In realtà questo racconto volevo spedirlo ad un concorso letterario ma poi non ho avuto il coraggio perché non mi sembra all’altezza, insomma, credo di riuscire a fare cose decisamente molto migliori di così…anzi a dire il vero lo spero. E’ dedicata a tutti i miei angeli, ma in particolare al mio Angelo che mi ha raccolta quando ero ferita e che ora mi manca da impazzire…*____*!Come back damn You >___< [Tameki gentile come al solito ^__-].
Catch me as I fall di Tameki
Fissavo l’acqua scorrere sotto di me come ipnotizzato. Lento scorrere costante di liquido melmoso verde che sfuggiva da sotto le arcate del ponte una decina di metri sotto di me. Gli occhi cominciavano a lacrimare, o forse stavo piangendo. Non sentivo niente: il rumore forte dell’acqua dopo la pioggia,il vento gelido che si infilava sotto il cappotto, il contatto metallico della ringhiera alla quale ero aggrappato, le nocche bianche dallo sforzo di stringere. Mi chiedevo se anche l’acqua sarebbe stata altrettanto crudelmente gelida. Cominciava ad albeggiare, davanti ai miei occhi pallide dita di luce: se volevo farlo dovevo sbrigarmi, presto sarebbe cominciato il via vai di macchine e non volevo occhi curiosi. Tanto valeva farlo subito, eppure il cielo era così bello che volevo ammirarlo ancora un poco prima di affidarmi alle acque. Provai ad immaginare la sensazione di gelo che avrebbe oppresso il mio petto, gli ultimi spasmi di vita e una scarica di adrenalina mi percorse la schiena,con un movimento fluido nonostante il cappotto scavalcai la ringhiera, le mie mani tremavano e lacrime calde scivolavano sulle mie guance. Mi fermai un secondo in quella posizione di stallo, alzai lo sguardo verso il cielo dorato e il contrasto con le acque scure mi fece strizzare gli occhi. Contrazioni di vita. Poi lo sentii: una melodia fischiettata allegramente che mi costrinse a girare la testa. Una persona stava arrivando dalla mia parte canticchiando, teneva lo sguardo fisso a terra e non mi aveva ancora visto: era il momento, dovevo farlo. Mai come in quel momento mi sentii solo. Spostai lo sguardo dallo sconosciuto all’acqua che mulinava sotto di me, provai a dondolarmi sui talloni e cominciai a staccare le mie mani dalla ringhiera, quando il fischiettare si interruppe. Istintivamente girai la testa e lo sconosciuto era lì che mi fissava con sguardo tranquillo. Riprese a fischiettare e avanzare lentamente, evitando di guardare nella mia direzione. Mi sentivo immensamente stupido in piedi oltre la ringhiera, così risolsi di risalire e mi sedetti, le gambe a penzoloni, lo sguardo fisso all’orizzonte. Sentivo i muscoli formicolarmi. Lo sconosciuto si fermò accanto a me, stentai a reprimere un moto di rabbia. “Bel cielo” fece lui come se fosse intenzionato ad attaccare bottone, mi limitai ad alzare le spalle noncurante, volevo solo che se ne andasse. Invece lo guardai sbalordito mentre superava la ringhiera e si sedeva accanto a me. Mi soffermai ad osservarlo con una punta di sfacciataggine,era di una bellezza strana, fuori dall’ordinario che prima non avevo notato: il viso era pallido e spigoloso, affilato come se fosse appena uscito da qualche malattia, occhi grandi del color verde delle foglie colpite dal sole, frangiati da ciglia biondo miele della stessa sfumatura dei capelli e delle sopraciglia arcuate, labbra morbide, quasi da ragazza, una fossetta sul mento che dava alla sua espressione una piega imbronciata e un piccolo neo, peccato veniale, poco sopra il labbro sinistro. Lo stavo fissando da troppo tempo e lui mi sorrise cortesemente. Distolsi lo sguardo, turbato e lo puntai nuovamente sull’orizzonte. Il mio bel sconosciuto fece lo stesso e per un lungo momento non parlammo. La sua improvvisa comparsa, la sua presenza discreta invece di scatenare la mia rabbia per l’ostacolo che rappresentavano tra me e quello che volevo fare avevano acquietato il mio spirito, ora osservavo il cielo con maggiore tranquillità, come se avessi saputo che per quel giorno, qualcuno mi aveva fermato e salvato. “Bel cielo” ripetè come se avesse captato il mio mutamento d’animo. “Già” risposi io. “Passo di qui tutte le mattine” disse quasi a volersi scusare “Questa mattina si stava così bene sotto le coperte che quasi non volevo muovermi” sentivo che stava sorridendo ma non mi voltai e mi limitai ad annuire. Intanto si era alzato il vento, ma non era freddo come quello di poco prima, sembrava così caldo ora che il sole aveva dispiegato i suoi raggi dorati sopra l’orizzonte. “Sai, io credo che non dovresti farlo” un sussurro così flebile che non ero neanche sicuro di averlo udito. Improvvisamente la rabbia e la frustrazione mi arrivarono alla bocca come vomito “Che cosa ne sai tu?” sbottai con malagrazia “Che cosa ne sa un ragazzino insulso come te di quello che io volevo fare?Che cosa ne sai di quello che provo, di quello che mi sta straziando l’anima, che cosa ne sai tu?” gli lanciai addosso quel “tu” urlato con tutta la forza che avevo. Contrariamente alle mie aspettative sussurrò “Io…io non volevo essere invadente, non volevo giudicare né darti consigli. Era solo una frase…una frase che mi sono ripetuto così spesso”, mi voltai stupito e guardai i suoi occhi mutarsi in torbidi stagni di tristezza, pensai che sarebbe scoppiato a piangere e invece allungò la sua mano fino a prendere la mia. Il suo contatto fu come una scossa, ma non mi ritrassi, aveva una storia da raccontare, una storia che voleva raccontare. Mi limitai a fissare la sua mano così delicata sulla mia e poi i suoi occhi. “E’ successo da tempo, ma ormai il tempo per me non ha più importanza” cominciò senza aspettare un mio cenno “ero così felice allora che non mi sembra vero, avevo la felicità a portata di mano. ‘La felicità sta nell’amare e non nell’essere amati ’ si dice ma io che ero uno e l’altro mi sentivo completo, mi sentivo vivo. Giorni talmente spensierati che se ci ripenso ora rimpiango perfino i brevi litigi” non lo guardavo in viso ma sentivo le lacrime nella sua voce, non mi voltai per non metterlo a disagio e continuai a guardare il sole uscire pigramente dalle acque. “Svegliarsi la mattina uno delle braccia dell’altro era il più grande regalo che avessi mai ricevuto. Vivere e condividere le piccole e grandi cose, costruire con le proprie mani presente e futuro e amare quello che era il passato, questo era il nostro amore, finchè…finchè un giorno non gli venne diagnosticata una malattia incurabile che non ci lasciò neanche il tempo di dirci addio, neanche il tempo di avverare la metà dei nostri sogni, nel giro di così poco tempo l’agonia si trasformò in coma e il coma in morte” il mio respiro si era bloccato mentre i miei occhi fissavano ancora ostinatamente il sole, proseguì “che siano passati giorni, mesi, anni o secoli io so solo che il dolore non accenna a stemperarsi. Io so solo che ogni mattina per mesi sono venuto qui sul nostro ponte, cercando il coraggio di morire, cercando la morte tra i nostri ricordi più belli…” ero pietrificato,il mio egoismo mi colpiva allo stomaco come un pugno “come…come te…” si voltò a sorridermi con gli occhi pieni di lacrime mentre il sole inondava il cielo di luce, non potevo sopportare oltre e scoppiai in lacrime. In bilico su una ringhiera,le gambe a penzoloni, cappotto gonfio di vento, il sorriso triste di uno sconosciuto e la sua storia, la mia anima spezzata da una storia finita, il sole ci inondò di luce, riducendo le nostre lacrime a gocce d’oro puro. Gentilmente lo sconosciuto alzò una mano e le sue dita seguirono le tracce delle mie lacrime “Non so che cosa urli nella tua anima, ma una cosa la so: non è questa la via, non è questo il modo. Vivi. Vivi e si felice anche per chi non c’è più, anche per chi ti ha lasciato, non troncare la tua strada, non precluderti le strade che si stanno aprendo” annuii, mi sembrarono delle parole così cariche di saggezza. Gli strinsi la mano umida di lacrime e sorrisi. “E se io fossi saltato?” domandai. “Se tu fossi saltato non avrei esitato ad afferrarti, ti avrei preso mentre cadevi” le sue parole erano così semplici e chiare. Non credo né ad un dio né ad un diavolo, ma so che gli angeli esistono e che camminano in mezzo a noi, pronti ad afferrarci, afferrarci mentre stiamo cadendo.
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