Today is Ria Day...buon compleanno Ria!!!
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Cartelli
di Mel
“Allora Hana, tesoro, ti piace?”
La donna si girò verso il figlio, con le braccia aperte ed
un sorriso candido che distendeva le sue belle labbra piene.
Alle sue spalle, l’oggetto della loro conversazione faceva bella mostra
di sé, elevandosi su due piani.
Una casa.
Una casa nuova.
Una bella, piccola villetta nella parte costiera della
città.
“E’....è questa....davvero?” chiese stupito il ragazzo dai
capelli rossi
“Si....non è bellissima?...Me ne sono innamorata subito.....e
pensare che era solo ancora un progetto su carta......nella realtà
è molto più bella, no? Veramente al di là di
ogni mia aspettativa...........” rispose la donna raggiante
Hanamichi levò lo sguardo nocciola sull’abitazione
davanti a sé.
Era veramente bella, oggettivamente bella.
La zona poi era accogliente.
Niente palazzi alti, stretti e grigi come carceri, niente che potesse
impedire al sole ed al vento di mare di arrivare fino a loro, portando
con sé un odore salmastro gradevole e riposante.
Non poteva credere che fosse quella la ‘cosuccia’
che sua madre aveva acquistato e che gli voleva far vedere.
La donna rideva ancora , felice.
E lui sorrise di riflesso , sereno nel vedere nuovamente quel viso
esprimere un sentimento di gioia.
Da così tanto ormai loro due non davano per scontato ogni sorriso
che vedevano fare all’altro.
Anzi si osservavano, giocando come solo un figlio ed una madre possono
fare, prendevano nota di cosa facesse stare bene l’altro per poi sorprenderlo
per strappargli quei sorrisi , quelli veri, che da tempo mancavano
nella loro vita.
Ed era un piccolo trionfo ogni volta che le loro labbra si piegavano.
Era un trionfo sulle lacrime che a lungo avevano bagnato i loro occhi
per la morte di una persona cara.
Sorrisi e morte.
L’unico binomio che la vita umana conosca.
Ma Hanamichi non voleva più che quei tristi pensieri rovinassero
un momento così raro e prezioso.
Sua madre sorrideva ed importava solo quello.
“Allora?” chiese lei trepidante, in attesa di un assenso
Lui riportò lo sguardo dalla casa fino agli
occhi scuri di sua madre.
“Mmmh...ma non avremo speso troppo?” chiese ancora
Hanamichi
Lei rise.
“Sempre troppo responsabile ...non temere........l’architetto era
un amico di papà .........me l’ha gentilmente quasi regalata
per il prezzo che ha...............ora però mi devi rispondere
tu......non mi hai ancora detto cosa ne pensi......”
Il ragazzo dai capelli rossi sorrise , veramente e
con dolcezza negli occhi le disse.
“E’ troppo bella per essere vera, non è che
mi stai facendo uno scherzo?”
Incapace di contenere la sua gioia la donna dai capelli
castani chiari abbracciò il figlio, stringendolo a sé.
“No, tesoro......è nostra, tutta nostra........per me e per
te”
***Pov. Rukawa
Il rumore mi infastidisce , un camion dei trasporti
è fermo davanti alla casa accanto alla mia , la villetta nuova
che hanno costruito, tsk, non solo hanno fatto un sacco di rumore
per costruirla ,ora fanno anche un sacco di rumore per farla abitare
da qualcuno.
Si, è stata venduta.
Ne ho la conferma , vedo facchini indaffarati a spostare mobili e
scatoloni , eppure dalla mia finestra non vedo l’entrata della casa
, quindi mi è impossibile scorgere le figure che guidano il
lavoro.
I miei nuovi vicini.
Non mi chiedo come saranno, perché a me non interessa, spero
solo che siano silenziosi.
***
“Mammaaa, questi dove vanno?”
“Di là ,tesoro”
Il ragazzo dai capelli rossi saettò velocissimo tra gli scatoloni
che ingombravano tutto il pavimento per raggiungere la donna, una
volta posati a terra i tappeti che trasportava.
“Finito” esclamò lei battendo le mani
“E adesso?”
“Prima di sistemare voglio farti vedere la tua cameretta”
Lui sorrise e la seguì.
Con le labbra deliziosamente piegate lei si fermò
davanti ad una porta e posò una mano sulla maniglia, senza
tuttavia aprirla.
“Ecco la nuova dimora del tensai” annunciò la donna con voce
falsamente solenne
Hanamichi rise divertito per tutta quella scena poi
, improvvisamente , posò la sua mano su quella della madre
e aprì la porta.
“Ah brutto birbante ....chi ti ha dato il permesso?”
“Mi stavi facendo morire di curiosità ,sei
una madre perfida” disse lui ridendo mentre la donna cercava di acchiapparlo
Giocando entrarono in camera ed approfittando di un
attimo di distrazione del figlio, preso ad osservare la stanza, lei
lo abbracciò.
“E’ così ....grande....è davvero tutta mia?”
“Ma certo sciocco... – disse lei passandogli una mano
tra i capelli – ora che il mio lavoro è stabile e abbiamo questa
bella casa devi smetterla di preoccuparti, ok?”
“Va bene” concesse lui con un sorriso
“Bravo....ed ora rimani pure qui ad esplorare la tua stanza nuova”
In silenzio , con solo un sorriso ancora, lei uscì
chiudendo la porta.
Hanamichi rimase solo, al centro di una stanza praticamente
vuota ed enorme.
Niente in confronto alla piccola stanzetta che aveva prima , in un
quartiere popolare, proprio in uno di quei palazzi alti e stretti.
Fece qualche passo nella stanza , kami era davvero grande , senza
molti mobili lo sembrava ancora di più.
Il ragazzo dai capelli rossi si stese a terra , aprendo le braccia
, distendendo la schiena.
Si , da quel giorno sarebbe cominciata una vita nuova.
Avrebbe lasciato da parte i ricordi.
La morte di suo padre.
La loro iniziale situazione precaria.
I lavori che lui stesso compiva per mantenere meglio sé e sua
madre.
La fatica e l’incertezza.
La tristezza.
Ora sua madre aveva un lavoro stabile.
Avevano una bella casa.
Avevano i loro sorrisi.
Potevano ricominciare da capo.
Infine alzandosi Hanamichi si accostò alla
grande finestra che dominava su una parete.
Il vano rientrava creando una piccola, ma larga mensola bassa, quasi
un piccolo spazio per sedersi.
Lui osservò con cura il legno caldo che la ricopriva poi alzò
il viso per perdersi nell’oscurità della sera.
Davanti a sé ,ma di poco più in alto, un’altra finestra
lo guardava dalla facciata della casa vicina.
Veramente poco lo spazio fra le due finestre.
Chissà chi abitava in quella casa accanto, chissà se
chi ci abitava si sarebbe affacciato e si sarebbero visti.
Chissà.
***Pov. Rukawa
E’ già sera, fortunatamente nessun rumore disturba
più la quiete qui intorno.
Mi accosto alla mia finestra, senza curiosità, solo per controllare.
Scosto la tenda pesante e vedo la luce illuminare la finestra di fronte,
guardo attentamente.
Un istante ancora e quella figura che ho intravisto alzarsi ed andare
via, spegnendo ogni cosa, si sarebbe mostrata ai miei occhi.
Non importa.
Da quando poi mi interessano queste cose?
Lascio nervosamente andare la tenda che trattengo fra le dita ed esco
dalla mia stanza buia per cenare.
***
Erano passati pochi giorni , ma Hanamichi e sua madre erano riusciti
a sistemare quasi tutto, in fin dei conti avevano sempre avuto poche
cose , per riempire quella casa enorme avrebbero comprato giorno per
giorno.
Hanamichi parlava entusiasta della sua nuova abitazione con tutto
il guntai e Yohei era riuscito a strappargli la promessa di invitarli
lì , a scuola non aveva detto altro a nessuno, i suoi amici
sapevano, con gli altri e con la squadra sarebbe stato meglio tacere
, avrebbe dovuto spiegare troppe cose e ricordare.
No, non l’avrebbe fatto, non ora che aveva trovato una nuova vita.
L’allenamento scivolò via insieme al resto del pomeriggio.
I soliti litigi con Rukawa.
Come sempre.
Oramai era diventata un’abitudine , quasi un gioco.
Una cosa che entrambi inconsapevolmente attendevano ad ogni allenamento.
Una volta per uno trovavano una scusa per fare rissa.
Agli occhi di tutti gli altri sembrava solo un modo un po’ meno comune
per chiamarsi ed essere amici.
Per loro non aveva ancora preso un significato profondo.
Non ancora.
Hanamichi passeggiava stanco sotto un manto vellutato
, blu scuro, strappato qua e là , in buchi irregolari piccoli
e lucentissimi, che tutti chiamavano stelle.
Blu scuro.
Come gli occhi di quella stupida kitsune che gli era passata accanto
prima sulla sua bicicletta, svoltando poi in un’altra direzione.
Era stanco, ma felice.
Finalmente sentiva che tutto sarebbe tornato a posto, nella sua vita.
Si chiese con una punta di apprensione per quanto ancora avrebbe potuto
godere del sorriso di sua madre quando tornava a casa.
Sperò con tutte le sue forze che quel sorriso non si esaurisse
insieme alla novità di quella casa.
Lo sperò davvero.
Poi pensò a sé.
Se fosse continuato tutto così, cos’avrebbe potuto desiderare
ancora?
Aveva il sorriso di sua madre, una casa nuova, una vita stabile ,
un gruppo di veri amici ed una passione profonda , il basket, cosa
poteva desiderare ancora?
Lo chiese a sé e senza trovare la risposta lo chiese alle stelle
che, benevolmente, lo seguivano nel loro migrare vagabonde in un cielo
pulito e senza dolore.
Ed esse sembrarono rispondergli che forse alla sua vita mancava ancora
una cosa, una grande piccola cosa.
Una cosa da secoli cantata dai poeti ed urlata alla luna.
Amore.
Ma lui scosse le spalle.
E rise.
Decidendo che quella sera le stelle lo guardavano in modo strano.
***Pov. Rukawa
In breve è di nuovo sera, sono arrivato a casa presto.
Mi piace il buio, la notte, il silenzio.
Mi permettono di pensare.
Durante il giorno non ne ho il tempo.
Dormo sui banchi di scuola , nella pausa per il pranzo, prima degli
allenamenti.
E poi entro in palestra.
E lì , stacco la spina.
Non penso.
Vivo.
Invece la notte è adatta.
La notte, con la sua calma quieta ed il vento basso, è un angolo
di pace.
Eppure qualcosa mi distrae, sono sul mio letto, al buio.
Non dovrei vedere nessuna luce ed invece i vetri lucidi della mia
finestra, anche attraverso le tende pesanti di lino e viscosa , lasciano
entrare spicchi fusiformi di tenue luce.
La finestra davanti alla mia è illuminata.
Non mi sposto.
Eppure questa luce tende ad infastidirmi.
Non riesco ad ignorarla.
E sottile dentro di me si fa strada un velo d’impazienza.
Mi alzo e ripetendomi che è solo per vedere chi ha osato disturbarmi,
scosto la tenda guardando la casa di fronte.
***
Stanco ed immerso nei suoi pensieri Hanamichi salì verso la
propria camera, un sorriso sulle labbra.
Quella stanza gli piaceva da morire.
Era così grande e spaziosa.
Gettò la borsa in terra, ai piedi del letto e la svuotò
prima di lasciarsi cadere sulle lenzuola morbide per rilassarsi.
Era tutta lì la sua nuova vita.
Per l’amore avrebbe aspettato.
Chiuse gli occhi poi con un sospiro li riaprì.
Si sentiva osservato.
Volse la testa , girandosi prono sul letto ma le uniche cose che vide
furono le stelle, ancora più numerose di prima, ancora più
grandi.
Su nel cielo, a fare da cornice ad una finestra dalla luce spenta
e la tenda tirata.
***Pov.Rukawa
Lascio andare il tessuto morbido , lo sento scivolare via dalle mie
dita.
E con esso sento crescere un sentimento che poche volte ho provato.
Stupore.
Ho visto un ragazzo gettare a terra la propria borsa, svuotarla, tirando
su una sedia dei pantaloncini ed una maglietta rossi.
L’ho visto stendersi sul letto, chiudere gli occhi e poi riaprirli.
E guardare verso di me.
Ma non mi ha visto.
Non mi ha potuto vedere perché le mie dita hanno perso la loro
presa qualche attimo più veloci dei suoi occhi.
Ed ora rimango a fissare una tenda bianca attraverso la quale immagino
ancora di vedere i capelli rossi di quel ragazzo che conosco fin troppo
bene.
***
Un altro giorno.
Il sorriso che Hanamichi rivolgeva a Yohei era vero , sincero...............non
finto o di circostanza come poco tempo prima .....e più nessuno
del guntai si sentiva in dovere di cominciare a scherzare solo per
fare ridere quella testa rossa.
Ora non era più un loro compito.
Ora bastava quella nuova vita.
La mattina passò.
Lenta.
Un altro brutto voto.
Tutto era cambiato per Hanamichi, ma non il suo odio per la storia.
Troppe date, troppi avvenimenti.
Troppa confusione.
Quel giorno in palestra il capitano lo aveva avvertito.
Niente più allenamento per lui se al prossimo compito non prendeva
la sufficienza.
E mentre uno sguardo fisso lo sfiorava Hanamichi si girò.
Rukawa lo aveva degnato di un suo sguardo.
Non avevano ancora litigato.
E se quel ragazzo dai capelli neri non si decideva a trovare un pretesto
significava che per quel giorno era il suo turno.
Tornando a casa Hanamichi cercò di pensare
allo studio che doveva recuperare e non allo strano comportamento
di quella kitsune.
Quel giorno non si erano nemmeno sfiorati.
Per quanto lui avesse fatto Rukawa aveva respinto ogni tentativo.
Non si era lasciato avvicinare.
Non aveva risposto nemmeno ad una provocazione.
E lui non capiva perché.
Perché l’avesse fatto e perché lui invece aveva desiderato
così tanto quello scontro.
Scosse la testa, salendo in camera.
Posando un libro sul tavolino, iniziando a studiare.
***Pov. Rukawa
Sono arrivato a casa presto, non so perché……mi siedo sul letto,
non accendo la luce, è vero , non la accendo mai, ma lo faccio
senza pensare, perché è una cosa naturale, ora invece……………ci
ho pensato.
Non l’ho accesa di proposito.
Perché so che se lo facessi, lui si accorgerebbe di me.
Lui non sa che io abito qui.
Diciamo che lui non sa nemmeno che esisto.
Le nostre liti mi sembrano così vuote.
Anche perché da tempo ormai penso che lui sia diverso da come
appare, non sono un do’hao io, capisco molti dei suoi comportamenti
e di certo non mi fermo alle apparenze.
Eppure capisco anche che questi nostri contrasti sono importanti,
che hanno un significato implicito, più profondo.
Dannazione , perché mi ritrovo a fare certi
pensieri?
Fino a ieri non mi interessava niente di chi abitava accanto a me,
niente di lui e niente di niente.
Adesso sono qui, vicino alla finestra.
Non mi ricordo nemmeno di essermi alzato.
Eppure lascio che le mie mani si muovano da sole a spostare un lembo
di tenda, a spostarlo fino a permettere ai miei occhi di vederlo.
Lui è in camera sua.
Butta svogliatamente un libro sul tavolino basso che orna il centro
della stanza.
Sorrido.
Un libro di storia.
Lo riconosco, è uguale al mio.
Lui si siede per terra, no, è più corretto dire che
si lascia andare per terra, a gambe incrociate, davanti al libro,
guardandolo, per alcuni istanti, come fosse una cosa mai vista prima
in vita sua e la sottile convinzione che sia effettivamente così
mi fa sorridere ancora.
Mi siedo distrattamente sul mio davanzale, sono stanco, realizzo senza
pensarci veramente e non voglio rimanere in piedi, ritorno a guardare
lui.
Ha aperto il libro, inizia a sfogliarlo, legge qualcosa , lo vedo
seguire con un dito le parole stampate, poi alza gli occhi fissando
davanti a sé e sembra ripeterle.
Rimango a guardarlo, ancora.
Lui sta studiando ed io lo guardo.
Perdo la cognizione del tempo , improvvisamente lui
si alza , chiude il libro , si stiracchia soffocando con una mano
uno sbadiglio.
Si dirige verso il suo letto e con un solo fluido gesto inizia a spogliarsi.
Mentre la sua maglia finisce, tutta sgualcita, su una sedia io chiudo
la mia tenda.
Cosa sto facendo?
Quel suo spogliarsi mi ha riportato alla realtà.
Da quanto tempo sono seduto qui alla mia finestra ad osservarlo?
Come sono potuto rimanere qui tanto a lungo, senza sentire nemmeno
i minuti che scivolavano via?
Accidenti, è solo il do’hao.
Perché mi interessa osservarlo?
Chiudo gli occhi e mi avvicino al mio letto.
Mi spoglio anch’io ,per la notte.
Nel farlo non posso non pensare a lui che prima stava facendo lo stesso.
Mi stendo nel letto, un sospiro soddisfatto per la
morbidezza delle coperte che mi avvolge e decido di non pensare più.
***
Hanamichi sorrise soddisfatto allo sguardo indagatore di Yohei.
Il ragazzo dai capelli neri gli stava domandando se aveva studiato.
Orgoglioso nel farlo lui gli aveva risposto che la sera prima si era
impegnato, aveva studiato fino a tardi e forse qualcosa avrebbe ricordato.
Yohei sospirò , alzando lo sguardo al cielo, poi risero insieme.
Si, a lui , il più caro amico di Hanamichi, la nuova vita del
compagno e la sua felicità piacevano.
Dopo tanto si erano ritrovati spensierati in una risata sincera.
“Oggi voglio assolutamente vedere questa meraviglia
di stanza, capito Hana?”
Il ragazzo dai capelli rossi rise ancora ,leggermente.
“D’accordo, d’accordo…ma solo se poi mi aiuti a fare i compiti per
domani…”
Yohei sbuffò amichevolmente poi annuì.
Quel pomeriggio, subito dopo gli allenamenti Hanamichi
uscì veloce dagli spogliatoi, per raggiungere il suo migliore
amico e incamminarsi con lui verso casa.
***Pov. Rukawa
Lui è uscito di corsa dagli spogliatoi, io invece mi cambio
lentamente, non vorrei tornare a casa.
Perché so che una volta lì non mi potrò impedire
di guardare dalla mia finestra.
Sono a casa ora, di nuovo accanto alla mia finestra.
Non so cosa fare.
Mi spaventa pensare che guardarlo mi attira così tanto.
Non capisco perché.
Seriamente mi dico che se voglio capire qualcosa credo
che dovrò di nuovo spostare questa tenda.
Mi sorrido.
Da quando in qua sono diventato così bravo a trovare queste
scuse ridicole?
Lui è seduto a terra, una delle sue gambe fasciate
dal jeans scuro è ripiegata sotto l’altra, una delle sue braccia
è appoggiata al letto e lui con il capo ci si lascia andare
sopra, reclina la testa e chiude gli occhi.
Per un attimo mi sembra che si sia addormentato così.
Che posizione scomoda, penso.
Eppure in questo modo il suo corpo mi appare così ….indifeso……un
invito inconscio per chiunque lo guardi………
….ed io lo sto guardando……….
Mi offendo ,sussurrandomi un insulto sulle labbra.
Che razza di pensieri ho?
Già……..pensieri……lui ora ha aperto gli occhi,
sembra fissare il vuoto davanti a sé ……chissà a cosa
starà pensando ……
…………sembra così diverso quando è da solo ………non pensavo
potesse esserlo……non pensavo lui fosse quel tipo di persona da rimanere
immobile con lo sguardo perso a lasciar correre i pensieri ………credevo
che questo fosse un ruolo esclusivamente mio …………ed invece….anche
lui …………
Anche lui nel silenzio della sua casa ama lasciarsi
ai pensieri?
Non credevo.
Rimango qui, ancora un po’ e lui si alza , appoggiandosi al letto
e inizia a spogliarsi.
Vedo la sua maglia cadere ai piedi del letto……….tsk, che do’hao disordinato……le
sue mani poi scendono verso il basso, risalendo un istante i fianchi
per poi stringere la cerniera……………
Non mi accorgo di trattenere il fiato e lui la tira giù, aprendo
i suoi jeans, facendoseli scivolare sulle gambe.
Ma per me quei pantaloni non toccheranno mai terra.
Non rimango a guardare, mi alzo e vado via, mi allontano da quella
finestra, da ciò che mi permette di vedere.
***
Il giorno prima era stato un giorno triste, troppi pensieri.
E ad Hanamichi era sembrato di tornato indietro.
Quando ogni giorno era uguale a quello, quando non c’era altro modo
di sfuggire al presente se non rifugiandosi in un pensare continuo.
Ed allora le notti si popolavano di storie, di immaginazioni dolci,
che compensavano il dolore, era bello ricostruire nella testa la sua
storia, immaginare quel giorno di essere uscito di casa, di essere
corso all’ospedale, di aver avvertito i medici, di aver salvato suo
padre, di vivere in una bella casa con lui, ora, felice.
E come sempre ogni mattina era tremenda, era un risveglio alla realtà
di un senso di colpa ogni giorno più opprimente.
Poi il tempo era passato, passato per lui, vero, ma passato anche
per quel dolore che aveva dentro.
Ma ieri aveva invitato Yohei a casa sua, per fargli finalmente vedere
quella stanza così famosa ormai.
Ma Yohei non aveva potuto.
Un impegno.
E lui da solo era tornato a casa, si era steso ai piedi del proprio
letto, aveva pensato che prima, quando abitava in quel palazzo stretto
e grigio, almeno era vicino al suo migliore amico, ora invece erano
lontani ed il tempo che ognuno poteva dedicare all’altro si riduceva
per colpa di tutti quei metri e metri che li dividevano.
Eppure si era ripetuto che da sempre sapeva che prima o poi si sarebbero
allontanati, che avrebbero avuto due vite separate, che forse un giorno
non avrebbero nemmeno abitato nella stessa città perché
alla fine si sa che le strade si dividono, che ci si allontana dagli
altri…eppure era un pensiero triste…e quel singolo pensiero ne aveva
portato alla sua mente un altro………
……..suo padre………
Anche lui si era allontanato.
Anche lui se n’era andato.
E così steso accanto al letto si era perso
nei pensieri.
Poi la stanchezza aveva mostrato le sue ragioni ed ora rimaneva solo
il vago ricordo di essersi lasciato ad un pensare malinconico.
Durante la pausa per il pranzo Yohei si era avvicinato
a lui, lo aveva salutato scusandosi ancora per il giorno prima ed
aveva assicurato al sorriso spento di Hanamichi che per lui non era
cambiato niente, che non gli importava la distanza , che sarebbero
rimasti sempre amici, insieme.
E lui dai capelli rossi si era stupito, non credendo possibili quelle
parole, quella comprensione che Mito sembrava avere di lui, dei suoi
pensieri profondi.
E ringrazio kami per avergli dato un amico, un amico vero.
Quel pomeriggio lo invitò di nuovo a casa e fugando ogni altra
preoccupazione si diresse verso casa con lui.
***Pov. Rukawa
Salgo le scale verso la mia camera.
Lascio a terra ogni cosa e mi siedo sul mio davanzale, la sera è
già scesa, la sua finestra è illuminata.
Anche oggi non mi sono prestato a litigare con lui.
Non so perché , ma ora come ora non ne sento più la
necessità.
Non voglio scontrarmi con lui, voglio osservarlo.
Forse perché così riuscirò a capire.
Forse perché voglio solo dimostrare a me stesso che tutto quello
che ho sempre creduto su di lui è vero.
Per vedere se realmente è diverso, è diverso dall’allegro
clown che cerca di essere.
E’ strano.
Questo mio indagare su di lui mi elettrizza.
Mi piace.
Scoprire la verità.
Tsk, forse suona alle mie orecchie meno scusa delle altre.
Mi decido a spostare questa tenda, a guardare.
Lui è seduto in terra, ride.
Non è solo.
Noto che l’altra persona con lui indossa l’uniforme
della nostra scuola ……..non riesco a vedere bene …….stupido do’hao
spostati……
…mh deve essere un ragazzo……sarà uno dei suoi amici………………si………è
Mito…………il suo migliore amico………………
….è così ha visite………scommetto che moriva dalla voglia
di far vedere a qualcuno la sua stanza…………eppure a noi ,in palestra,
non ha detto niente………………mi chiedo perché ………oh…sta ridendo
ancora……chissà cosa staranno facendo……sembra che Mito gli stia
raccontando qualcosa …………………improvvisamente lui si alza, esce dalla
stanza………………forse il telefono o qualcuno alla porta……Mito rimane solo…e
si guarda attorno……poi alza lo sguardo su di me…………
Ho chiuso la tenda.
Sono stato imprudente, dovevo sapere che lui è molto più
attento del do’hao.
Non so se mi abbia visto o meno.
Spero di no.
Ma poi…in fondo…non mi importa……fa parte del gioco sapere che prima
o poi possono scoprirti…………
Oh si, lo chiamerò gioco questo mio osservare.
Anche perché non saprei che altro nome dargli senza dovermi
preoccupare.
Teso scosto nuovamente la tenda, di poco, pochissimo, uno spiraglio
appena , Mito è tornato a sedere davanti al tavolino e Sakuragi
gli ha portato qualcosa da bere……………continuano a ridere …a scherzare………………ed
il sorriso di questo ragazzo dai capelli rossi mi colpisce………….non
sembra lo stesso sorriso che ha con noi, negli spogliatoi …………sembra
sia un sorriso speciale…………credo che sia un sorriso solo per Mito…quando
solo Mito può vederlo…………………quel ragazzo dai capelli neri conosce
sicuramente molte più cose sul conto di Sakuragi di quante
non ne conosca io o la squadra……penso sia giusto allora che quel sorriso
sia per lui……
….che parli di cose solo loro……di esperienze condivise…………eppure sento
uno strano fastidio………….come quando ti lasciano in panchina in una
partita importante……………lasciamo stare…………mh ancora una volta quel
sorriso anche se ora è lui stesso a parlare …………vedo la porta
che si apre …i piedi di una donna ……..sarà la madre di Sakuragi
……lui le sorride mentre Mito la saluta ……oh….è un sorriso ancora
diverso…………
…kami che cosa buffa…………..un sorriso diverso per ogni persona…………….
………solo quel do’ hao poteva inventare una cosa tanto
complicata……..
Sorrido divertito, ma lo sguardo di Mito attraverso la finestra mi
gela.
Non ho avuto nemmeno il tempo di accorgermene o di nascondermi.
Ora mi ha visto , ne ho la certezza.
Mi ha visto e mi ha riconosciuto.
Ma non fa niente.
Non attira l’attenzione di Sakuragi , non mi indica.
Non fa niente.
Mi guarda e sorride, divertito.
Io mi alzo, ho sete, mi allontano a cercare un bicchiere
d’acqua.
Quando ritorno su è passato del tempo, anche
troppo.
Mi siedo sul davanzale e aspetto ancora un po’.
Una domanda mi ha accompagnato per tutto il tempo.
Se quello che ho visto era un sorriso per Mito e quello
dopo un sorriso per sua madre e quelli che vedo in palestra sorrisi
per i miei compagni allora qual è il sorriso per me?
Allontano questo pensiero fastidioso, sbircio ancora
attraverso il vetro.
Lui è solo, si è fatto tardi.
Il suo amico deve essere andato via.
Eppure ha un aria felice, contenta, serena.
Per stasera smetto qui.
Lo voglio lasciare solo con il suo sorriso.
***
Hanamichi si lasciò andare sul letto.
Un altro giorno era passato.
Un sorriso leggero gli aleggiò sulle labbra al ricordo del
pomeriggio prima, della spensieratezza che aveva ritrovato.
La prossima volta avrebbe voluto invitare anche gli altri.
Ci avrebbe pensato in seguito.
Ora stava pensando alla kitsune , al suo strano comportamento.
Da giorni non rispondeva alle provocazioni, non lo guardava, non lo
considerava.
Non capiva.
Ne aveva parlato con Yohei quella mattina ed il suo amico aveva detto
solo una frase, senza senso per di più.
<Non preoccuparti, credo che la volpe ti osservi più di
quanto tu non creda>
Beh era inutile pensarci.
Hanamichi si alzò, per concedersi un bagno caldo.
Uscito dall’acqua si diresse subito in camera, per vestirsi , il freddo
delle prime sere primaverili gli regalò qualche brivido.
In camera, davanti alla sua finestra, il ragazzo dai capelli rossi
si passò l’asciugamano sul corpo, sfiorando ogni muscolo, tralasciando
la pelle coperta dalla biancheria, per scendere sulle gambe, sui piedi
e poi risalire sul petto, sul collo ed infine sui capelli, bagnati
solo sulle punte dietro la nuca , Hanamichi li asciugò inclinando
la testa, passandoci sopra la morbida spugna, usando entrambe le mani,
sospirando soddisfatto, ad occhi chiusi.
***Pov. Rukawa
Sono a casa.
Ho veramente accelerato su quei pedali.
Le mie dita scostano impazienti il tessuto della tenda.
Lui è in camera.
Sul letto.
Si gira fra le lenzuola, sembra perso nei propri pensieri, ancora
una volta.
Credo siano pensieri più belli di quelli della volta precedente
……un sorriso leggero gli incurva le labbra……ancora una volta diverso
dagli altri sorrisi……………oramai non me ne stupisco quasi più……………….lui
rimane lì ,pensa, si rigira, non posso sentirlo ma immagino
il fruscio delle lenzuola sotto il suo corpo, il leggero cigolare
del letto………….sento una sensazione nuova…….scorrere nelle mie vene
…..una sensazione strana………non capisco, continuo a guardarlo……lui
si alza……spegne la luce…………..no...no…mormoro ……dove sta andando?..........
Passa del tempo.
Forse è uscito.
Forse è rimasto al piano di sotto.
Non so perché ma non mi sono spostato da qui.
Sono ancora seduto sul mio davanzale e osservo la luna ed il manto
della notte.
Ho tentato di analizzare quello strano sentire che
mi ha colto prima, eppure appena lui è andato via è
sparito anche quello strano sentimento.
Guardo ancora il cielo, i suoi colori scuri sono riposanti
per i miei occhi.
Improvvisamente la luce mi raggiunge, frammenta in piccoli pezzi scintillanti
il buio che fino a pochi secondi fa ammiravo.
Potrei sentirmene infastidito.
Ma ogni pensiero mi muore nella mente appena sollevo gli occhi.
Lui è tornato in camera.
Un asciugamano in mano , nulla addosso.
Quasi nulla.
Rimango immobile.
Quella strana sensazione di prima mi riempie, ghermendomi senza preavviso.
Lui ….lui …si ferma davanti alla finestra…ma non sta guardando fuori
…sta asciugando il suo corpo…..passa la morbida spugna chiara sulla
pelle……..dalle gambe……ai piedi…….al petto……al collo…..ai capelli ……….
….il suo corpo……non è la prima volta che lo vedo………….ma credo
sia la prima volta che lo guardo……….
…negli spogliatoi non faccio caso a lui………
…ed ora mi chiedo come ho potuto non farlo……come……?
Ma è il pensiero di un istante ………mentre lui si accarezza i
capelli bagnati io mi alzo per andarmene …eppure non riesco a smettere
di osservarlo …..ha chiuso gli occhi…ha dischiuso le labbra ……penso
abbia sospirato……………
Kami.
Mi allontano, bruscamente.
Troppo tardi.
Eccitato.
***
Hanamichi sbuffò, imbronciato.
Non voleva.
Quei due poi erano delle pesti.
Sua madre candidamente lo aveva avvertito solo qualche minuto prima
che i suoi cuginetti sarebbero venuti a trovarlo quel pomeriggio e
lui, invece di uscire con gli amici, sarebbe dovuto rimanere con loro
quel sabato a casa.
Si appoggiò al davanzale, fissando quella finestra.
Non vi aveva mai visto una luce dentro.
Eppure quella casa sembrava abitata, doveva esserlo.
Aveva notato segni di abitazione, aveva visto un giardiniere ed una
domestica entrarvi.
Non si tiene pulita una casa senza abitarla.
Forse di giorno quelle persone non uscivano.
Incuriosito Hanamichi si chiese quale strana creatura della notte
vi abitasse.
***Pov. Rukawa
Mi siedo alla mia finestra.
Oramai non faccio altro, da giorni.
Osservo, in silenzio , cercando di capire lo strano turbinare di sentimenti
che provo guardandolo.
Ogni volta è diverso.
Ogni volta provo qualcosa in più.
E’ sabato oggi.
Un disco basso gira nel mio stereo.
E’ il mio modo di rilassarmi nei pomeriggi liberi.
Mentre guardo lui, ovviamente.
E’ in camera…lo vedo alzarsi.
Apre la porta e……cade in terra.
Due….due bambini?!!!!?
Si ….sono due bambini…….addosso a lui……..ridono trionfanti per averlo
buttato giù…….
La bambina scende dal corpo di Sakuragi e si avvicina al suo viso…………sembra
gli stia chiedendo se sta bene……..e lui sorride……e le accarezza la
testolina……..lei ride felice e lo abbraccia……….
Sakuragi sia alza…..attento a non far cadere il bimbo che è
ancora rimasto aggrappato a lui………anzi lo prende in braccio e lo solleva…..il
bambino dai capelli neri ride felice……………evidentemente trovarsi così
in alto gli piace…………
Lui lo solleva ancora più su…poi sembra farlo scendere invece
lo solleva ancora………………
Sta giocando con lui.
E ride.
Kami……….è….bellissimo ……vederlo giocare…..
Il suo viso si è illuminato , i suoi occhi ridono insieme alla
sua bocca.
La bambina si avvicina, trascinando con una manina
un peluche a forma di coniglietto mentre alza l’altra manina, afferrando
con decisione un lembo dei pantaloni di Sakuragi.
Sorrido.
Anche lei vuole divertirsi.
Lui lascia a terra il bambino, dopo avergli regalato
un ultimo momento in aria poi prende in braccio lei, le bacia una
guancia.
Si lascia abbracciare, la bimba gli allaccia le braccine alla testa
, scompigliandogli le ciocche rosse.
Lui scuote la testa e la solleva.
Lei ride felice.
Rimango ad osservarli.
Sono troppo belli.
Qualcosa che non ho mai visto.
Ora sono seduti per terra.
Il bambino sta giocando con il peluche a forma di coniglio, lei invece
è ancora abbracciata a Sakuragi.
Non lo lascia, gioca con i suoi capelli rossi, li solleva poi li liscia
come a pettinarli poi guarda lui esultando, sollevando le braccine
in aria.
E’ contenta dell’acconciatura che è riuscita a fargli.
E lui le accarezza il visino, sotto il mento e le treccine che le
incorniciano il volto, la stringe sorridendo.
Non credevo che il do’hao fosse così affettuoso.
Mi sorrido dicendomi che in questi giorni ho perso così tante
convinzioni su di lui che non dovrei più stupirmi ormai.
Il bimbo dai capelli neri addenta un biscotto.
Stanno facendo merenda.
Rido al pensiero di chi dovrà poi pulire tutte le briciole
che stanno lasciando sul pavimento.
Il pomeriggio passa ,i bambini si sono calmati, sono stanchi.
Anche lui lo sa, infatti li tira vicino a sé, li fa appoggiare
contro le proprie gambe e si riposa con loro.
La sera incede, graziosamente.
I bambini sono andati via, un po’ dispiaciuti che il loro pomeriggio
sia finito.
Con un bacio per uno lui li ha salutati.
Mi sono ritrovato a chiedermi se quella dolcezza lui
possa mostrarla anche a qualcun’ altro.
Mi chiedo anche se si, a chi potrebbe mostrarla.
Accarezzo distrattamente con una mano la tenda che ho accanto.
Lui ritorna dentro dopo averli salutati, si stende sul letto, stanco
ma soddisfatto.
Non si muove.
Realizzo che si è addormentato.
Resto a guardare il suo sonno
E’ così …innocente ora………oggi ho potuto vedere
una cosa rara…ne sono consapevole……..ed un unico pensiero infrange
ogni altra convinzione……
Lui in realtà è così.
Sakuragi, il mio compagno di squadra, il do’hao in realtà è
quell’insieme di dolcezza, di pensieri , di innocenza e di sorrisi
che ho visto in questi pochi giorni.
Non posso ancora crederlo ed ancora meno credo al fatto che lui ,
di questo , non ci abbia mai fatto intuire niente.
Se l’avesse fatto.
Se solo l’avesse fatto avrebbe conquistato molte più persone
di quante non ne abbia ai piedi io.
Al suo confronto mi sento ……freddo.
Mi guardo intorno, il vuoto della mia stanza mi sembra gelo, il buio
mi sembra solitudine.
E la sua stanza da qui, invece, mi sembra un sole.
***
Quel giorno era arrivato.
Come ogni anno.
Come ogni singola , maledetta, volta.
Li sentiva.
Hanamichi li sentiva distintamente quei passi lenti su per le scale.
Era primo pomeriggio, ma nemmeno un raggio di sole entrava dai suoi
vetri.
La pioggia minacciava di cadere, forse.
Il vento tirava ed il sole lottava per poter, a sprazzi ,rivedere
la terra alla quale aveva dato la vita.
Sua madre aprì la porta, avvicinandosi.
Un grande e candido mazzo di fiori nelle mani tremanti.
Ogni volta andava da lui, prima.
Anche se sapeva che, per quell’unica volta all’anno, suo figlio l’avrebbe
trattata male.
Ma lei non poteva capire.
A niente servivano le parole che gli rivolgeva.
Gentilmente, tante di quelle volte da perderne il conto, sua madre
gli aveva detto che non c’erano ragioni valide per assumersi ogni
colpa, che anche lei allora si doveva sentire responsabile, che quel
giorno invece di pranzare al lavoro sarebbe dovuta tornare a casa.
Per salvarlo.
Ma Hanamichi le aveva detto che non era la stessa cosa.
Ed il perché era semplice.
Non era la stessa cosa perché lei non lo aveva visto in terra.
Lei non aveva sentito il suo rantolare, il suo aggrapparsi disperatamente
a quell’unico respiro che ancora poteva tenerlo in vita.
Lei non lo aveva visto agonizzare.
E lei non era stata fermata da un gruppo di ragazzi e picchiata mentre
disperatamente gridava per suo padre.
Lei non poteva capire.
Almeno quello non poteva.
***Pov. Rukawa
Il tempo minaccia di interrompere il silenzio con un tuono quanto
prima.
Non posso uscire ad allenarmi nel mio campetto.
Il vento continua a levarsi alto.
Così siedo al mio davanzale.
Spero che anche lui abbia deciso di rimanere in casa.
Ho voglia di giocare.
Di giocare ad osservarlo.
E’ seduto in terra.
Le mani intorno alle ginocchia, il viso basso, i pugni stretti.
C’è qualcosa che non va.
Non è così che l’ho lasciato ieri sera.
No.
Ieri lui dormiva, dopo aver giocato tutto il giorno, dopo aver riso
e sorriso tutto il tempo.
Mi decido ad osservare e basta.
Aspetto.
La porta della sua camera si apre.
Una donna.
Sua madre.
E’ bella, una donna comune, ma bella secondo me.
Ha in mano un mazzo di fiori, bianchi, ben incartati.
Da qui non riesco a distinguerli.
Si avvicina a lui.
Si inginocchia davanti a lui, parla, gli dice qualcosa.
E lui, lui rimane lì, immobile, esattamente
come prima.
Non la guarda, non le risponde.
Che abbiano litigato?
Non credo.
Avrei sentito.
La voce di quel do’hao non è così bassa.
Lei si avvicina ancora, quasi….quasi incerta…..e gli appoggia una
mano sulla spalla.
Lui la scosta, bruscamente.
Non ci credo.
Dopo il sorriso dell’altro giorno, quel sorriso stupendo che le ha
rivolto, per quale motivo tanta freddezza?
Non è da te do’hao.
Non è da te.
Lei lo guarda affranta.
Possibile che lui non la capisca?
Voleva solo essere gentile.
Tsk , l’avessi avuta io una madre che c’era a portarmi la merenda
in camera o a posarmi un braccio sulla spalla.
Scuoto la testa, voglio dimenticare questi particolari.
No…..guardo meglio…no…lui lo sa che le sta facendo male……..lo vedo,
si morde un labbro…..trema…kami…trema quasi, forse vorrebbe abbracciarla
ma se lo impedisce…………….perché?
Perché do’hao?
Fallo, fallo finché sei in tempo , finché hai ancora
una madre.
Da tanto io non posso, non posso più ed il pensiero che forse
non ho mai potuto diventa ogni giorno più forte.
No…..lui non lo fa……aspetto…….ma so che non lo farà….ha
lo stesso sguardo che mostra in una partita difficile…….sa che è
persa ma gioca lo stesso…….gioca fino in fondo…………….non fugge…..fa
quello che ha deciso di fare………………………………
Di scatto si alza, le indica la porta con un braccio,
grida.
Lo sento, lo sento persino da qui.
Le sta dicendo di andarsene.
Di smetterla di tornare da lui ogni anno.
Che tanto non lo farà mai.
Cosa?
Cos’è che non vuoi fare?
Cos’è che ti distrugge così tanto?
Che ti fa gridare?
Non stai gridando contro di lei, non la guardi nemmeno,
no, stai gridando contro qualcosa che non si vede ed io vorrei sapere
cos’è ……
Anche lei lo capisce, ti capisce.
E va via.
Tristemente, ma va via.
Allora tu ti siedi e aspetti.
Cosa stai aspettando?
Mi giro un attimo, lei è uscita.
Passa accanto alla mia casa, si immette nella strada principale.
Ed io ti guardo, subito.
Ecco cosa aspettavi.
Aspettavi che lei uscisse.
Per cadere ai piedi del tuo letto e piangere.
Kami……stai piangendo……stai piangendo disperatamente.
Ti guardo.
Mi sembra di sentire i tuoi singhiozzi, i tuoi singhiozzi sempre più
forti, più alti.
Sento un dolore sordo.
Che cosa mi prende?
Mi asciugo un occhio.
Mi asciugo?
Si…….una lacrima cercava ….cercava di uscire?
E’ comune credere che quando si vede qualcuno a cui si tiene, piangere,
non si possa fare a meno di fare lo stesso, per sentirsi vicini.
E’ questo il motivo, per me?
Solo una mera convinzione sociale?
O quel ‘cui si tiene’ ha per me, nei tuoi riguardi, un significato
particolare?
Mi distraggo dalle mie incoerenze e ti guardo ancora.
Kami stringi le lenzuola, le afferri con tutte le tue forze, quasi
volessi strapparle , tirarle via.
Ucciderle.
Così come vorresti uccidere il dolore che provi, non è
vero?
Perché piangi ?
Ora me lo chiedo.
Non capisco.
Non può essere solo un litigio.
Non può essere niente di quello che penso.
Deve essere qualcosa di pesante.
Qualcosa che ti fa piegare sotto il suo peso.
Altrimenti non piangeresti così.
Non grideresti contro un muro che non ti può né sentire
né rispondere.
Sbatti i pugni sul letto, poi in terra, tiri contro una parete un
cuscino.
Oddio …….stai così male?
Perché?
Un pensiero irrazionale quasi fa muovere il mio corpo.
Vorrei uscire da casa, ora, subito, adesso.
Correre alla tua porta, bussare, forte, a lungo.
Finché tu infastidito non scendi ad aprire.
E vorrei che mi mostrassi senza vergogna i tuoi occhi arrossati, bagnati,
disperati.
Perché così io avrei una scusa valida per abbracciarti.
Così non dovrei trovare spiegazioni poco comode per il mio
comportamento.
Già ora faccio fatica a trovare una scusa per ogni volta che
mi siedo qui su questa finestra.
Kami….ma cosa sta pensando…….?
Devo dimenticare questi pensieri , non devo lasciarmi coinvolgere.
No.
Lui sta soffrendo.
Veramente.
Ed io sto qui a guardarlo, con il mio pensare irrilevante.
Sembra che mi stia prendendo gioco del suo dolore.
Che per me lui sia come un reality show.
Da guardare.
Da osservare.
Come fosse un gioco.
Che bastardo sono.
Freddo come il ghiaccio.
Proprio come dicono che io sia.
Mi alzo.
Chiudo la mia tenda.
Mi stendo sul letto.
Lui non vorrebbe farsi vedere in quello stato da me.
Né sapere che io sono quel suo vicino che non si fa mai vedere
e che lo spia dalla sua finestra.
Solo questo pensiero mi ferma.
Perché sento che il mio corpo a quest’ora sarebbe già
in quella casa.
Fisso il vuoto.
E così sai anche essere triste, sai anche piangere
do’hao.
Scusami non lo sapevo.
Scusami.
Ti lascio solo.
Almeno per ora ti lascio in pace.
Piangi pure quanto vuoi.
Spero solo che tu , domani, sappia sorridere come sempre e come ho
scoperto di adorare, ormai.
***
Hanamichi piangeva, piangeva convinto che nessuno,
per quanto lui fosse disperato, per quanto volesse sparire, sparire
e basta, smettere di esistere, smettere di soffrire, non sentire più
niente, né gioia né quel soffocante senso di enorme
colpa, niente, niente più……..
Per quanto stesse provando quella disperazione, che sembrava essersi
affezionata a lui, tanto da non lasciarlo, più……
Per quanto il suo mondo anche cambiato ,nuovo e bello ripiombasse
nell’angoscia che il giorno memore della scomparsa di suo padre portava
con sé …………
Per quanto …nonostante tutto quello e le lacrime brucianti e disperate
…………………….sapeva.
Sapeva che nessuno le avrebbe mai viste.
E faceva male.
Sapeva che nessuno le avrebbe mai viste.
***Pov. Rukawa
Io ho visto le sue lacrime e non credevo fosse possibile.
Era una cosa che non avrei mai creduto.
Eppure lui era lì, con le sue lacrime, nella
sua stanza.
Sono ancora sul mio letto e accarezzo distrattamente il pelo lucido
del mio gatto che riposa ai piedi del mio letto.
Penso.
Forse inizio a capire perché osservarlo mi
interessa……..
Da sempre, da quando ho capito che non tutto è come sembra,
in lui, ho cercato di trovare una chiave di lettura per i suoi comportamenti
….una spiegazione per ogni sua azione…..
una spiegazione diversa da quella che lui voleva far credere a noi
………….
pensavo fosse solo un modo come un altro per cercare di appianare
i contrasti con l’unica persona con cui litigo…..invece…ora penso
che se l’osservo forse riuscirò davvero a scoprire qualcosa
che nessuno ha mai visto…
Già quello che ho visto in questi pochi giorni
è stato incredibile………
Tutto ciò mi stupisce e mi emoziona.
Non credevo di poter provare qualcosa del genere, non credevo affatto.
Eppure è così ed il motivo è semplicemente che
solo io, ora, posso vederlo.
Solo io sono a conoscenza della sua vita.
Quella vera.
Per un attimo questo pensiero mi lusinga, ma subito
un altro porta con sé la consapevolezza che io non ho chiesto
questo permesso, che ho preso e basta, come tutti pensano che io faccia
solitamente.
E forse ora non hanno tutti i torti.
Io ho usato la mia finestra come una tv.
Lui al di là dello schermo, che ride, piange, grida e vive.
Io qui che guardo la sua vita chiedendomi che fine
ha fatto la mia.
Eppure, dannazione, mi alzo.
Si, mi alzo e mi accosto a quella tenda.
Quasi fosse il telecomando che mi permette di sintonizzarmi sul mio
programma preferito.
No.
Non è per curiosità che mi avvicino.
Lo so e ne posso essere fiero.
Ma come considerare allora il sentimento che provo?
Lo so cos’è e so come si chiama.
Preoccupazione.
Mi siedo ed accendo la tv.
La mia tv.
Lui è ancora in terra, ancora più abbandonato , ancora
fermo lì ai piedi del letto.
Pensavo fosse passato abbastanza tempo eppure …..
Che sciocco sono, lui non è come me…….che lascio che tutto
mi scivoli addosso ……
Chissà contro cosa sta combattendo…….
Chissà.
Lui rimane ancora immobile.
Per riprendersi.
Ormai il suo corpo è scosso solo da qualche singulto ancora.
E si lascia andare contro il suo appoggio.
Come per riprendere fiato.
Si passa una mano sugli occhi.
Ora non le vedo più le sue lacrime.
Spero di non vederle.
Non le voglio più vedere.
Voglio andare a scuola domani e gridargli di non farmele più
vedere.
Perché mi hanno fatto male.
E non so perché.
Non le voglio.
Non le voglio vedere.
Anche a costo di asciugarle io, non le voglio più su quel viso
che sta bene solo vestito da un sorriso.
Lui è fatto per sorridere.
Al contrario di me.
Lui deve sorridere.
Deve.
Stringo le tende.
Ora che lo vedo alzarsi e barcollare ancora, il mio corpo grida di
volersi muovere.
Verso la casa vicina.
Ma non lo posso ascoltare.
Non posso.
Lui si asciuga il viso , fa un respiro, smette di tremare.
E finalmente si stende sul letto e si addormenta.
Oh, era ora.
E’ solo quell’espressione innocente quella che voglio vedere su quel
viso.
Non un dolore a me sconosciuto.
E domani, ricordatelo do’hao, voglio anche un sorriso.
***
Hanamichi si alzò, di corsa verso scuola, in ritardo.
Ma non troppo per andarsene senza un bacio alla madre.
Quella sera, quando lei era tornata si erano parlati.
Lei era salita in camera, lo aveva svegliato con una carezza e gli
aveva chiesto la verità.
Cosa provava e perché.
Dopotutto la loro vita nuova non sarebbe sempre andata bene.
Lo sapevano quando l’avevano cominciata.
Ma anche quello era il bello.
Il gusto, puramente umano, di veder tornare la pace dopo la tempesta.
Ed era stato un giorno nuovo e migliore del precedente.
La scuola, Yohei, il basket, la stupida volpe e la sera a casa.
Meritato riposo.
***Pov. Rukawa
Mi siedo sempre qui.
Sulla mia poltrona preferita, il mio programma va a cominciare.
Lui arriva sempre a casa dopo di me.
Nonostante parta prima.
Beh, lui è a piedi , io in bicicletta.
Alle volte mi chiedo come facciamo a non vederci tornando a casa o
uscendo la mattina.
Sembra quasi incredibile.
Eppure quando ritorno io conosco scorciatoie che lui ancora non ha
scoperto e con la mia bici faccio in un attimo.
E poi io sono sempre in ritardo.
Come e più di lui, la mattina.
Con la scusa di fare prima, con la bici, parto sempre dopo.
Ma ora non ho voglia di pensare a questo.
Oggi è una giornata tersa.
E lui si sta spogliando.
Stamani il suo migliore amico mi è passato accanto.
Un attimo, nel corridoio ingombro di studenti.
Sono riuscito appena ad udirlo, sembrava parlasse
da solo ed invece…..
Mito mi è scivolato accanto.
“Non divertirti troppo”
Mi ha detto.
Con il suo sorriso sulle labbra ed uno sguardo divertito.
Non ha detto nulla a Sakuragi, se lo avesse fatto
ora mi ritroverei costantemente quello sguardo nocciola fisso sulla
mia finestra.
Anzi no, lui la sua l’avrebbe già aperta per gridarmi quanto
io sia insopportabile come stupida volpe vicina di casa.
Il pensiero mi diverte.
Lo guardo.
Tsk , chiudesse almeno le tende.
Accidenti si sta spogliando completamente.
Stupido do’hao.
Lo vuoi capire che qualcuno potrebbe vederti?
Veramente qualcuno ti sta già guardando………
Oh, accidenti a te e a quegli stupidi pantaloni che
ti stai togliendo così lentamente.
Lui abbassa le mani, si toglie i calzini.
Oggi ha sorriso.
L’ho visto.
Ho voluto dimenticare ciò che impudentemente
ho guardato ieri.
Quel momento di disperazione era solo suo.
Non volevo offenderlo, non volevo privarlo di tutto il suo peso.
Quel momento era personale.
Troppo.
E rimarrà solo suo.
Almeno questo te lo prometto do’hao.
Eppure ricordati che io dimentico solo una volta.
Se dovesse succedere di nuovo sappi che scoprirai molto presto chi
è il tuo nuovo vicino.
Eppure un pensiero mi infastidisce.
Non posso regalarti qualcosa senza niente in cambio.
Allora …cosa mi offri do’hao?
Vediamo un po’.
Oh……si……
Mentre butti sul letto la tua biancheria ed esci dalla tua stanza
, di schiena, lasciandoti guardare……………….
…..penso che anche questo vada più che bene.
***
Passavano i giorni, sempre di più, sempre più pieni.
Pieni di una vita che finalmente gli apparteneva.
I litigi con la mamma, i pomeriggi con il guntai a
fare rissa in camera, i giorni sui libri a cercare di studiare, i
giorni di pioggia che mettevano voglia di infilarsi nel letto.
Giorni.
E basta.
Ed un pensiero.
Strano.
Fisso
Che riguardava la kitsune.
Rukawa.
Oh si lo sapeva come si chiamava ,lo sapeva bene.
E non credeva che fosse freddo.
Non lo credeva affatto.
Insomma come poteva esserlo veramente?
Che cos’erano allora quegli sguardi di fuoco che gli lanciava prima
di una rissa?
Cos’era il calore che sentiva dal tessuto delle loro divise sgualcite
e leggere che si sfregavano?
Erano giorni ormai che non si toccavano neanche.
Distanza.
Eppure si guardavano.
Quasi continuamente.
Ed il suo era uno sguardo familiare.
Non sapeva perché, ma lo sentiva spesso addosso a sé.
Anche quando era impossibile.
Anche quando era sdraiato sul proprio letto.
E passavano gli allenamenti così.
Ad osservarsi.
Ma in attesa di cosa?
Cosa aspettavano?
***Pov. Rukawa
Ogni singolo giorno.
Salgo le scale, lascio tutto a terra, dove mi capita.
Prendo in braccio il mio gatto e mi siedo sulla finestra.
A guardare te, do’hao.
Lo so che non ti chiami do’hao e che hai tutte le
ragioni di arrabbiarti, ma a me piace così.
Sakuragi.
E’ il tuo nome.
Passano i giorni, la bella stagione allunga le ore di luce.
Così ho più tempo per guardarti.
Mi sposto da qui solo quando scendi o spegni le luci per dormire,
mai prima.
Tsk, hai ancora l’abitudine di spogliarti senza chiudere le tende.
Ogni sera lo fai.
Ed io non posso fare a meno di stare qui a guardarti.
Sei maledettamente bello.
Lo sei quando ti addormenti per la stanchezza su quei libri che dovresti
studiare e non usare come cuscini.
Poi ti alzi, tutto assonnato e semini vestiti in tutta la stanza.
E spegni la luce e ti addormenti.
Ed io devo aspettare il giorno dopo per vederti.
Litighi poco con tua madre.
Qualche scenata per i tuoi voti, ma poi alla fine ne ridete insieme.
Tua madre ti assomiglia , sai?
E’ come te.
Fatta per sorridere.
Eppure sul suo viso vedo i segni di una tristezza troppo grande per
una donna.
Che quello che renda triste lei sia forse la causa di quelle lacrime
che ho visto sul tuo volto?
A proposito do’hao…………
……dov’ è tuo padre?
Non lo vedo mai, non l’ho mai visto.
Non c’è?
Perché non c’è?
D’accordo….lasciamo stare do’hao….
L’altro giorno sono venuti i tuoi amici.
Tutti quanti.
Kami credevo proprio che gli altri vicini avrebbero chiamato la polizia.
Avete fatto un gran casino.
Anche se avessi voluto riposare non ci sarei riuscito.
Penso ‘se avessi voluto’ perché tanto non avrei potuto.
Avevo voi da osservare.
Mito ancora non ti ha detto niente.
Se fossi in te, do’hao, me li sceglierei un po’ più attentamente
gli amici, sai?
Sto scherzando, lui ha alzato un paio di volte gli occhi su di me,
mi ha visto e mi ha sorriso.
Non ne ho potuto fare a meno.
L’ho salutato.
Un gesto veloce, con la mano.
Forse l’ha preso per un ringraziamento.
Non so neanch’io cosa fosse e non mi importa.
Ho passato quel pomeriggio a guardarti, come sempre, ti ho visto mentre
facevi rissa con loro per gioco, hai riso fino alle lacrime ed è
stato un bel pomeriggio anche per me.
Eppure non è stato sempre bel tempo.
Ieri ha piovuto.
E tu sei dovuto rimanere a casa.
Era sabato ieri.
E so che tu di sabato esci con i tuoi amici.
Ma ieri ci hai dovuto rinunciare.
L’ho vista sai la tua espressione dispiaciuta, mentre al vetro della
tua finestra osservavi il cielo scuro carico di nuvole e pioggia.
E allora hai fatto una cosa che mi ha sorpreso.
Ti sei spogliato…….no, questo non mi sorprende più….lo fai
ogni giorno……..davanti a me…..quasi tu volessi farti guardare…..se
non fossi certo che non sai di me lo crederei veramente……….ritornando
a ieri …ti sei spogliato e ti sei infilato nel letto…………..
…per dormire.
Quasi non ci credevo……proprio tu che sei un do’hao
pieno di energie…….
Beh …..ora ho scoperto un tuo punto debole tensai …….
…..quando piove e tuona ti viene sonno….
Lo fai perché il rumore della pioggia ti fa addormentare o
perché hai paura dei lampi?
Mi piacerebbe scoprirlo.
Ma per farlo dovrei tenerti fra le braccia, nello
stesso letto con te e vedere se dormi o se tremi.
Kami……questo pensiero……..
Da quando faccio questi pensieri?
Che cosa significa?
Oramai da tempo so che questo non è più
un gioco.
E’ troppo intenso l’interesse con il quale ogni giorno mi siedo qui
a guardarti.
E’ troppo persino per un divertimento il tempo che dedico a te dalla
mia finestra.
Lo so che non è più un gioco, che tutto si è
spinto troppo in là e non so.
So solo che fa male guardarti e sapere che non mi vedi.
Che se anche aprissi questa finestra e ti chiamassi non mi vedresti.
Fa male sapere che non sai che io esisto.
Comunque è anche vero che il ruolo dell’ombra
l’ho scelto io dopotutto, no?
E allora tu mi diresti che sono solo una stupida volpe e forse , ma
lo dico solo perché tu non puoi ascoltare i miei pensieri,
avresti ragione.
Beh ora è tardi, dopo avermi regalato lo spettacolo
del tuo corpo che si spoglia, spegni ancora una volta la luce e con
questo è come se mi dicessi buonanotte, perché da giorni
ormai io non vado a dormire se non quando so di non poterti più
vedere, solo quando la notte ha avvolto i tuoi colori.
***
Era un'altra bella giornata.
Una domenica.
Come le altre.
Le pulizie da fare.
Hanamichi si sottrasse alle minacce di sua madre promettendo che avrebbe,
una volta tanto riordinato.
Ed allora si era trovato a combattere ferocemente contro milioni di
piccoli acari attaccati alle sue lenzuola, ai suoi libri, alle sue
cose nell’armadio.
E la battaglia era stata dura , ma il tensai non si era fatto sconfiggere.
Poi sua madre, soddisfatta di quel lavoro lo aveva baciato su una
guancia ed era andata via, al lavoro.
I soliti turni.
E lui si era steso sul pavimento, ora pulito, della sua stanza a prendere
qualche raggio di sole sul bel viso abbronzato.
Poi si era stiracchiato ed era uscito in giardino.
La semplice brezza che entrava dalla finestra non gli bastava più.
Hanamichi fece un passo nell’erba e studiò con curiosa attenzione
l’animale che gli stava davanti.
Si guardarono.
Occhi nocciola in occhi versi smeraldo.
Incerto Hanamichi tese una mano, credeva che ora l’avrebbe fatto scappare.
I gatti randagi non amano farsi toccare da estranei.
Ed invece il suo palmo si posò dolcemente sul manto nero del
piccolo felino.
Il gatto miagolò lievemente, arcuando la piccola
schiena sotto le carezze di quelle mani.
Hanamichi allora osò ancora di più, si avvicinò
di un passo e lo prese in braccio.
Senza alcuna resistenza il piccolo animale si attaccò con le
unghiette alla sua maglia e si lasciò sostenere da quelle braccia.
Con il suo piccolo peso addosso Hanamichi si stese nel giardino, appoggiandosi
con la schiena al muro riscaldato dal sole di un fianco della casa.
***Pov. Rukawa
Mi alzo e ti cerco.
Scosto le tende.
Sei in camera.
Ti sento parlare con tua madre.
Mh…..le pulizie do’hao?
Oh si …la tua camera ne ha proprio bisogno.
Sei un do’hao disordinatissimo.
Ed ora ti tocca pulire tutto, credo di aver ormai capito che le minacce
di tua madre ti spaventano ben più di quelle del capitano ed
in effetti non ne hai tutti i torti.
Mh…rido e mi metto comodo.
Non voglio perdermi lo spettacolo e so che ne avrai per un bel po’.
Alla fine è primo pomeriggio e tu con un ultimo
sospiro polveroso ti stendi esausto sul pavimento.
Ti rilassi.
In fin dei conti te lo meriti.
Non so davvero come tu abbia fatto a sistemare tutta quella roba.
Hai un armadio enorme, lo sai?
In questo momento i raggi di sole ti investono, sono
come piccole scintille luminescenti che giocano a rincorrersi fra
i tuoi capelli rendendoli vivi.
I tuoi occhi si chiudono, per la troppa luce e sembra che tu stia
dormendo.
Si, bravo do’hao , tieni gli occhi chiusi, rimani fermo.
Così posso fissarti senza che tu ti accorga di me.
Passa un po’ di tempo.
Credo quasi che tu ti sia addormentato sul serio ed invece ti stiracchi
sul pavimento, chiudendo le mani a pugno, sbadigliando.
Ti alzi, come se l’aria della camera non ti bastasse più e
scendi in giardino.
Lì ti fissi a guardare qualcosa.
Non ti muovi più.
Mi metti curiosità così do’hao, lo sai?
Mi sporgo un po’ vedo una …..coda….nera……
Lui si avvicina, lo accarezza, con le mani davanti non riesco a vedere…….
Poi lui prende in braccio l’animale e lo stringe.
Alzo un sopracciglio.
Mi giro, guardo il mio letto ancora disfatto.
E’ vuoto.
Guardo lui e guardo quel gatto.
Il mio gatto.
Ecco perché vanno d’accordo ……quel do’hao del
mio gatto doveva saltare proprio nel suo giardino……..?
Rido.
Rido davvero e mi metto ad osservarli.
Non capita tutti i giorni di vedere insieme due do’hao.
Lui si siede, sull’erba, contro un muro caldo del
sole del primo pomeriggio, stringe il mio gatto poi lo mette giù,
accanto a sé.
Giocano.
Si.
Stanno giocando.
Il mio gatto adora essere accarezzato.
E lui, con le sue belle mani grandi, ha incontrato il suo favore.
Sakuragi apre una mano davanti al suo musetto nero,
dopo avergli passato quella stessa mano sotto la gola, in un’altra
carezza.
Il mio gatto annusa curioso quella pelle, muovendo le vibrisse ,socchiudendo
gli occhi verdi.
E lui ride.
Per il solletico che quei piccoli baffetti gli fanno sulla mano.
Per il piccolo divertimento di giocare con un animaletto.
Per quelle carezze restituite ed inconsapevoli.
Il mio gatto ti guarda, lo vedo da qui.
Ti fissa, do’hao.
Ti sta ‘analizzando’.
Così come ha fatto con me la prima volta che l’ho posato nel
salotto della mia casa.
Sta decidendo se gli piaci o no.
Anche tu lo guardi e credo che dei tuoi occhi lui
abbia deciso di fidarsi.
Così ti spinge la mano con il musetto, si struscia
contro il palmo e cerca di far passare la testolina attraverso le
tue dita allargate.
Ha deciso che gli piaci.
E stavolta sono d’accordo con lui.
Poi improvvisamente ti alzi.
Cosa c’è do’hao?
Ti guardi intorno, quasi temo tu mi veda.
Tieni in mano il mio gatto e giri con lo sguardo intorno a te poi
esci dal cancelletto, attraversi la strada e sento il campanello della
mia casa suonare.
Che stupido che sono, dovevo saperlo quanto sei do’ hao!
Hai capito che quel gatto non è randagio, lo hai capito probabilmente
dalla dimestichezza che ti ha dimostrato lasciandosi toccare e tu
hai pensato che fosse di qualcuno, di qualcuno che abita vicino a
te e sei venuto da me.
Cosa faccio ora, do’hao?
Dimmelo tu……..
Potrei fare finta di niente e lasciare che tu creda che in questa
casa non abita nessuno.
Così potrei continuare ad osservarti, tranquillamente.
Oppure potrei scendere le scale, aprire la porta e
farti venire un infarto.
Chissà come sgraneresti quei tuoi occhi nocciola scoprendo
che questa è casa mia.
E’ una decisione difficile.
Perché la devo prendere ora , in pochi istanti.
D’altra parte non vorrei tu cominciassi a girare per il vicinato a
cercare di dare via il mio gatto.
Mi alzo, scendo le scale , mentre ci penso ancora.
Diciamo che non è divertente osservare e basta.
Mi piacerebbe entrare a far parte del gioco.
Viverlo un po’, forse per sentirmi meno ombra.
Oh si ……..sono sconvolti tanto quanto li immaginavo i tuoi occhi nocciola
ora che li ho davanti!
***
Incredulo Hanamichi rimase immobile sulla soglia della casa del suo
vicino.
Stava quasi per andare via.
Evidentemente davvero in quella casa non abitava nessuno.
Poi aveva visto la porta che si apriva e si era aspettato una persona
anziana , magari una vecchietta amante dei gatti a cui non piaceva
uscire di casa.
Invece i capelli neri, la frangia lunga sugli occhi
azzurri, il fisico alto e slanciato coperto da una maglia bianca senza
maniche ed i pantaloni di un pigiama, i piedi scalzi.
Rukawa.
Non era possibile.
No.
“Cos…..a……ci ….fai tu qui?” riuscì a mormorare lui dai capelli
rossi, il gatto ancora stretto fra le braccia come a dirgli che era
tutto vero, che non si era sognato niente.
Rukawa incurvò morbidamente un angolo delle
labbra, tese un braccio e si accostò al corpo di Sakuragi.
Il calore della loro pelle si sfiorava appena, ancora separato dall’aria
tiepida di un pomeriggio di strani incontri.
Il gatto saltò agilmente sul petto largo di
Rukawa accomodandovisi sopra, togliendo ogni dubbio al ragazzo dai
capelli rossi.
Quello era il suo gatto.
“Io abito qui, do’hao” mormorò lui dai capelli
neri
Uno sguardo divertito nelle iridi, ma Hanamichi non poteva notarlo
, troppo sconvolto da lui.
Dal suo nuovo vicino.
Con un movimento elegante Rukawa si spostò
di lato , invitandolo silenziosamente ad entrare.
Hanamichi non disse niente
Entrò oltrepassando la soglia, avanzando in
una sala fatta di languida penombra e di persiane abbassate.
Rukawa si guardò intorno.
Avrebbe dovuto sistemare un po’ la casa invece di rimanere sdraiato,
accanto alla finestra, a guardare quel ragazzo dai capelli rossi ora
fermo al centro della stanza.
Con ancora il suo gatto in braccio Rukawa si sedé
sul divano, fissando gli occhi blu su Sakuragi.
Invitato da un gesto della mano il ragazzo dai capelli rossi si sedé
a sua volta.
Rimasero attimi in silenzio.
“E……e così abiti qui?”
“Nh”
Hanamichi chiuse le labbra, le sue belle labbra, ora
incerte, avrebbe voluto chiedergli se allora era lui il suo vicino,
per potersene convincere, ma rinunciò.
Era una domanda vana.
Non poteva crederci.
Lui e Rukawa.
Vicini di casa.
Con tutto il posto che c’era in una città sua madre doveva
proprio innamorarsi di una villetta accanto a quella della kitsune?
Hanamichi sospirò.
Rukawa che si era perso nel movimento al quale quelle
labbra si erano lasciate per chiudersi, lasciò andare il gatto
che si allontanò lentamente, solo dopo un ultimo sguardo verde
smeraldo ai due esseri umani di suo gradimento.
Silenzio.
“Tu abiti qui accanto, vero?” disse piano il ragazzo
dai capelli neri
Hanamichi sollevò uno sguardo stupito.
Rukawa sapeva di lui.
Eppure lui non lo aveva mai visto prima.
Non si erano mai incontrati.
Mai.
“Si, la villetta accanto” mormorò in imbarazzo
Silenzio.
Ancora.
Cosa potevano dirsi due abituati a non parlarsi?
Erano più bravi in altro, l’uno ad osservare da una finestra,
l’altro a pensare disteso sul pavimento di legno della propria stanza.
“Vivi con i tuoi ?”chiese Hanamichi senza sapere cos’altro chiedere
, come se per forza avesse dovuto interrompere quel silenzio sofferente
Rukawa annuì semplicemente.
“E tu?” chiese poi in risposta
“Si, certo”
Il ragazzo dai capelli neri socchiuse un istante gli occhi.
Ora era il suo turno.
Indagare.
Anche quello era un bel gioco.
“Quella donna dai capelli castani……è tua madre?”
chiese
Hanamichi si stupì ancora.
La kitsune aveva visto sua madre?
“Si”
“Non ho visto tuo padre…..” mormorò piano Rukawa
senza dare un tono particolare a quella frase
Il ragazzo dai capelli rossi sussultò impercettibilmente,
girò il viso seguendo i passi lenti del gatto che lentamente
si dirigeva in cucina.
Non guardò Rukawa, finse di seguire interessato quel movimento.
“Lavora lontano, non torna spesso”
Silenzio.
Disperatamente Hanamichi si chiese perché non
potesse essere così poi sospirò e si voltò per
chiedere a sua volta qualcosa.
Non che gli importasse sapere , solo per non dover rispondere passivamente
a quella volpe stranamente curiosa.
“E i tuoi? Pensa che credevo che questa villetta fosse
disabitata………”
Rukawa alzò uno sguardo serio su di lui, lasciando
però risplendere in fondo alle proprie iridi una luce di divertimento.
“Lavorano tutto il giorno” disse piano
Le persiane abbassate sbatterono lievemente per un
soffio di vento più forte, i raggi del sole tentavano di infiltrarsi
in ogni piccola fessura, ma era loro impossibile.
Quel piccolo rumore attirò l’attenzione del ragazzo dai capelli
rossi, era passato del tempo ed il silenzio era stato l’unico vero
protagonista di quel dialogo di un primo pomeriggio assolato.
Doveva andare.
Non sapeva più cosa dire, né cosa pensare.
Voleva andare via, per ritornare sul pavimento della propria stanza,
a riflettere.
Si alzò.
“Bene….ti ho riportato il gatto…..attento a non perderlo
di nuovo kitsune …..la prossima volta potrebbe non essere così
fortunato da incontrare me….”
Rukawa non disse niente.
Si alzò a sua volta, per aprire la porta d’ingresso e regalato
a quel ragazzo dai capelli rossi un ultimo sguardo profondo lo vide
allontanarsi.
***Pov. Rukawa
E’ passato solo un giorno, ma sembra tutto diverso.
Dopo il nostro incontro sono tornato alla mia finestra.
Ma già tutto era cambiato.
Lui era fermo davanti alla sua, di finestra e guardava verso la mia
casa, verso di me.
Rimanere ad osservarlo era impossibile, si sarebbe accorto della mia
presenza.
E’ incredibile.
Ora dopo tanto tempo provo qualcosa che assomiglia alla noia.
Come passare i pomeriggi?
Che abbia sbagliato a farmi scoprire?
Beh mi dico che prima o poi l’avrebbe saputo ugualmente, ma come tutte
le altre scuse, non è che poi questo pensiero serva a qualcosa.
Eppure potrebbe essere eccitante cercare di osservarlo senza che lui
se ne accorga.
Ma lui non sembra più lo stesso.
Se prima si comportava normalmente, perché adesso ad ogni azione
si gira verso la mia finestra?
Mi ha visto ieri.
Sa che questa è la mia stanza.
E continua a fissare in questa direzione.
Per vedere se lo guardo, se osservo il suo comportamento.
Passo davanti al vetro un paio di volte.
Per me non esiste più il ragazzo che ho visto piangere, ridere,
giocare, dormire. Vivere.
Ora lui è tornato il do’hao che potevo incontrare a scuola
ogni mattina.
Gli stessi atteggiamenti.
Gli stessi comportamenti.
Probabilmente, mi dico, non avrò più occasione di osservarlo
per come è veramente.
Sapendomi qui lui vivrà come io penso che lui debba vivere.
Non so cosa pensare.
Forse devo solo aspettare che si abitui a me.
A sapermi qui, vicino.
Eppure fa male.
Fa sempre più male.
Ed ogni sera lui, ora, chiude le sue tende.
***
Hanamichi non sapeva come comportarsi.
Non poteva credere che proprio Rukawa, fra tutti , fosse il suo vicino.
Con lui era diverso.
Sarebbe andato bene chiunque al suo posto.
Ryota, Mitsui, Sendoh persino Akagi.
Ma Rukawa era diverso.
Quella strana volpe aveva occupato spesso i suoi pensieri.
Per tanti e vari motivi.
E più di tutto era il suo comportamento che non riusciva a
capire.
Il suo avvicinarsi fino ad un contatto.
I suoi sguardi.
E poi la sua indifferenza.
Sillabata in quelle risposte incuranti che gli riservava.
Ed ora scopriva di averlo avuto accanto, senza accorgersene, per tutto
quel tempo.
E quella finestra.
Quella finestra sempre buia.
In realtà era la sua camera.
Da quella finestra la sua, di stanza, si doveva vedere benissimo.
Chissà quante volte la volpe lo aveva guardato da quel vetro
lucido e scuro.
Chissà quando lo aveva guardato.
Sperava che lo avesse visto solo con i suoi amici e non il giorno
dell’anniversario della morte di suo padre.
Cosa aveva fatto quel giorno?
Aveva pianto, per il dolore, la disperazione.
Aveva sfogato un rimorso ed una colpevolezza che non lo volevano lasciare.
Oh si, era stato così debole quel giorno, sperava davvero che
Rukawa non l’avesse visto.
E tutte le sere in cui si spogliava vicino al letto?
Adesso ogni sera chiudeva la tenda, più per imbarazzo che per
dispetto.
Lui non si considerava bello, non aveva niente da offrire alla vista
di un ragazzo perfetto come Rukawa, non voleva essere usato come paragone
per la vanità di quella volpe.
Non voleva lasciarsi guardare senza vestiti.
Anche se ogni giorno negli spogliatoi si potevano guardare lì
era diverso.
Sembrava tutto nuovo e tutto diverso.
Non era abituato.
E così osservava spesso quella finestra più alta.
Cercava di capire se Rukawa lo guardasse.
E qualche volta lo vedeva passare accanto al vetro.
E si guardavano.
Mai più di un singolo istante.
Ma si guardavano.
Studiandosi.
Cercando silenziosamente e segretamente delle risposte.
In breve tempo la singolarità dei loro nuovi
comportamenti attirò l’attenzione di entrambi.
Le tende leggere si sentivano sollevare ogni tanto, da mani curiose,
che tentavano di sorprendere l’altro in un momento di intimità.
Forse era solo il gusto del nuovo.
Forse presto entrambi si sarebbero abituati a dividere la loro quotidianità.
Eppure quel giocare a fare le spie cominciava a piacere anche ad Hanamichi.
Passavano i giorni.
Ed un pomeriggio il ragazzo dai capelli rossi stava
studiando.
Le tende erano aperte, perché fino a poco prima la finestra
era socchiusa per far passare la fresca aria primaverile.
E fra una riga studiata ed uno sguardo a quella finestra buia Hanamichi
si accorse che lo sguardo che Rukawa gli aveva riservato passando
accanto al vetro era stato più lungo di un secondo, molto più
lungo.
Era…ora… fisso su di lui.
Non lo capiva.
Lo infastidiva quasi.
Spontaneo e sincero lui si sarebbe voluto alzare per gridare a quella
stupida kitsune cosa mai avesse da guardare, ma si sarebbe subito
fatto conoscere in tutto il vicinato e non voleva dare spettacolo
quindi prese un foglio di carta, scrisse qualche lettera, si alzò,
si avvicinò al vetro ora chiuso, con sguardo di divertita sfida
e attaccò con un pezzetto di nastro adesivo quel foglio alla
finestra.
Sopra il piccolo cartello scritto: “COS’ HAI DA GUARDARE KITSUNE?”
Sorrise maliziosamente, felice di sapere che pur di non piegarsi a
rispondergli in quel modo Rukawa gli avrebbe lasciato l’ultima parola,
anche se scritta.
Si sedé, contento, sorridendo ancora.
Alzò lo sguardo verso quella finestra per spiare qual era stata
la reazione di quel volpino curioso e trovò solo un altro cartello,
attaccato a quel vetro.
La risposta di Rukawa.
“NH”
***Pov. Rukawa
Passano i giorni, do’hao.
Mi sembri diverso.
Diverso come una persona che non si comporta liberamente perché
sa che qualcuno la sta osservando.
Mi dispiace do’hao.
Non volevo questo.
Vederti chiudere quella tenda mi fa male ogni sera.
Perché è come se tu non ti fidassi di me.
Eppure non posso darti torto.
La cosa che mi dispiace veramente è non poter vedere più
quel tuo sorriso.
E adesso sono io che trovo te a guardare da questa parte.
Ti trovo spesso con un lembo di tenda in mano.
La scosti per poter vedere se ci sono o meno, se ti sto guardando
o no.
Mi vedi passare davanti alla finestra, ma non mi fermo a guardarti.
Ora non posso.
Non sarebbe vedere te.
Sarebbe vedere l’immagine che hai costruito per me.
Non mi sembri naturale a volte, non mi sembri più spontaneo.
Fino a ieri.
Ieri mi hai scritto un cartello.
Non me lo aspettavo, sai?
Mi hai chiesto cosa avevo da guardare e poi hai sorriso
un po’.
Maliziosamente, è vero.
Ma hai sorriso un po’.
Pensavi che non ti avrei risposto?
Lo pensavi veramente?
Credevi che ti avrei tranquillamente lasciato l’ultima
parola?
Mh, non ti facevo così do’hao, do’hao…….
Spero tu ti sia divertito con la mia risposta.
L’ho lasciata lì, alla finestra e sono andato a cenare, immaginandomi
il tuo viso.
Mi diverti da morire a volte.
E poi dopo, sono tornato su.
Per mera curiosità ho scostato la tenda.
Ed ho riso.
Mi avevi risposto.
Do’hao impertinente.
Sono andato a letto con il tuo cartello
“BAKA KITSUNE”
attaccato alla finestra di fronte.
Ma oggi non ti lascerò vincere facilmente.
Voglio gareggiare con te.
Ed avere infine l’ultima parola.
Per esserne sicuro, dopo averti scritto che sei un
“DO’HAO”, prima di andare a dormire ti scrivo qualche altra lettera,
prendo il nastro adesivo, lo fisso bene, perché questo cartello
deve rimanere qui fino a domani mattina e ti auguro
“BUONANOTTE”
Penso non mi risponderai.
Ho vinto, do’hao.
O almeno credevo.
Stamani sono a scuola e sorrido ancora.
Mi sono svegliato e ti ho guardato un attimo.
Prima delle tue tende tirate c’era un altro cartello.
L’hai lasciato su anche tu tutta la notte.
Era la tua risposta.
“ANCHE A TE”
Non me lo sarei mai aspettato.
Davvero.
Sorrido ancora, poi dall’altro lato del corridoio
ti vedo passare e ti guardo.
Penso che oltre al tuo sorriso sincero mi mancano anche le sere in
cui ti spogliavi e solo io potevo guardarti.
***
Hanamichi finì tutti i fogli del suo quaderno, per poterli
attaccare tutti ai vetri della sua finestra.
Aveva semplicemente chiesto un libro a quella kitsune deficiente e
lo aveva fatto civilmente, con un bel cartello ‘educato’ ed in risposta
si era visto arrivare un libro nel giardino di casa, proprio sopra
i rovi delle rose.
Ormai era quello il loro modo di comunicare.
Era semplice.
Veloce.
Silenzioso.
Cartelli e sguardi.
I loro.
Continui.
Assidui.
Senza motivo.
Fogli e fogli.
Il cestino pieno.
Stava pericolosamente diventando un’abitudine.
Ogni giorno, tornato a casa, il suo unico pensiero era andare alla
finestra per poter controllare se quella volpaccia non avesse attaccato
un cartello al quale dover rispondere.
Era così divertente farlo.
E le sere passavano in quel modo, accanto al vetro, a scrivere cartelli
e cartelli, attaccarli e poi toglierli , rispondere o domandare.
Darsi la buonanotte.
Quello lo facevano più spesso.
Sempre più spesso.
E alle volte quei cartelli rimanevano su fino alla mattina.
***Pov. Rukawa
Ti osservo da un po’ do’hao, sai che ti ho dovuto aspettare qui un
bel po’?
Sei lentissimo a tornare a casa.
Appena sei entrato hai subito guardato verso di me…….
E’ inutile.
Non avevo voglia di scriverti qualcosa oggi.
Ho voglia di guardarti.
Mi hai fatto impazzire l’altro giorno.
Hai dimenticato socchiusa la tua tenda e hai cominciato a spogliarti.
Maledicevo ogni singolo soffio di vento, che spostando il tessuto
leggero della tenda ti celava ai miei occhi, lasciandomi scorgere
solo un annebbiato contorno delle tue linee.
Poi ti sei accorto di quella tenda aperta e ti sei sbrigato a chiuderla,
hai guardato verso di me, non so se mi hai visto, la mia stanza era
buia, la tua illuminata, forse le ombre mi hanno nascosto, forse no………….
so solo che il giorno dopo hai tenuto quelle tende chiuse per tutto
il tempo.
Oggi mi va di guardarti.
Ti fisso incurante del fatto che tu stia cercando, come sempre, di
studiare un po’.
Lo sai che se non mantieni una media sufficiente non ti farebbero
più giocare e non vuoi.
Mi diverto a guardarti, quando si tratta di questo sport saresti disposto
a fare di tutto.
E questo mi piace.
Ti fisso ancora, anzi, mi siedo sul bordo della mia finestra, senza
preoccuparmi di usare la tenda per coprirmi.
Mi va che tu mi veda.
Mi diverte infastidirti un po’….lo so che con il mio sguardo riesci
a studiare ben poco.
Eppure non credere che non lo sappia.
Anche tu mi guardi.
Ti ho sorpreso qualche volta.
Con i lembi di tenda in mano, il viso arrossato, gli occhi scuri e
fissi.
Appena ti scoprivo scappavi subito via.
E non mi scrivevi nessun cartello.
Ti vergogni così tanto, do’hao?
Veramente qui quello che dovrebbe vergognarsi sono io…….
A giocare con te in questo modo, se solo tu sapessi per quanto tempo
ti ho guardato prima di permetterti di scoprire che abitavo qui, penso
che non ti basterebbero i vetri di tutta la tua casa per attaccare
cartelli pieni di ‘baka kitsune’ …………..
Ciò che era cominciato solo come un gioco è diventato
altro do’hao…..
Tu non lo sai, cominci ora a giocare, ma io ormai so che da tanto
tutto questo sta cercando di evolversi.
Di diventare altro.
Di diventare qualcosa che riesca a far combaciare tutto….i nostri
litigi, le nostre risse, il nostro toccarsi, il nostro guardarsi ,
il nostro interessarsi l’uno dell’altro………………oh si, sta tentando di
evolversi in qualcosa che riesca a far combaciare tutto……anche noi
….anche i nostri corpi
Devo ammetterlo con te do’hao….le ho guardate tante
volte le tue labbra…prima solo per sbaglio, poi per curiosità,
dopo ancora perché mi piaceva il modo in cui le piegavi per
sorridere e adesso sapresti dirmi perché le sfioro insistentemente
con il mio sguardo?
Io la so la risposta e tu, do’hao?
Mi sbirci, ti vedo, sai?
Pensa a studiare e lasciati guardare in pace!
Da tempo ci osserviamo, ma ancora io non so cosa pensi.
Mi piacerebbe saperlo.
Almeno la smetterei di illudermi per ogni sguardo che ricambi.
Per ogni cartello della buonanotte che mi scrivi.
Sei strano do’hao.
Sei davvero strano.
E bello.
Terribilmente.
Spero che anche stasera tu dimentichi aperta quella dannata tenda.
Oppure penso che verrò lì da te a strapparla con le
mie mani.
Mi guardi ancora, di sfuggita.
E sembri darti un contegno.
Mi vorresti far credere che stai studiando seriamente?
Stai solo recitando, perché desideri che io abbia una buona
impressione di te.
Ma io ho già una buona impressione di te.
E non me la sono fatta con queste apparenze che ora cerchi di darti.
Io ho potuto vedere la realtà.
Ed è stata più bella di qualsiasi recita tu abbia mai
fatto davanti a me.
Solo che mi manca qualcosa da un po’ di tempo a questa parte.
Prima potevo vederli.
Ora è tanto che me li neghi.
Penso che tu li rivolga solo a tua madre e ai tuoi amici, ma lo fai
quando io non posso vederti.
Parlo dei tuoi sorrisi, do’hao.
Mi mancano.
Non te ne devi vergognare.
Sono veramente stupendi, lo sai?
E credo di aver capito che ,quelli veri, siano rari come i miei.
E ti basti sapere che solo tu sei riuscito a strapparmeli, questi
sorrisi rari.
E me li hai strappati con i tuoi.
Potresti vantartene, sai, se te lo dicessi.
Eppure anche adesso rimani serio.
Non mi piace.
Non mi piace affatto.
Allora decido di rimanere qui, seduto sulla mia finestra, ad osservarti.
Aspetterò qui fino a che non mi regalerai un sorriso.
Passano i minuti.
Il tramonto tarda ancora un po’ ma sta arrivando.
Tu chiudi il libro.
Penso che adesso te ne andrai ed io non avrò quello che voglio.
Invece tu punti i tuoi occhi dorati su di me.
Sembri sfidarmi, ti avvicini al vetro e cominci a scrivere qualcosa.
“INSOMMA PERCHE’ MI GUARDI?”
E’ una domanda giusta.
Ma non mi va di risponderti.
Maliziosamente mi chino a scrivere per risponderti.
Alzo il mio foglio, non mi va di attaccarlo al vetro, tanto lo toglierò
appena lo hai letto.
Lo sollevo e tu lo leggi.
“ANCHE TU MI GUARDI”
Mi giro e non posso fare a meno di ridere dandoti le spalle.
Anche da qui so che sei infuriato.
Mormori quelli che dovrebbero essere insulti, ti agiti e cominci a
scrivere velocemente su un altro foglio.
“IO TI GUARDO PERCHE’ SEI STATO TU A GUARDARMI PER PRIMO”
Sorrido.
Non mi va di farti arrabbiare.
Se ti faccio arrabbiare allontano ogni possibilità di vederti
sorridere e non mi va.
Voglio il tuo sorriso, ora.
E ti giuro che lo avrò.
Ti ignoro.
Non rispondo alla tua provocazione.
Ma tu aspetti pazientemente.
Vuoi una risposta.
Ti siedi allora nel vano della tua finestra.
E aspetti.
Alzi il viso e mi guardi.
Rimaniamo così.
Due vetri e poca aria tiepida ci dividono.
Da qui le vedo bene le tue labbra.
Voglio sapere in che modo tutto particolare le tenderesti per sorridere
a me.
Prendo un foglio.
Scrivo qualche lettera, mi fermo, ti guardo e poi riprendo a scrivere.
Smettila di aspettare con quelle linee di sensuale pelle dischiuse
in quel modo.
Non riesco a concentrarmi.
So solo che sento urgenza.
Urgenza di soddisfare il mio desiderio con il tuo sorriso.
Prendo fra le dita il sottile foglio di carta.
E lo alzo.
Tu leggi e mi guardi stupito.
Ti ho semplicemente scritto cosa desidero.
Perché ti stupisci tanto?
“ME LO FAI UN SORRISO?”
Gli angoli del mio foglio si piegano , un soffio sottilissimo
di vento li ha raggiunti.
Abbasso il mio cartello.
Aspetto solo te, ora, do’hao.
Te ed il tuo sorriso.
Mi guardi.
Sono passati molti istanti.
Lentamente mi fissi, ma non sorridi.
Poi prendi un foglio, uno dei tuoi, e lo riempi.
“PERCHE’ VUOI UN SORRISO DA ME?”
Hai ancora una volta ragione.
Ho di nuovo preteso senza spiegare.
Sei fortunato.
Ho voglia di parlare oggi.
“PERCHE’ IL TUO SORRISO E ’ BELLO”
Scrivo, senza alcuna intenzione di aggiungere altro.
No, no, no.
Sei proprio un do’hao.
Un vero do’hao.
Non volevo vederti arrossire, volevo semplicemente un sorriso.
Sei un do’hao!
Anzi un do’hao imbarazzato adesso.
Ritorni a guardarmi negli occhi.
Mi fissi senza fare niente.
Insomma quanto mi farai aspettare ancora?
Non ti ho chiesto tanto in fondo….
Il sole sta già sparendo oltre la linea del suo martirio.
Ed io penso che la notte che sta arrivando sarà tristissima
per me se non mi accontenti.
Improvvisamente ti giri, credo ti abbiano chiamato
per la cena.
Scendi velocissimo dalla finestra.
Stai andando via.
Poi ti fermi.
Ti sei ricordato di avermi lasciato qui?
Abbassi lo sguardo.
Poi alzi il viso, le tue guance imporporate d’imbarazzo,
chiudi gli occhi per non guardarmi e mi sorridi.
Poi scappi via.
Non ci posso credere.
Sei stupendo, davvero.
Non ho mai visto nessuno vergognarsi di sorridere.
Mai.
La notte arriva.
E’ lenta e dolce.
Mi piace.
E’ un sostantivo femminile ,la notte.
Penso sia l’unica cosa, di femminile, che potrei amare nella mia vita.
Glielo devo do’hao.
Perché lei è arrivata prima di te.
Ho amato poco le donne.
Non le ho amate affatto.
Non ho avuto una madre da cui imparare cosa vuol dire amare un donna.
Eppure adesso, steso sulle mie lenzuola, aspettando che il sonno si
spazientisca e mi porti via con dolce violenza nessun pensiero mi
pare importante.
L’unica cosa che voglio fare è perdermi nel tuo viso che sorride.
E’ stato solo un attimo il tuo sorriso.
Eppure l’ho visto bene.
Le tue labbra si sono piegate verso l’alto, soprattutto agli angoli.
Le hai incurvate deliziosamente.
Poi le hai distese bene ed hai scoperto un singolo, minuscolo istante
i tuoi denti candidi.
E poi sei scappato via.
Mi giro, felice.
Adesso so com’è il tuo sorriso per me.
E’ timido.
Imbarazzato.
E perversamente innocente.
Mi piace.
E domani tu non mi sfuggirai.
Ne voglio ancora.
***
Hanamichi lasciò libera la sua mente, solo nella sua stanza.
Da giorni ormai lo sguardo troppo curioso di quella volpe lo costringeva
a ricordarsi di chiudere le tende ogni sera.
E poi, quel giorno, quella richiesta.
Un sorriso.
Non se lo sarebbe mai aspettato.
Mai.
Perché lo voleva vedere?
Lo aveva visto un milione di volte in palestra.
Lui rideva continuamente, sorrideva a tutti, sempre.
E allora perché?
Che bisogno c’era di chiedergli un sorriso, in privato?
Non capiva.
Non trovava una risposta.
Voleva saperlo e forse……forse avrebbe voluto vedere anche lui un sorriso.
Quello di Rukawa.
Come poteva essere il sorriso di Rukawa?
Non riusciva ad immaginarlo.
Non lo aveva mai visto.
Ma in fondo era convinto che dovesse essere bello.
E se lo era almeno quanto quel viso e quelle labbra allora doveva
essere stupendo.
Quella volpe era …bella.
Lo aveva guardato in questi giorni.
Lo aveva visto vicino a quella finestra.
I capelli neri che si confondevano con le ombre alle sue spalle ed
il blu delle sue iridi che si perdeva fra i riflessi del cielo che
i vetri fra loro si mandavano, luccicando come l’acqua di un fiume
che scorre.
Ed alcune volte si era fermato ad osservarlo.
Incautamente.
Ed era subito stato rimproverato da sé stesso e dagli occhi
di quel ragazzo dai capelli neri, che lo sorprendevano con la tenda
in mano ed il cuore in gola.
Perché si interessava a lui ?
Perché ricambiava i suoi sguardi?
Ed il pomeriggio prima, perché per tutto quel tempo, Rukawa
lo aveva osservato?
Non era riuscito a studiare niente, quella stupida volpaccia gli avrebbe
fatto prendere un altro brutto voto.
Hanamichi sospirò.
Pensava al giorno dopo e a quelli che venivano.
Avrebbero continuato a scriversi quei cartelli?
Per quanto tempo?
Per che cosa?
Per essere amici?
Ma loro potevano essere amici?
Quella domanda sembrava una nota stonata che risuonò forte
e cupa nella testa di quel ragazzo dai capelli rossi.
Non lo sapeva.
Non sapeva niente.
Voleva solo che il giorno dopo continuassero entrambi a scrivere.
Aveva qualcosa da chiedere.
Qualcosa d’importante.
***Pov. Rukawa
Perché mi guardi così?
Gli allenamenti stanno finendo.
Tra poco andremo a casa.
Il tuo sguardo è attesa.
Cosa aspetti?
Credi che mi avvicinerò a te e ti saluterò?
Lo sai che non lo posso fare.
Non è da me.
E poi perché dovrei farlo?
Non possiamo essere amici do’hao.
Non possiamo.
Possiamo solo essere di più o essere di meno.
Ma non amici.
Non voglio esserti amico.
Gli amici non fanno certi pensieri guardandoti sotto la doccia negli
spogliatoi.
Sono a casa.
Ti aspetto.
Preparo qualche foglio.
Penso di aver intuito che tu oggi mi chiederai qualcosa.
Riguardo a ieri.
Il tramonto oggi è più veloce.
Raggiunge le colline, sembra quasi correre.
Che anche lui sia solo un lavoratore salariato che deve rimettere
le ore che ha perso in ritardi?
Insieme a lui corri anche tu.
Ti vedo entrare in casa.
Ma prima guardi verso di me.
Entri nella tua stanza.
Lasci tutto dove ti capita.
Ti siedi sulla finestra e scrivi su di un foglio.
Che do’hao precipitoso sei.
Alzi il tuo cartello.
“PERCHE’ MI HAI CHIESTO UN SORRISO IERI?”
Che cosa risponderti do’hao?
Non saprei.
Non basterebbero tutti i fogli di questo quaderno che ho in mano per
spiegarti tutti i miei pensieri di queste settimane come tuo vicino.
E poi non voglio farlo.
I pensieri, credo, sono fatti per rimanere nascosti.
Altrimenti saremmo stati creati con il dono di leggerli.
Non lo credi?
No, forse per te non è così…stai aspettando
la tua risposta.
Mi guardi intensamente.
Per te sembra importante.
D’accordo do’hao.
Ma non so se ti piacerà la mia risposta.
“PERCHE’ IL SORRISO TI STA BENE”
Abbasso questo cartello.
Ti guardo e tu sembri aspettare ancora qualcosa.
Sei arrossito, ma mi fissi.
Uffa, quanto sei testardo.
Vuoi proprio che ti dica tutto?
Ne sei sicuro?
Mi chino e scrivo ancora qualcosa.
Esito un istante, tu ti avvicini al tuo vetro.
Per leggere meglio.
Sollevo il mio cartello.
“MOLTO MEGLIO DELLE LACRIME”
Perché sgrani così tanto quegli occhi dorati?
Sei stato tu a chiedermi perché ….
Ora non dovresti lamentarti.
Mi guardi con sospetto.
Inclini di lato la testa.
Poi ti giri, sfuggi ai miei occhi, arrossisci e mi guardi ancora,
con la coda dell’occhio.
A cosa stai pensando?
Mi avvicino al mio vetro.
Aspetto la tua risposta.
Lentamente ti mordi le labbra e prendi una matita per scrivere.
Con calma attacchi un cartello alla tua finestra.
“LE HAI VISTE?”
Ho capito di cosa parli……
Le lacrime vero?
Sono quelle che ti preoccupano?
Ti ho già detto che non devi vergognarti di niente…..non devi
vergognarti di niente di quello che fai vivendo…vergognati solo se
un giorno scopri che la tua non è più vita……..che non
riesci più a vivere…a ridere …a piangere….solo allora devi
vergognarti, capito do’hao?
Le tue lacrime?
Si, le ho viste.
Quel giorno.
Quel giorno disperato.
Perché lo vuoi sapere?
Se lo scopri chiuderai quella tenda e non mi parlerai mai più?
Non scriverai più niente?
Mi fa paura tutto ciò do’hao.
Non mi piace.
Eppure i tuoi occhi mi chiedono sincerità.
Non volevo vederti affranto.
Prendo un foglio.
La mia risposta.
Non posso mentirti.
“SI”
Ti stupisci un attimo, poi i tuoi occhi si socchiudono con malinconia.
Mi dispiace do’hao.
Ti avevo promesso che quel dolore non lo avrei mai usato per me, che
sarebbe rimasto solo tuo.
Ed invece…..
Mi dispiace.
Ma c’è una cosa che ancora devo dirti.
Me lo ero ripromesso e sento che ora non è un momento tanto
sbagliato.
Prendo un altro foglio.
Lo attacco alla finestra.
Leggilo bene do’hao…..perché non te lo riscriverò due
volte.
“NON VOGLIO PIU’ VEDERLE”
Le tue labbra si dischiudono.
Non sai cosa dire?
Mi sembra strano…proprio tu che parli sempre non sai cosa dire?
“PERCHE’?”
Oggi sei veramente noioso sai?
Ancora non hai capito?
Quante volte me lo farai ripetere?
Do’hao testone.
Comincio a credere che tu lo faccia apposta…..
“NON SONO ADATTE A TE”
Ti rispondo.
Rimani immobile.
Capisci vero?
Capisci cosa voglio dire?
Vorrei tu me lo promettessi che non piangerai più……
Ma non posso chiedertelo……non ora……
Rimaniamo a guardarci , ancora.
Quasi come l’altra sera.
Ma tu ti stai chiedendo ancora qualcosa.
Me lo vuoi scrivere?
Si.
Lo fai.
“QUEL GIORNO CHE STAVA PER PIOVERE?”
Mi stai chiedendo quando ho visto le tue lacrime ?
E’ così importante per te?
“SI”
Scrivo.
Adesso sono stanco di rispondere soltanto.
Voglio anch’io delle risposte.
Me le vuoi dare do’hao?
“PERCHE’ PIANGEVI?”
Ormai penso di avere diritto a chiederlo…….mi vuoi
rispondere?
“TI HO MENTITO”
Abbassi questo tuo cartello , che hai tenuto sollevato
solo un attimo , insieme al tuo viso.
Mi hai mentito?
Quando?
Piangevi perché mi hai mentito?
Non è possibile do’hao, non è possibile….
Non ci siamo mai parlati prima …non puoi aver pianto per me ……
Non farmi spaventare.
Non mi guardi.
Ti vergogni ancora.
Penso a questo tuo cartello.
Non capisco.
Quando mi hai mentito?
Penso alle rare volte in cui ti ho parlato…..
Forse….
No do’hao …dimmi che non è vero……forse….
Prendo un foglietto….piccolo….
Incerto lo sollevo vicino al vetro della mia finestra.
“DOV’ E’ TUO PADRE?”
Mi guardi sconvolto.
Ma poi incurvi leggermente le tue labbra in quello che vorrebbe essere,
se ne avesse il coraggio, un sorriso ironico.
Prendi un foglio anche tu.
“NON C’E’”
Scrivi.
Questo lo so do’hao, lo so bene.
Ma tu non hai finito.
Attacchi un altro piccolo cartello accanto all’ultimo che hai scritto
e completi una frase dolorosamente pesante.
Il cartello più piccolo dice solo.
“PIU’ ”
I tuoi occhi.
Sono tristi ora.
Perché stiamo parlando di questo?
Io volevo solo un altro sorriso oggi.
Solo quello.
E non provare a piangere.
Non provarci.
Se solo lo fai rischi di ritrovarti fra le mie braccia prima ancora
che quelle lacrime maledette abbiano il tempo di morire sulla tua
bocca.
Non so cosa fare.
Ripenso alla conversazione di quel pomeriggio assolato.
E’ vero.
C’è una cosa che non ti ho detto.
“ANCH’ IO TI HO MENTITO”
Incuriosito mi fissi un istante.
Sembri chiederti cosa significhino le mie lettere scritte.
“ANCHE MIA MADRE NON C’E’ ”
Mi fissi stupito.
Almeno ho cacciato indietro le tue lacrime.
Mi osservi.
Vorresti sapere perché lei non c’è?
Sei un do’hao curioso, ma in fondo anch’io sono stato una volpe curiosa.
Niente di più, niente di meno.
Prendo un foglio e scrivo un’unica parola.
“DIVORZIO”
Mi guardi tristemente.
Ed ho quasi l’impressione che quella tristezza sia per me.
Divorzio ti ho scritto.
Ed è la verità.
Divorzio.
Una parola triste, che rimanda al concetto della separazione, delle
incomprensioni, della fine di qualcosa che doveva essere importante.
Alzi una volta ancora il viso verso di me e fai una cosa che mi sorprende.
Sorridi dolcemente.
Ma lo fai senza più chiudere gli occhi, senza più arrossire.
Sorridi e basta.
Poi prendi un foglio e lo alzi.
“PARADISO”
C’è scritto.
Ho capito.
Ho capito chi pensi sia lì.
Ho capito.
Rimaniamo in silenzio.
La sera è arrivata.
Ma le nostre luci ci illuminano.
Ti alzi dal vano di quella tua finestra.
Poi , come se ti fossi dimenticato qualcosa, ritorni lì, in
completa balia dei miei occhi che ti guardano.
Prendi l’ennesimo foglio di questa giornata di verità e mi
chiedi qualcosa.
“ME LO FAI TU UN SORRISO, KITSUNE?”
Spero che le ombre dell’oscurità che regna fuori coprano il
mio stupore.
Tu….chiedi …a ……………me…un sorriso?
Perché ?
Mi guardi attendendo.
Sembri quasi supplicarmi.
I tuoi occhi scrutano il mio viso.
Lo sai che non so se sono capace di farlo?
Mi stai chiedendo troppo.
E non è da me dare senza ricevere.
Ti ho già fatto questo discorso vero?
L’altra volta mi hai offerto qualcosa ed oggi cosa mi offri?
Veniamo alle condizioni.
Cosa potrei chiederti?
Non è difficile ….
Prendo un nuovo cartello.
“SOLO SE TU PER UNA SETTIMANA TERRAI LA TENDA APERTA.
SEMPRE.”
Ti osservo arrossire.
Credevi che ti avrei concesso una cosa così rara per così
poco?
I miei sorrisi sono preziosi , non lo sai?
Inclini la testa.
Sembri pensarci.
Poi annuisci.
Bene, molto bene.
Ti accosti al vetro.
Suppongo dovrei sorridere adesso.
Ma non temere, non sarà un sorriso falso, fatto solo per strapparti
quella promessa.
Sono davvero così rari, i miei sorrisi, che non potrei mai
sprecarli per mentire.
Devono essere solo per te.
E saranno veri.
Ti premi contro il vetro.
Sorrido di riflesso, sei troppo buffo.
Ed ora sei troppo bello.
Hai visto il mio sorriso.
E rimani immobile a guardarmi, stupito, estasiato.
Era solo un sorriso do’hao.
Solo un sorriso.
Mi regali un ultimo sguardo e poi vai via.
Io ti aspetto qui.
Stasera mi hai promesso di non chiudere la tenda.
Non vedo l’ora di poterti ammirare.
Ti aspetto pazientemente.
Tu prendi il tuo pigiama.
Adesso devi spogliarti.
Avanti.
***
Al buio della sua notte Hanamichi pensava.
Girandosi fra le lenzuola, che si inarcavano e gemevano sotto il suo
peso, i fruscii si mescolavano ai sospiri di quel ragazzo dai capelli
rossi che rivedeva su ogni parete scura ed ombrosa il viso sorridente
del suo vicino.
Non poteva credere di averlo visto sorridere.
Si chiese quanti potessero dire di averlo visto.
Pochi, molto pochi.
Forse quasi nessuno.
Ed era un piccolo orgoglio.
E quel sorriso era stato così bello.
Così vero.
Bello almeno il doppio di quel viso.
Ridendone Hanamichi si disse che se al suo posto l’avesse visto una
delle sue ammiratrici forse a quest’ora sarebbe rimasta ancora lì
vicino a quel vetro, estasiata ed immobile.
Eppure una sottile nota di fastidio lo colpì, ma si dissolse
subito.
Al pensiero che quel sorriso così bello era finito fra i suoi
di ricordi.
Avevano parlato molto quella sera.
Aveva scoperto qualcosa sulla vita di quel ragazzo così scostante.
Ma più di tutto era stato lui stesso a scoprirsi.
Aveva parlato di suo padre.
Non lo aveva mai fatto.
Con nessuno.
Solo Yohei sapeva.
E sua madre, ovviamente.
E lui invece ne aveva parlato con Rukawa.
Non uno qualsiasi della squadra o dei suoi compagni.
Con Rukawa.
E se all’inizio lo stupore era stato così tanto, subito dopo
aveva deciso di rispondere a quelle domande.
Quella volpe lo aveva capito così bene.
E pensare che lo aveva solo osservato.
Aveva visto le sue lacrime.
Arrossì, si morse un labbro.
Non avrebbe voluto.
Mostrarsi forte era una certezza in primo luogo per sé stesso.
Ma Rukawa lo aveva visto.
E non aveva mai usato quelle lacrime per umiliarlo.
Ne era certo.
Ne avrebbe potuto parlare, lo avrebbe potuto schernire, dirgli che
da lui non se lo sarebbe mai aspettato.
Ed invece aveva semplicemente chiesto perché.
E Hanamichi non aveva mentito.
Perché nemmeno quel ragazzo dai capelli neri lo aveva fatto.
Aveva ammesso di averlo osservato di nascosto, di aver visto.
Avrebbe potuto negare.
E lui si era sentito attratto da quel mostrarsi sincero.
Da quel chiedere senza problemi quello che si desidera.
Rukawa voleva un sorriso?
E lo chiedeva.
Voleva una risposta?
Domandava.
Sembrava così sicuro, così deciso.
E con quel Rukawa lui aveva parlato.
Quel Rukawa dallo sguardo attento, dallo sguardo di ghiaccio ed il
cuore profondo, dalla curiosità che non diventava mai insistenza
o fastidio.
Essere osservati da lui non era fastidioso.
Non lo fu per tutta la settimana.
Quello sguardo lo sfiorava con gentilezza, sembrava
quasi avvolgerlo e non disturbava, non disturbava mai.
E sorridere diventava facile.
Nasconderlo sempre più difficile.
La settimana passò.
Fra cartelli della buonanotte e sorrisi.
***Pov. Rukawa
Sei un do’hao traditore.
Per un intera settimana non hai chiuso quella tenda, ma sei andato
in bagno a cambiarti,
poi spegnevi subito le luce.
Do’hao imbroglione.
Hai rispettato i patti, ma lo hai fatto a modo tuo.
Dovevo ricordarlo che sei ribelle.
Avrei dovuto formulare meglio quella richiesta.
Sono passati i sette giorni.
Non sei più obbligato eppure alle volte lasci aperta lo stesso
quella tenda.
Ogni tanto ricambi i miei sguardi.
Poi ti giri e nascondi il tuo viso.
Perché ?
Sembra tu sorrida di nascosto.
Stai ridendo di me?
Alle volte ti trovo seduto alla tua finestra, mi cerchi
con lo sguardo o ammiri il cielo?
Penso non lo scoprirò mai da solo.
Ogni volta che ti sorprendo cambi la direzione di quei tuoi occhi
lucenti.
Lo fai per imbarazzo o per farmi impazzire?
Eppure sono contento.
Perché hai ripreso a vivere come sempre.
La mia presenza non ti disturba.
Me ne sono accorto sai?
E poi quasi ogni sera mi scrivi qualcosa.
Anche se per tutto il giorno non ci siamo visti mi lasci un cartello
sulla finestra.
Così mi costringi a pensare a te do’hao, te ne rendi conto?
Ed io non so cosa fare.
Ormai è troppo che ti penso.
Che ti guardo.
Mi sto innamorando di te.
Irrimediabilmente.
Hai disturbato la mia quiete.
Hai occupato le mie giornate.
Mi hai regalato l’immagine di una vita vera.
Ti ho osservato a lungo.
So che sei disordinato.
Che sembri un bambino.
Che sei veramente confusionario.
Ma so anche che sai piangere come un adulto.
Che sai sorridere come un angelo.
Che sei fatto come un dio.
In te vedo tutto ciò che a me manca.
E sai bene che non sopporto essere secondo ed incompleto.
Voglio avere tutto.
Allora penso che voglio te per essere completo.
Ma tu ….
Tu cosa pensi?
Cosa pensi di me?
Il non saperlo mi è poco sopportabile.
Do’hao tu dicevi di odiarmi…di non sopportarmi….
Potrai mai cambiare così tanto da …..amarmi?
Non lo credo…
Non lo credo affatto.
Passa un giorno.
Oggi non sei stato a casa.
Non ti ho visto.
E ho pensato poco a te.
Che forse la soluzione sia non guardarti?
Se non ti vedo, non penserò a te.
Si.
Deve essere così.
Probabilmente il mio, nei tuoi riguardi, rimarrà un sogno,
un desiderio irrealizzabile.
Allora non ti guarderò.
Non ti osserverò più.
Cercherò di dimenticarti.
Si, farò così.
Ho un orgoglio anch’io, sai?
So che sarà difficile….
Per il tuo nome forse ci vorranno alcuni anni.
Ma per il tuo sorriso?
Basterà la mia intera esistenza oppure è troppo vero
che continuo a vivere di utopie?
***
Hanamichi sorrideva, a scuola .
I suoi pomeriggi con la squadra.
Le sue sere con la volpe ed i loro cartelli.
Era felice?
Si, poteva esserlo.
Tornò a casa.
La luce spenta.
Nessun cartello.
Pensò che Rukawa non fosse rientrato.
Scrisse lo stesso un cartello di buonanotte.
La mattina dopo non trovò su quel vetro la solita risposta.
Gli allenamenti scivolavano via come le ore e come i giorni.
Punti fissi ed inspiegabili rimanevano quegli sguardi ora tornati
indifferenti.
Ma nessun contatto.
Nessuno.
E nessun cartello.
Non più.
Hanamichi non capiva.
Non trovava una spiegazione.
Sentiva solo la mancanza di tutto quello che avevano raggiunto finora.
Provò ogni giorno.
Fissava la sua finestra.
Scriveva quei cartelli e li lasciava lì, ore ed ore.
Attendeva una risposta.
Ma quella finestra sembrava dover rimanere chiusa e buia.
Non sapeva cosa fare.
Forse aveva sbagliato qualcosa.
Forse era colpa sua.
Forse era colpa loro.
Non potevano essere amici.
Non ci riuscivano.
E cosa avrebbero dovuto fare?
Finire così?
Finire com’era cominciato?
No.
No.
***Pov. Rukawa
Quanti pochi giorni sono passati?
Non lo voglio sapere.
Non ci voglio pensare.
A me è sembrata un’esistenza intera.
Adesso la stanza degli ospiti è la mia camera.
Perché?
E’ semplice, da qui l’unica cosa che posso vedere è una striscia
indefinita di mare color indaco e le cime di alberi lontani.
Da questa finestra, in tutto uguale alla mia, l’unica cosa che non
posso più vedere è la tua stanza.
Ho dovuto cambiare, do’hao.
Pensare di rimanere nella mia camera ed impormi di non osservarti
da quel vetro maledetto sarebbe stata pura follia.
Non ce l’avrei mai fatta.
Mi conosco.
Mi conosco abbastanza da evitarmi sfide improponibili.
E’ tutta colpa tua, do’hao.
Perché ti sei trasferito qui?
Perché mi hai permesso di osservarti?
Perché hai ceduto alle mie insistenze e mi hai sorriso?
Perché hai ricambiato i miei sguardi ?
Perché hai cominciato a scrivermi quei cartelli?
Tutto questo è un’intimità che non dovrebbe appartenerci.
Un’intimità che non esiste fra amici e che per essere portata
avanti chiederà sempre di più dalle nostre vite.
Ti ho visto soffrire una volta.
Ed anche se so che io posso sopportare tutto so anche che sarai tu
il mio punto debole, la cosa che non riuscirò a sopportare
di perdere, di far stare male, di ferire.
Lo capisci do’hao?
Anche se riuscissi ad ottenere il tuo amore.
E’ troppo grande tutto ciò per me e per te.
Scusami se mi tiro indietro, ma forse sentiremo entrambi meno dolore.
Kami…..mi manchi……mi manca il tuo …..sorriso…….mi manca da morire……e
nemmeno la notte è più clemente con me….ogni sua più
piccola stella mi rimprovera di aver rinunciato a ciò che lei
ama vedere tra di noi esseri umani.
Amore.
Il buio mi avvolge, ti guardo…non ho potuto resistere, è notte
fonda e sono scivolato fin dentro la mia stanza per poterti osservare,
so che starai dormendo, che guardarti adesso, al buio, non ha senso,
ma mi avvicino lo stesso al vetro della mia tortura e cerco di vederti.
Tu sei seduto alla finestra …..lo sguardo fisso su questo mio vetro…..quasi
tu sapessi che stanotte ti avrei cercato.
Kami…. sei ancora più bello quando la luna tenta di far impallidire
il tuo incarnato e le stelle regalano ai tuoi occhi iridescenze luminose.
Appena mi vedi sorridi, dolcissimamente…….
Mi lascio andare contro questo vetro e ti fisso, rapito.
Sono stato un folle a rinunciare a tutto questo, vero?
Un impulso improvviso.
Apro la mia finestra.
L’aria briosa della notte investe la mia pelle tramutandosi in minuscoli
brividi, ti guardo, ti vedo meglio adesso, ti sorrido.
Anche tu ti alzi, apri la tua finestra e ti affacci.
Siamo qui, io e te, vicini ma senza poterci sfiorare, a guardarci
in un buio che può disperdere tutto, ma non l’agitarsi sommesso
di sentimenti importantissimi nei nostri animi …….ed è notte….ed
è come se io sentissi il tuo cuore battere e tu sentissi il
mio….l’aria che ci divide è talmente rarefatta da sembrarmi
una stanza vuota che risuona al battito furioso dei nostri cuori vivi……sai
…..mi sembra che la luna ci guardi e che la notte sia con noi…..che
ci sorrida……non sembra anche a te?
Mi osservi, tentando di nasconderti a me, giocando con la tenda, ti
copri poi mi guardi ancora……..si, ti piace farti guardare, fare in
modo che io mi debba impegnare per poterti vedere…mi devo spostare
da un parte all’altra ……e tu ridi, divertito……..ti piace avere tutta
la mia attenzione……non ti facevo così do’hao……non lo credevo
proprio……ma ora stai osando troppo…..ricambi fisso il mio sguardo,
ti lecchi le labbra, lo fai involontariamente, ma poi ti accorgi di
cosa può significare, hai le labbra secche? Posso bagnarle
io….
……..con le mie ……se vuoi……..
Alzo una mano che, ghermita dalla profonda oscurità ,si tende
nel vuoto, verso di te.
E le tenui luci che illuminano i nostri giardini, piccoli lumi nascosti
fra i cespugli e le siepi, fanno risaltare il candore della mia pelle
che anela a te, che si tende, per raggiungerti, per invitarti, con
un gesto gentile delle dita.
E tu, sorpreso, mi guardi ancora, quasi tu stasera non sapessi fare
altro e poi….poi sorridi…..e vai via.
Non ti vedo più.
Immediatamente mi sento solo e abbandonato.
Il silenzio profondo che mi circonda, e che fino ad un attimo fa ritenevo
fosse il rispetto che la notte offriva per i nostri cuori che cercavano
di parlare, mi sembra adesso soltanto vuoto e mancanza.
E tutto questo solo perché sei sceso da quella finestra.
Sei ritornato a dormire?
Potrei capirti …..
Eppure è doloroso credere che tu, una volta ottenuta la mia
attenzione, la prova che senza di te non sento la mia vita, una volta
ottenuta la risposta che forse volevi, ti senta soddisfatto ed orgoglioso
di te tanto da dimenticarti di me.
Questo mi ferisce do’hao.
Mi fa male.
Penavo che tu avessi capito, dai battiti che ci siamo scambiati prima,
che anch’io ho un cuore.
Mi è sin troppo facile pensare che tu abbia voluto che da questa
finestra io gettassi verso la tua questo mio cuore, per renderti capace
di farne ciò che vuoi.
E forse lo hai fatto per potertene inorgoglire.
Ma ti amo lo stesso.
Ti amo sempre.
Troppo, forse.
Volgo lo sguardo alle stelle ed esse mi sorridono,
poi il vento mi porta fino al viso un rumore lievissimo.
Ed allora la luna si erge ad illuminarti e tu, silenziosamente, scivoli
fra le ombre della notte verso la mia casa.
Scendo in un istante le scale.
Apro la mia porta e tu sei davanti a me……….
Non ci diciamo niente, non ce n’è bisogno.
Lasciamo che sia lo spirare del vento ed il battito velocissimo dei
nostri cuori, la nostra unica, dolce conversazione.
Mi stringi una mano, io ti tiro dentro ed insieme siamo in casa, sulle
mie scale, nella mia stanza.
Appena entri ti dirigi subito alla mia finestra, scosti la tenda e
guardi, osservi, quanto bene si veda da qui la tua stanza.
Guardi a lungo poi ti giri verso di me e mi rimproveri teneramente
con uno sguardo.
Sorrido.
Si, sono uno spione….lo hai capito? Va bene…..ma ricorda che anche
tu hai contribuito…non ero io a lasciare la tenda aperta…….
Mi accosto a te, mentre seguiti a guardare fuori…..
Sei venuto per me o sbaglio?
Per me, vero?
Ed allora voglio la tua attenzione.
Su di me.
Mi siedo al tuo fianco attirando, con questo movimento, il tuo sguardo.
Sorridiamo.
Abbasso i miei occhi sino a sfiorare con essi una delle tue mani che,
incauta ed innocente, si è avvicinata troppo a me.
La sfioro con i miei polpastrelli e in un unico movimento risalgo
fino alla tua spalla, accarezzando tutta la tua pelle.
Rabbrividisci e mi sembra di nuovo di sentire il tuo cuore battere
nel mio.
O forse è solo perché siamo uniti in un abbraccio adesso.
Ho tutta la tua attenzione ora.
Ci separiamo e finalmente, dopo così tanto tempo , posso sentire
le tue labbra.
Mi offri, timidissimo, la bocca.
Pieghi il viso verso di me e ti lasci raggiungere.
Kami …..sei stupendamente arrendevole ……..sei stupendamente mio.
Accetti la corte che le mie labbra e la mia lingua ti fanno.
Mi inviti ad avere pienamente il tuo primo bacio.
E a condividere con te il mio.
Su questa finestra dalla quale per la prima volta ti ho visto veramente.
Ti sento contro di me.
Non ho ricordo del tempo trascorso.
So solo che quando ho posseduto la tua bocca ne ho perso cognizione.
Ti sento mio con solo un bacio.
Ti amo.
Accarezzo il tuo viso, il tuo corpo, ti abbraccio,
tu mi stringi ed io mi alzo.
In piedi, di fronte a te, scendo nuovamente sulle tue labbra , per
berne la dolcezza e la passione.
Tu mi abbracci, sento le tue mani sulla schiena, sono calde come la
tua pelle ed il tuo respiro.
Ti stringo a me e ti chiedo con il corpo di alzarti.
Una tua mano fugge alla mia presa, si posa sul vetro appannato da
tutto il nostro calore, con dolcezza la riporto da me.
Non le permetterò di fuggire, come non lo permetterò
a te, piccolo do’hao.
Accarezzandoti un fianco ti guido sino al mio letto, poco distante.
Ti invito gentilmente a stenderti con me, attento alla tua reazione,
ad un tuo cenno di diniego.
Non ti costringerò a niente che non sia tua volontà.
E tu lo sai.
Leggi il mio rispetto per te in ogni mio gesto.
In quello con il quale ti accarezzo il viso con il dorso di un dito.
In quello con il quale scosto le ciocche ribelli che cadono su quelle
labbra ora di mia proprietà.
In quello con il quale accarezzo il tuo corpo che ho lentissimamente
spogliato sotto di me.
Tremi leggermente, ma sorridi.
Fa freddo in questa stanza per te?
Non voglio questo.
Voglio che tu senta solo calore stanotte.
Copro entrambi, sotto le lenzuola staremo più caldi, amore.
Mi cerchi.
Tremi ancora un po’, allora non è solo per il freddo….
Hai paura?
Se hai paura mi fermerò immediatamente, basta che tu me lo
dica.
Lo sai questo vero?
E se non sei convinto non andrò avanti.
Non voglio farti male né ferirti.
Voglio solo tu capisca meglio il nome di questo sentimento che sento
in me guardandoti.
Mi baci, strusciandoti contro di me.
Sorrido, penso tu l’abbia capito già meglio di me come si chiami.
Lotto contro di te, contro la tua lingua irrequieta e appassionata,
infine ti vinco ….e tu sprofondi con la testa nei cuscini per lasciarmi
libero potere su di te.
Ti ringrazio e lascio immediatamente le tue labbra con un ultima morbida
carezza.
Non abuserò mai di ciò che mi lasci possedere.
So che altrimenti il tuo orgoglio si frantumerebbe.
E’ fiducia la tua.
E’ fiducia quella con la quale mi fai strada sul tuo corpo.
E’ fiducia.
E risplende nei tuoi occhi.
E riscalda il mio petto.
E riempie la solitudine di una vita.
Percorro tutto il tuo corpo.
Usando tutto il mio.
Mani, bocca, pelle.
Tendo le dita verso le tue labbra, per accarezzarle.
Le dischiudi per me ed io, ammaliato, ti divoro.
Sei delizioso, do’hao.
Lambisco con due dita la mia stessa lingua, bagno con cura i miei
polpastrelli e ti osservo sotto di me.
Aspettativa nel tuo sguardo.
Ti concedo questo momento per fermarmi se vuoi.
Ricorda, basta una parola.
Mi aspetti in silenzio.
Occupi il tuo tempo sistemandoti meglio sotto di me, cerchi un posto
dove far scivolare le tue mani.
Un posto su di me che mi lasci il dovuto spazio per muovermi.
Sei un do’hao intelligente.
E facendomi impazzire decidi che i miei fianchi sono il posto adatto.
Scendo lungo il tuo corpo, senza attendere oltre.
E ti osservo prima di violare la tua intimità.
Mi sorridi, in quel modo tutto particolare che è il sorriso
per me.
Ed io mi struscio contro il tuo viso, per inebriarmi con il profumo
dei tuoi capelli che sanno di luna e vento.
Mi sollevo ed inizio a prepararti.
Le mie dita non incontrano ostacoli.
Il tuo corpo le accoglie, rilassato e caldo.
Ti muovi su di esse, mi cerchi con la bocca, mi trovi stringendo quelle
mani sui miei fianchi.
Le tue labbra si aprono ad intervalli regolari per permettersi sospiri
sempre più alti.
Ti guardo, sembra andare tutto bene e ti sorrido.
Aggiungo un terzo dito.
Voglio fare le cose per bene stanotte.
Tu ti inarchi un istante, sfiori il mio collo e mi mordi piano.
Mi fermo e chiedo conferma ai tuoi occhi.
Il candore dei tuoi denti che si scoprono per sorridermi mi invita
a continuare.
Ed io percorro con lo sguardo il tuo corpo, avverto tutto, tu sotto
di me, me sopra di te e le lenzuola soffici su di noi.
Ti stringo e tu capisci.
Con un solo gemito mi confermi di sentirmi dentro di te.
Sono vicinissimo al tuo viso e guardo ogni tua espressione.
Sono attimi incerti , qualsiasi cosa non ti piaccia fammelo capire,
d’accordo piccolo?
Sai che puoi ancora fermarmi in ogni istante , vero?
Anche se sto penetrando dentro di te puoi fermarmi, puoi farlo in
qualsiasi momento, anche un attimo prima dell’orgasmo ed io lo farò,
mi fermerò.
Per te.
Ti tendi e mi inviti in te.
Mi stringi e riempi il mio viso di piccolissimi bacetti.
Ti piace quello che ti sto facendo?
Mugoli piano e sembri rispondermi di si.
Hai gli occhi lucidi, lo sai?
Così tanto che riesco a vederci dentro i miei.
Chiudi un istante gli occhi nel momento in cui affondo completamente
dentro il tuo corpo.
E quell’istante è tutto il fastidio che ti concedi.
Subito mi stringi a te, mi spingi verso di te, cerchi dei contatti,
sempre più veloci e sempre più forti.
Mi sollevo ….se non hai intenzione di fermarmi allora lascia che sia
io a darti piacere ……..
Inizio a possedere il tuo corpo, sempre più profondamente,
con ogni appassionata cautela, mi spingo dentro di te e sento sul
viso i tuoi respiri ansanti e soddisfatti che si mescolano con i miei
appagati e felici.
Sento i tuoi baci che mi percorrono la pelle sensibile e capisco che
è tutto vero, che mi ami, che provi piacere e considerazione
per me, anche tu…..anche tu….che non sono solo…..che non è
finita la mia vita…….che esiste e che è appena cominciata ……stanotte.
In questo momento.
Nel momento in cui il tuo battito diventa il mio ed il mio il tuo.
Nel momento in cui io divento te, nel tuo corpo e tu diventi me su
di noi.
Ti ho e ti amo e tu mi hai e mi ami.
Divido con la notte la nostra immensa felicità.
Ed improvvisamente è buio ed oscurità,
ma non sento solitudine.
Perché so che avrò sempre una finestra illuminata verso
la quale guardare, una finestra che mi ricorderà per tutta
la vita il momento nel quale ho ricominciato a vivere veramente, una
finestra a ricordarmi di te, per tutte le nostre notti.
Uno spiraglio di luce crudele mi ruba un bacio.
Mi sveglio.
Tu non sei qui.
Ed io ho solo sognato.
Mi tiro su.
Senza volerlo nemmeno fare.
La stanza degli ospiti mi accoglie con la propria insolita visione.
Io non sono venuto da te stanotte, a guardarti.
E tu non sei venuto da me, ad amarmi.
Sono solo.
E sono un folle se penso che io mi sono costretto a rifiutarti prima
che tu potessi farlo per me.
In realtà, nonostante io ostenti persino con me stesso la mia
sicurezza, non potrei sopportare un’altra notte come questa.
Sono arrivato a sognarti.
E mi è piaciuto così tanto da sconvolgermi.
Mi sollevo ed il lenzuolo sopra i miei fianchi è umido.
Ho solo sognato.
Se fosse stato vero non avrei solo diviso la mia felicità con
la notte, penso che aprendo di nuovo la mia finestra gliela avrei
urlata.
***
Era insopportabile.
Se almeno ne avesse capito il motivo.
Non era da lui.
No, dannazione.
Quella stupida kitsune non poteva averlo osservato per così
tanto tempo, avergli prestato così tanta attenzione, avergli
sorriso e poi, poi averlo abbandonato.
Era tradimento.
No.
Non voleva pensare che l’unica persona che aveva visto le sue lacrime
avesse deciso di fare finta di non esistere.
Non l’avrebbe permesso.
Mai.
Prese un cartello, scrisse qualche riga.
Scese le scale.
Sapeva che doveva essere in casa.
Ormai quella tenda chiusa e quella stanza buia non significavano che
lui non c’era.
Significavano soltanto che lui non lo voleva vedere.
Hanamichi strinse un pugno.
Già una volta aveva permesso ad una persona di abbandonarlo.
E non aveva potuto niente.
Adesso avrebbe rimediato.
Se Rukawa non voleva vedere quei cartelli lui glieli avrebbe portati.
Ritornò in camera.
Prese tutti i fogli che gli aveva scritto in quei giorni.
Non li aveva buttati via.
Non ci era riuscito.
Li aveva conservati ed ora sarebbe andato da lui per averne una risposta
ed una spiegazione.
Velocemente si diresse verso quella casa.
Suonò.
Si scostò di lato.
Non avrebbe permesso alla volpaccia di vederlo dall’occhiolino della
porta e non aprire.
Sentì dei passi.
Sentì la maniglia girare.
Con uno scatto entrò in casa.
Ritrovandosi davanti, fissi e stupiti, gli occhi azzurri di Rukawa.
Hanamichi non disse niente.
Non una parola.
Piantò i suoi occhi lucidi ed irati sul viso di quel ragazzo
dai capelli neri e sollevò i propri cartelli.
Li aveva ordinati.
Uno dietro l’altro.
Dal più vecchio all’ultimo che gli aveva scritto, pochi minuti
fa.
Ed ora li teneva in mano, per farglieli vedere, per farli scorrere.
Per fargli leggere ognuno di quei fogli ignorati.
“BUONANOTTE”
“BUONANOTTE KITSUNE”
“BUONANOTTE”
“BUONANOTTE VOLPACCIA PERCHE’ NON RISPONDI?”
“TI SEI ADDORMENTATO? BUONANOTTE LO STESSO”
“PERCHE’ NON MI RISPONDI?”
“BEH BUONANOTTE”
“SEI UNA BAKA KITSUNE”
“ ‘NOTTE …KITSUNE MALEDUCATA”
“PERCHE’ NON SCRIVI PIU’?
“PERCHE’ MI EVITI?”
“NON MI IGNORARE”
“NON OSARE IGNORARMI RUKAWA”
“VOGLIO UNA SPIEGAZIONE”
“RISPONDIMI”
Rukawa fissava ogni foglio un istante poi guardava gli occhi di Sakuragi.
Ogni cartello letto scivolava a terra.
Finché nelle mani tremanti di Hanamichi non rimase più
niente.
Rimasero solo i suoi occhi.
Feriti.
Lucenti.
Caldi.
Poi lui dai capelli rossi aprì la porta e scappò
via.
***Pov. Rukawa
Perché sei venuto qui?
Perché mi hai costretto a leggere quei cartelli, ad immaginare
un tuo interesse per me dietro ognuna di quelle lettere?
Cosa vuoi che faccia?
Guardarti ormai non mi basta più.
Perché non lo capisci?
Perché non lo vuoi capire?
Perché mi fai credere che a te andrebbe bene stare con me?
Non mi illudere, do’hao.
Non mi illudere.
E’ peggio che tradirmi.
Sono tornato in camera, nella mia camera, come ho sognato di fare.
Non ti posso vedere, ma so con certezza che tu ora stai aspettando
di vedermi, stai aspettando, seduto sulla tua finestra, che io ti
guardi, scostando questi lembi di tessuto che coprono le nostre reciproche
visioni.
Vuoi che ti guardi?
Perché ?
Sei sleale, sai?
Se me lo chiedi tu sai che lo farò, solo per rendere felice
te.
Ed infelice me.
Perché mi condannerò a morire nel peccato dei miei sguardi.
Perché ti potrò solo desiderare senza poter avere altro.
Perché rimarrò incompleto e tu mi batterai.
Ma ho i tuoi cartelli in mano.
Non li ho lasciati in terra.
Li ho raccolti tutti , uno per uno e li rileggo da ore.
Mi hai scritto ogni giorno.
Ogni singolo giorno.
Mentre io combattevo per non correre vicino a quel vetro tu pensavi
a me.
Sei un do’hao tremendo.
Tremendamente affascinante.
E’ buffo.
Non so come questa storia sia cominciata ed ora non so come finirà.
So solo che ti accontento.
Mi alzo.
Lentamente.
Afferro un lembo di tenda.
E mi preparo al mio inferno.
Vedo il tuo sorriso e mai avrei pensato che un demone potesse essere
così innocente.
***
Ce l’aveva fatta.
Hanamichi sorrise.
Dalla sua finestra Rukawa lo guardava.
Finalmente.
Finalmente.
Passarono i giorni, vaghi ed indefiniti, sempre più vicini
alla primavera e all’estate.
I loro sguardi si moltiplicavano attraverso quelle ampie vetrate chiare.
In ogni istante della giornata potevano sentire su di sé la
presenza dell’altro.
Bastava alzare il viso per incrociarsi con gli occhi.
Agli allenamenti i loro corpi tendevano ad avvicinarsi, inevitabilmente.
Come già avevano cominciato a fare le loro anime.
Per Hanamichi tutto ciò era nuovo, nuovo e dolce.
Ancora non capiva cosa stavano costruendo loro due insieme con i loro
sguardi.
Ancora non riusciva ad afferrare l’effimera e struggente spiegazione
umana di quei sentimenti che provava.
Sapeva solo che passare le sere a fissare gli occhi scuri di Rukawa
gli piaceva.
Un tramonto, come gli altri.
Forse un po’ meno insignificante.
Perché accendeva i capelli rossi di Hanamichi di riflessi ricchissimi
e luminescenti, in tutte le sfumature conosciute dell’arancio e del
carminio rendendolo attraente e affascinante, preparandolo per lo
sguardo attento ed emozionato di Kaede.
E sulla linea della morte del sole si era da poco accesa una strale
indaco di prima notte la quale rendeva giustizia, con il suo colore,
alle profondità marine degli occhi di quel ragazzo dai capelli
neri.
Così, rapiti l’uno dall’altro, in un istante d’intensa osservazione.
Rimasero ognuno alla propria finestra.
Pensando e pensando e pensando.
Non si accorsero nemmeno del tempo che passava, del sole che letteralmente
moriva dietro i colli e della notte che avanzava nella sua rinnovata
veste di ogni sera.
Seduti sulle loro finestre si scambiarono uno sguardo profondo.
Era bello anche solo rimanere a guardarsi.
Senza fare altro.
Nessuno di loro si nascondeva dietro un lembo di tenda.
Si fissavano e basta.
Semplicemente.
Come fosse sempre, per entrambi, la prima volta.
Pensando, a tutto e a niente.
Ed era pace dei sensi affogare, senza più respirare, negli
occhi dell’altro.
***Pov.Rukawa
Ti amo.
Mi guardi.
Sono passati i giorni.
Ti amo.
Mi hai costretto a tornare nella mia stanza, a passare nuovamente
le giornate premuto contro questo vetro.
Con il mio gatto in braccio e gli occhi nei tuoi.
Ora non lamentarti se ti dico che ti amo, intesi do’hao?
Mi fissi, il tempo passa ma né tu né io ce ne interessiamo.
Non riesco a scendere da questa finestra ed andarmene, la mia cena
non è importante e nemmeno la tua a quanto pare.
Io sono appagato così.
Ti guardo e mi sorridi.
Ora lo fai più spesso.
Lo fai sempre in quel modo, che ho scoperto, è il sorriso per
me.
Mi ritrovo a rispondere al movimento delle tue labbra con un movimento
delle mie.
Mi accosto al vetro, non è freddo.
Oramai l’ho scaldato con la continua vicinanza del mio corpo.
Mi avvicino e tu segui il mio spostarmi, socchiudo gli occhi ed appoggio
le labbra alla finestra.
E’ un bacio per te, do’hao.
***
Incredulo Hanamichi sgranò i suoi occhi nocciola.
Non poteva….non poteva essere….
Arrossì intensamente, velando le proprie guance d’imbarazzo.
Nascose un attimo il proprio sguardo.
Tutte quelle attenzioni…..
Kami…
Non ci era abituato ed ora, da qualche giorno, le riceveva ogni sera.
Ma mai prima d’ora un bacio.
Kami sama….. poteva chiamarle corteggiamento ?
Sorrise a Rukawa, ancora imbarazzato poi si perse,
di nuovo, insieme a lui, nella reciproca compagnia di soli sguardi.
Sentiva correre su tutto il corpo gli occhi profondi di quel ragazzo.
Se ne sentiva vezzeggiato.
Incerto nell’accettare quell’interesse o respingerlo con un cenno
di dissenso.
Non sapeva cosa voleva da lui Rukawa né perché fosse
diventato così importante, per lui in quei pochi giorni, saperlo.
Prese un foglio.
Quattro parole.
“A COSA STAI PENSANDO?”
***Pov. Rukawa
Mi chiedi a cosa penso?
Che domanda sciocca do’hao …a te…naturalmente…chiediti chi è
che sto fissando da ore da questa finestra ed avrai la tua risposta.
E tu?
Mi guardi e mi sorridi, ma non mi dici altro.
Sai che ti sto corteggiando?
Te la sei cercata tu, sai anche questo ,vero?
Questa sera, poco prima della fine del tramonto, eri particolarmente
affascinante.
Non sono riuscito ad andarmene da questo maledetto vetro.
E neanche tu sei andato via.
Ancora non capisci perché ci guardiamo così?
Non voglio risponderti.
Devi arrivarci da solo.
“E TU A COSA STAI PENSANDO?”
Mi guardi imbronciato.
Non è la risposta che volevi , vero?
Rido divertito.
Prendi un altro foglio.
“TE L’HO CHIESTO PRIMA IO”
Ti stai arrabbiando, lo so.
Anche perché non la smetto di ridere da dietro questo vetro.
Poi ti fermi a fissarmi.
Non mi hai mai visto ridere così.
Ti piace?
Mhm….si…dal tuo sguardo sulle mie labbra sembra di si ….
Voglio prendermi un po’ gioco di te, ancora un po’.
“LO VUOI SAPERE VERAMENTE?”
Annuisci velocemente, in attesa.
Come si fa a dire di no a quegli angoli incurvati che sono le tue
labbra sorridenti?
Prendo un piccolo foglietto e lo attacco alla mia sinistra.
“A TE”
Arrossisci ancora, mi piace imbarazzarti, i tuoi occhi si fanno più
lucenti e le tue labbra più rosse.
Ora è il tuo turno di rispondere e lo sai, prendi un altro
cartello.
“IO PENSAVO AL PERCHE’ DEL TUO COMPORTAMENTO….”
A cosa ti riferisci?
Continua….
“PERCHE’ MI HAI IGNORATO PER GIORNI?”
Non vorrei risponderti do’hao….
Non so spiegarti quell’attimo di smarrimento.
Non posso spiegartelo senza sembrare uno stupido.
Come posso dirti che avevo deciso per entrambi di lasciarci senza
nemmeno essere stati insieme?
Ho sbagliato, do’hao e credo che continuando a stare con te continuerò
anche a commettere di questi errori, quando ci sei tu di mezzo non
riesco più a pensare.
Tu aspetti un mio cartello.
“VOLEVO PENSARE”
E’ tutto ciò che posso confessarti ora.
Tu mi osservi, piegando di lato la tua bella testolina.
Poi prendi un foglietto.
“A ME? ”
Chiedi innocentemente.
Sei perversamente dolce.
Ti piace avermi in tuo potere, ti piace essere padrone dei miei pensieri
e dei miei sguardi, entrambi inesorabilmente attirati da te, vero?
Sai che piace anche a me?
Prendo un pezzetto di foglio anch’io.
“A NOI”
Ti vedo socchiudere le labbra ed un sospiro stupito ti scivola nell’aria.
Non lo sento, ma lo immagino.
Poi prendi un altro piccolo cartello.
“E COSA HAI DECISO?”
Mi guardi.
Mi guardi ancora.
Il tuo corpo tiepido appoggiato al muro stretto dietro di te, il tuo
viso rilassato, i tuoi capelli che si mescolano con le fibre bianche
della tenda alla quale appoggi la testa, la tua stanza buia, perché
ormai bastano le lampade dei nostri giardini più in basso ad
illuminare i nostri visi ed i nostri cartelli, la tua mano appoggiata
dolcemente al vetro che ci divide.
Come posso mentirti ?
Prendo un foglio.
Forse l’ultimo per noi.
Ma non mi importa.
Scrivo piano, il pennello nero che trema lievemente poi lo sollevo
e lo premo contro il mio vetro.
E’ per te do’hao.
“CHE TI AMO”
Mi nascondo a te un istante poi guardo i tuoi occhi che leggono queste
poche parole e guardano me, che rieleggono quelle lettere e poi mi
fissano ancora, ancora una volta, ancora una.
Poi mi sorridi, dolcissimo.
Non mi illudere.
Non mi illudere.
Prendi il foglio che diventerà la tua risposta.
Mi sembrano così atrocemente lenti i tuoi movimenti.
Vuoi farmi morire do’hao?
Sollevi un foglio ed io sento lucidi i miei occhi.
Prendo un altro piccolo cartello e lo metto vicino al primo , uniti.
Tu ti copri il viso con una mano, poi ti guardi intorno.
Ti tendi ad ascoltare.
Scendi dalla tua finestra.
Esci in giardino, passi sotto la luna.
Vieni da me.
***
La notte sbirciò dalle finestre scure di una stanza.
Vide una mano appoggiarsi sensualmente inarcata al vetro appannato
di quella finestra per poi venire trovata e riportata in basso con
lentezza ……….oppure no?
Non lo sappiamo , possiamo solo dire che quella notte la luna si ritirò
sorridendo compiaciuta.
*********
Hanamichi rise felice.
Quella sua vita nuova gli aveva offerto troppe belle cose……
che avesse dovuto soffrire solo per poter poi assaporare la gioia
che il destino aveva già stabilito di concedergli?
Non lo sapeva.
Si girò fra quelle braccia dolci e protettive e disse.
“Sai Kaede il tuo gatto ci vuole davvero bene….accetta di farsi buttare
da te nel mio giardino ogni volta che ti viene voglia di vedermi e
ogni volta che io ho bisogno di una scusa per venire da te”
***Pov.Rukawa
Rido con te , amore.
So che hai ragione.
E’ successo così tante volte, ormai.
Quasi quante le volte in cui ti sei spogliato per me davanti alla
tua finestra.
Lasciavi la tenda aperta, apposta per me, per farmi vedere ciò
che solo la notte dopo avrei potuto avere.
Ma con dolcezza.
Ed in segreto.
Da tua madre, da mio padre, dalla notte curiosa.
Tante le volte in cui, triste, lasciavi che io vedessi i tuoi occhi
lucidi solo per farmi correre da te con la scusa di un libro che mi
serviva.
E tua madre per fortuna non poteva vedere quanto stretto ti tenessi
per chiederti quel libro.
Ed il tuo abbraccio…….il tuo abbraccio è qualcosa che non ho
mai conosciuto con nessun altro prima…penso tu abbia imparato da tua
madre ad abbracciare così teneramente il tuo amante, me…………….e
proprio fra le tue braccia ti ho chiesto di non piangere più……ti
ho confessato quanto male mi facciano le tue lacrime …non te l’ho
gridato come avrei voluto tempo fa……ma solo sussurrato e tu l’hai
capito così bene……così tanto da non fare altro che sorridermi…..tanto
da farmi illudere che non farai altro che ridere per tutta l’eternità
che passerai accanto a me…………..
Eri tra le mie braccia anche la nostra prima volta insieme…ti ho raccontato
di averla sognata, vero?
Ed è stata uguale ….
…gli stessi sentimenti ….
…le stesse azioni…
…gli stessi gesti….
…lo stesso piacere…
…lo stesso amore…
…uguale , in tutto, in ogni più piccolo dettaglio…….identica
a quel sogno che mi convinse a non poter vivere una notte di più
senza di te…….in tutto……l’ho potuta rivivere….veramente ……e tu sai
bene che prima di addormentarmi con te ho aperto la mia finestra…
……oh…..scusami…la nostra finestra …..non picchiarmi, dai ……insomma
....ho aperto la ‘nostra finestra’………....ed
ho urlato con tutto il mio fiato alla notte scura quanto ero felice
………..
Ora sei ancora fra le mie braccia, fuori piove ha cominciato da poco
e tu come sempre ti sei voluto infilare nel letto, ora so, non hai
paura dei tuoni…..mhm… forse un po’ si confessi…..poi mi assicuri
che semplicemente quando fuori piove ti viene voglia di dormire….che
buffo che sei ………ti strusci contro di me chiedendomi silenziosamente
di non farti niente per oggi, faccio finta di non capire e tu mi dici
che è inutile che tanto so di cosa si sta parlando …………io rido
e annuisco …..non mi interessa solo il tuo corpo do’hao…….che sciocco
che sei …a me piace il tuo sorriso…..e quel cartello che hai lasciato
fuori dalla tua finestra da settimane ormai con scritto sopra.
“ANCH’ IO”
Ma più di tutto il tuo sorriso.
Il tuo sorriso come il giorno dopo quella notte ...quando poi mi hai
raccontato di tua madre..…….
Stavi facendo colazione in quel momento, giusto?
E lei ti si è avvicinata…..
<Che strani vicini abbiamo tesoro……non capisco per chi sia quel
cartello che ho visto sulla loro finestra ...c’è scritto solo
“TI VOGLIO”>
Fine
^________________^
Questa è come dire quasi una storia domestica, era un’idea
che mi piaceva per la sua semplice quotidianità ……la dedico
a te Ria perché è un piccolo piacere quotidiano anche
andare sul sito e spulciare tra tutte le storia che ‘tu’ hai messo
in rete per noi……
Grazie Ria …..e tanti auguri per il tuo compleanno.
Con affetto da
Mel
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