che lui non sapeva?

“Porcospino, ormai parli a vanvera, eh? L’alcool ti ha bruciato il cervello, e in quella scatola che chiami testa ti è rimasta solo cenere. Mi dispiace per te: hai perso e non sei neanche abbastanza uomo da accettarlo! Mi fai pena…” e gli voltò anche lui le spalle.

L’altro, però, lo afferrò per il braccio, obbligandolo a girarsi:

“Tu invece ti senti molto uomo, eh? Molto sicuro di te… uno stupido operaio senza alcuna speranza, senza alcuna prospettiva se non quella di passare dalla verniciatrice alla pressa, e che spera di legare la sua vita a Kaede Rukawa… mi viene davvero da ridere!”

“Ti viene mai il dubbio che ci sia gente per la quale questo sia abbastanza?” il sibilo stavolta venne da Rukawa, anche lui piuttosto alterato, nonostante il solito tono apparentemente imperturbabile.

“Come se non ti conoscessi! Certo, puoi rinunciare a molto, ma in fondo un po’ viziato lo sei anche tu, no? Non credo che reggeresti a lungo la vita nella topaia che questo fallito potrebbe offrirti… oppure saresti tu a mantenerlo? Beh, in questo modo avrebbe davvero vinto la lotteria!”

“Sei davvero più idiota di quanto credessi… non solo fai truccare le partite per sembrare il miglior giocatore del Giappone, ma te ne esci pure con queste stronzate perché non sai accettare che non tutti sono disposti a vendersi l’anima per i soldi. Beh, impara che ci sono persone che si accontentano di poco e sono felici lo stesso! Kaede, adesso andiamo via” e Hanamichi si avvicinò al compagno.

“Ci saranno anche persone così, sgorbio, ma non Kaede Rukawa… Non credo che tu possa tenere tanto a questo scimmione – aggiunse ancora Sendoh, rivolgendosi al moretto – se non gli hai neanche detto chi sei veramente. Cos’è, hai trovato un giocattolone un po’ stupidotto, e intendi divertirti ad illuderlo finché la vita dell’operaio non ti avrà stancato? Non sa che appena ti sarai stufato tornerai al Country Club, alle partite a golf con gli amici di tuo padre, alle regate? Povero stupido Hanamichi Sakuragi: una divertente novità pronta ad essere accantonata quando finalmente tornerai in te. Sai benissimo che non potrai mai condividere niente con una persona così, è questione… – e qui il presidente del Ryonan squadrò Hanamichi da capo a piedi – …di livello”.

“Che diavolo stai dicendo, imbecille!” e stavolta il rossino afferrò il rivale per la camicia.

“Sendoh, stai zitto!” cercò di intervenire Rukawa.

“Ma perché… sarà così divertente vedere la sua espressione estatica quando crederà di aver vinto il primo premio alla pesca di Natale! – e quindi il porcospino, come lo chiamava Sakuragi, si voltò verso il rossino – Kaede Rukawa, così fine, così elegante, così riservato… non ti sei mai chiesto perché abiti in un appartamento lussuoso come quello? – e rise vedendo l’espressione stupita di Sakuragi – Già, ci sei mai entrato, stupido scimmione? Evidentemente con tutta la sua ‘amicizia’ per te, non te ne ha mai considerato degno. E la jeep? Non ti stupisce che un operaio così giovane abbia una macchina così costosa? Lo sai quanto costa un’automobile come quella? Ma già, al massimo tu puoi aspirare ad una bicicletta, con quello che guadagni!”

“Il padre…” boccheggiò Hanamichi.

“Sì, è vero, gliel’ha regalata il padre… un padre molto ricco, un padre che ha da poco rilevato la Shohoku Inc., un padre che possiede alcune delle società più in vista del Giappone, un padre che forse dovresti aver sentito nominare. Ma forse, nella periferia in cui vivi, non è ancora arrivato il nome di Takeo Akuzawa…”

E invece anche ad Hanamichi era giunto quel nome, quello del nuovo Presidente della Shohoku Inc, il re dell’acciaio che aveva deciso di cominciare ad investire nel mondo dell’automobile.

“Cosa c’entra Akuzawa con Rukawa…” riuscì a mormorare faticosamente.

“Semplice: il tuo Kaede ha deciso di mantenere il nome della madre, quando suo padre lo ha riconosciuto. Entrambi orgogliosi, madre e figlio! E adesso… adesso che hai capito, ti toglierai finalmente dai piedi, bifolco?” e Sendoh rise ancora, una risata falsa, fatta con gli occhi fissi in quelli di Rukawa, quasi che improvvisamente gli fosse venuta paura di aver detto troppo, di aver esagerato a rivelare tutto contro la volontà dell’altro.

“Hanamichi…” mormorò Kaede, allungando il braccio per sfiorarlo.

Sakuragi sollevò lo sguardo dall’asfalto, gli occhi che mostravano incredulità e delusione. Ci mise qualche istante per rispondere, prolungando quel silenzio carico di tensione:

“E’… è vero?” chiese, guardando dritto in faccia quello che non riusciva a capire se fosse ancora il suo volpino, oppure un completo estraneo.

Anche Rukawa non rispose subito, ma poi la sua voce si levò decisa:

“Sì, è vero, ma posso spiegarti…”

L’altro però lo interruppe:

“Vattene. Non voglio più vederti… siete degni l’uno dell’altro”.

“Hanamichi…” tentò ancora Rukawa, ma il rossino lo scansò con decisione, e senza aggiungere altro li lasciò entrambi lì, finalmente liberi di ridere di lui…

Dovevano aver aspettato quel momento per settimane.

 

Fine Terza Parte

 (*) Brian A. Kinney e Justin Taylor, episodio 11 (mi pare) della seconda serie di Queer as Folk.

 

 


 

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