Una
Alternative Universe per un’occasione speciale e per due amiche
speciali…
Tantissimi
e affettuosissimi auguri di Buon Compleanno a Nausicaa e Calipso!!!
A loro è dedicata questa fic che sviluppa una vecchia idea di cui
avevamo parlato insieme tanto tempo fa.
Un
baciotto a Ria e Sabry.
Buona
Lettura.
Catena
di Montaggio
Parte
II
di
Greta
Quella
sera, in palestra, gli sguardi scambiati tra Hanamichi e Kogure
suscitarono la curiosità generale: sembrava che i due non
potessero fare a meno di sussurrarsi frasi non appena si
ritrovavano vicini, e poi scoppiavano a ridere per niente. Se il
rossino sembrava rientrato nel suo umore buffonesco, che gli altri
avevano notato latitare negli ultimi giorni, vedere il posato
quattr’occhi scoppiare a ridere ed arrossire per un niente,
lasciò tutti i compagni piuttosto stupiti.
"EHI!!
La volete piantare, voi due?!" li riprese ad un certo punto
il gorilla, minacciandoli con il suo famoso pugno.
"Non
abbiamo fatto niente!!" si difese Hanamichi, che poi portò
lo sguardo sul quattr’occhi e scoppiò a ridere.
"Che
ti prende?! Pensavo fossi più serio… ti sei fatto portare sulla
cattiva strada da quel deficiente!" continuò il capitano,
rivolgendosi al suo vice, scuotendo la testa.
Kogure
non riuscì a rispondere, era incredibile come non riuscisse a
fermare le risate, quella sera. Ogni volta che riusciva ad
avvicinarsi ad Hisashi e a scambiarci qualche parola, si ritrovava
lo sguardo ammiccante di Hanamichi addosso, e allora non poteva
far altro che arrossire e ridere. La cosa stava diventando un po’
imbarazzante, soprattutto considerando che lo sfregiato poteva
pensare che stesse ridendo di lui… ecco, e adesso lo chiamava
pure ‘lo sfregiato’, come il tensai! Doveva assolutamente
cercare di riprendersi.
Vide
Hanamichi saltare per un blocco su Rukawa, e i due cadere a terra,
ovviamente il rossino sopra il suo volpacchiotto, e stavolta fu
lui a non poter trattenere una lunga occhiata con il sopracciglio
sollevato. Sorrise quando vide il compagno sollevarsi all’istante,
portandosi il braccio dietro la testa, in quel gesto che per
Sakuragi era chiaro segno di imbarazzo.
Era
la terza volta che finiva addosso alla kitsune, e Hanamichi non lo
stava neanche facendo apposta… era solo che quando gli si
trovava vicino non riusciva più a ragionare, e così finiva per
sbagliare il tempo degli interventi e franargli addosso. Si era
pure accorto che, cadendo male, a Kaede era anche venuto un livido
appena sopra il gomito, accidenti!
"Stai
attento, do’aho!" gli sibilò ad un certo punto Rukawa,
asciugandosi il sudore con la fascetta di spugna nera che teneva
sull’avambraccio.
"Sei
tu che sembri fatto di cristallo!" si difese lui, mani sui
fianchi, fingendo di essere ugualmente infastidito da quello che
stava accadendo.
Ripresero
a giocare e Hanamichi tentò di essere più attento, sebbene
sentisse di non essere nel pieno delle proprie facoltà mentali
ogni volta che si trovava a marcare la kitsune, e poi certamente
le occhiate lanciate dal quattr’occhi non lo aiutavano… almeno
Kogure-san fosse servito ad allontanare la minaccia di Mitsui!
Terminato
l’allenamento, e considerando che le successive due settimane
sarebbero state dure, visto che poi sarebbe cominciato il
campionato vero e proprio, il capitano decise di invitare la
squadra a rilassarsi in un pub. Una occasione d’oro per
Sakuragi, che finalmente vedeva la possibilità di passare del
tempo con Kaede lontano da palloni da basket e da verniciatrici.
Si accorse però che, prima di accettare, i due nuovi acquisti
avevano parlato brevemente fra loro, e gli sembrò di intuire che
la spinta ad andare fosse arrivata dallo sfregiato. La prima cosa
di cui ringraziarlo…
Quando
entrarono nel ritrovo buio e fumoso dei peggiori scaricatori di
porto di Yokohama, il rossino pilotò la cosa in modo da scivolare
nel sedile dopo il volpacchiotto, stringendolo contro il muro…
era stata una mossa abilissima, adesso lui sarebbe stato il suo
unico contatto con il mondo.
E
poi Kogure teneva contemporaneamente sotto controllo lo sfregiato…
controllo che sembrava reciproco, visto che stavolta era stato
Mitsui a piazzarsi, tipo cozza, accanto al quattr’occhi.
Ordinarono
le birre, e cominciarono a parlare del campionato imminente,
ovviamente argomento preso dal gorilla. Dopo aver malignato
abbondantemente su tutti i giocatori delle squadre che avrebbero
incontrato, suscitando curiosità, ma anche sorrisi divertiti nei
due pivelli, passarono ad argomenti più interessanti…
Miyagi
cominciò a parlare di Ayako. Hanamichi, seduto vicino a Rukawa,
si accorse di un moto di sorpresa nel volpino, quando venne tirato
fuori il nome della segretaria del nuovo amministratore delegato
(prima era una normale segretaria addetta alle paghe… un bel
salto di qualità!), e per un istante si preoccupò che l’altro
fosse interessato alla ragazza, oppure alle ragazze in generale.
Insomma, lui ancora non sapeva nulla dei suoi gusti, no?! Questo
poteva rivelarsi un problema…
Nel
mezzo del discorso su Ayako, Kogure chiese ad Akagi come stava
Haruko, provocando uno scoppio di ilarità in tutti i giocatori
storici dello Shohoku.
"Che
succede?" chiese Mitsui, sorridendo, ma non capendo bene cosa
avesse causato l’improvvisa allegria.
"Niente…"
gli rispose il quattr’occhi, che era arrossito per il fatto che,
nel far la domanda, lo sfregiato si fosse chinato su di lui,
fermandoglisi a meno di due centimetri.
Sicuramente
doveva averlo fatto solo per superare il rumore del locale!
"Il
nostro Tensai aveva una cotta per la sorella del capitano!"
spiegò, servizievole, Miyagi, felice di poter ricambiare le
battute ricevute sul suo amore non corrisposto per Ayako.
"TU
NON TOCCHERAI MAI MIA SORELLA, CAPITO?!" tuonò Akagi, deciso
a mettere le cose in chiaro sin da subito.
"Ah,
allora c’è una ragazza…" mormorò Rukawa, la sua voce
morbida abbassata in un sussurro appena percettibile.
Hanamichi
però lo sentì, e cominciò a scuotersi le mani davanti al viso:
"Nononono!!
Non è così… è stata una breve infatuazione, niente di
importante! Sono assolutamente libero!!" specificò, senza
curarsi dello sguardo infuriato del capitano, che non doveva
essere stato molto felice di sentir chiamare l’amata sorella
minore ‘niente di importante’.
"Ehi,
ma perché ti agiti tanto?!" lo prese in giro Mitsui, che
sembrava avere il ghigno divertito di chi la sa lunga.
"Non
mi sto mica agitando… sono perfettamente calmo e tranquillo. E
tu, invece? Nessuna avventura da raccontarci, sfregiato?"
Hanamichi
sperava di aver finalmente trovato il modo giusto per mettere a
posto quell’idiota, e nello stesso tempo per ottenere qualche
informazione.
Mitsui
esibì un sorrisetto sardonico:
"Niente
che voi poppanti possiate sentire…"
Uno
dei boccali finì sul pavimento… tutti si girarono e Kogure,
rosso in viso come un pomodoro per quello che aveva fatto, si
scusò, per poi allontanarsi e avvertire una delle cameriere.
Voltandosi
verso lo sfregiato, Sakuragi, deciso a fulminarlo con uno sguardo
omicida per essere stato così insensibile con il povero quattr’occhi,
si accorse però che l’atteggiamento sardonico tenuto fino a
pochi secondi prima da Hisashi Mitsui aveva lasciato il posto ad
uno sguardo perso, a qualcosa di triste nella sua espressione. Non
per la prima volta, al rossino sembrò che forse Kogure-san poteva
avere qualche speranza… non come lui, che non riusciva a
scambiare due parole con la sua kitsune senza che la frase
includesse insulti e preludesse allo scontro fisico. Si voltò
appena verso il ragazzo sedutogli di fianco, e notò che anche lo
sguardo di Rukawa era fisso sullo sfregiato, sembrava uno sguardo
pensieroso, come se anche lui avesse capito qualcosa in più del
suo amico, quella sera, e che la scoperta lo avesse lasciato un po’
sconcertato. Sì, sconcertato, non triste, umiliato, geloso.
Improvvisamente, dopo giorni e giorni di dubbio, ad Hanamichi
sembrò di essersi davvero preoccupato per nulla…
"Un
brindisi… - propose, non appena Kogure fu di nuovo seduto al
tavolo, con un bicchiere di succo d’arancia davanti - …un
brindisi al campionato, e alla squadra che vincerà!"
Tutti
alzarono i bicchieri, preparandosi a brindare alla russa, dallo
slancio che sembravano prendere per toccare i calici altrui:
"Che
la nostra squadra possa essere ogni giorno più unita!"
aggiunse sempre il rossino, dando inavvertitamente una botta col
ginocchio contro la gamba del volpino.
Quando
finalmente i ragazzi uscirono dal locale, ritrovandosi avvolti
dall’aria fredda e umida che presagiva pioggia, cominciò il
solito rito dei saluti, del ‘io vado in questa direzione,
qualcuno fa la mia stessa strada?’, e così Akagi si avviò da
solo verso la metropolitana, Miyagi e Yasuda si incamminarono
verso la stazione della linea gialla, e Kogure cominciò a
valutare le tre possibilità che aveva per raggiungere il suo
appartamento, finendo per scegliere quella che Hisashi gli propose
come comune. Rimasero fermi davanti al locale solo Hanamichi e
Kaede Rukawa:
"Ehi,
kitsune, tu da che parte vai?" chiese il rossino, osservando
le nuvolette bianche che formava con il respiro.
Il
compagno indicò genericamente verso la strada che portava verso
il centro della città.
"Vai
a piedi? Perché anche io vado da quella parte…" ok, la sua
casa era esattamente dal lato opposto, ma insomma… se non
approfittava delle rare occasioni che avevano di stare insieme,
come poteva pensare di arrivare a conoscerlo meglio, e quindi a
capire quanto fossero forti i sentimenti che lo spingevano verso
di lui?
"Hn!"
"Sempre
logorroico, eh? Comunque, visto che mi sento molto generoso, farò
la strada a piedi con te… ricordati che è universalmente
considerato un onore godere della mia compagnia e della mia
protezione!"
"Do’aho!
– possibile che il volpino avesse un vocabolario così limitato?
– Io non ho bisogno della protezione di nessuno!"
Ah,
ma allora qualche parola la conosceva!
Il
cielo sembrava limpido: nonostante la luce dei lampioni, si
vedevano le stelle e la falce sottile della luna. Atmosfera
romantica… ora doveva solo arrivare a catturargli un braccio
sotto il proprio…
"C’è
tutta la strada… potresti evitare di oscillare e sbattermi
addosso come un ubriaco?"
"Attento
che ti si seccherà la gola a parlare tanto!"
E
così Hanamichi dovette abbandonare il piano A. Peccato che non ci
fosse un piano B di riserva, però.
Camminarono
in silenzio, e ormai dovevano essersi avvicinati abbastanza alla
casa di Rukawa, a meno che il tipo non vivesse su Giove, quando
sentirono delle voci provenienti da uno dei vicoli che si aprivano
sul lato della strada maestra.
"Hai
sentito?" il rossino si era fermato immediatamente. Per tanto
tempo aveva guidato la Sakuragi Gundan, e sapeva riconoscere
benissimo quando c’era odore di rissa… lo sentiva a chilometri
di distanza.
"Sì,
ho sentito…"
Anche
la kitsune si era fermata, però sembrava incerta, guardò l’orologio:
"Si
è fatto tardi…"
"Magari
c’è qualcuno in pericolo! Un bambino che ha bisogno di aiuto,
una mamma che sta tornando dal lavoro, un nonno assalito dai ladri…"
"Un
regolamento di conti tra yakuza, un litigio tra fidanzati, un
gruppo di ubriachi…"
"Zitto,
volpino! Non capisci che, quando il pericolo chiama, il tensai
deve rispondere?!" possibile che quel demente non
comprendesse il pathos di quel momento? Ok, mancava la cabina
telefonica da cui uscire con il completino di latex e il
mantellino rosso, ma comunque loro erano sempre i supereroi della
notte… o almeno il tensai lo era!
Afferrò
con decisione il polso di Rukawa, trascinando il ragazzo lungo il
muro, fino ad affacciarsi con cautela nel vicolo da cui avevano
sentito provenire i rumori:
"Altolà!
Polizia!!!" urlò poi, stringendo la presa sul braccio del
compagno.
"Che
diavolo dici…" gli sibilò l’altro, cercando di liberarsi
dalla morsa.
"Schhhhh!!
Siamo in missione per conto della Giustizia! Non ostacolare il
nostro lavoro".
"Aiuto…"
arrivò un mormorio, che sembrava provenire da un punto
imprecisato, qualche metro più avanti.
Hanamichi
si voltò verso Kaede:
"Joe…
devo andare, anche se la missione è pericolosa. Ricordati sempre…
ricordati che io…"
"Do’hao!
– lo interruppe l’altro, visibilmente seccato – Smettila di
fare il cretino e andiamo a vedere!"
E
stavolta fu Rukawa a trascinarlo per il braccio… che ragazzo
impavido che si era scelto!
Trovarono
una donna anziana in terra, evidentemente scivolata sul ghiaccio:
"Ah,
per fortuna che siete arrivati voi! Non riesco ad alzarmi… ho
sbattuto e non riesco a muovermi…" e la donna portò la
mano sull’anca, stringendo gli occhi come per trattenere un
lamento.
"Signora,
ci dica cosa le è successo…" stavolta il tensai si era
trasformato nel commissario di polizia pronto ad aprire le
indagini.
"C’erano
dei ragazzi che correvano con le moto… mi sono spaventata e ho
messo il piede in fallo" spiegò la donna, aggrappandosi alle
spalle di Kaede, che si era chinato per aiutarla.
"E
non si sono fermati?" continuò Hanamichi, al quale mancavano
solo il blocco e la penna.
"No,
no… fortunatamente sono andati via. Avevano delle facce…"
e la donna fece una smorfia di paura. Ok, i tipi dovevano
somigliare ad Hisashi. Il giorno dopo lui avrebbe controllato l’alibi
dello sfregiato. Chissà che…
"Invece
di far domande idiote, chiama un’ambulanza!" lo riprese la
kitsune, guardandolo male.
"E
come la chiamo? Mica c’è una cabina, qui!"
L’altro
gli lanciò il cellulare, ma la donna li interruppe ancora:
"Non
fate venire un’ambulanza per un’inezia… posso farcela, il
pronto soccorso non è lontano. Se solo poteste aiutarmi ad
arrivare fin lì…"
Kaede
da una parte e Hanamichi dall’altra, sostennero la donna,
cercando di non far gravare il peso sul lato dolorante. L’ospedale
sicuramente era più vicino a parole che nella realtà, ma alla
fine riuscirono a raggiungerlo. All’accettazione, le infermiere
si presero subito cura della donna, che li lasciò ringraziandoli
ancora. Quando loro le chiesero chi potevano avvertire per venire
ad assisterla, lei scosse la testa, sorridendo:
"Oggi
siete solo voi i miei angeli custodi. Avete già fatto tanto, me
la caverò – guardò le infermiere, che l’avevano fatta
sdraiare su una delle barelle – Sono in buone mani,
figlioli!"
I
due rimasero nella hall dell’ospedale, senza neanche riuscire a
guardarsi. Con le mani in tasca, erano il ritratto dell’incertezza.
Fu Hanamichi il primo a rompere il silenzio:
"Sembrava
la vecchia delle favole… mi dispiace un po’ lasciarla
sola" bofonchiò, osservando con attenzione il pavimento.
"Abbiamo
fatto quello che potevamo" gli rispose, pragmatico, Rukawa,
appoggiandosi però con la schiena contro il muro.
Rimasero
senza parlare per altri dieci minuti, poi il rossino sbottò:
"Fanculo!
Io non la lascio qui da sola! Rimarrò per controllare come vanno
le cose… le farà bene sapere di avere qualcuno che pensa a lei
– poi si voltò verso il compagno – Tu puoi andartene a casa,
se vuoi. Non è mica necessario che ci stiamo in due".
L’altro
non rispose, poi, dopo un po’, sollevò la testa:
"Se
ci puoi stare tu, posso starci anche io" constatò,
scivolando su uno dei sedili di plastica.
Hanamichi
voltò la testa dall’altra parte, cercando di nascondere il
sorriso: era contento della decisione di Rukawa, gli faceva
pensare che fosse proprio la persona che lui credeva.
Improvvisamente,
osservando la reception, si rese conto di una cosa che gli era
sfuggita sino a quel momento, forse a causa del fatto che non
girava spesso in quella zona della città, forse perché il
tragitto che avevano fatto insieme alla donna lo avevano percorso
solo seguendo le sue indicazioni…
"Ehi…
ma questo è l’ospedale di mia madre!" sussurrò stupito.
La sigla era proprio quella, e sua madre doveva essere lì! Per
guadagnare qualche yen in più, lei si rendeva sempre disponibile
per i turni di notte, stancandosi tantissimo, molto di più di
quanto il figlio riuscisse a sopportare. Aveva cominciato a
lavorare in fabbrica proprio per alleggerirla di un po’ di
lavoro, ma c’erano sempre così tante spese, e la crisi
economica non aveva fatto che aggravare la situazione, e così i
loro due stipendi insieme sembravano a stento sufficienti per
sopravvivere.
Rukawa
lo stava guardando, ma non commentò le sue parole.
"Forse…
forse potrei chiederle di tenerci informati, probabilmente a lei
diranno qualcosa in più" Hanamichi si alzò in piedi e
raggiunse di nuovo il banco dell’accettazione. Non ci volle
molto perché sua madre fosse chiamata al telefono, e dopo pochi
minuti li raggiunse nella sala d’aspetto:
"Non
potevo crederci quando mi hanno detto che eri qui! Che ti
succede?"
La
signora Sakuragi, una bella donna dall’aria energica e pratica,
e dai lunghi capelli scuri strettamente legati in una treccia, si
rivolse al figlio senza troppe smancerie.
"Io
e… il mio amico Rukawa – gli sembrava veramente strano
introdurlo così, ma non voleva sminuire quello che stava cercando
di instaurare tra loro presentandolo come un collega di lavoro –
abbiamo trovato una signora in difficoltà: era scivolata a terra
per il ghiaccio, e le faceva male un’anca. Abbiamo deciso di
portarla qui… pensa che all’inizio non avevo neanche
riconosciuto che fosse il tuo ospedale!"
La
donna scosse la testa:
"Sei
sempre il solito distratto! – gli si avvicinò per poggiargli
per un istante la mano sui capelli – Volete sapere come sta?
Ditemi il nome e proverò a chiedere" e si girò anche verso
il moretto che era rimasto seduto durante l’intera
conversazione.
A
questo punto, Rukawa si alzò in piedi, inchinandosi:
"La
ringraziamo molto, signora Sakuragi. Eravamo entrambi preoccupati…"
La
madre di Hanamichi rise:
"Non
essere così formale, Rukawa-kun, e chiamami Kyoko. Tutti gli
amici di mio figlio mi chiamano così" e, con naturalezza,
gli scansò i capelli dalla fronte.
Il
rossino, pur mantenendo un sorriso di plastica, in realtà era
piuttosto sulle spine… insomma, come poteva aver preso la
kitsune il fatto di essere presentato come amico? E poi sua madre
era una persona molto poco formale, mentre, dal poco che aveva
capito, Rukawa era piuttosto riservato… si girò a guardarlo:
"La
donna è stata appena portata in ortopedia, alla reception
dovrebbero avere il nome".
Una
volta che la madre si fu allontanata, lui si sedette accanto al
compagno:
"Sono
sicuro che adesso sapremo tutto… e visto che c’è mia madre,
potremo lasciare a lei il compito di controllare che tutto si
risolva per il meglio".
Kaede
annuì, appoggiando la nuca contro la parete e chiudendo gli occhi
per qualche secondo…
"Stanco?"
provò a chiedergli Hanamichi, sperando di non sembrare troppo
pressante.
"Oggi
ho dormito poco".
Ehm,
non era la risposta che si aspettava, e non era una risposta che
potesse fargli piacere… perché aveva dormito poco? Come aveva
passato la nottata? Dove, con chi?!
"Ah…
beh, vedi di non addormentarti qui, non ho intenzione di portarti
a casa in braccio!" ribatté acidamente, anche se la
prospettiva non lo disgustava poi così tanto.
In
quel momento la signora Sakuragi ricomparì davanti a loro:
"E’
stata portata in sala operatoria, ma è davvero un intervento di
routine. Rimarrà sotto anestesia tutta la notte… potete tornare
a casa, magari venire a trovarla domani, durante l’orario di
visita, se siete così preoccupati. Io le darò un’occhiata, è
in buone mani".
I
due ragazzi si scambiarono una rapida occhiata: entrambi non
sapevano esattamente cosa fare. Erano arrivati lì appresso alla
donna, poi avevano deciso di rimanere per farle da angeli custodi,
adesso l’idea che il loro slancio non fosse necessario li
lasciava un po’ spiazzati, e anche un po’ ridimensionati nel
loro ruolo di eroi senza paura, di protettori dei deboli.
"Davvero…
andate a casa, domani è un giorno lavorativo! E poi tu – e
Kyoko Sakuragi si rivolse al figlio – ci metterai una vita a
tornare, visto che stiamo dal lato opposto della città. In
ospedale ho già abbastanza incombenze, non mi far preoccupare per
te e fila a casa!"
Hanamichi
esibì una faccia seccata, la tipica espressione dei ragazzi
quando non vogliono che le madri li tiranneggino e trattino come
bambini davanti agli amici, ma alla fine cedette, si alzò in
piedi e le diede un bacio sulla guancia:
"Ok,
ma lasciami un biglietto, quando torni a casa, così prima di
uscire potrò leggerlo!"
Anche
Rukawa si alzò in piedi, ripetendo l’inchino:
"Grazie,
signora… Kyoko: sapere che c’è una persona come lei a
vegliarla non può che tranquillizzarci".
"Uh,
che ragazzo beneducato!! E anche molto bello… Perché non me ne
avevi mai parlato, Hana-kun? E adesso andate, ormai siamo d’accordo!"
Ancora
una volta i due ragazzi si ritrovarono da soli in strada.
Camminarono in silenzio, con Hanamichi che seguiva i passi del
compagno con le mani in tasca e perso nei propri pensieri. Gli era
piaciuto quello che aveva detto la madre, l’approvazione che
aveva dato a Rukawa, gli sembrava la conferma di aver fatto la
scelta giusta, eppure i problemi erano ancora tanti…
"Avevo
capito che anche tu abitavi da queste parti… ma tua madre ha
detto che state dall’altro lato della città".
Ehm,
ecco… la madre aveva detto delle belle cose, ma anche qualcosa
di troppo!
"Beh…
- come sempre quando era in imbarazzo, si portò la mano dietro la
testa - …diciamo che non abito esattamente da queste parti"
ecco, era stato pacato e definitivo, e adesso la sgradevole
discussione era chiusa!
"E
allora perché sei venuto qui?" Rukawa scosse la testa
"Se abiti da tutt’altra parte, non vedo il senso di fare
tutta questa strada. E’ un’altra delle tue idee da tensai?"
Ah,
il volpacchiotto insisteva! E aveva pure ritrovato la voce…
"Non
volevo farti fare la strada da solo".
L’aveva
detto! Non poteva crederci…
La
kitsune sollevò lo sguardo su di lui. Era difficile capire quali
pensieri, quali emozioni si nascondessero dietro le sue occhiate
impassibili, era come se il lavorio del suo cervello non
trapelasse assolutamente nelle espressioni del suo viso.
"Insomma…
le strade di notte sono pericolose! Non volevo che potesse
succedere qualcosa ad un compagno di squadra… insomma, sta per
cominciare il campionato e…"
"Cosa
pensi possa succedermi a camminare per strada?" lo interruppe
Rukawa, continuando a guardarlo.
"Beh…
sono zone poco raccomandabili – ok, non era esattamente così,
quello era uno dei quartieri residenziali più vicini al centro
della città, con villette e giardinetti – Ci sono tante bande
di teppisti… magari potrebbero derubarti, o anche peggio…
Insomma, con la tua faccia…"
Quel
discorso spezzettato sembrava essere perfettamente logico per il
tensai, ma probabilmente l’altro non aveva capito.
"Con
la mia faccia, COSA?!" oddio, ora sembrava essersi anche un
po’ arrabbiato!
"Lascia
perdere, non è importante" e il rossino affondò le mani
nelle tasche, ingobbendosi un poco e dando un calcio ad un sasso.
"Ti
stupirai, ma la gente non mi salta addosso in mezzo alla
strada" il tono di Rukawa era gelido, una lama affilata.
"Beh,
non ne sarei così sicuro… a volte io…" a volte io lo
farei, voleva dire, ma fortunatamente si era fermato in tempo…
oppure no?
A
questo punto fu la kitsune a distogliere lo sguardo, fissandolo
sulle foglie accartocciate sul marciapiede.
"Ecco…
volevo dire che sei così bello che… insomma, la gente potrebbe
fare dei pensieri strani su di te – si fermò, la voce si spense
per qualche istante, ma poi riprese molto più vigorosa – Beh,
lo saprai meglio di me, no? Tu ci vai in giro ventiquattr’ore su
ventiquattro con quella faccia!"
Un
ragionamento che non faceva una piega.
Sollevò
gli occhi per spiare la reazione dell’altro, e lo stupì vederlo
scuotere la testa, con l’ombra di un sorriso sulle labbra:
"Sei
veramente un do’aho… - il tono sembrava scherzoso,
incredibile! – Comunque pensa alla tua di sicurezza, alla mia
sono perfettamente in grado di badare da solo, deficiente" e
stavolta la voce era di nuovo gelida.
Rukawa
cominciò a camminare, e Hanamichi gli si affiancò senza nemmeno
pensarci, e quando l’altro lo guardò con il sopracciglio
sollevato, lui tentò un sorriso pacificatore:
"Ormai
sono arrivato fin qui…".
Non
ci volle molto per arrivare davanti ad un piccolo cancello in
ferro battuto, seminascosto da un rampicante. Rukawa si fermò,
tirando fuori dalla tasca un mazzo di chiavi.
"Ah…
questa è casa tua?" non che si vedesse nulla, solo questo
rampicante e un pezzetto di cancello.
"Hn".
"Beh,
va bene… allora ti saluto – Hanamichi sprofondò ancora una
volta le mani nelle tasche, strusciando i piedi per terra – Io
vado… domani dobbiamo alzarci presto, sai com’è il gorilla
quando si lavora, chi arriva tardi finisce sul suo libro nero…"
"Lo
so".
"Ok,
allora… beh, ciao" eppure non riusciva ad allontanarsi.
Rukawa
armeggiò rapidamente con la serratura, e il cancello si aprì con
un cigolio.
Hanamichi
cominciò a soffiarsi sulle dita: prima di andarsene voleva essere
sicuro che l’altro entrasse in casa, poi sarebbe andato alla
stazione. All’una di notte pensare di andare a piedi era
impossibile, e se quello sembrava un quartiere tranquillo, il suo
lo era certamente molto meno.
Il
cancello si riaprì di nuovo, e Rukawa uscì di nuovo sulla
strada.
"Ehi,
kitsune, ti sei scordato qualcosa?" magari un bacino di
ringraziamento sulla guancia?
"Come
torni a casa?"
Il
volpino sembrava aver fatto voto di non pronunciare più di cinque
parole nella stessa frase.
"Vado
alla stazione, credo che con un paio di coincidenze dovrei
riuscire ad arrivare a casa ad un’ora decente… se prendo la
linea verde, poi quella blu, e infine quella arancione…"
cominciò a spiegare, rivelandosi fine conoscitore della rete
ferroviaria di Yokohama.
"Hai
la patente?" tagliò corto l’altro.
"Certo
che ce l’ho! Io sono il miglior pilota di tutta Kanagawa! Mica
mi chiamano Tensai a caso, che credi?!" ribatté piccato.
"Solo
tu ti ci chiami" l’arrogante volpaccia si sentì in dovere
di specificargli, cosa assolutamente superflua.
"Grrrrrrrr!!"
"Tieni
– e Rukawa gli lanciò un anello con due chiavi attaccate –
quella nera, è la mia macchina. Me la riporti domani in
fabbrica".
Sakuragi
si girò e vide una jeep parcheggiata poco distante dal cancello.
Alla sua occhiata meravigliata, l’altro disse solo ‘mio
padre’.
"E
sei sicuro che gli vada bene che la prenda io?" non che gli
dispiacesse che l’altro gliela prestasse, gli sembrava un buon
segno di preoccupazione per lui.
"Sì.
Riportamela domani. Buonanotte" e Rukawa sparì di nuovo
dietro il cancello.
Hanamichi
spinse il pulsante, disinserendo l’allarme e facendo scattare le
serrature delle portiere. Entrò nella jeep con circospezione…
era una bella macchina, ed era del volpino! E poi l’impianto
stereo… accidenti! Quella sì che era una tensai-mobil, altro
che lo scassone del padre di Takamiya!
Il
giorno dopo l’avrebbe restituita alla kitsune, e chissà che l’indisponente
non accettasse un invito a passare la pausa del pranzo fuori della
fabbrica, magari a mangiarsi un panino davanti alla spiaggia. Sul
viso gli si stampò un bel sorriso ebete, o da tensai, come
pensava lui, mentre lasciava correre la macchina del suo Kaede
sulle strade ormai deserte di Yokohama.
Il
giorno dopo ancora non si era ripreso dall’emozione di quella
strana serata, forse anche per il fatto che non aveva chiuso
occhio, e adesso, a turno iniziato, aveva un sonno che lo faceva
sbadigliare ininterrottamente. Prima di uscire di casa, aveva
lasciato un messaggio per la madre sul tavolo della cucina,
ricordandole di tenerlo aggiornato sulla situazione della donna
che era stata ricoverata, poi era saltato sulla jeep ed era
arrivato in fabbrica strombazzando felice.
Una
volta indossata la tuta da lavoro e raggiunta la sala delle
verniciature, cercò immediatamente con lo sguardo Rukawa. Lo
individuò immediatamente, era accanto ad Akagi, e stava
osservando dei fogli che a prima vista sembravano quelli dei nuovi
turni. Per un momento Sakuragi rabbrividì: e se li avessero
destinati a sale diverse?
Si
avvicinò anche lui, e, sfilando con lestezza le carte dalle dita
pallide e affusolate della kitsune, le scorse velocemente, facendo
finta di non accorgersi dello sguardo gelido dell’altro.
Esibì
un bel ghigno soddisfatto:
"Pare
proprio che dovrò continuare a sopportarti, volpino!"
"Do’aho!"
fu la pronta replica, dopo la quale le carte tornarono, con uno
strappo violento, nelle mani del proprietario.
"Andate
a lavorare, invece di perdere tempo! Scimmia, sei sempre il solito
attaccabrighe… sciò, immediatamente alle macchine!" tuonò
il gorilla, che soprattutto di prima mattina assumeva sempre un’aria
indaffarata da capitano d’industria.
"Credo
che tu mi debba qualcosa…" sibilò Rukawa mentre
riprendevano le loro posizioni. Arrivò anche ad allungare la mano
aperta nella sua direzione, ma Sakuragi si limitò a scuotere la
testa:
"Non
ti restituirò le chiavi se prima non verrai a pranzo con me.
Fuori di qui, però!" e sorrise soddisfatto.
"Che
diavolo vai blaterando?!" il volpino sembrava proprio non
aver capito di essere ormai in trappola.
"Ho
deciso: visto che il tensai è molto più maturo di una stupida
kitsune, per il bene dell’azienda dobbiamo smetterla di litigare
ogni secondo, e così, per cercare di conoscerci meglio, andremo a
pranzo insieme. Vicino al parco c’è un tipo col carrettino
degli hot-dog, è un amico di vecchia data… ci farà un prezzo
speciale, cipolle comprese!"
"Non
ho nessuna intenzione di venire a pranzo con te" il tono di
Rukawa sembrava definitivo.
Hanamichi
non si sentì però assolutamente scoraggiato:
"Quello
che pensi tu ha un’importanza molto relativa. Io ho le chiavi
della jeep, e se la rivuoi devi fare quello che dico io!" gli
era sempre piaciuto assumere il tono dittatoriale… non che
avesse mai avuto molte possibilità per esercitarsi…
L’altro
non rispose, gli girò le spalle, tornando al lavoro. Molti
avrebbero considerato questo come un rifiuto, ma il tensai aveva
cominciato a conoscere il suo pollo, e aveva capito che sarebbero
andati sicuramente a pranzo da "Maki, l’artista della
salsiccia", il banco migliore dell’intera prefettura.
E
quello fu il primo di una serie di pranzi che i due fecero
insieme. Sembrava sempre che Hanamichi non avesse alcuna
possibilità di spuntarla, che si sarebbero presi a testate prima
che Rukawa acconsentisse, e invece finivano sempre più spesso a
mangiare seduti sulla sponda del laghetto del parco, a litigare, a
parlare, a prendersi in giro.
E
Mitsui? Sakuragi non poteva soffocare un ghigno di soddisfazione
ogni volta che vedeva lo sfregiato seguirli con lo sguardo quando
loro si allontanavano verso il parcheggio. Però sembrava che il
teppista sapesse occupare bene il proprio tempo libero, visto che
Kogure ormai sembrava camminare… volare, anzi, su una nuvola
rosa. E probabilmente accadeva fra i due anche qualcosa di
leggermente più tangibile, visto che una volta, scappando sul
tetto della fabbrica per sfuggire alle ire di Takenori, Hanamichi
li aveva beccati nascosti dietro la pesante porta di ferro in
atteggiamento che chiamare compromettente era davvero un
eufemismo. Che il quattr’occhi lamentasse una lisca in gola era
poi assolutamente puerile: se avesse mangiato il pesce della
mensa, sarebbe morto ben prima che la stupida lisca raggiungesse
la bocca. Quei cadaveri con le pinne erano come la Gorgone, letali
al solo sguardo.
Ovviamente
Sakuragi si era limitato a guardarli con le braccia incrociate al
petto, un sopracciglio sollevato e un sorrisetto pieno di sarcasmo
stampato sul volto.
"Ehi,
scimmia! Vedi di far sparire quella faccia da ebete dalla mia
vista, mi stai rovinando la digestione!" gli aveva sibilato
lo sfregiato.
"Anche
tu hai mangiato il pesce?" aveva risposto lui, ironicamente.
"Hanamichi…"
aveva però mormorato Kogure, facendolo tornare con i piedi per
terra. E a quel punto lui si era un po’ vergognato, nonostante
la voglia di dare una lezione a quell’insolente dai denti
inspiegabilmente brillanti (Takamiya aveva raccolto scommesse su
quale potesse essere il dentifricio artefice di tale magia), e
così aveva fatto retromarcia senza aggiungere una parola.
Mentre
scendeva le scale per tornare nella sala delle verniciature,
però, Hanamichi si era sentito molto carico. Con Mitsui
definitivamente fuori gioco, le sue probabilità di vittoria
potevano solo aumentare!
E
così i pranzi fuori della fabbrica erano continuati, e il rossino
aveva cercato di fare piccoli passi avanti ogni volta. Non che
avesse sempre successo, i due avevano una incredibile capacità di
prendersi ad insulti di una violenza sconcertante, spesso poi
Rukawa si limitava a mangiare in silenzio, rispondendo ai suoi
tentativi di cominciare una conversazione con una gamma
impressionante di grugniti diversi. Però Sakuragi sapeva bene che
le cose stavano lentamente cambiando, visto che non doveva più
insistere così tanto per andare a mangiare insieme, oppure visto
che, quando tutti i giocatori dello Shohoku uscivano per andare al
pub, sembrava ormai stabilito che loro due si sedessero vicini,
nell’angolo del sedile.
"Ehi,
lo sai che al campionato mancano solo tre giorni? Non vedo l’ora
di cominciare: il tensai farà mangiare la polvere anche all’orrido
porcospino!!"
All’occhiata
sospettosa del compagno, lui scosse la testa:
"Non
mi dire che non sai neanche che Sendoh Akira, il manager più
esibizionista di tutto il Giappone, ha come secondo nome ‘porcospino’!"
"Do’aho…"
"Ma
conosci anche altre parole, oppure nella tua scuola avevano deciso
di concentrarsi sulle mille pronunce diverse di un unico
termine?"
Rukawa
non gli rispose neanche, continuando a sbocconcellare il panino,
voltandogli pure le spalle per guardare l’acqua brillante del
lago. Quel giorno il cielo era azzurrissimo, e il sole scaldava,
anche se bastava passare all’ombra per tornare ad essere
aggrediti da un gelo che non lasciava scampo.
"Senti…
se riesco a prendere più rimbalzi di Akagi, in partita, che ne
dici di festeggiare insieme?" aveva impiegato tre giorni per
trovare questa idea fenomenale, quella che gli avrebbe permesso di
passare una bella serata cheek to cheek con il suo volpacchiotto.
Ovviamente il suo charme avrebbe fatto il resto, e loro due si
sarebbero allontanati mano nella mano, nella luce rosa del
tramonto, mentre Celine Dion cominciava a miagolare come un gatto
agonizzante una delle sue innumerevoli canzoni diabetiche…
"A
me non importa niente di quanti rimbalzi tu riesca a prendere, e a
te non dovrebbe importare di battere Akagi, ma di battere gli
avversari".
Hanamichi
rimase qualche istante in silenzio, poi sbottò:
"Sei
proprio uno yogurt!"
"Mph!"
"Uno
yogurt scaduto tre anni fa!" ribatté poi, deciso ad avere l’ultima
parola.
Sguardo
gelido di Rukawa.
"Hai
paura che io vinca la scommessa… certo, ti darebbe fastidio che
tutto il pubblico si alzasse in piedi per applaudire solo me, per
riconoscermi come asso della squadra: non vuoi che sfidi Akagi
perché diventerebbe palese a tutti la mia bravura… hai paura
che io ti umili!"
Stavolta
non arrivò né un ‘hn’, né uno sguardo gelido… prima uno
spintone che per poco non fece perdere l’equilibrio al povero
rossino, e poi un ‘come osi?!’ sibilato tra i denti che non
sembrava essere esattamente una dichiarazione d’amore.
Ma
Hanamichi non era un pavido…
"E
allora accetta le mie condizioni: se prenderò più rimbalzi di
Akagi, sarai gentile con me, e andremo a cena a festeggiare…
ovviamente offrirai tu! Se perdo, offrirò io" terminò,
generosamente.
Aspettò
per qualche istante una risposta, ma Kaede Rukawa aveva deciso di
rimanere in silenzio. Il rossino sorrise: dal poco che era
riuscito a capire del volpacchiotto, spesso un suo silenzio valeva
come un sì.
La
prima partita fu contro la Katori motors, una fabbrica che
adattava automobili per rally. Era una squadra di giocatori
piuttosto duri, non i migliori dal punto di vista tecnico, ma
efficaci grazie alla loro muscolarità. Nonostante i numerosi
scontri fisici, sembravano avversari non troppo pericolosi, e la
forza strepitosa del tensai riusciva a contrastare quei giganti in
ogni parte del campo… quando non era l’eleganza con cui Kaede
Rukawa eludeva i loro attacchi a portare allo Shohoku punti
preziosi per la vittoria.
Ogni
volta che Hanamichi prendeva un rimbalzo, non poteva evitare di
lanciare un’occhiata verso il compagno, quasi a sottolineare che
la scommessa era ancora valida. Mancava un minuto al termine dell’incontro
e Sakuragi e Akagi erano fermi sul cinque pari… ok, sarebbero
comunque andati a cena insieme, ma era anche una questione di
orgoglio: Hanamichi voleva uscire con Kaede da vincitore.
Rukawa
lanciò la palla a Mitsui, che gliela ripassò velocemente per
smarcarlo sulla linea dei tre metri. Un passo indietro e un
precisissimo tiro in sospensione… altri tre punti. Quanti ne
aveva accumulati la kitsune in quell’incontro? Hanamichi era
rimasto immobile ad ammirarlo ogni volta che lo aveva
letteralmente visto ‘volare’ verso il canestro.
Ok,
non doveva distrarsi! Portò lo sguardo truce su Akagi:
"A
noi due, gorilla!" sibilò, rientrando in difesa.
Una
manciata di secondi al termine dell’incontro: il playmaker
avversario tentò un tiro da tre… doveva, doveva andare sul
ferro! E ferro fu… con la coda dell’occhio Sakuragi vide Akagi
fare un passo per saltare, ma lui fu più veloce, gli sembrava di
avere delle molle sotto le scarpe… allungò le braccia e chiuse
gli occhi. Sorrise, stringendosi poi il pallone contro il petto…
Cena
per due, volpino!
La
sirena suonò la fine dell’incontro. Dopo il saluto corsero
tutti nello spogliatoio.
"Beh,
ragazzi, devo dire che oggi siete stati quasi decenti…"
cominciò Akagi, con tono tra burbero e paternalistico.
"Guarda
che mica l’abbiamo fatto per te!" sbottò Miyagi, che si
stava pettinando davanti allo specchio, sapendo che all’uscita
avrebbe visto la sua Ayacuccia, che aveva seguito la partita sugli
spalti.
"Idiota!
Sto dicendo che finalmente vedo in voi un certo spirito di
squadra!"
"Mettiti
un paio di occhiali, allora!" gli replicò Mitsui.
"Siete
delle bestie… zucche vuote, deficienti!" sbottò allora il
capitano, tornando al vecchio modo di apostrofarli.
"Finalmente
riecco il gorilla! Non farci più spaventare con strane
svenevolezze!" borbottò Hanamichi, continuando ad
aggiustarsi i capelli, e facendo strane facce davanti allo
specchio per esercitarsi nelle sue famose mosse da spezza cuori di
Kanagawa.
Poi
però si girò, e la visione di Rukawa con l’asciugamano legato
intorno alla vita lo mandò in tilt. Dopo un buon mezzo minuto di
accurata osservazione, si gettò sulla propria sacca, afferrando
un accappatoio rosso e gettandolo con violenza addosso al
compagno:
"Abbi
un po’ di decenza, kitsune!" sibilò tra i denti, non
volendo che gli altri lo sentissero.
Il
moretto lo guardò senza capire, ma, in ogni caso, decise che la
mossa giusta era ributtarglielo addosso… cosa che fece con l’ottima
mira che aveva già dimostrato in campo, visto che Sakuragi si
ritrovò la faccia avvolta da quella spugna ancora umida.
Adoperandosi
per nascondere il corpo del volpino a qualsiasi sguardo
indiscreto, Hanamichi contemporaneamente terminò di prepararsi, e
dopo venti minuti poteva affermare, senza timore di smentite, di
essere er mejo figo di tutta la prefettura.
E
Rukawa? Rukawa faceva in effetti la sua figura…
"Gulp!"
fuoriuscì inavvertitamente dalla bocca di Hanamichi, facendo sì
che tutti si voltassero prima verso di lui e poi verso il moretto.
Pantaloni
neri, dritti, che evidenziavano le gambe lunghe e slanciate, una
camicia celeste a maniche lunghe, rimboccate sull’avambraccio,
il cui colore richiamava quello degli occhi, e i classici anfibi
neri, Kaede Rukawa sembrava un’apparizione.
Ignorando
gli sguardi dei compagni, l’oggetto di tanta ammirazione
afferrò la giacca di pelle, buttandosela su una spalla, mentre
nell’altra mano teneva la sacca sportiva.
Il
rossino sorrise, anzi… il suo era un vero e proprio ghigno:
"Ce
ne hai messo per prepararti, volpaccia! Forza, andiamo…" e
lo afferrò per il polso, avviandosi verso l’uscita senza
risparmiarsi di lanciare un ultimo sguardo ironico verso Hisashi
Mitsui.
Avendo
organizzato quell’appuntamento nei minimi dettagli (si era messo
anche d’accordo con Kogure per bloccare Akagi, nel caso la
situazione si fosse fatta difficile), Hanamichi tese la mano verso
il compagno, una volta che ebbero raggiunto la jeep.
"Che
diavolo vuoi, idiota?!" gli sibilò, affettuoso, il
volpacchiotto.
"Le
chiavi. Fa parte del mio premio per aver battuto il primate".
L’altro
si infilò la giacca, non facendo alcun cenno di voler
acconsentire alla richiesta.
"Forse
non te ne sei accorto, ma avevo detto che se avessi vinto tu
saresti dovuto essere gentile tutta la sera. Quindi dammi le
chiavi" un ragionamento che non faceva una grinza.
"Sono
affari tuoi se batti Akagi. Io non c’entro" gli ribatté l’altro,
gelido.
"Mi
sembra che questo punto lo avessimo già discusso. Zompa dentro la
macchina e stai tranquillo finché non arriviamo a
destinazione".
Rukawa
neanche lo guardò, azionò il comando di apertura delle porte e
si avvicinò al lato del guidatore, ma nessuno era più veloce del
tensai, che quasi fece un bozzo nella portiera nella foga di
conquistare il posto di guida:
"Sei
arrivato secondo…" ansimò, sistemandosi sul sedile
"Passa dall’altra parte e comportati bene".
Deciso
a non dare vita ad ulteriori scenate, soprattutto considerando che
tutti i giocatori dello Shohoku erano ormai sul marciapiede e li
guardavano come se fossero l’ultimo successo cinematografico
della stagione, Rukawa passò intorno alla macchina, entrando dal
lato del passeggero.
"Visto?
Se si fa come dico io, le cose vanno sempre bene!" gli
comunicò il rossino, soddisfatto.
Che
non avesse ricevuto risposta non era un problema troppo grave…
il volpacchiotto aveva certamente qualche problema di
comunicazione, qualcosa che lui, l’immenso tensai, avrebbe
risolto una volta che le cose fra loro avessero raggiunto il
giusto sviluppo.
Il
ristorante che aveva scelto era vicino al centro della città, un
posto abbastanza piccolo, gestito dalla madre di Yohei con l’aiuto
di alcuni ragazzi della sua scuola di cucina.
Il
ragazzo che si avvicinò per prendere le ordinazioni tenne un po’
troppo a lungo lo sguardo fisso sulla kitsune, almeno secondo i
gusti di Sakuragi, ma presto li lasciò soli.
Oddio,
la cosa in realtà era un pochino imbarazzante!! Hanamichi aveva
tanto insistito per uscire insieme, quella sera, ma adesso l’idea
di avere Rukawa vicino e tutto per sé, lo metteva leggermente a
disagio. Insomma, era il loro primo appuntamento vero… quando si
esce a cena con qualcun altro, da soli, vuol dire che la cosa si
sta facendo seria, e lui avrebbe tanto voluto che tutto fosse
andato come nelle commedie americane che a volte la madre lo
costringeva a vedere… sì, avrebbe allungato la mano, avrebbe
catturato quella del volpacchiotto, lo avrebbe guardato negli
occhi, poi si sarebbero sorrisi, un sorriso di intesa, e sul bacio
finale sarebbe comparsa la scritta ‘the end’.
"Sei
tutto rosso, do’aho".
La
voce indifferente, leggermente annoiata di Rukawa lo riportò con
i piedi per terra. Ogni tanto pensava che con lui ci volessero i
metodi di King Kong: doveva catturarlo, trascinarselo sull’Empire
State Building, conquistarlo con la forza, finché l’altro non
avesse riconosciuto di amarlo.
Nuovo
sbuffo del compagno, seguito da occhiata truce.
"Che
diavolo ti prende adesso, kitsune!" si lamentò lui, pronto a
redarguirlo a dovere, forse perché si sentiva ancora addosso la
faccia gorillesca di Kong.
In
ogni caso, poco a poco, una sottospecie di conversazione ebbe
inizio. Ovviamente si partì con il basket, argomento che non
cessava mai di suscitare qualche reazione nell’algido volpino,
poi però Hanamichi cominciò ad affrontare anche altri temi. Come
era successo quella prima sera che erano stati da soli, e come si
era ripetuto varie volte durante i loro pranzi, sembrava che fra
loro ci fosse un legame nascosto che faceva presto cadere ogni
barriera, che portava Sakuragi a raccontare cose di se stesso che
non avrebbe mai pensato di rivelare, i suoi sogni, i suoi
insuccessi, le speranze. La maggior parte delle volte lui si
nascondeva dietro una maschera un po’ sbruffona, però con
Rukawa la farsa durava poco, e presto venivano confidenze e risate
sincere.
Se
ci pensava con attenzione, si rendeva conto che l’altro non si
apriva altrettanto. Ogni tanto sembrava che volesse dire qualcosa,
per poi bloccarsi improvvisamente, altre volte sembrava che
cercasse di cambiare discorso, magari anche solo con il suo gelido
silenzio.
"A
volte penso che mi piacerebbe tentare qualche altra strada, invece
di rimanere in fabbrica, ma poi ci sono le difficoltà quotidiane,
e allora penso che i miei sono solo sogni – Hanamichi si portò
la mano dietro la testa – Certamente il basket ha perso un
grande campione, ma chissà che non mi riesca la scalata nella
Shohoku SpA… un giorno potrei entrare nel consiglio d’amministrazione,
non pensi?"
Rukawa
sorrise leggermente:
"Credi
davvero che sarebbe una vita più felice?"
Hanamichi
per poco non si strangolò con gli udon, forse era la prima volta
che il compagno gli chiedeva cosa pensasse di qualcosa, visto che
in genere si limitava ad ascoltare, e magari a sbuffare, quando
non era d’accordo con quello che lui diceva.
"Beh…
sono disposto a correre il rischio di rimanerne deluso!"
rispose, mettendosi a ridere, e anche il volpacchiotto accennò un
sorriso.
"E
tu perché sei finito nel reparto verniciature di una industria
automobilistica? Mi sembra che potessi avere tante altre
possibilità…" Hanamichi si fermò, vedendo il sopracciglio
sollevato di Kaede "beh, è vero: avresti potuto provare ad
entrare nel basket professionistico, non mi sembri proprio
scarsissimo, anche se non raggiungi i livelli del tensai… -
nascose un sorriso vedendo che l’altro si stava accigliando, ma
mai avrebbe ammesso che la kitsune era migliore di lui – e poi
avresti potuto provare ad entrare nel mondo d… - non terminò
immediatamente. Forse Rukawa si sarebbe seccato a sentire la sua
idea? – insomma, avresti potuto provare a fare il…
modello!" ok, lo aveva detto.
"Dici
delle cretinate, do’aho".
"Hanamichi…
HA-NA-MI-CHI!! E’ così difficile?" si era stufato di
rispondere ad un insulto invece che al proprio bellissimo nome!
"No,
do’aho".
La
malefica kitsune non doveva tirare troppo la corda, oppure lo
avrebbe preso a testate! Però quanto gli piaceva vedere quel
sorrisetto soddisfatto sul suo viso!
"Comunque,
non hai risposto: perché sei finito a fare l’operaio?"
insistette Hanamichi.
Kaede
Rukawa si strinse nelle spalle:
"E’
un lavoro come un altro. Mi piace provare un po’ tutto".
"E
sei anche molto preciso… forse solo Akagi, oltre a te, cerca di
cambiare le cose per migliorare il lavoro. Insomma, che te ne
frega?" il rossino aveva notato varie volte che il moretto
aveva tirato fuori la voce, alla catena di montaggio, solo per
proporre cambiamenti che velocizzassero il lavoro.
"Anche
mio padre lavora con le macchine. Mi ha trasmesso la stessa
passione".
Il
tono era stato definitivo, e Hanamichi decise di non spingere
ulteriormente. Inoltre lo stava incuriosendo il fatto che l’altro
avesse accennato varie volte al padre e mai alla madre… chissà
se i genitori erano divorziati?
"Cosa
prendete per dessert?" la voce della madre di Yohei distrasse
Sakuragi dai suoi pensieri… insomma, si trattava di scegliere il
dolce migliore, quello più pieno di cioccolata, doveva
concentrare nel compito tutte le proprie facoltà mentali!
Quando
uscirono, il vento si era placato, e il cielo, libero dalle
nuvole, era illuminato dalla luna piena. Hanamichi si diresse
verso la jeep, deciso a godere dei privilegi di quel primo
appuntamento fino in fondo. Una volta dentro, accese radio e
riscaldamento… cose entrambe necessarie per l’evoluzione
torrida che aveva in mente.
Partì
e imboccò senza esitazioni la strada che portava verso il mare.
"Dove
stiamo andando?" il tono di Rukawa non era né agitato, né
arrabbiato, solo freddo. Hanamichi notò che con una mano il
compagno si stava massaggiando la fronte:
"Non
stai bene? Vuoi che ci fermiamo ad una farmacia notturna? Posso
portarti in ospedale… mia madre sicuramente potrebbe
aiutarti!" ok, si stava lasciando prendere dal panico.
Il
volpino appoggiò la testa contro il sedile, chiudendo gli occhi:
"Sono
un po’ stanco. Stai zitto".
Sì,
sembrava la solita kitsune, e questo portava a non dover cambiare
destinazione.
Hanamichi
parcheggiò di fronte alla spiaggia. Anche con i fari spenti, i
lampioni del lungomare permettevano di vedere l’acqua nera che
si infrangeva contro gli scogli artificiali.
C’era
un silenzio confortevole fra loro, e il rossino si stupì che ad
interromperlo fosse proprio Mr Non Dico Una Parola Neanche Sotto
Tortura:
"Mi
sarebbe molto piaciuto intraprendere la carriera professionistica.
Volevo andare in America".
Lui
non replicò nulla, continuò a guardarlo… sentiva che Rukawa
non aveva terminato:
"Mio
padre non ha voluto che lasciassi l’attività di famiglia…"
adesso Kaede guardava proprio verso di lui. Aveva una strana
espressione sul viso, sembrava che volesse dire qualcosa e non
sapesse come.
Hanamichi
gli sorrise, e venne così naturale avvicinarsi a quel viso,
poggiare una mano sotto il mento di Kaede e sollevargli la testa
per far sì che i loro occhi fossero fissi gli uni in quelli dell’altro,
e poi lui si sporse ancora un poco, e fu solo la morbidezza, la
dolcezza di un bacio.
Non
durò a lungo, però: Rukawa si tirò indietro, e lui dovette
lasciarlo andare.
Sakuragi
non riuscì a nascondere un’espressione ferita, mentre riportava
lo sguardo sul mare per avere il tempo di calmarsi: perché Kaede
si era allontanato? Tutto sembrava far credere che i suoi
sentimenti potessero essere ricambiati, e invece l’altro lo
aveva scansato come se lui gli facesse ribrezzo…
"Scusami…
credo di aver sbagliato, ma era parecchio che… che…" come
sembravano sciocche le sue parole, come sembrava stupido dire di
amarlo, sapendo che Rukawa gli aveva già dato la propria
risposta!
"Credo
sia il caso che torniamo a casa. E’ tardi".
E
adesso quel tono gelido. No, non poteva sopportarlo, non poteva
permettere che fra loro rimanessero, come muri, quelle parole non
dette! Se non lo avesse fatto subito, non avrebbe mai più avuto
il coraggio di riaffrontare l’argomento, e quello che provava
per Rukawa era troppo importante per liquidarlo senza andare fino
in fondo:
"NO!
Prima… prima di andare a casa mi devi stare a sentire! Io… io…
diavolo, da quando ti ho visto… è da quando ti ho visto che…
che…"
L’altro
non sembrava avere la minima intenzione di aiutarlo, stava lì,
immobile, a guardare la schiuma bianca sulla cresta delle onde.
"MI
STAI A SENTIRE, IDIOTA DI UN INUTILE VOLPINO?!"
Stavolta
aveva guadagnato la sua attenzione, oh!
"Che
cosa vuoi?"
Quel
tono freddo certo non aiutava le confessioni, ma ormai c’era e
doveva dire tutto:
"MI
SONO INNAMORATO DI TE, POSSIBILE CHE TU NON L’ABBIA
CAPITO?"
Ora
ansimava, ma almeno era andato fino in fondo! Solo che… adesso?
"Possiamo
andare a casa, ora?"
Non
era possibile: quel pezzo di ghiaccio era indifferente a tutto!
"Non
hai altro da dire?"
"No".
"Vuoi
dire che sei pronto a perderti un figone come il sottoscritto? Ad
andare avanti nella tua vita negandoti la felicità? Io… non
posso crederci!"
Stavolta
l’espressione di Rukawa era quasi comica nel suo sbalordimento,
ma Hanamichi non si arrese… con mossa fulminea (dai tempi delle
risse di quartiere aveva capito che la sorpresa era tutto…) si
voltò verso il compagno, bloccandolo contro il sedile, e stavolta
il bacio fu molto meno casto. All’inizio Rukawa gli resistette,
cercò anzi di respingerlo, piantandogli i pugni contro il petto,
ma lui non si arrese, e mise tutto se stesso in quel bacio. Come
per magia, ad un certo punto si accorse che la resistenza
diminuiva, che le braccia che avevano cercato di allontanarlo
erano lentamente salite fino ad allacciarglisi intorno al collo,
che finalmente il volpacchiotto era diventato parte attiva in
quello che stava accadendo. Approfondì il bacio, forzando
leggermente per avere accesso alla bocca del compagno, e di nuovo
fu come uno scoppio di fuochi d’artificio, e poi solo oblio e
passione.
Quando
si separarono, Hanamichi si sentiva assolutamente e
incredibilmente felice! Non si tirò indietro, e sollevò una mano
per accarezzare il viso del suo Kaede, un viso che sembrava
combattuto tra lo stupore per qualcosa che assolutamente non
riusciva a capire, e lo sconvolgimento per quello che era appena
accaduto.
"Ti
amo, volpacchiotto" gli ripeté, sperando che anche in quella
situazione di sbalordimento l’altro riuscisse a comprenderlo, e
poi lo abbracciò stretto, accorgendosi per la prima volta delle
note della canzone trasmessa dalla radio:
You
can smile, every smile for the man who lends you hands, beneath
the pale moonlight,
but
don’t forget who’s taking you home, and in whose arms you’re
gonna be,
so
darlin’… save the last dance for me.
"Portami
a casa" mormorò finalmente Rukawa, con voce atona, voltando
la testa di lato come se fosse stato improvvisamente catturato dal
paesaggio esterno.
Sakuragi
lesse l’emozione e l’insicurezza dietro quel tono, e pur
volendo finalmente tradurre in parole tutto quello che provava per
il compagno, e sentire finalmente il giusto riconoscimento dei
propri infiniti pregi, decise di non premere troppo. Era ancora
troppo presto, e Rukawa sembrava aver bisogno di pensare a quello
che era appena accaduto, di razionalizzarlo. Il risultato sarebbe
stato lo stesso, una bella musica romantica e loro due abbracciati
sul divano, di fronte al camino acceso…
Era
inutile soffermarsi sul fatto che Hanamichi non avesse un camino…
in quel momento la sua fantasia galoppava, ed era impossibile
metterle un freno.
Si
diresse verso il quartiere della kitsune, continuando a sognare
insieme alle parole di quella vecchia canzone, e presto, senza che
si fossero ancora scambiati una sola parola, si ritrovarono
davanti alla casa.
Spento
il motore, Sakuragi si voltò verso il compagno, pronto a
rinnovare la propria dichiarazione e, magari, anche a tentare un
assalto di rinforzo, ma fu frenato dall’improvviso mutamento
dell’espressione di Rukawa, dal suo sguardo, fino ad un istante
prima perso nel vuoto, e ora improvvisamente concentrato su
qualcosa…
Ad
Hanamichi parve anche di sentirgli sibilare qualcosa di simile ad
un improperio, quindi si voltò nella stessa direzione, e scorse
una figura in piedi, immobile accanto al cancelletto coperto dal
rampicante.
Sembrava
in tutto e per tutto… Akira Sendoh?
Fine
Seconda Parte
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