Una Alternative Universe per un’occasione speciale e per due amiche speciali…

Tantissimi e affettuosissimi auguri di Buon Compleanno a Nausicaa e Calipso!!! A loro è dedicata questa fic che sviluppa una vecchia idea di cui avevamo parlato insieme tanto tempo fa.

Un baciotto a Ria e Sabry.

Buona Lettura.  


 

Catena di Montaggio 

Parte II

di Greta

 

Quella sera, in palestra, gli sguardi scambiati tra Hanamichi e Kogure suscitarono la curiosità generale: sembrava che i due non potessero fare a meno di sussurrarsi frasi non appena si ritrovavano vicini, e poi scoppiavano a ridere per niente. Se il rossino sembrava rientrato nel suo umore buffonesco, che gli altri avevano notato latitare negli ultimi giorni, vedere il posato quattr’occhi scoppiare a ridere ed arrossire per un niente, lasciò tutti i compagni piuttosto stupiti.

"EHI!! La volete piantare, voi due?!" li riprese ad un certo punto il gorilla, minacciandoli con il suo famoso pugno.

"Non abbiamo fatto niente!!" si difese Hanamichi, che poi portò lo sguardo sul quattr’occhi e scoppiò a ridere.

"Che ti prende?! Pensavo fossi più serio… ti sei fatto portare sulla cattiva strada da quel deficiente!" continuò il capitano, rivolgendosi al suo vice, scuotendo la testa.

Kogure non riuscì a rispondere, era incredibile come non riuscisse a fermare le risate, quella sera. Ogni volta che riusciva ad avvicinarsi ad Hisashi e a scambiarci qualche parola, si ritrovava lo sguardo ammiccante di Hanamichi addosso, e allora non poteva far altro che arrossire e ridere. La cosa stava diventando un po’ imbarazzante, soprattutto considerando che lo sfregiato poteva pensare che stesse ridendo di lui… ecco, e adesso lo chiamava pure ‘lo sfregiato’, come il tensai! Doveva assolutamente cercare di riprendersi.

Vide Hanamichi saltare per un blocco su Rukawa, e i due cadere a terra, ovviamente il rossino sopra il suo volpacchiotto, e stavolta fu lui a non poter trattenere una lunga occhiata con il sopracciglio sollevato. Sorrise quando vide il compagno sollevarsi all’istante, portandosi il braccio dietro la testa, in quel gesto che per Sakuragi era chiaro segno di imbarazzo.

Era la terza volta che finiva addosso alla kitsune, e Hanamichi non lo stava neanche facendo apposta… era solo che quando gli si trovava vicino non riusciva più a ragionare, e così finiva per sbagliare il tempo degli interventi e franargli addosso. Si era pure accorto che, cadendo male, a Kaede era anche venuto un livido appena sopra il gomito, accidenti!

"Stai attento, do’aho!" gli sibilò ad un certo punto Rukawa, asciugandosi il sudore con la fascetta di spugna nera che teneva sull’avambraccio.

"Sei tu che sembri fatto di cristallo!" si difese lui, mani sui fianchi, fingendo di essere ugualmente infastidito da quello che stava accadendo.

Ripresero a giocare e Hanamichi tentò di essere più attento, sebbene sentisse di non essere nel pieno delle proprie facoltà mentali ogni volta che si trovava a marcare la kitsune, e poi certamente le occhiate lanciate dal quattr’occhi non lo aiutavano… almeno Kogure-san fosse servito ad allontanare la minaccia di Mitsui!

Terminato l’allenamento, e considerando che le successive due settimane sarebbero state dure, visto che poi sarebbe cominciato il campionato vero e proprio, il capitano decise di invitare la squadra a rilassarsi in un pub. Una occasione d’oro per Sakuragi, che finalmente vedeva la possibilità di passare del tempo con Kaede lontano da palloni da basket e da verniciatrici. Si accorse però che, prima di accettare, i due nuovi acquisti avevano parlato brevemente fra loro, e gli sembrò di intuire che la spinta ad andare fosse arrivata dallo sfregiato. La prima cosa di cui ringraziarlo…

Quando entrarono nel ritrovo buio e fumoso dei peggiori scaricatori di porto di Yokohama, il rossino pilotò la cosa in modo da scivolare nel sedile dopo il volpacchiotto, stringendolo contro il muro… era stata una mossa abilissima, adesso lui sarebbe stato il suo unico contatto con il mondo.

E poi Kogure teneva contemporaneamente sotto controllo lo sfregiato… controllo che sembrava reciproco, visto che stavolta era stato Mitsui a piazzarsi, tipo cozza, accanto al quattr’occhi.

Ordinarono le birre, e cominciarono a parlare del campionato imminente, ovviamente argomento preso dal gorilla. Dopo aver malignato abbondantemente su tutti i giocatori delle squadre che avrebbero incontrato, suscitando curiosità, ma anche sorrisi divertiti nei due pivelli, passarono ad argomenti più interessanti…

Miyagi cominciò a parlare di Ayako. Hanamichi, seduto vicino a Rukawa, si accorse di un moto di sorpresa nel volpino, quando venne tirato fuori il nome della segretaria del nuovo amministratore delegato (prima era una normale segretaria addetta alle paghe… un bel salto di qualità!), e per un istante si preoccupò che l’altro fosse interessato alla ragazza, oppure alle ragazze in generale. Insomma, lui ancora non sapeva nulla dei suoi gusti, no?! Questo poteva rivelarsi un problema…

Nel mezzo del discorso su Ayako, Kogure chiese ad Akagi come stava Haruko, provocando uno scoppio di ilarità in tutti i giocatori storici dello Shohoku.

"Che succede?" chiese Mitsui, sorridendo, ma non capendo bene cosa avesse causato l’improvvisa allegria.

"Niente…" gli rispose il quattr’occhi, che era arrossito per il fatto che, nel far la domanda, lo sfregiato si fosse chinato su di lui, fermandoglisi a meno di due centimetri.

Sicuramente doveva averlo fatto solo per superare il rumore del locale!

"Il nostro Tensai aveva una cotta per la sorella del capitano!" spiegò, servizievole, Miyagi, felice di poter ricambiare le battute ricevute sul suo amore non corrisposto per Ayako.

"TU NON TOCCHERAI MAI MIA SORELLA, CAPITO?!" tuonò Akagi, deciso a mettere le cose in chiaro sin da subito.

"Ah, allora c’è una ragazza…" mormorò Rukawa, la sua voce morbida abbassata in un sussurro appena percettibile.

Hanamichi però lo sentì, e cominciò a scuotersi le mani davanti al viso:

"Nononono!! Non è così… è stata una breve infatuazione, niente di importante! Sono assolutamente libero!!" specificò, senza curarsi dello sguardo infuriato del capitano, che non doveva essere stato molto felice di sentir chiamare l’amata sorella minore ‘niente di importante’.

"Ehi, ma perché ti agiti tanto?!" lo prese in giro Mitsui, che sembrava avere il ghigno divertito di chi la sa lunga.

"Non mi sto mica agitando… sono perfettamente calmo e tranquillo. E tu, invece? Nessuna avventura da raccontarci, sfregiato?"

Hanamichi sperava di aver finalmente trovato il modo giusto per mettere a posto quell’idiota, e nello stesso tempo per ottenere qualche informazione.

Mitsui esibì un sorrisetto sardonico:

"Niente che voi poppanti possiate sentire…"

Uno dei boccali finì sul pavimento… tutti si girarono e Kogure, rosso in viso come un pomodoro per quello che aveva fatto, si scusò, per poi allontanarsi e avvertire una delle cameriere.

Voltandosi verso lo sfregiato, Sakuragi, deciso a fulminarlo con uno sguardo omicida per essere stato così insensibile con il povero quattr’occhi, si accorse però che l’atteggiamento sardonico tenuto fino a pochi secondi prima da Hisashi Mitsui aveva lasciato il posto ad uno sguardo perso, a qualcosa di triste nella sua espressione. Non per la prima volta, al rossino sembrò che forse Kogure-san poteva avere qualche speranza… non come lui, che non riusciva a scambiare due parole con la sua kitsune senza che la frase includesse insulti e preludesse allo scontro fisico. Si voltò appena verso il ragazzo sedutogli di fianco, e notò che anche lo sguardo di Rukawa era fisso sullo sfregiato, sembrava uno sguardo pensieroso, come se anche lui avesse capito qualcosa in più del suo amico, quella sera, e che la scoperta lo avesse lasciato un po’ sconcertato. Sì, sconcertato, non triste, umiliato, geloso. Improvvisamente, dopo giorni e giorni di dubbio, ad Hanamichi sembrò di essersi davvero preoccupato per nulla…

"Un brindisi… - propose, non appena Kogure fu di nuovo seduto al tavolo, con un bicchiere di succo d’arancia davanti - …un brindisi al campionato, e alla squadra che vincerà!"

Tutti alzarono i bicchieri, preparandosi a brindare alla russa, dallo slancio che sembravano prendere per toccare i calici altrui:

"Che la nostra squadra possa essere ogni giorno più unita!" aggiunse sempre il rossino, dando inavvertitamente una botta col ginocchio contro la gamba del volpino.

Quando finalmente i ragazzi uscirono dal locale, ritrovandosi avvolti dall’aria fredda e umida che presagiva pioggia, cominciò il solito rito dei saluti, del ‘io vado in questa direzione, qualcuno fa la mia stessa strada?’, e così Akagi si avviò da solo verso la metropolitana, Miyagi e Yasuda si incamminarono verso la stazione della linea gialla, e Kogure cominciò a valutare le tre possibilità che aveva per raggiungere il suo appartamento, finendo per scegliere quella che Hisashi gli propose come comune. Rimasero fermi davanti al locale solo Hanamichi e Kaede Rukawa:

"Ehi, kitsune, tu da che parte vai?" chiese il rossino, osservando le nuvolette bianche che formava con il respiro.

Il compagno indicò genericamente verso la strada che portava verso il centro della città.

"Vai a piedi? Perché anche io vado da quella parte…" ok, la sua casa era esattamente dal lato opposto, ma insomma… se non approfittava delle rare occasioni che avevano di stare insieme, come poteva pensare di arrivare a conoscerlo meglio, e quindi a capire quanto fossero forti i sentimenti che lo spingevano verso di lui?

"Hn!"

"Sempre logorroico, eh? Comunque, visto che mi sento molto generoso, farò la strada a piedi con te… ricordati che è universalmente considerato un onore godere della mia compagnia e della mia protezione!"

"Do’aho! – possibile che il volpino avesse un vocabolario così limitato? – Io non ho bisogno della protezione di nessuno!"

Ah, ma allora qualche parola la conosceva!

Il cielo sembrava limpido: nonostante la luce dei lampioni, si vedevano le stelle e la falce sottile della luna. Atmosfera romantica… ora doveva solo arrivare a catturargli un braccio sotto il proprio…

"C’è tutta la strada… potresti evitare di oscillare e sbattermi addosso come un ubriaco?"

"Attento che ti si seccherà la gola a parlare tanto!"

E così Hanamichi dovette abbandonare il piano A. Peccato che non ci fosse un piano B di riserva, però.

Camminarono in silenzio, e ormai dovevano essersi avvicinati abbastanza alla casa di Rukawa, a meno che il tipo non vivesse su Giove, quando sentirono delle voci provenienti da uno dei vicoli che si aprivano sul lato della strada maestra.

"Hai sentito?" il rossino si era fermato immediatamente. Per tanto tempo aveva guidato la Sakuragi Gundan, e sapeva riconoscere benissimo quando c’era odore di rissa… lo sentiva a chilometri di distanza.

"Sì, ho sentito…"

Anche la kitsune si era fermata, però sembrava incerta, guardò l’orologio:

"Si è fatto tardi…"

"Magari c’è qualcuno in pericolo! Un bambino che ha bisogno di aiuto, una mamma che sta tornando dal lavoro, un nonno assalito dai ladri…"

"Un regolamento di conti tra yakuza, un litigio tra fidanzati, un gruppo di ubriachi…"

"Zitto, volpino! Non capisci che, quando il pericolo chiama, il tensai deve rispondere?!" possibile che quel demente non comprendesse il pathos di quel momento? Ok, mancava la cabina telefonica da cui uscire con il completino di latex e il mantellino rosso, ma comunque loro erano sempre i supereroi della notte… o almeno il tensai lo era!

Afferrò con decisione il polso di Rukawa, trascinando il ragazzo lungo il muro, fino ad affacciarsi con cautela nel vicolo da cui avevano sentito provenire i rumori:

"Altolà! Polizia!!!" urlò poi, stringendo la presa sul braccio del compagno.

"Che diavolo dici…" gli sibilò l’altro, cercando di liberarsi dalla morsa.

"Schhhhh!! Siamo in missione per conto della Giustizia! Non ostacolare il nostro lavoro".

"Aiuto…" arrivò un mormorio, che sembrava provenire da un punto imprecisato, qualche metro più avanti.

Hanamichi si voltò verso Kaede:

"Joe… devo andare, anche se la missione è pericolosa. Ricordati sempre… ricordati che io…"

"Do’hao! – lo interruppe l’altro, visibilmente seccato – Smettila di fare il cretino e andiamo a vedere!"

E stavolta fu Rukawa a trascinarlo per il braccio… che ragazzo impavido che si era scelto!

Trovarono una donna anziana in terra, evidentemente scivolata sul ghiaccio:

"Ah, per fortuna che siete arrivati voi! Non riesco ad alzarmi… ho sbattuto e non riesco a muovermi…" e la donna portò la mano sull’anca, stringendo gli occhi come per trattenere un lamento.

"Signora, ci dica cosa le è successo…" stavolta il tensai si era trasformato nel commissario di polizia pronto ad aprire le indagini.

"C’erano dei ragazzi che correvano con le moto… mi sono spaventata e ho messo il piede in fallo" spiegò la donna, aggrappandosi alle spalle di Kaede, che si era chinato per aiutarla.

"E non si sono fermati?" continuò Hanamichi, al quale mancavano solo il blocco e la penna.

"No, no… fortunatamente sono andati via. Avevano delle facce…" e la donna fece una smorfia di paura. Ok, i tipi dovevano somigliare ad Hisashi. Il giorno dopo lui avrebbe controllato l’alibi dello sfregiato. Chissà che…

"Invece di far domande idiote, chiama un’ambulanza!" lo riprese la kitsune, guardandolo male.

"E come la chiamo? Mica c’è una cabina, qui!"

L’altro gli lanciò il cellulare, ma la donna li interruppe ancora:

"Non fate venire un’ambulanza per un’inezia… posso farcela, il pronto soccorso non è lontano. Se solo poteste aiutarmi ad arrivare fin lì…"

Kaede da una parte e Hanamichi dall’altra, sostennero la donna, cercando di non far gravare il peso sul lato dolorante. L’ospedale sicuramente era più vicino a parole che nella realtà, ma alla fine riuscirono a raggiungerlo. All’accettazione, le infermiere si presero subito cura della donna, che li lasciò ringraziandoli ancora. Quando loro le chiesero chi potevano avvertire per venire ad assisterla, lei scosse la testa, sorridendo:

"Oggi siete solo voi i miei angeli custodi. Avete già fatto tanto, me la caverò – guardò le infermiere, che l’avevano fatta sdraiare su una delle barelle – Sono in buone mani, figlioli!"

I due rimasero nella hall dell’ospedale, senza neanche riuscire a guardarsi. Con le mani in tasca, erano il ritratto dell’incertezza. Fu Hanamichi il primo a rompere il silenzio:

"Sembrava la vecchia delle favole… mi dispiace un po’ lasciarla sola" bofonchiò, osservando con attenzione il pavimento.

"Abbiamo fatto quello che potevamo" gli rispose, pragmatico, Rukawa, appoggiandosi però con la schiena contro il muro.

Rimasero senza parlare per altri dieci minuti, poi il rossino sbottò:

"Fanculo! Io non la lascio qui da sola! Rimarrò per controllare come vanno le cose… le farà bene sapere di avere qualcuno che pensa a lei – poi si voltò verso il compagno – Tu puoi andartene a casa, se vuoi. Non è mica necessario che ci stiamo in due".

L’altro non rispose, poi, dopo un po’, sollevò la testa:

"Se ci puoi stare tu, posso starci anche io" constatò, scivolando su uno dei sedili di plastica.

Hanamichi voltò la testa dall’altra parte, cercando di nascondere il sorriso: era contento della decisione di Rukawa, gli faceva pensare che fosse proprio la persona che lui credeva.

Improvvisamente, osservando la reception, si rese conto di una cosa che gli era sfuggita sino a quel momento, forse a causa del fatto che non girava spesso in quella zona della città, forse perché il tragitto che avevano fatto insieme alla donna lo avevano percorso solo seguendo le sue indicazioni…

"Ehi… ma questo è l’ospedale di mia madre!" sussurrò stupito. La sigla era proprio quella, e sua madre doveva essere lì! Per guadagnare qualche yen in più, lei si rendeva sempre disponibile per i turni di notte, stancandosi tantissimo, molto di più di quanto il figlio riuscisse a sopportare. Aveva cominciato a lavorare in fabbrica proprio per alleggerirla di un po’ di lavoro, ma c’erano sempre così tante spese, e la crisi economica non aveva fatto che aggravare la situazione, e così i loro due stipendi insieme sembravano a stento sufficienti per sopravvivere.

Rukawa lo stava guardando, ma non commentò le sue parole.

"Forse… forse potrei chiederle di tenerci informati, probabilmente a lei diranno qualcosa in più" Hanamichi si alzò in piedi e raggiunse di nuovo il banco dell’accettazione. Non ci volle molto perché sua madre fosse chiamata al telefono, e dopo pochi minuti li raggiunse nella sala d’aspetto:

"Non potevo crederci quando mi hanno detto che eri qui! Che ti succede?"

La signora Sakuragi, una bella donna dall’aria energica e pratica, e dai lunghi capelli scuri strettamente legati in una treccia, si rivolse al figlio senza troppe smancerie.

"Io e… il mio amico Rukawa – gli sembrava veramente strano introdurlo così, ma non voleva sminuire quello che stava cercando di instaurare tra loro presentandolo come un collega di lavoro – abbiamo trovato una signora in difficoltà: era scivolata a terra per il ghiaccio, e le faceva male un’anca. Abbiamo deciso di portarla qui… pensa che all’inizio non avevo neanche riconosciuto che fosse il tuo ospedale!"

La donna scosse la testa:

"Sei sempre il solito distratto! – gli si avvicinò per poggiargli per un istante la mano sui capelli – Volete sapere come sta? Ditemi il nome e proverò a chiedere" e si girò anche verso il moretto che era rimasto seduto durante l’intera conversazione.

A questo punto, Rukawa si alzò in piedi, inchinandosi:

"La ringraziamo molto, signora Sakuragi. Eravamo entrambi preoccupati…"

La madre di Hanamichi rise:

"Non essere così formale, Rukawa-kun, e chiamami Kyoko. Tutti gli amici di mio figlio mi chiamano così" e, con naturalezza, gli scansò i capelli dalla fronte.

Il rossino, pur mantenendo un sorriso di plastica, in realtà era piuttosto sulle spine… insomma, come poteva aver preso la kitsune il fatto di essere presentato come amico? E poi sua madre era una persona molto poco formale, mentre, dal poco che aveva capito, Rukawa era piuttosto riservato… si girò a guardarlo:

"La donna è stata appena portata in ortopedia, alla reception dovrebbero avere il nome".

Una volta che la madre si fu allontanata, lui si sedette accanto al compagno:

"Sono sicuro che adesso sapremo tutto… e visto che c’è mia madre, potremo lasciare a lei il compito di controllare che tutto si risolva per il meglio".

Kaede annuì, appoggiando la nuca contro la parete e chiudendo gli occhi per qualche secondo…

"Stanco?" provò a chiedergli Hanamichi, sperando di non sembrare troppo pressante.

"Oggi ho dormito poco".

Ehm, non era la risposta che si aspettava, e non era una risposta che potesse fargli piacere… perché aveva dormito poco? Come aveva passato la nottata? Dove, con chi?!

"Ah… beh, vedi di non addormentarti qui, non ho intenzione di portarti a casa in braccio!" ribatté acidamente, anche se la prospettiva non lo disgustava poi così tanto.

In quel momento la signora Sakuragi ricomparì davanti a loro:

"E’ stata portata in sala operatoria, ma è davvero un intervento di routine. Rimarrà sotto anestesia tutta la notte… potete tornare a casa, magari venire a trovarla domani, durante l’orario di visita, se siete così preoccupati. Io le darò un’occhiata, è in buone mani".

I due ragazzi si scambiarono una rapida occhiata: entrambi non sapevano esattamente cosa fare. Erano arrivati lì appresso alla donna, poi avevano deciso di rimanere per farle da angeli custodi, adesso l’idea che il loro slancio non fosse necessario li lasciava un po’ spiazzati, e anche un po’ ridimensionati nel loro ruolo di eroi senza paura, di protettori dei deboli.

"Davvero… andate a casa, domani è un giorno lavorativo! E poi tu – e Kyoko Sakuragi si rivolse al figlio – ci metterai una vita a tornare, visto che stiamo dal lato opposto della città. In ospedale ho già abbastanza incombenze, non mi far preoccupare per te e fila a casa!"

Hanamichi esibì una faccia seccata, la tipica espressione dei ragazzi quando non vogliono che le madri li tiranneggino e trattino come bambini davanti agli amici, ma alla fine cedette, si alzò in piedi e le diede un bacio sulla guancia:

"Ok, ma lasciami un biglietto, quando torni a casa, così prima di uscire potrò leggerlo!"

Anche Rukawa si alzò in piedi, ripetendo l’inchino:

"Grazie, signora… Kyoko: sapere che c’è una persona come lei a vegliarla non può che tranquillizzarci".

"Uh, che ragazzo beneducato!! E anche molto bello… Perché non me ne avevi mai parlato, Hana-kun? E adesso andate, ormai siamo d’accordo!"

Ancora una volta i due ragazzi si ritrovarono da soli in strada. Camminarono in silenzio, con Hanamichi che seguiva i passi del compagno con le mani in tasca e perso nei propri pensieri. Gli era piaciuto quello che aveva detto la madre, l’approvazione che aveva dato a Rukawa, gli sembrava la conferma di aver fatto la scelta giusta, eppure i problemi erano ancora tanti…

"Avevo capito che anche tu abitavi da queste parti… ma tua madre ha detto che state dall’altro lato della città".

Ehm, ecco… la madre aveva detto delle belle cose, ma anche qualcosa di troppo!

"Beh… - come sempre quando era in imbarazzo, si portò la mano dietro la testa - …diciamo che non abito esattamente da queste parti" ecco, era stato pacato e definitivo, e adesso la sgradevole discussione era chiusa!

"E allora perché sei venuto qui?" Rukawa scosse la testa "Se abiti da tutt’altra parte, non vedo il senso di fare tutta questa strada. E’ un’altra delle tue idee da tensai?"

Ah, il volpacchiotto insisteva! E aveva pure ritrovato la voce…

"Non volevo farti fare la strada da solo".

L’aveva detto! Non poteva crederci…

La kitsune sollevò lo sguardo su di lui. Era difficile capire quali pensieri, quali emozioni si nascondessero dietro le sue occhiate impassibili, era come se il lavorio del suo cervello non trapelasse assolutamente nelle espressioni del suo viso.

"Insomma… le strade di notte sono pericolose! Non volevo che potesse succedere qualcosa ad un compagno di squadra… insomma, sta per cominciare il campionato e…"

"Cosa pensi possa succedermi a camminare per strada?" lo interruppe Rukawa, continuando a guardarlo.

"Beh… sono zone poco raccomandabili – ok, non era esattamente così, quello era uno dei quartieri residenziali più vicini al centro della città, con villette e giardinetti – Ci sono tante bande di teppisti… magari potrebbero derubarti, o anche peggio… Insomma, con la tua faccia…"

Quel discorso spezzettato sembrava essere perfettamente logico per il tensai, ma probabilmente l’altro non aveva capito.

"Con la mia faccia, COSA?!" oddio, ora sembrava essersi anche un po’ arrabbiato!

"Lascia perdere, non è importante" e il rossino affondò le mani nelle tasche, ingobbendosi un poco e dando un calcio ad un sasso.

"Ti stupirai, ma la gente non mi salta addosso in mezzo alla strada" il tono di Rukawa era gelido, una lama affilata.

"Beh, non ne sarei così sicuro… a volte io…" a volte io lo farei, voleva dire, ma fortunatamente si era fermato in tempo… oppure no?

A questo punto fu la kitsune a distogliere lo sguardo, fissandolo sulle foglie accartocciate sul marciapiede.

"Ecco… volevo dire che sei così bello che… insomma, la gente potrebbe fare dei pensieri strani su di te – si fermò, la voce si spense per qualche istante, ma poi riprese molto più vigorosa – Beh, lo saprai meglio di me, no? Tu ci vai in giro ventiquattr’ore su ventiquattro con quella faccia!"

Un ragionamento che non faceva una piega.

Sollevò gli occhi per spiare la reazione dell’altro, e lo stupì vederlo scuotere la testa, con l’ombra di un sorriso sulle labbra:

"Sei veramente un do’aho… - il tono sembrava scherzoso, incredibile! – Comunque pensa alla tua di sicurezza, alla mia sono perfettamente in grado di badare da solo, deficiente" e stavolta la voce era di nuovo gelida.

Rukawa cominciò a camminare, e Hanamichi gli si affiancò senza nemmeno pensarci, e quando l’altro lo guardò con il sopracciglio sollevato, lui tentò un sorriso pacificatore:

"Ormai sono arrivato fin qui…".

Non ci volle molto per arrivare davanti ad un piccolo cancello in ferro battuto, seminascosto da un rampicante. Rukawa si fermò, tirando fuori dalla tasca un mazzo di chiavi.

"Ah… questa è casa tua?" non che si vedesse nulla, solo questo rampicante e un pezzetto di cancello.

"Hn".

"Beh, va bene… allora ti saluto – Hanamichi sprofondò ancora una volta le mani nelle tasche, strusciando i piedi per terra – Io vado… domani dobbiamo alzarci presto, sai com’è il gorilla quando si lavora, chi arriva tardi finisce sul suo libro nero…"

"Lo so".

"Ok, allora… beh, ciao" eppure non riusciva ad allontanarsi.

Rukawa armeggiò rapidamente con la serratura, e il cancello si aprì con un cigolio.

Hanamichi cominciò a soffiarsi sulle dita: prima di andarsene voleva essere sicuro che l’altro entrasse in casa, poi sarebbe andato alla stazione. All’una di notte pensare di andare a piedi era impossibile, e se quello sembrava un quartiere tranquillo, il suo lo era certamente molto meno.

Il cancello si riaprì di nuovo, e Rukawa uscì di nuovo sulla strada.

"Ehi, kitsune, ti sei scordato qualcosa?" magari un bacino di ringraziamento sulla guancia?

"Come torni a casa?"

Il volpino sembrava aver fatto voto di non pronunciare più di cinque parole nella stessa frase.

"Vado alla stazione, credo che con un paio di coincidenze dovrei riuscire ad arrivare a casa ad un’ora decente… se prendo la linea verde, poi quella blu, e infine quella arancione…" cominciò a spiegare, rivelandosi fine conoscitore della rete ferroviaria di Yokohama.

"Hai la patente?" tagliò corto l’altro.

"Certo che ce l’ho! Io sono il miglior pilota di tutta Kanagawa! Mica mi chiamano Tensai a caso, che credi?!" ribatté piccato.

"Solo tu ti ci chiami" l’arrogante volpaccia si sentì in dovere di specificargli, cosa assolutamente superflua.

"Grrrrrrrr!!"

"Tieni – e Rukawa gli lanciò un anello con due chiavi attaccate – quella nera, è la mia macchina. Me la riporti domani in fabbrica".

Sakuragi si girò e vide una jeep parcheggiata poco distante dal cancello. Alla sua occhiata meravigliata, l’altro disse solo ‘mio padre’.

"E sei sicuro che gli vada bene che la prenda io?" non che gli dispiacesse che l’altro gliela prestasse, gli sembrava un buon segno di preoccupazione per lui.

"Sì. Riportamela domani. Buonanotte" e Rukawa sparì di nuovo dietro il cancello.

Hanamichi spinse il pulsante, disinserendo l’allarme e facendo scattare le serrature delle portiere. Entrò nella jeep con circospezione… era una bella macchina, ed era del volpino! E poi l’impianto stereo… accidenti! Quella sì che era una tensai-mobil, altro che lo scassone del padre di Takamiya!

Il giorno dopo l’avrebbe restituita alla kitsune, e chissà che l’indisponente non accettasse un invito a passare la pausa del pranzo fuori della fabbrica, magari a mangiarsi un panino davanti alla spiaggia. Sul viso gli si stampò un bel sorriso ebete, o da tensai, come pensava lui, mentre lasciava correre la macchina del suo Kaede sulle strade ormai deserte di Yokohama.

Il giorno dopo ancora non si era ripreso dall’emozione di quella strana serata, forse anche per il fatto che non aveva chiuso occhio, e adesso, a turno iniziato, aveva un sonno che lo faceva sbadigliare ininterrottamente. Prima di uscire di casa, aveva lasciato un messaggio per la madre sul tavolo della cucina, ricordandole di tenerlo aggiornato sulla situazione della donna che era stata ricoverata, poi era saltato sulla jeep ed era arrivato in fabbrica strombazzando felice.

Una volta indossata la tuta da lavoro e raggiunta la sala delle verniciature, cercò immediatamente con lo sguardo Rukawa. Lo individuò immediatamente, era accanto ad Akagi, e stava osservando dei fogli che a prima vista sembravano quelli dei nuovi turni. Per un momento Sakuragi rabbrividì: e se li avessero destinati a sale diverse?

Si avvicinò anche lui, e, sfilando con lestezza le carte dalle dita pallide e affusolate della kitsune, le scorse velocemente, facendo finta di non accorgersi dello sguardo gelido dell’altro.

Esibì un bel ghigno soddisfatto:

"Pare proprio che dovrò continuare a sopportarti, volpino!"

"Do’aho!" fu la pronta replica, dopo la quale le carte tornarono, con uno strappo violento, nelle mani del proprietario.

"Andate a lavorare, invece di perdere tempo! Scimmia, sei sempre il solito attaccabrighe… sciò, immediatamente alle macchine!" tuonò il gorilla, che soprattutto di prima mattina assumeva sempre un’aria indaffarata da capitano d’industria.

"Credo che tu mi debba qualcosa…" sibilò Rukawa mentre riprendevano le loro posizioni. Arrivò anche ad allungare la mano aperta nella sua direzione, ma Sakuragi si limitò a scuotere la testa:

"Non ti restituirò le chiavi se prima non verrai a pranzo con me. Fuori di qui, però!" e sorrise soddisfatto.

"Che diavolo vai blaterando?!" il volpino sembrava proprio non aver capito di essere ormai in trappola.

"Ho deciso: visto che il tensai è molto più maturo di una stupida kitsune, per il bene dell’azienda dobbiamo smetterla di litigare ogni secondo, e così, per cercare di conoscerci meglio, andremo a pranzo insieme. Vicino al parco c’è un tipo col carrettino degli hot-dog, è un amico di vecchia data… ci farà un prezzo speciale, cipolle comprese!"

"Non ho nessuna intenzione di venire a pranzo con te" il tono di Rukawa sembrava definitivo.

Hanamichi non si sentì però assolutamente scoraggiato:

"Quello che pensi tu ha un’importanza molto relativa. Io ho le chiavi della jeep, e se la rivuoi devi fare quello che dico io!" gli era sempre piaciuto assumere il tono dittatoriale… non che avesse mai avuto molte possibilità per esercitarsi…

L’altro non rispose, gli girò le spalle, tornando al lavoro. Molti avrebbero considerato questo come un rifiuto, ma il tensai aveva cominciato a conoscere il suo pollo, e aveva capito che sarebbero andati sicuramente a pranzo da "Maki, l’artista della salsiccia", il banco migliore dell’intera prefettura.

E quello fu il primo di una serie di pranzi che i due fecero insieme. Sembrava sempre che Hanamichi non avesse alcuna possibilità di spuntarla, che si sarebbero presi a testate prima che Rukawa acconsentisse, e invece finivano sempre più spesso a mangiare seduti sulla sponda del laghetto del parco, a litigare, a parlare, a prendersi in giro.

E Mitsui? Sakuragi non poteva soffocare un ghigno di soddisfazione ogni volta che vedeva lo sfregiato seguirli con lo sguardo quando loro si allontanavano verso il parcheggio. Però sembrava che il teppista sapesse occupare bene il proprio tempo libero, visto che Kogure ormai sembrava camminare… volare, anzi, su una nuvola rosa. E probabilmente accadeva fra i due anche qualcosa di leggermente più tangibile, visto che una volta, scappando sul tetto della fabbrica per sfuggire alle ire di Takenori, Hanamichi li aveva beccati nascosti dietro la pesante porta di ferro in atteggiamento che chiamare compromettente era davvero un eufemismo. Che il quattr’occhi lamentasse una lisca in gola era poi assolutamente puerile: se avesse mangiato il pesce della mensa, sarebbe morto ben prima che la stupida lisca raggiungesse la bocca. Quei cadaveri con le pinne erano come la Gorgone, letali al solo sguardo.

Ovviamente Sakuragi si era limitato a guardarli con le braccia incrociate al petto, un sopracciglio sollevato e un sorrisetto pieno di sarcasmo stampato sul volto.

"Ehi, scimmia! Vedi di far sparire quella faccia da ebete dalla mia vista, mi stai rovinando la digestione!" gli aveva sibilato lo sfregiato.

"Anche tu hai mangiato il pesce?" aveva risposto lui, ironicamente.

"Hanamichi…" aveva però mormorato Kogure, facendolo tornare con i piedi per terra. E a quel punto lui si era un po’ vergognato, nonostante la voglia di dare una lezione a quell’insolente dai denti inspiegabilmente brillanti (Takamiya aveva raccolto scommesse su quale potesse essere il dentifricio artefice di tale magia), e così aveva fatto retromarcia senza aggiungere una parola.

Mentre scendeva le scale per tornare nella sala delle verniciature, però, Hanamichi si era sentito molto carico. Con Mitsui definitivamente fuori gioco, le sue probabilità di vittoria potevano solo aumentare!

E così i pranzi fuori della fabbrica erano continuati, e il rossino aveva cercato di fare piccoli passi avanti ogni volta. Non che avesse sempre successo, i due avevano una incredibile capacità di prendersi ad insulti di una violenza sconcertante, spesso poi Rukawa si limitava a mangiare in silenzio, rispondendo ai suoi tentativi di cominciare una conversazione con una gamma impressionante di grugniti diversi. Però Sakuragi sapeva bene che le cose stavano lentamente cambiando, visto che non doveva più insistere così tanto per andare a mangiare insieme, oppure visto che, quando tutti i giocatori dello Shohoku uscivano per andare al pub, sembrava ormai stabilito che loro due si sedessero vicini, nell’angolo del sedile.

"Ehi, lo sai che al campionato mancano solo tre giorni? Non vedo l’ora di cominciare: il tensai farà mangiare la polvere anche all’orrido porcospino!!"

All’occhiata sospettosa del compagno, lui scosse la testa:

"Non mi dire che non sai neanche che Sendoh Akira, il manager più esibizionista di tutto il Giappone, ha come secondo nome ‘porcospino’!"

"Do’aho…"

"Ma conosci anche altre parole, oppure nella tua scuola avevano deciso di concentrarsi sulle mille pronunce diverse di un unico termine?"

Rukawa non gli rispose neanche, continuando a sbocconcellare il panino, voltandogli pure le spalle per guardare l’acqua brillante del lago. Quel giorno il cielo era azzurrissimo, e il sole scaldava, anche se bastava passare all’ombra per tornare ad essere aggrediti da un gelo che non lasciava scampo.

"Senti… se riesco a prendere più rimbalzi di Akagi, in partita, che ne dici di festeggiare insieme?" aveva impiegato tre giorni per trovare questa idea fenomenale, quella che gli avrebbe permesso di passare una bella serata cheek to cheek con il suo volpacchiotto. Ovviamente il suo charme avrebbe fatto il resto, e loro due si sarebbero allontanati mano nella mano, nella luce rosa del tramonto, mentre Celine Dion cominciava a miagolare come un gatto agonizzante una delle sue innumerevoli canzoni diabetiche…

"A me non importa niente di quanti rimbalzi tu riesca a prendere, e a te non dovrebbe importare di battere Akagi, ma di battere gli avversari".

Hanamichi rimase qualche istante in silenzio, poi sbottò:

"Sei proprio uno yogurt!"

"Mph!"

"Uno yogurt scaduto tre anni fa!" ribatté poi, deciso ad avere l’ultima parola.

Sguardo gelido di Rukawa.

"Hai paura che io vinca la scommessa… certo, ti darebbe fastidio che tutto il pubblico si alzasse in piedi per applaudire solo me, per riconoscermi come asso della squadra: non vuoi che sfidi Akagi perché diventerebbe palese a tutti la mia bravura… hai paura che io ti umili!"

Stavolta non arrivò né un ‘hn’, né uno sguardo gelido… prima uno spintone che per poco non fece perdere l’equilibrio al povero rossino, e poi un ‘come osi?!’ sibilato tra i denti che non sembrava essere esattamente una dichiarazione d’amore.

Ma Hanamichi non era un pavido…

"E allora accetta le mie condizioni: se prenderò più rimbalzi di Akagi, sarai gentile con me, e andremo a cena a festeggiare… ovviamente offrirai tu! Se perdo, offrirò io" terminò, generosamente.

Aspettò per qualche istante una risposta, ma Kaede Rukawa aveva deciso di rimanere in silenzio. Il rossino sorrise: dal poco che era riuscito a capire del volpacchiotto, spesso un suo silenzio valeva come un sì.

La prima partita fu contro la Katori motors, una fabbrica che adattava automobili per rally. Era una squadra di giocatori piuttosto duri, non i migliori dal punto di vista tecnico, ma efficaci grazie alla loro muscolarità. Nonostante i numerosi scontri fisici, sembravano avversari non troppo pericolosi, e la forza strepitosa del tensai riusciva a contrastare quei giganti in ogni parte del campo… quando non era l’eleganza con cui Kaede Rukawa eludeva i loro attacchi a portare allo Shohoku punti preziosi per la vittoria.

Ogni volta che Hanamichi prendeva un rimbalzo, non poteva evitare di lanciare un’occhiata verso il compagno, quasi a sottolineare che la scommessa era ancora valida. Mancava un minuto al termine dell’incontro e Sakuragi e Akagi erano fermi sul cinque pari… ok, sarebbero comunque andati a cena insieme, ma era anche una questione di orgoglio: Hanamichi voleva uscire con Kaede da vincitore.

Rukawa lanciò la palla a Mitsui, che gliela ripassò velocemente per smarcarlo sulla linea dei tre metri. Un passo indietro e un precisissimo tiro in sospensione… altri tre punti. Quanti ne aveva accumulati la kitsune in quell’incontro? Hanamichi era rimasto immobile ad ammirarlo ogni volta che lo aveva letteralmente visto ‘volare’ verso il canestro.

Ok, non doveva distrarsi! Portò lo sguardo truce su Akagi:

"A noi due, gorilla!" sibilò, rientrando in difesa.

Una manciata di secondi al termine dell’incontro: il playmaker avversario tentò un tiro da tre… doveva, doveva andare sul ferro! E ferro fu… con la coda dell’occhio Sakuragi vide Akagi fare un passo per saltare, ma lui fu più veloce, gli sembrava di avere delle molle sotto le scarpe… allungò le braccia e chiuse gli occhi. Sorrise, stringendosi poi il pallone contro il petto…

Cena per due, volpino!

La sirena suonò la fine dell’incontro. Dopo il saluto corsero tutti nello spogliatoio.

"Beh, ragazzi, devo dire che oggi siete stati quasi decenti…" cominciò Akagi, con tono tra burbero e paternalistico.

"Guarda che mica l’abbiamo fatto per te!" sbottò Miyagi, che si stava pettinando davanti allo specchio, sapendo che all’uscita avrebbe visto la sua Ayacuccia, che aveva seguito la partita sugli spalti.

"Idiota! Sto dicendo che finalmente vedo in voi un certo spirito di squadra!"

"Mettiti un paio di occhiali, allora!" gli replicò Mitsui.

"Siete delle bestie… zucche vuote, deficienti!" sbottò allora il capitano, tornando al vecchio modo di apostrofarli.

"Finalmente riecco il gorilla! Non farci più spaventare con strane svenevolezze!" borbottò Hanamichi, continuando ad aggiustarsi i capelli, e facendo strane facce davanti allo specchio per esercitarsi nelle sue famose mosse da spezza cuori di Kanagawa.

Poi però si girò, e la visione di Rukawa con l’asciugamano legato intorno alla vita lo mandò in tilt. Dopo un buon mezzo minuto di accurata osservazione, si gettò sulla propria sacca, afferrando un accappatoio rosso e gettandolo con violenza addosso al compagno:

"Abbi un po’ di decenza, kitsune!" sibilò tra i denti, non volendo che gli altri lo sentissero.

Il moretto lo guardò senza capire, ma, in ogni caso, decise che la mossa giusta era ributtarglielo addosso… cosa che fece con l’ottima mira che aveva già dimostrato in campo, visto che Sakuragi si ritrovò la faccia avvolta da quella spugna ancora umida.

Adoperandosi per nascondere il corpo del volpino a qualsiasi sguardo indiscreto, Hanamichi contemporaneamente terminò di prepararsi, e dopo venti minuti poteva affermare, senza timore di smentite, di essere er mejo figo di tutta la prefettura.

E Rukawa? Rukawa faceva in effetti la sua figura…

"Gulp!" fuoriuscì inavvertitamente dalla bocca di Hanamichi, facendo sì che tutti si voltassero prima verso di lui e poi verso il moretto.

Pantaloni neri, dritti, che evidenziavano le gambe lunghe e slanciate, una camicia celeste a maniche lunghe, rimboccate sull’avambraccio, il cui colore richiamava quello degli occhi, e i classici anfibi neri, Kaede Rukawa sembrava un’apparizione.

Ignorando gli sguardi dei compagni, l’oggetto di tanta ammirazione afferrò la giacca di pelle, buttandosela su una spalla, mentre nell’altra mano teneva la sacca sportiva.

Il rossino sorrise, anzi… il suo era un vero e proprio ghigno:

"Ce ne hai messo per prepararti, volpaccia! Forza, andiamo…" e lo afferrò per il polso, avviandosi verso l’uscita senza risparmiarsi di lanciare un ultimo sguardo ironico verso Hisashi Mitsui.

Avendo organizzato quell’appuntamento nei minimi dettagli (si era messo anche d’accordo con Kogure per bloccare Akagi, nel caso la situazione si fosse fatta difficile), Hanamichi tese la mano verso il compagno, una volta che ebbero raggiunto la jeep.

"Che diavolo vuoi, idiota?!" gli sibilò, affettuoso, il volpacchiotto.

"Le chiavi. Fa parte del mio premio per aver battuto il primate".

L’altro si infilò la giacca, non facendo alcun cenno di voler acconsentire alla richiesta.

"Forse non te ne sei accorto, ma avevo detto che se avessi vinto tu saresti dovuto essere gentile tutta la sera. Quindi dammi le chiavi" un ragionamento che non faceva una grinza.

"Sono affari tuoi se batti Akagi. Io non c’entro" gli ribatté l’altro, gelido.

"Mi sembra che questo punto lo avessimo già discusso. Zompa dentro la macchina e stai tranquillo finché non arriviamo a destinazione".

Rukawa neanche lo guardò, azionò il comando di apertura delle porte e si avvicinò al lato del guidatore, ma nessuno era più veloce del tensai, che quasi fece un bozzo nella portiera nella foga di conquistare il posto di guida:

"Sei arrivato secondo…" ansimò, sistemandosi sul sedile "Passa dall’altra parte e comportati bene".

Deciso a non dare vita ad ulteriori scenate, soprattutto considerando che tutti i giocatori dello Shohoku erano ormai sul marciapiede e li guardavano come se fossero l’ultimo successo cinematografico della stagione, Rukawa passò intorno alla macchina, entrando dal lato del passeggero.

"Visto? Se si fa come dico io, le cose vanno sempre bene!" gli comunicò il rossino, soddisfatto.

Che non avesse ricevuto risposta non era un problema troppo grave… il volpacchiotto aveva certamente qualche problema di comunicazione, qualcosa che lui, l’immenso tensai, avrebbe risolto una volta che le cose fra loro avessero raggiunto il giusto sviluppo.

Il ristorante che aveva scelto era vicino al centro della città, un posto abbastanza piccolo, gestito dalla madre di Yohei con l’aiuto di alcuni ragazzi della sua scuola di cucina.

Il ragazzo che si avvicinò per prendere le ordinazioni tenne un po’ troppo a lungo lo sguardo fisso sulla kitsune, almeno secondo i gusti di Sakuragi, ma presto li lasciò soli.

Oddio, la cosa in realtà era un pochino imbarazzante!! Hanamichi aveva tanto insistito per uscire insieme, quella sera, ma adesso l’idea di avere Rukawa vicino e tutto per sé, lo metteva leggermente a disagio. Insomma, era il loro primo appuntamento vero… quando si esce a cena con qualcun altro, da soli, vuol dire che la cosa si sta facendo seria, e lui avrebbe tanto voluto che tutto fosse andato come nelle commedie americane che a volte la madre lo costringeva a vedere… sì, avrebbe allungato la mano, avrebbe catturato quella del volpacchiotto, lo avrebbe guardato negli occhi, poi si sarebbero sorrisi, un sorriso di intesa, e sul bacio finale sarebbe comparsa la scritta ‘the end’.

"Sei tutto rosso, do’aho".

La voce indifferente, leggermente annoiata di Rukawa lo riportò con i piedi per terra. Ogni tanto pensava che con lui ci volessero i metodi di King Kong: doveva catturarlo, trascinarselo sull’Empire State Building, conquistarlo con la forza, finché l’altro non avesse riconosciuto di amarlo.

Nuovo sbuffo del compagno, seguito da occhiata truce.

"Che diavolo ti prende adesso, kitsune!" si lamentò lui, pronto a redarguirlo a dovere, forse perché si sentiva ancora addosso la faccia gorillesca di Kong.

In ogni caso, poco a poco, una sottospecie di conversazione ebbe inizio. Ovviamente si partì con il basket, argomento che non cessava mai di suscitare qualche reazione nell’algido volpino, poi però Hanamichi cominciò ad affrontare anche altri temi. Come era successo quella prima sera che erano stati da soli, e come si era ripetuto varie volte durante i loro pranzi, sembrava che fra loro ci fosse un legame nascosto che faceva presto cadere ogni barriera, che portava Sakuragi a raccontare cose di se stesso che non avrebbe mai pensato di rivelare, i suoi sogni, i suoi insuccessi, le speranze. La maggior parte delle volte lui si nascondeva dietro una maschera un po’ sbruffona, però con Rukawa la farsa durava poco, e presto venivano confidenze e risate sincere.

Se ci pensava con attenzione, si rendeva conto che l’altro non si apriva altrettanto. Ogni tanto sembrava che volesse dire qualcosa, per poi bloccarsi improvvisamente, altre volte sembrava che cercasse di cambiare discorso, magari anche solo con il suo gelido silenzio.

"A volte penso che mi piacerebbe tentare qualche altra strada, invece di rimanere in fabbrica, ma poi ci sono le difficoltà quotidiane, e allora penso che i miei sono solo sogni – Hanamichi si portò la mano dietro la testa – Certamente il basket ha perso un grande campione, ma chissà che non mi riesca la scalata nella Shohoku SpA… un giorno potrei entrare nel consiglio d’amministrazione, non pensi?"

Rukawa sorrise leggermente:

"Credi davvero che sarebbe una vita più felice?"

Hanamichi per poco non si strangolò con gli udon, forse era la prima volta che il compagno gli chiedeva cosa pensasse di qualcosa, visto che in genere si limitava ad ascoltare, e magari a sbuffare, quando non era d’accordo con quello che lui diceva.

"Beh… sono disposto a correre il rischio di rimanerne deluso!" rispose, mettendosi a ridere, e anche il volpacchiotto accennò un sorriso.

"E tu perché sei finito nel reparto verniciature di una industria automobilistica? Mi sembra che potessi avere tante altre possibilità…" Hanamichi si fermò, vedendo il sopracciglio sollevato di Kaede "beh, è vero: avresti potuto provare ad entrare nel basket professionistico, non mi sembri proprio scarsissimo, anche se non raggiungi i livelli del tensai… - nascose un sorriso vedendo che l’altro si stava accigliando, ma mai avrebbe ammesso che la kitsune era migliore di lui – e poi avresti potuto provare ad entrare nel mondo d… - non terminò immediatamente. Forse Rukawa si sarebbe seccato a sentire la sua idea? – insomma, avresti potuto provare a fare il… modello!" ok, lo aveva detto.

"Dici delle cretinate, do’aho".

"Hanamichi… HA-NA-MI-CHI!! E’ così difficile?" si era stufato di rispondere ad un insulto invece che al proprio bellissimo nome!

"No, do’aho".

La malefica kitsune non doveva tirare troppo la corda, oppure lo avrebbe preso a testate! Però quanto gli piaceva vedere quel sorrisetto soddisfatto sul suo viso!

"Comunque, non hai risposto: perché sei finito a fare l’operaio?" insistette Hanamichi.

Kaede Rukawa si strinse nelle spalle:

"E’ un lavoro come un altro. Mi piace provare un po’ tutto".

"E sei anche molto preciso… forse solo Akagi, oltre a te, cerca di cambiare le cose per migliorare il lavoro. Insomma, che te ne frega?" il rossino aveva notato varie volte che il moretto aveva tirato fuori la voce, alla catena di montaggio, solo per proporre cambiamenti che velocizzassero il lavoro.

"Anche mio padre lavora con le macchine. Mi ha trasmesso la stessa passione".

Il tono era stato definitivo, e Hanamichi decise di non spingere ulteriormente. Inoltre lo stava incuriosendo il fatto che l’altro avesse accennato varie volte al padre e mai alla madre… chissà se i genitori erano divorziati?

"Cosa prendete per dessert?" la voce della madre di Yohei distrasse Sakuragi dai suoi pensieri… insomma, si trattava di scegliere il dolce migliore, quello più pieno di cioccolata, doveva concentrare nel compito tutte le proprie facoltà mentali!

Quando uscirono, il vento si era placato, e il cielo, libero dalle nuvole, era illuminato dalla luna piena. Hanamichi si diresse verso la jeep, deciso a godere dei privilegi di quel primo appuntamento fino in fondo. Una volta dentro, accese radio e riscaldamento… cose entrambe necessarie per l’evoluzione torrida che aveva in mente.

Partì e imboccò senza esitazioni la strada che portava verso il mare.

"Dove stiamo andando?" il tono di Rukawa non era né agitato, né arrabbiato, solo freddo. Hanamichi notò che con una mano il compagno si stava massaggiando la fronte:

"Non stai bene? Vuoi che ci fermiamo ad una farmacia notturna? Posso portarti in ospedale… mia madre sicuramente potrebbe aiutarti!" ok, si stava lasciando prendere dal panico.

Il volpino appoggiò la testa contro il sedile, chiudendo gli occhi:

"Sono un po’ stanco. Stai zitto".

Sì, sembrava la solita kitsune, e questo portava a non dover cambiare destinazione.

Hanamichi parcheggiò di fronte alla spiaggia. Anche con i fari spenti, i lampioni del lungomare permettevano di vedere l’acqua nera che si infrangeva contro gli scogli artificiali.

C’era un silenzio confortevole fra loro, e il rossino si stupì che ad interromperlo fosse proprio Mr Non Dico Una Parola Neanche Sotto Tortura:

"Mi sarebbe molto piaciuto intraprendere la carriera professionistica. Volevo andare in America".

Lui non replicò nulla, continuò a guardarlo… sentiva che Rukawa non aveva terminato:

"Mio padre non ha voluto che lasciassi l’attività di famiglia…" adesso Kaede guardava proprio verso di lui. Aveva una strana espressione sul viso, sembrava che volesse dire qualcosa e non sapesse come.

Hanamichi gli sorrise, e venne così naturale avvicinarsi a quel viso, poggiare una mano sotto il mento di Kaede e sollevargli la testa per far sì che i loro occhi fossero fissi gli uni in quelli dell’altro, e poi lui si sporse ancora un poco, e fu solo la morbidezza, la dolcezza di un bacio.

Non durò a lungo, però: Rukawa si tirò indietro, e lui dovette lasciarlo andare.

Sakuragi non riuscì a nascondere un’espressione ferita, mentre riportava lo sguardo sul mare per avere il tempo di calmarsi: perché Kaede si era allontanato? Tutto sembrava far credere che i suoi sentimenti potessero essere ricambiati, e invece l’altro lo aveva scansato come se lui gli facesse ribrezzo…

"Scusami… credo di aver sbagliato, ma era parecchio che… che…" come sembravano sciocche le sue parole, come sembrava stupido dire di amarlo, sapendo che Rukawa gli aveva già dato la propria risposta!

"Credo sia il caso che torniamo a casa. E’ tardi".

E adesso quel tono gelido. No, non poteva sopportarlo, non poteva permettere che fra loro rimanessero, come muri, quelle parole non dette! Se non lo avesse fatto subito, non avrebbe mai più avuto il coraggio di riaffrontare l’argomento, e quello che provava per Rukawa era troppo importante per liquidarlo senza andare fino in fondo:

"NO! Prima… prima di andare a casa mi devi stare a sentire! Io… io… diavolo, da quando ti ho visto… è da quando ti ho visto che… che…"

L’altro non sembrava avere la minima intenzione di aiutarlo, stava lì, immobile, a guardare la schiuma bianca sulla cresta delle onde.

"MI STAI A SENTIRE, IDIOTA DI UN INUTILE VOLPINO?!"

Stavolta aveva guadagnato la sua attenzione, oh!

"Che cosa vuoi?"

Quel tono freddo certo non aiutava le confessioni, ma ormai c’era e doveva dire tutto:

"MI SONO INNAMORATO DI TE, POSSIBILE CHE TU NON L’ABBIA CAPITO?"

Ora ansimava, ma almeno era andato fino in fondo! Solo che… adesso?

"Possiamo andare a casa, ora?"

Non era possibile: quel pezzo di ghiaccio era indifferente a tutto!

"Non hai altro da dire?"

"No".

"Vuoi dire che sei pronto a perderti un figone come il sottoscritto? Ad andare avanti nella tua vita negandoti la felicità? Io… non posso crederci!"

Stavolta l’espressione di Rukawa era quasi comica nel suo sbalordimento, ma Hanamichi non si arrese… con mossa fulminea (dai tempi delle risse di quartiere aveva capito che la sorpresa era tutto…) si voltò verso il compagno, bloccandolo contro il sedile, e stavolta il bacio fu molto meno casto. All’inizio Rukawa gli resistette, cercò anzi di respingerlo, piantandogli i pugni contro il petto, ma lui non si arrese, e mise tutto se stesso in quel bacio. Come per magia, ad un certo punto si accorse che la resistenza diminuiva, che le braccia che avevano cercato di allontanarlo erano lentamente salite fino ad allacciarglisi intorno al collo, che finalmente il volpacchiotto era diventato parte attiva in quello che stava accadendo. Approfondì il bacio, forzando leggermente per avere accesso alla bocca del compagno, e di nuovo fu come uno scoppio di fuochi d’artificio, e poi solo oblio e passione.

Quando si separarono, Hanamichi si sentiva assolutamente e incredibilmente felice! Non si tirò indietro, e sollevò una mano per accarezzare il viso del suo Kaede, un viso che sembrava combattuto tra lo stupore per qualcosa che assolutamente non riusciva a capire, e lo sconvolgimento per quello che era appena accaduto.

"Ti amo, volpacchiotto" gli ripeté, sperando che anche in quella situazione di sbalordimento l’altro riuscisse a comprenderlo, e poi lo abbracciò stretto, accorgendosi per la prima volta delle note della canzone trasmessa dalla radio:

You can smile, every smile for the man who lends you hands, beneath the pale moonlight,

but don’t forget who’s taking you home, and in whose arms you’re gonna be,

so darlin’… save the last dance for me.

"Portami a casa" mormorò finalmente Rukawa, con voce atona, voltando la testa di lato come se fosse stato improvvisamente catturato dal paesaggio esterno.

Sakuragi lesse l’emozione e l’insicurezza dietro quel tono, e pur volendo finalmente tradurre in parole tutto quello che provava per il compagno, e sentire finalmente il giusto riconoscimento dei propri infiniti pregi, decise di non premere troppo. Era ancora troppo presto, e Rukawa sembrava aver bisogno di pensare a quello che era appena accaduto, di razionalizzarlo. Il risultato sarebbe stato lo stesso, una bella musica romantica e loro due abbracciati sul divano, di fronte al camino acceso…

Era inutile soffermarsi sul fatto che Hanamichi non avesse un camino… in quel momento la sua fantasia galoppava, ed era impossibile metterle un freno.

Si diresse verso il quartiere della kitsune, continuando a sognare insieme alle parole di quella vecchia canzone, e presto, senza che si fossero ancora scambiati una sola parola, si ritrovarono davanti alla casa.

Spento il motore, Sakuragi si voltò verso il compagno, pronto a rinnovare la propria dichiarazione e, magari, anche a tentare un assalto di rinforzo, ma fu frenato dall’improvviso mutamento dell’espressione di Rukawa, dal suo sguardo, fino ad un istante prima perso nel vuoto, e ora improvvisamente concentrato su qualcosa…

Ad Hanamichi parve anche di sentirgli sibilare qualcosa di simile ad un improperio, quindi si voltò nella stessa direzione, e scorse una figura in piedi, immobile accanto al cancelletto coperto dal rampicante.

Sembrava in tutto e per tutto… Akira Sendoh?

Fine Seconda Parte


 

Fictions Vai all'Archivio Fan Fictions Vai all'Archivio Original Fictions Original Fictions