Eccomi qui! Non avrei mai creduto di riuscire a finire la ff in questo periodo…dopo un periodo di apatia mi sono detta: basta, devo continuarla! E così mi ci sono messa e l’ho terminata. Un po’ mi dispiace…ç_ç un’altra ff finita!!

Premetto col dire che ho avuto un po’ di dubbi sul finale. In verità mi piaceva il finale dello scorso capitolo, molto aperta è vero, ma comunque una possibile fine…temevo che scrivendo questo perdessi tutta l’atmosfera della storia e che scadessi un po’ nel banale. Ho ancora qualche dubbio, ma ormai l’ho scritta, quindi mi metto nelle vostre mani e mi affido al vostro giudizio.

Grazie a tutte voi che avete seguito questa ff…a voi il finale!!

    
 


 

 

Carnival

 

parte V

 

di Releuse

 


 

 

Ero convinto che il nostro incontro fosse voluto dal destino. Attraversando le sue infinite onde ci siamo alla fine incontrati ed io ero felice di come sono andate le cose. Ti avrei voluto tutto per me, avrei voluto condividere ogni cosa con te, portarti con me. Con il vero me. Perché tu mi hai conosciuto per quello che sono veramente, perché dietro quella maschera io sono riuscito ad essere veramente me stesso. E credo anche tu. Con te mi sono impadronito del piacere, convinto che fosse la sola cura per il mio turbamento ed invece ho capito che c’era qualcos’altro che mi avrebbe guarito. Ma tu sei scomparso prima che potessi fartelo sapere. Alla fine invece il nostro incontro è annegato nelle profondità di quei lunghi corridoi, all’interno di quelle stanze dove tre volte ci siamo uniti, inghiottito dall’oscurità di quelle interminabili notti. Ma non ho rimpianti, perché ti ho fatto una promessa.

 

 

“Thanatos…promettimi che sarai sempre te stesso…”

 

 

 

 

Dopo una settimana d’assenza varcavo i cancelli dello Shohoku, immergendomi nuovamente nella quotidianità dimenticata fra le mura della villa, in quelle processioni di maschere anonime. Che strano, era come se entrassi per la prima volta nell’istituto, tutto mi sembrava nuovo e sconosciuto: la struttura, la terrazza sovrastante, le voci confuse degli studenti, i trilli delle biciclette.  Ci misi poco tempo a capire che erano i miei occhi a vedere le cose in modo diverso, come se avessi fino a quel momento indossato delle lenti scure che mi avevano impedito di osservare la realtà circostante. E che ora erano scomparse. Ero davvero un nuovo Hanamichi Sakuragi.

 

“Hey campione! Bentornato fra noi!”

 

Riconobbi la voce di Yohei dietro di me, mentre la sua mano si poggiava comprensiva sulla mia spalla.

 

“Ciao Yo! Come stai?” Domandai sorridente e complice.

“Mah, non c’è male, assonnato! Ieri sera con i ragazzi abbiamo fatto tardi dalla sala del pachinko!” Ammise il mio migliore amico indicando con gli occhi quelle teste calde dei nostri compagni che si avvicinavano.

 

Yohei era davvero un grande amico, in quei giorni n' ebbi l’ulteriore certezza. Nell’ultima settimana era passato a casa ogni giorno ed ogni giorno se n’era andato via senza incontrarmi, poiché avevo fatto esplicita richiesta a mia madre di non fare salire nessuno in camera. Quando varcava il cancello di casa, Mito rivolgeva sempre gli occhi verso la mia finestra dov’ero comunque affacciato; alzava una mano in segno di saluto e poi silenziosamente tornava verso casa, senza chiedermi nulla. Sicuramente immaginava che qualcosa mi turbasse, perché non mi ero mai comportato così. Ma non poteva sapere delle mie notti insonni, consumate a riflettere su qui giorni che sarebbero arrivati, trascorse ad osservare le due maschere gemelle, mentre i sensi e i sentimenti correvano all’impazzata per tutto il mio corpo. Già, erano solo maschere, nulla di più.

 

Nemmeno in quel momento a scuola Yohei mi domandò qualcosa, limitandosi a darmi dei piccoli pugni sulle braccia in maniera amichevole.

Purtroppo lo stesso non si può dire degli altri tre scalmanati, che non appena mi raggiunsero cominciarono a fischiare e a fare casino, travolgendomi di domande sulla mia latitanza.

 

“Allora genio, come mai una settimana d’assenza?” Domandò Takamiya.

“Ti ha morso qualche tarantola?” Scherzò Noma.

“Ah, ma allora anche i tensai si ammalano!” Rincarò Okusu.

 

“Ma che diavolo dite?” Sbraitai offeso. “Il tensai non si ammala mai! Il qui presente genio non ha bisogno di frequentare così tanto la scuola come voi comuni mortali. La mia immensa intelligenza mi permette di prendermi periodi di pausa.” Esclamai pavoneggiandomi un po’.

 

“Sì, sì, tensai! Vedremo quanto ti aiuterà la tua ‘immensa intelligenza’ durante gli esami!” Mi sbeffeggiò Noma.

 

“Voi sottovalutate il tensai! Vedrete ai prossimi esami!” Appuntai sicuro di me. In verità era quello il patto con mia madre: mi avrebbe permesso quella lunga assenza solo se le avessi promesso di studiare costantemente per i prossimi esami.

 

“Ma quale intelligenza!” Intervenne d’un tratto Takamiya grattandosi il doppio mento con fare curioso. “Qui gatta ci cova! Mi sa che il nostro tensai ha avuto il suo ennesimo rifiuto! Cos’è genio, dopo Haruko sei stato di nuovo scaricato?”

 

“Che cosa?” Scattai furibondo. “Non ti permetto di fare simili insinuazioni! Vieni qua, una bella testata è quello che ci vuole per chiuderti quella maledetta boccaccia!” Sbraitai cominciando ad inseguire il mio amico. Tutti pensavano che scherzassi, certo non potevano sapere che in fondo quella era una mezza verità e che purtroppo mi aveva toccato. Distratto dal tentativo di acchiappare Takamiya che nonostante il peso se la cavava nella corsa, non mi accorsi dell’ “Hana, attento!” di Yohei e della bicicletta che avanzava veloce nella mia direzione. Ci misi alcuni secondi prima di capire che il dolore provato un attimo dopo alla testa era dovuto alla botta presa durante lo scontro. Ormai a terra e dolorante, alzai uno sguardo truce alla ricerca del colpevole.

 

Due inaspettati occhi blu come il cielo s’incrociarono con i miei e il mio cuore cominciò a battere veloce mescolandosi ai ricordi dell’ultima sera. Come se lo stesso fulmine squarciasse quel cielo limpido.

 

‘D’improvviso, come saette, inchiodati su di me.’

 

Il colore era simile a quelli della mia nemesi, forse un po’ più chiari, pensai in quel momento, ma non riuscii a riflettere sul fatto che la maschera sul viso potesse ombreggiare il suo sguardo e renderlo più cupo. Non lo feci, perché ormai avevo cancellato ogni dubbio, mio zio mi aveva rassicurato che non erano la stessa persona. Non lo feci perché ormai li avevo scissi. Hypnos era solo una maschera, una proiezione che poteva assumere qualsiasi sembianza a seconda di chi la indossasse.

 

Kaede invece era la realtà.

 

Lo vidi osservarmi con sguardo confuso, mentre si stropicciava gli occhi. “Mh, sei il solito do’hao…” Disse coprendo uno sbadiglio, mentre stava ancora seduto in terra, come me.

“Che diavolo dici baka kitsune!” Risposi irritato. “Sei tu che devi guardare dove vai invece di addormentarti in bicicletta!” Appuntai, sfoderando il mio pugno sotto il suo naso. Peccato che la mia era solamente una minaccia, mentre il volpino, senza troppi indugi, mi mollò un piccolo pugno sulla guancia seguito da un breve “Tiè!”.

“Ma io ti disintegro!!” Urlai furibondo, prima di gettarmi sopra di lui privo di ogni barlume di ragione.

 

Ce le suonammo per diversi minuti, insultandoci in ogni modo, quando all’improvviso, nel momento in cui i raggi del sole ci raggiunsero timidamente, Rukawa si fermò fissandomi con uno sguardo indecifrabile, molto riflessivo ed incerto. Vidi la sua mano camminare lenta verso il mio viso, attraversare un breve spazio che sembrava infinito, finchè raggiunse i miei capelli dove s’insinuò furtiva. Il mio corpo tremò a quel tocco e tutto intorno parve sospendersi insieme al tempo. Le nuvole non correvano più e il sole poggiava perennemente i suoi raggi sopra di noi. Sentii una ciocca muoversi fra le sue dita e i suoi occhi blu spostarsi su di essa per studiarla.

 

“Non…” Sibilò fra le labbra.

“Che fai kitsune…?” Balbettai cercando di interpretare il gesto tramite il suo sguardo. Per un istante mi sembrò deluso. Come se non fosse ciò che cercava.

“Do’hao…”Alzò gli occhi su di me, con lieve sorrisetto ironico. “Ma usi lo shampoo da donna?”

“Che cosa?” Quello era troppo. Come osava quello stupido volpino insinuare una cosa del genere?

“Hn, il profumo…”Bofonchiò la kitsune.

“Io ti ammazzo!!” Gridai pronto per balzargli nuovamente addosso, ma qualcosa mi frenò. Era il ricordo. Il ricordo della promessa.

 

Avevo promesso a Hypnos d’essere me stesso, di non fingere più e quindi…di aprirmi a Kaede. Ero proprio un do’hao. Preso dalla routine mi ero comportato come il solito deficiente, mettendo in bella mostra tutta la mia demenza. Forse quel comportamento era più radicato di quanto pensassi.

 

“Sono un cretino!” Urlai tenendomi la testa fra le mani, dovevo dirgli cosa pensavo veramente di lui, non insultarlo e picchiarlo!

“Hn, se te lo dici da solo do’hao…” Disse Kaede alzandosi. Forse aspettava una mia reazione, l’ennesima sbraitata che mai arrivò. Dopo qualche secondo d’esitazione il volpino tirò su la sua bicicletta ancora in terra e si avviò verso la scuola senza degnare nessuno, come aveva sempre fatto.

 

Non sapeva però che niente sarebbe più stato come prima.

 

In palestra un coro di voci festanti si alzò non appena varcai le porte. Tutti i compagni di squadra mi circondarono mostrando il loro entusiasmo per il mio rientro. Era una bella sensazione che mi donava calore. Ormai era il terzo anno in quella squadra e avevo come la sensazione di essere un po’ il padre di quelle matricole ancora acerbe. Yasuda, il capitano, mi si avvicinò con un sorriso e un “Bentornato Hanamichi.” In quegli anni era diventato molto più serio e acuto, nonché un gran giocatore, tirando fuori un carisma che nessuno si sarebbe mai aspettato da lui.

 

“Eh, eh, il tensai è tornato! Ora sì che la squadra rivive!” Scherzai sfoderando la mia risata. In fondo non potevo liberarmi totalmente di quei modi di fare. Furtivamente però il mio sguardo cercava Kaede fra quella folla, finchè lo trovò, seduto in panchina che guardava nella nostra direzione. Forse, mi piacque pensare, non era così dispiaciuto per il mio rientro.

 

Gli allenamenti iniziarono in un clima festoso e continuarono per l’ora successiva assorbendo sempre più attenzione ed energia. Appena presi fra le mani il pallone fui scosso dalle più svariate sensazioni, come se scendessi in campo dopo anni d’assenza, traboccante di una nuova forza che si muoveva fra le mie cellule. Non che non avessi migliorato il mio gioco in quegli anni, anzi, sapevo bene di aver fatto ulteriori e grandiosi progressi, eppure mi sembrava di allenarmi con maggiore attenzione, più concentrato sui miei movimenti e su quelli dei miei compagni.

 

E sui suoi.

 

Vidi il pallone tratteggiare una parabola perfetta nell’aria e poi centrare deciso l’interno del canestro. Non aspettavo altro. Respirai a pieni polmoni, cercando di placare l’emozione che fibrillava in tutto il corpo.

 

“Gran bel tiro, Rukawa!” Esclamai soddisfatto di me stesso. “Migliori ogni giorno che passa…” Aggiunsi con un sorriso che la kitsune non poteva vedere perché mi dava le spalle. Eppure lo vidi sussultare nell’udire la mia frase, stupito e forse stranito per quelle parole inaspettate. Certo non era l’unico a sorprendersi, tutta la squadra lo era.

 

Kaede probabilmente tentò di non scomporsi e quindi afferrò noncurante la palla, ma io sapevo che era turbato. La persona che fino ad un attimo prima ti insultava e gridava di odiarti ora è gentile e ti loda sincero. Chiunque ne sarebbe turbato, no?

 

‘…e questo è solo l’inizio, Kaede….’ Pensavo fra me compiaciuto.

 

Rukawa sbagliò il secondo tiro e mi parve innervosirsi. Sempre con indifferenza si riappropriò della palla.

 

“Sono certo che il prossimo andrà meglio…” Gli dissi serio e con le braccia conserte. Lui tremò ancora, impercettibilmente.

 

Silenzio. Un nuovo canestro sbagliato.

 

“Do’hao…”Rukawa mi lanciò uno sguardo astioso. “Cos’è una nuova tecnica per distrarmi? Non gufare!” Stava dicendo le prime cose che gli venivano in mente, glielo lessi nei suoi occhi fintamente distaccati ed alla ricerca della verità. Non nascosi una risata per quelle sue parole.

 

“Ma che dici, kitsune?”Il mio tono fu quasi dolce. “La verità è che…”

 

‘…dalla cieca invidia per te, sono passato all’ammirazione…’

 

Mi bloccai, impedendo ai miei pensieri di concretizzarsi in suoni percepibili. Mi venne in mente la seconda cena, le maschere, il discorso sull’invidia e le parole di mio zio.

 

Quando ammiriamo qualcuno significa che in lui abbiamo trovato una combinazione di ideali che desideriamo per noi stessi…”

 

Hypnos lo aveva capito quella sera, si era reso conto che i miei sentimenti verso Kaede andavano oltre la semplice ammirazione.

 

“Da come ne parli sembra che tu…”…non aveva terminato la sua frase e io gliene fui grato.

‘Ne sia innamorato? Era questo che intendevi, Hypnos’? Pensai in quei lunghi istanti.

 

‘Ebbene sì, lo sono.’ Ammisi fra me in quello stesso momento, ma non potevo travolgere Rukawa in quel modo, con i miei sentimenti, dovevo essere cauto e prendermi tempo permettendo anche a lui di abituarsi al mio nuovo atteggiamento. Al vero Hanamichi Sakuragi.

Così non risposi con sincerità, ma mi limitai a dire: “…la verità è che l’animo nobile del tensai sa ammettere la bravura dei suoi rivali…”

 

Tutti scoppiarono a ridere, pensando che quella fosse una mia nuova trovata. Kaede sbuffò scocciato e cambiò esercizio. Decisi di lasciarlo stare per quella giornata, rimandando a domani un nuovo avvicinamento. Per quel giorno avevo fatto abbastanza, volevo che lui acquistasse fiducia in me. Volevo che si fidasse di me.

 

Purtroppo il destino che da tempo si divertiva alle nostre spalle, decise di muoversi con prepotenza. Non potevo immaginare che quella trama così abilmente elaborata e studiata potesse scivolarmi dalle mani e travolgermi con tutta la sua irrefrenabile intensità, privandomi di tutte le certezze che con difficoltà ero riuscito a crearmi in quella settimana di assenza.

 

Stavo facendo la doccia in palestra dopo l’allenamento canticchiando una vecchia canzone. Come sottofondo l’acqua che scrosciava, quella mia e dei miei compagni nei box vicini. E le loro voci. E la sua voce.

Il mio cuore arrestò i suoi battiti, il sangue si congelò nelle mie vene, il respiro rimase intrappolato nella gola come se volesse soffocarmi, il corpo come pietrificato. Tutte le energie, tutte le mie forze e la mia mente si concentrarono nelle orecchie intensificandone le capacità uditive.

 

La sentivo poco lontano, decisa, profonda, metallica. La voce di Hypnos.

 

Non capivo cosa stesse dicendo, ma ne ero sicuro, era la sua. Non ebbi il tempo per pensare a nulla, ogni pensiero ragionevole si era dissolto con i vapori dei getti d’acqua caldi. Con movimento meccanico legai l’asciugamano intorno alla vita e uscii dalla doccia, a piedi nudi, completamente bagnato. Non m’importava più di nulla, dovevo raggiungere quella voce, capire a chi appartenesse. Cercavo la strada dentro l’aria appannata e pesante, fra le chiacchiere dei compagni, seguendo quel suono familiare che stava cambiando timbro, diventando più chiaro e nitido, un po’ diverso…ma sempre il suo. Era Yasuda che parlava con quella voce e io lo cercai, trovandolo all’uscita dei bagni. Con lui qualcuno, qualcuno che si stava asciugando il viso e la testa con l’asciugamano e che terminò il lavoro solo al mio arrivo. Rimasi senza parole, privato di ogni suono, di ogni certezza. Sotto le mie gambe il vuoto. Davanti a me…la verità?

 

“Hn, do’hao, stai riempiendo d’acqua dappertutto…” vedevo solo le sue labbra muoversi, non sentivo la sua voce.

“Hana lo sai che non puoi entrare così in palestra, hai dimenticato qualcosa?” Anche le labbra di Yasuda si muovevano senza emettere suoni. Le pareti dei bagni per un istante mi parvero deformarsi, sentivo solo un fischio acuto e fastidioso attraversare le mie orecchie e perforare la mia testa, facendola tremare per il dolore.

 

Potevo essermi sbagliato. In fondo l’udito non è in grado di darci certezze. In fondo poteva essere solo colpa della mia ossessione. Poteva solo essermi sembrata la sua voce, non c’era nulla di certo che fosse la sua. Non poteva essere lui. Kaede non poteva…non doveva essere Hypnos.

 

Allora perché il suo braccio destro era pieno di cicatrici, come se fosse stato ferito da una pioggia di vetri?

 

“Come…cosa hai fatto al braccio?” Domandai con voce atona, nascondendo con le poche forze rimaste gli ultimi spiragli di lucidità e tutto il mio turbamento.

Kaede alzò il braccio. “Hn, questi?” Domandò senza indugio.

 

“ Ho sfondato una finestra…”

 

La sua gelida schiettezza mi travolse, tremai, mentre sentivo il mio cuore riempirsi di tagli, come se fosse stato investito dalla stessa pioggia di schegge. In fondo chi poteva sapere di lui? Di noi?

 

“…quella di casa mia…” Aggiunse come se fosse la cosa più normale del mondo. Invece era la più artificiosa e falsa.

 

Deglutii per cercare di risvegliare il mio corpo intorpidito, ma ormai tutti i ricordi presero a ruggire nella mia testa, cercando ognuno di primeggiare con violenza.

 

Hypnos che cadeva all’indietro, infrangendo la vetrata del salone; la sua manica strappata, il suo braccio grondante di sangue che pulsava, mentre facevamo sesso, quella prima volta, in maniera così selvaggia e prepotente; Hypnos di spalle al muro, la seconda sera, mentre le mie labbra e la mia lingua percorrevano quei tagli quasi rimarginati, mentre facevamo l’amore. Hypnos e Thanatos.

 

Il grido di Kaede, quella gelida mattina, quando strinsi il suo braccio, affondando le mie dita nella sua carne.

“Non toccarmi!” Aveva ringhiato.

 

Non toccarmi’, continuava a ripetere la mia testa. Non avevo capito, non ero stato in grado di associare le due cose. E il destino mi aveva giocato.

 

Cominciai a ridere per nascondere il nervosismo.

“E poi sarei io il do’hao?”Cercai di scherzare facendo il solito sbruffone. Mi tenevo la pancia con le mani e mi stropicciavo gli occhi come se mi fossero venute le lacrime dal ridere.

 

Invece era la disperazione. E la follia di quel destino ingannevole.

 

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Non aveva retto il ferro del mio cuore, si era lasciato liquefare dal potente calore dei suoi sentimenti colando nella forma di piccole gocce fuse all’interno del corpo, amalgamandosi con il sangue, scomparendo all’interno di esso. Anche la maschera di Thanatos aveva ceduto, egli non era più “…l’essere dal cuore di ferro e dalle viscere di bronzo….”

 

Non avrei mai pensato di dover riaprire così in fretta la lucida scatola nera che se ne stava in fondo al mio armadio, ero convinto che sarebbe stata lì ancora per molto tempo, forse senza mai più vedere la luce del sole. Ancora una volta mi sbagliavo. Tremai, quando sentii il ‘clack’ d’apertura, percependo una fitta al cuore nell’avere nuovamente davanti agli occhi quelle due maschere: l’una dorata, l’altra argentata, l’una l’antitesi dell’altra. Mi sembrò di rivivere la prima sera della cena, quando Hypnos si voltò da me, gelandomi il sangue. Avevo avuto l’impressione di osservare una proiezione, come se vedessi me stesso in uno specchio invisibile.

 

‘E non un me stesso qualsiasi, ma la mia antitesi’

 

Era Rukawa…che scherzo del destino. Era davvero assurdo. Così assurdo da risultare terribilmente logico. Kaede era sempre stato il mio nemico, il mio rivale, la mia meta. La mia nemesi. Non sopportavo di vivere dietro la sua ombra e non facevo che mettermi in mostra per essere notato, dagli altri…e da lui.

 

Ancora incredulo e un po’ confuso tentennai prima di poggiare le mani sulla maschera dorata. Percorsi lentamente le sue linee metalliche, le ali intorno agli occhi, tastando le piccole gemme lucide che le costellavano, facendo emergere ad ogni passaggio ricordi di quelle tre sere, che in quel momento mi sembravano così lontani e distanti, come se fossero le immagini di un vecchio film.  Feci un profondo respiro e, armandomi di coraggio, poggiai ancora una volta la maschera sul mio viso.

 

Ormai c’era una sola cosa da fare.

 

 

Ogni squillo di quel telefono sembrava un passo verso di lui e l’attesa mi caricava di forza e di coraggio; improvvisamente la cornetta si alzò e il trillo fu interrotto da una voce.

 

“Pronto?” Era la sua. Quella di Kaede. Trattenei il respiro per un istante, incapace di emettere alcun suono, come se la voce fosse morta nella mia gola. “Pronto?” Insistette Rukawa.

 

“Mi…mi avevi detto che non giocavi a basket…” Fu la prima cosa che mi venne in mente e che espressi con tono dolce e amaro allo stesso tempo. Glielo avevo chiesto sulla terrazza, quando lui mi ci aveva trascinato durante il discorso sull’ira. Chissà, forse avevo già avuto un’intuizione…

 

“T…Thanatos?!” Sentii la sua voce tremare…era davvero lui. Poi un profondo silenzio. Percepivo il suo respiro pesante aldilà della cornetta, ma non potevo leggerne i pensieri che tanto avrei voluto conoscere. Fu lui a riprendere la parola.

 

“Come hai fatto a trovarmi?” Fu una domanda banale e inutile, che esprimeva il suo stupore e la sua confusione.

“Questo non ha importanza.” Risposi con serietà e decisione riprendendo la padronanza di me. “Perché sei andato via?” La mia vera domanda, lapidaria. “…perché sei scappato?” L’espressione della mia verità.

 

Kaede tacque per alcuni istanti. Probabilmente stava riorganizzando le idee, mettendo insieme i tasselli dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, ma non ci riuscì.

 

“Era impossibile che rimanessi. Era inutile, inadeguato…non aveva senso…” Si stava sforzando di parlare, ma le sue parole confuse nonostante mi fecero sorridere, non mi soddisfecero.

“Non è una risposta…” Aggiunsi scandendo bene le mie parole. Mi sembrava di vederlo aldilà del telefono, mentre stringeva il pugno nervoso, cercando le parole adatte per quell’inaspettato discorso. Forse anche lui stava soffrendo come me, ma non mi importava. Volevo la verità.

 

“Volevo parlarti…te l’avevo detto. E tu mi avevi rassicurato, dicendomi che ti avrei potuto dire tutto dopo. Invece sei scomparso.”

Lo sentii trattenere l’aria nella gola, per poi emanarla fuori con un colpo pesante. “Mi dispiace…”Lo disse sinceramente. “Davvero…ma non ho potuto fare altrimenti, credimi…”

“Ti ho già detto che non è una risposta…”

 

“Cosa vuoi da me?”

 

La sua domanda mi sorprese, cogliendomi impreparato. Forse stavo giocando troppo con lui e Kaede non è uno che si lascia giocare facilmente. Lui vuole chiarezza, cosicché decisi di concedergliela. Presi tutto il coraggio rimasto in corpo e parlai con franchezza.

 

“Voglio dirti ciò che mi hai impedito quella sera cioè che…”

“Non parlare!” Mi interruppe bruscamente Kaede, alzando la voce. “Non lo fare, Thanatos…” aveva un tono quasi supplichevole, non glielo avevo mai sentito. Mai. Né come Hypnos, né come Rukawa. “Io…” La sua voce cominciò a tremare. “Ti ho ingannato.”

 

Sentii il mio cuore squarciarsi e dalle mie labbra non uscì alcuna voce.

 

“Scusami…vedi…tu mi hai fatto capire che grazie a quella maschera sei riuscito a fare emergere il vero te stesso, liberandoti delle maschere indossate nella vita di tutti i giorni. Indossando una vera maschera hai ritrovato la tua natura. Questo lo avevo capito…” Si interruppe per alcuni istanti, forse dilaniato dalla verità.

 

“Continua…” Lo incitai totalmente sconvolto.

 

“Per me è avvenuto il contrario…la maschera ha nascosto il vero me stesso. Mi sentivo attratto da te, è vero, ma probabilmente non mi sarei mai lasciato andare se non avessi voluto cancellare lui dalla mia testa.”

 

Strinsi forte la cornetta e per un istante pensai quasi di sgretolarla, avevo cominciato a tremare nervosamente.

 

“Mi sono concesso per non pensare a lui, per convincermi di non desiderarlo, per mascherare i miei veri sentimenti. Attratto da te e da quelle atmosfere surreali mi sono lasciato andare, convinto che sarebbe stato solo uno sfogo, una scoperta condivisa del piacere. Perché in fondo noi non esistevamo. Non eravamo altro che maschere anonime prive di un’identità. Invece le cose non sono andate secondo i miei calcoli. I nostri incontri si sono fatti più coinvolgenti e travolgenti…e non era più solo possesso brutale del mio corpo. Mi sentivo coinvolto e sapevo che anche tu lo eri. E ho provato ad accettare, credimi, ma non ci sono riuscito. Sapevo cosa volevi dirmi quella sera ed ero confuso. Volevo davvero lasciare passare la notte e poi permetterti di parlare, era quello che credevo di volere anche io. Invece, nel buio di quella stanza…sotto il calore del tuo corpo…io non ho fatto che pensare a lui.”

 

In quell’istante pensai che le ferite del mio cuore non si sarebbero mai rimarginate. Le parole di Kaede erano riuscite a ferirmi irreversibilmente e quell’angoscia mi avrebbe accompagnato per sempre.

Lui. Chi era, lui? Ricordai d’un tratto il percorso in auto con mio zio: vidi Rukawa…in compagnia di Akira Sendo. Sospirai con amarezza.

 

“Per questo sono andato via in quel modo.” La voce di Rukawa era atona, priva d’espressione; attraverso la cornetta appariva finta e artificiosa, come se l’avesse registrata. “Non posso negare di avere avuto dubbi sulla mia scelta. All’ultimo, quando il sole stava per sorgere, avrei voluto guardare il tuo viso, ma alla fine non ne ho avuto il coraggio. Non mi sembrava corretto.” Ammise con parole che mi sembravano sempre più taglienti. Perché in quel modo aveva scelto lui.

 

“Questa è la verità” Disse infine, causandomi l’ultima ferita.

 

Avrei voluto gridare, travolgerlo con la mia voce, esprimergli tutta la mia delusione e la mia rabbia. Ma non aveva pensato ai miei sentimenti? Non ci aveva minimamente pensato? Non credevo fosse così egoista. Aprii la bocca per parlare, ma nessuno dei miei reali pensieri scaturirono dalle labbra.

 

“Lui…lo sa?” Gli chiesi, non so bene perché.

 

Kaede invece sembrò aspettarsi quella domanda. “No.” Rispose risoluto. “Ed è meglio che non lo sappia mai. Sono il suo rivale e non penso che lui veda altro oltre a questo…” Notai una certa amarezza nelle sue parole.

 

Il suo rivale…le mie ipotesi furono confermate. Avrei potuto riattaccare, ormai non c’era nulla da dire. Eppure…non volevo abbandonare la sua voce.

 

“Le maschere sono viste solo da chi non vuole andare oltre…sei stato tu a dirmi queste parole, Kaede.” Gli precisai. Non era da lui arrendersi così e la cosa mi rendeva nervoso. Kaede Rukawa non si arrendeva mai di fronte ad una sfida.

 

“È strano sentirti pronunciare il mio nome…” Disse con una punta di dolcezza nel tono di voce; mi sembrò fargli piacere. “…hai ragione anche tu, in fondo non è da me…” Sembrò leggermi nel pensiero. “…la verità è che quella scimmia rossa non capirà mai…”

 

Terminò così la sua frase, lasciandomi completamente disorientato ed incredulo.

 

“…in fondo sono io il vero do’hao…” Disse sottovoce, con ironia, credendo che quelle parole non potessero per nulla essere comprese da Thanatos.

 

“Ho capito.” Pronunciai alla fine. Credo che Kaede vi lesse rassegnazione e amarezza nelle mie parole. Mi chiamò forse per dirmi qualcosa, ma non sentii oltre, poiché riattaccai il telefono.

 

Avevo ascoltato abbastanza.

 

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“Era lui…e tu me l’hai negato!”

“Hana, calmati…”

“Sono tuo nipote…”

“Non lo sapevo nemmeno io…”

“Cos…”

“Mi aveva detto di frequentare un’altra scuola e pensavo fosse vero. Sinceramente la cosa non aveva molta importanza…ho scoperto che faceva parte dello Shohoku, quando ero con te in auto e lui indossava la tuta della squadra…”

“Ma quando…ah! Il giorno che era con Sendo!”

“Inoltre…anche lui mi ha chiesto se fossi tu…”

“Che cosa? Quindi…lo aveva capito?”

“Credo di sì…”

“E tu cosa gli hai risposto?”

“Hn, che non era così. Thanatos va all’università e un insieme d’altre cose che non coincidono con te.”

“Cosa? E ti ha creduto?”

“Sono molto persuasivo, lo sai, nipote. E poi è la regola…non mi piace trasgredire.”

“Tu che parli di regole?”

“Sì…le mie regole.”

 

 

 

Passai i successivi tre giorni a litigare con Rukawa. Ogni occasione era buona per attaccare briga con lui. Ormai erano ridondanti lo “Stupida kitsune!” o “Ma chi ti credi di essere, volpino artico?”, ogni giorno glieli gettavo addosso nelle più svariate situazioni. Alla fine terminavamo con una bella rissa come ai vecchi tempi, ma stavolta forse più spesso del solito. Gli sbraitavo contro tutto il mio astio, la mia rivalità, il fatto che non lo potessi sopportare. E lui incassava senza mostrare la minima piega; solo in apparenza, perché ormai li conoscevo i suoi reali pensieri. Ero anche riuscito a farmi dire perché fosse in giro con Sendo quella volta.

 

“Riveli le nostre tattiche al nemico?” Lo avevo accusato davanti a tutti e proprio per questo il volpino fu costretto a sputare il rospo, dato che tutta la squadra lo osservava dubbiosa.

“Hn, l’ho incontrato in un negozio di articoli sportivi e dopo abbiamo fatto un pezzo di strada insieme…” Mi era sembrato sincero, ma anche molto, molto arrabbiato. Pochi secondi dopo ci stavamo nuovamente picchiando.

 

Per tre giorni mi comportai in quel modo. Tre giorni, come le notti passate con Hypnos. Rabbia nei confronti di Rukawa? No…una piccola vendetta personale. In fondo quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto dimostrazione del mio odio verso di lui.

 

“Rukawa! Fermati!” Gli intimai all’uscita della scuola. Lui si voltò abbastanza scocciato.

“Che diavolo vuoi, do’hao?”

 

Io assunsi la mia classica posa da tensai e lo indicai. “Ti sfido! È da tantissimo tempo che non ci sfidiamo in un bel one to one.”

“Perché è una perdita di tempo giocare contro di te…”Mi schernì il volpino. Quello era il suo modo di contrattaccare.

“Non credere! Ho affinato la mia tecnica e ora voglio confrontarmi con te. Stasera ti aspetto all’ora del tramonto al campetto che da sul mare…Ti straccerò! Wah, wah, wah!” Risi con la mia solita risata sguaiata. Speravo davvero di non risultare troppo artificioso…quella volta mi stavo sforzando di essere il più irritante possibile.

“Al tramonto? Poi mi pieghi come lo vediamo il pallone dopo, tensai?” Mi domandò annoiato. Sicuramente pensava che non ci avessi riflettuto.

“Beh, ti dimostrerò che mi basteranno pochi minuti per batterti, baka kitsune!Non mancare, il tensai va a prepararsi!” Gli voltai le spalle e me ne andai, senza aspettare la sua risposta.

 

Non sarebbe mancato, di questo ero certo.

 

 

L’ora stabilita non tardò ad arrivare, anche se io ero sul luogo dell’appuntamento già da molto prima. Per scacciare i brividi di freddo avevo cominciato seriamente ad allenarmi, cercando di liberare la mia mente da tutti i suoi pensieri. Alla fine mi appoggiai ansimante dietro il tronco di un albero spoglio, vinto dal gelo dell’inverno. Alzai gli occhi e notai che i raggi del sole avevano cominciato ad affievolirsi, emanando un timido calore e il mare che s’intravedeva poco lontano aveva rallentato il suo ondeggiare, quasi per prepararsi al sonno della notte. Sopra di me sembrava esserci un’immensa lastra di ghiaccio dal colore pallido, eppure abbassando di poco gli occhi si poteva scorgere quella striscia dalle tonalità accese ed infuocate che diventavano più chiare man mano che si fondevano con il grigio azzurro del cielo.

 

D’un tratto udii dei passi, qualcuno si era fermato al centro del campetto. Di colpo un’onda si scagliò sugli scogli riempiendo il silenzio che ci aveva avvolto.

 

“Allora, do’hao?” Disse Rukawa; doveva avermi intravisto dietro l’albero. “Mi vuoi dire cosa vuoi?”

 

Acuto ed intelligente. Aveva capito che dietro la mia sfida c’era un secondo fine, ma poteva immaginarsi quale? Mi sembrava di vederlo il suo respiro pesante, dopo essere corso fin lì. Non lo avrebbe mai ammesso, ma aveva sicuramente corso per non arrivare in ritardo, perché voleva sapere, perché voleva vedermi. Sorrisi fra me chiedendomi quanto fossero reali le mie supposizioni. Decisi così di uscire allo scoperto, mi voltai e avanzai verso di lui completamente muto.

 

Lo vidi sgranare gli occhi, portarsi una mano alla bocca ed infine indietreggiare. Ogni passo che facevo verso di lui, lui lo ripeteva all’indietro. Eppure i suoi occhi continuavano a rimanere fissi su di me, colmi di stupore, lottando contro la sua volontà.

 

“Non è…possibile…” Balbettò arrestandosi ed io mi fermai a pochi passi da lui, rimanendo immobile.

 

“Thanatos…” Pronunciò Kaede incredulo. Thanatos era di fronte a lui. Non indossava più lo smoking nero, ma una semplice camicia bordeaux che richiamava gli ornamenti dell’abito da sera e un paio di pantaloni scuri.

 

Lentamente portai la mia mano sotto il mento e sfilai la maschera liberando finalmente il mio viso. La maschera luccicò sotto gli ultimi raggi di sole che c’investivano.

 

“Te l’avevo detto che c’era qualcosa che volevo dirti… questa volta non scappare…” Gli dissi sorridendo, mentre incatenavo i miei occhi ai suoi.

“I tuoi…”Kaede allungò la sua mano verso il mio viso, prendendo ancora una volta fra le sue dita una ciocca dei miei capelli illuminati dai raggi di sole. “…è questo il colore che ho visto quella sera, durante il fulmine…” Disse facendo scivolare la mano sul collo, per poi ritrarla. “Quindi, eri tu.” Terminò accennando un breve sorriso, anche la sua confusione stava svanendo.

 

“Hypnos…” Gli dissi, cercando il suo sguardo che divenne titubante non appena lo chiamai con quel nome. “…quello che volevo dire a Hypnos, bè, credo tu lo sappia…”Un velo d’imbarazzo attraversò i miei occhi.

“Hn…”Annuì Rukawa, nel quale percepii un lieve disagio.

 

“…è vero, avevo scelto lui, ma perchè ero convinto che l’altro lui non avrebbe mai provato nulla per me. Come vedi non siamo poi così diversi.” Rukawa spalancò gli occhi, incredulo, ma non lo feci parlare perché continuai. “Hypnos è scappato, impedendomi di parlargli. Però io gli avevo fatto una promessa alla quale non posso mancare….” In quell’istante voltai gli occhi verso l’ultimo spicchio di sole che scompariva dietro le mie spalle, come per afferrare tutto il mio coraggio. “Essere sempre me stesso…” Aggiunsi, cercando ancora una volta i suoi occhi.

 

Vidi Kaede annuire in silenzio, ormai privo di parole. Mi sembrava di avvertire il cuore battere agitato nel suo petto, nell’attesa del suono della mia voce. Intanto il sole era completamente tramontato. All’orizzonte, gli ultimi sprazzi arancioni dipingevano il cielo.

 

“Kaede, io sono innamorato di te da tempo.”

 

Glielo dissi guardandolo negli occhi con determinazione, fondendomi nelle sue perle blu cobalto molto più belle e luminose che quelle scorte dietro la maschera alata.

Kaede non disse nulla, ma accennò un lieve sorriso prima di avvicinarsi alle mie labbra che sfiorò con le sue, in un tocco leggero che fece rabbrividire entrambi, poiché in esso era racchiuso un mare di ricordi. Io affondai la mano fra i suoi morbidi capelli premendo sempre più la sua testa verso di me. Chiusi gli occhi per assaporare quel momento.

 

Quello fu il bacio più casto fra i tanti scambiati. L’ultimo per Hypnos e Thanatos, il primo per Hanamichi e Kaede.

 

 

“Devo partire, Hana…”

“Come, zio? Di nuovo?”

“Sì…”

“E quando ti rivedrò?”

“…ancora non lo so…sai che non programmo mai i rientri…Hey, perché quella faccia? Sono solo un vecchio pazzo, no? L’uomo che ti ha costretto a quella carnevalata, come la chiamavi tu.”

“Zio…”

“Sei un bravo ragazzo, Hana. Sii sempre te stesso…”

 

 

“Hey kitsune! C’è ancora una cosa che dobbiamo fare!”

 

“Hn?” Vidi la mia nemesi corrucciarsi per aver separato l’abbraccio nel quale stavamo stretti da diversi minuti.

“Dai vieni!” Presi la sua mano e lo costrinsi a seguirmi.

 

Pochi istanti dopo eravamo sugli scogli più vicini al mare. Potevamo sentire le gocce d’acqua salata puntellare il nostro viso ad ogni onda che s’infrangeva, mentre il cielo ormai si colmava di stelle. Kaede osservava silenzioso la sua maschera fra le mani e ogni tanto passava le dita sulla guancia scheggiata. Non so davvero a cosa stesse pensando, ma in fin dei conti non aveva più tanta importanza. Io feci un grosso respiro, mentre stringevo la mia. Il cuore batteva emozionato.

 

“Sei pronto?” Chiesi a Kaede, aspettando il suo consenso.

“Hn!” Annuì la mia kitsune.

 

Le maschere tagliarono l’aria con movimento veloce e preciso; percorsero diversi metri sospese brillando sotto la luce della luna, ma alla fine dovettero arrendersi e caddero sulle onde del mare. Si lasciarono cullare dall’acqua per alcuni secondi finché lente scesero sul fondo, facendo inabissare per sempre Hypnos e Thanatos.

 

Fine.