Carnival
parte IV
di Releuse
La tensione cresceva fra noi. L’uno di fronte all’altro, in piedi ed immobili, Hypnos e Thanatos si osservavano. I loro occhi erano le uniche cose a muoversi in quel momento; come biglie lanciate con irruenza su una liscia superficie loro saettavano, scrutavano, studiavano, volevano percepire qualunque cosa. Un qualsiasi segnale da parte dell’alter ego davanti a sé. Non c’era alcuna fonte luminosa intorno, eppure le due maschere si distinguevano alla perfezione, come se da sole emanassero una pallida luminescenza che permetteva l’una all’altra di percepirsi.
Si potevano udire solo i respiri metallici vaporizzati dentro la maschera; sullo sfondo un vuoto silenzioso.
Né un rumore, né una parola. Nessun grido o frastuono avrebbe potuto spezzare quel silenzio immortalato nell’aria, poiché nessuna delle due figure avrebbe dato importanza a qualcosa che non provenisse dall’altro. Sembrava che entrambi aspettassero che il proprio opposto facesse la prima mossa, ma in quel modo erano giunti ad una sorta d’equilibrio in cui l’attesa avrebbe potuto consumarli all’infinito.
Ma improvvisamente quell’armonia si ruppe con un reciproco, tacito accordo. Nello stesso istante, scandendo gli stessi secondi, i due ragazzi si mossero in maniera perfettamente speculare. Silenziosi come due ombre, Hypnos e Thanatos portarono le proprie mani sotto il mento, sfilando quella maschera che soffocava loro il respiro.
Thanatos fece cadere la maschera dorata in terra, la quale si sfaldò in mille pezzi, come se fosse fatta di gesso. Il ragazzo alzò il viso noncurante e mi fissò.
Era Kaede. Ed Hypnos ero io.
Mi svegliai di soprassalto, sedendomi sul letto, in preda ad un’atroce confusione. Respiravo a fatica, soffocato dalla maschera che mi sembrava di indossare e che invece era rinchiusa dentro l’armadio, nascosta nel buio della sua scatola. Era come se mille volti, mille maschere, fra le quali riconoscevo gli ospiti di mio zio, vorticassero nella stanza ridendo di me, deridendo il sogno che avevo appena fatto e le sensazioni caotiche ed incoerenti che mi stava suscitando. Compressi convulsamente la testa fra le mani, stringendo gli occhi con forza, cercando un po’ di pace dentro la mia mente impazzita. Lentamente la stanza smise di ruotare, mentre il respiro si regolarizzava e il battito del mio cuore rientrava nella norma. Alzai gli occhi e mi guardai intorno, stordito, notando come il sole illuminasse la mia stanza, sciogliendo il gelo dei vetri appannati dalla notte trascorsa.
Il mio sguardo si estese aldilà della finestra, invece la mia mente ricominciò a vagare, a scavare dentro quel sogno appena vissuto.
Già, vissuto, poiché tremendamente reale. I brividi, l’emozione, la tensione…potevo ancora sentirli vibrare nelle mie vene. Non c’era ombra di dubbio che io volessi conoscere il volto di Hypnos, sapere chi si celasse dentro quella maschera. Avevamo condiviso appena due serate, eppure avevo come l’impressione che ci conoscessimo da sempre. Nonostante i dissidi iniziali, io e lui siamo entrati in sintonia sin da subito. A legarci è stato il condividere l’assurda situazione di quelle cene, quelle serate in cui l’identità di chiunque era preclusa agli altri. Io e Hypnos le stavamo affrontando con forza, insieme. Ero certo che né io né lui, senza l’altro, saremmo riusciti a reggere una situazione così ambigua e snervante. Ne ero convinto. Il condividere quell’atmosfera, respirare la stessa aria pesante, osservare gli stessi movimenti, gli stessi colori, ci aveva portato a sentirci più vicini.
Ed infine a condividere anche il nostro corpo.
Feci un grosso, profondo, respiro. Non potevo negare di aver percepito i suoi brividi, mentre baciavo la sua bianca schiena. Non potevo negare di essermi sentito attratto dal suo stesso desiderio verso di me. Non potevo negare di averlo desiderato io stesso.
Ma non era solo quello. Il mio cuore aveva cominciato a battere, alimentandosi di un fuoco mai conosciuto prima, non appena avevo assaporato le sue labbra. E lo stesso il suo, così vicino al mio petto, aveva risuonato nella mia cassa toracica, entrando in risonanza con i miei rintocchi.
Improvvisamente uno sbattito d’ali e un colpo sulla finestra mi fecero sussultare. Forse un volatile intorpidito dal freddo. Trattenei il respiro, portandomi una mano al petto. Strinsi forte la felpa del pigiama, in preda ad un tremore nervoso. Mi resi conto in quell’istante che lo desideravo.
Desideravo conoscere la vera identità di Hypnos.
Solo qualcosa si frapponeva fra me e questo desiderio: Kaede Rukawa. Il sogno n’era stata una prova. Era Kaede l’epicentro dei miei pensieri, il ragazzo che concretamente avevo sempre desiderato sin dal primo giorno che incontrai sulla terrazza della scuola. Avevo sempre voluto avvicinarmi a lui, ma non gli avevo mai permesso di conoscermi a fondo. Lui conosceva solo la mia maschera, la fittizia personalità che ho sempre mostrato nella realtà la fuori e questo non ha fatto altro che allontanarmi da lui. Ai suoi occhi io ero solo un megalomane. Lo stupido do’hao che intralciava le partite dello Shohoku.
Come potevo chiedergli di condividere qualcosa con me?
Hypnos invece conosceva il vero me stesso. Il vero me nascosto dietro una maschera reale. Un paradosso. Era davvero tutto un illogico paradosso. Hypnos e Kaede. Per la prima volta li pensai insieme, li pensai vicini, osservandoli con attenzione. Il fisico, il corpo slanciato, gli atteggiamenti e le parole. Quelle poche parole…. In un breve istante ebbi un pensiero imprevisto che mi scosse da quella narcotizzante staticità in cui mi ero imprigionato.
Era solo un vago, poco chiaro dubbio che si stava timidamente affacciando dentro di me. Qualcosa che in fin dei conti mi sembrava assurdo, ma che non potevo escludere totalmente.
“Chi è Hypnos?”
Quando gli feci questa domanda mio zio non si scompose, continuando a guidare la sua auto e a guardare la strada di fronte a sé, come se io non avessi neppure fiatato. Forse se l’aspettava, anzi, conoscendolo, n’ero certo. Odiavo ammetterlo, ma quel gioco dove mi aveva trascinato era ormai diventato parte delle mie vene.
Seguirono istanti, minuti di silenzio in cui udivo solo il rombo del motore che ormai martellava nella mia testa, diventando parte di essa. La scatola metallica dentro la quale mi sentivo rinchiuso e l’odore della benzina appena fatta che si era riversata nell’aria affaticavano ancora una volta il mio respiro, come se stessi indossando la maschera. Ormai troppe volte quella sensazione s’impadroniva di me, era come se il mio corpo richiamasse a sé quell’involucro, perchè ne aveva uno smodato bisogno. Era una droga di cui non poteva più fare a meno, perché era l’unico mezzo per vivere davvero, per non sforzarsi di fingere in eterno.
“Non dovresti farmi questa domanda…” Rispose all’improvviso mio zio Kojiro, con un tono fra l’ironico e il rimprovero, mentre mi riservava un’occhiata veloce. “Lo so…” Dissi, facendo un lungo respiro. “Ma ormai ci sono dentro…” Mi morsi le labbra, maledicendomi per averlo ammesso. Odiavo dargliela vinta.
Ma in fondo sapevo che per lui non era una sfida. Il problema era totalmente mio.
“Non posso dirti nulla…lo sai…” Aggiunse senza mutare d’espressione, cercando di sistemare lo specchietto retrovisore sopra la sua testa. “…è la regola…” Terminò.
Strinsi i pugni, cominciando ad innervosirmi. “È la regola, è la regola…lo so! Ma diamine, sono tuo nipote!” Scattai, alzando la voce e colpendomi le ginocchia con i pugni.
Ero isterico e ridicolo. Ormai mi stavo appigliando a tutto nel tentativo di avere delle risposte. “Scusami…”Deglutii, cercando di calmarmi e aprendo di poco il finestrino per fare entrare aria pungente ma respirabile. “Io…volevo solo sapere se eri sicuro non fosse un ragazzo della mia stessa scuola…”Ammisi, mettendomi completamente a nudo, prima di rinchiudermi in un inevitabile silenzio.
Mio zio sorrise fra sé, probabilmente intuendo tutto. Non erano necessarie altre parole.
“Hana...lo sai, te l’avevo detto che non avrei chiamato altri ragazzi oltre a te facenti parte dello Shohoku. Hypnos non è un ragazzo della tua scuola.” Sospirò mio zio, probabilmente contrariato per avermi dovuto dare quella risposta.
Eppure io gliene fui grato, davvero. Non sapevo ancora se quella risposta mi stava sollevando, oppure disperando. Non riuscivo ancora a decifrare le sensazioni che animavano il mio cuore e la mia carne. Ma ormai avevo la mia verità. Mio zio diventò improvvisamente molto serio.
“Hana, forse è meglio che prima di chiederti chi è Hypnos…”
Le ruote della macchina stridettero sull’asfalto per la brusca frenata, causata dal semaforo diventato rosso troppo velocemente. Il suono coprì quelle parole che, non so come, arrivarono comunque nitide alle mie orecchie, come se fossero già state registrate.
“…ti domandi chi sia tu stesso…”
Il mio corpo tremava ancora per quell’arresto improvviso, ma la mia mente non l’aveva per nulla percepito.
“Che…che diavolo dici!” Cercai di cavarmi d’impaccio sfoggiando una risata sguaiata. “Io sono il tensai, il genio! Wah, ah, ah!” “Su questo non avevo dubbi…” Scherzò mio zio.
In verità ero stato turbato dalle sue parole e mentre riflettevo i miei occhi focalizzarono poco distante una figura e dei colori che ormai conoscevano bene: Kaede Rukawa. Il volpino camminava sul marciapiede portando con sé la sua bicicletta, ma non era da solo. Al suo fianco l’asso del Ryonan, Akira Sendo.
Vederli fuori delle mura di una palestra mi provocò un moto di cieca rabbia, che pretendeva di camuffare la mia gelosia.
“Che c’è Hana? Conosci quei…” Non feci caso al morire delle parole di mio zio. Ero travolto dall’impeto delle mie passioni. “No…mi sono sbagliato…” Dissi cercando di mostrarmi indifferente. Ma era una bugia evidente, poiché Rukawa indossava la tuta rossa e nera. Sulla schiena e sui lati delle gambe la scritta ‘Shohoku’.
Il semaforo divenne verde e l’auto ripartì prendendo velocità.
Ormai era troppo tardi, non potevo più tornare indietro. Per lui sarei stato sempre e per sempre il do' hao. Rukawa, il ragazzo del quale ero stato a lungo invidioso e che poi avevo cominciato ad ammirare, l’ideale al quale aspiravo, doveva essere cancellato dalla mia vita. E quel vuoto l'avrebbe colmato la mia nemesi.
Ma Hypnos avrebbe accettato la realtà insieme a me?
Distratto da questi pensieri ancora una volta non diedi importanza ai suoni bisbigliati da mio zio.
“Il gioco inizia a farsi interessante…”
Era l’ultima sera. Quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrei indossato l’abito di Thanatos, il figlio della Notte e dell’Erebo. L’essere dal cuore di ferro e dalle viscere di bronzo. Quel cuore che pensava di essere riuscito a nascondere dentro uno smoking nero e sotto una maschera dorata e che invece era stato messo a nudo dal dio del sonno, Hypnos, il quale ne aveva fuso il metallo resistente.
Lo osservavo Hypnos, mentre serviva silenzioso le portate di quell’ultima cena, passando da un ospite all’altro con movimenti così delicati e impercettibili da sembrare quasi una presenza impalpabile.
L’atmosfera surreale di quella sera accompagnava il mio sguardo su di lui ed intanto percepivo un intenso calore aleggiare nell’aria che non era dovuto al movimento per la sala. Mi resi ben presto conto che ciò che sentivo era una sensazione indotta, una sorta d’inganno della mente causato dall’ambiente circostante. Mentre seguivo Hypnos notai come sulla sua maschera il colore argentato si fondeva con tinte cremisi che, assecondando i suoi movimenti, si accentuavano ancora di più. Alzai lo sguardo e fu come scoprire la sala per la prima volta. Non c’erano più le pesanti tende di velluto viola ad ornare la maestosa finestra, ma delle delicatissime tende di raso rosso scuro, talmente sottili da ondeggiare al minimo movimento dell’aria, al più piccolo spostamento di una sedia. I candelabri erano stati sostituiti da lampade ad olio le cui fiamme si infrangevano sopra una sfera di vetro color porpora, diffondendo così nella stanza delle luminescenze della stessa tonalità che tingevano tutte le pareti. Anche le luci del lampadario dovevano essere state sostituite da lampadine rosse, poiché i cristalli che da esso pendevano sembravano delle lingue di fuoco pronte a tuffarsi sugli ospiti.
Sembrava di essere in un mondo parallelo, un mondo inglobato all’interno di quelle tinte rosse.
Ma quelle furono fugaci e sfuggenti riflessioni. Il mio sguardo invece era sempre, costantemente, rivolto vero di lui, Hypnos. Mentre servivo la cena, quando versavo il vino, nell’andare a prendere le portate, il mio pensiero era sempre rivolto a lui. Ne seguivo ogni movimento, ogni passo e allo stesso tempo mi rendevo conto che lui era sfuggente. Non eravamo ancora riusciti a stare soli e fermi. Mentre io entravo nella sala dietro la cucina per prendere i vassoi, lui stava già uscendo per dirigersi verso il salone. Sembrava mi volesse evitare, ma all’ennesimo giro notai che mi stava aspettando dietro le porte, aldilà delle quali si udivano i rumori metallici delle posate e il tintinnio dei bicchieri.
“Allora lumaca, vuoi darti una mossa?” Mi disse ironico ad un certo punto, mentre lo raggiungevo sulla soglia del salone. Quelle furono le sue prime parole della serata. “Scusi signor ‘oggi sono di fretta’! Se permette preferisco non rischiare di fare cadere i vassoi!” Risposi a tono, fintamente scocciato. “Più che essere di fretta oggi ci sono più portate del solito e quindi se non ti dai una mossa la cena la finiamo domani mattina!” Ribatté Hypnos. Ad un certo punto mi chiesi se fosse davvero serio.
Effettivamente avevo perso il conto delle portate servite e solo in quel momento notai che erano in gran parte pietanze a base di pesce, soprattutto molluschi e crostacei accompagnati da salse di vario tipo, ma tutte tendenti al giallo o al rosso. Notai improvvisamente dei forti odori speziati ed intensi nell’aria. Guardai perciò il vassoio che avevo sul braccio e constatai che conteneva qualcosa che la mia poca sapienza in materia avrebbe classificato come ostriche. Su quello di Hypnos c’erano stuzzichini di vario tipo, fra cui spiccavano dei ritagli di sedano farciti con uova di pesce.
“Ma che roba è?” Mi lasciai sfuggire, in fondo davvero incuriosito. Hypnos scosse le spalle. “Sembrerebbe una cena afrodisiaca, do’h…”Fece un colpo di tosse improvviso, nascondendo un suono. “…ignorante!” Io balzai irritato “Come ti permetti di dare dell’ignorante al t…”Stesso colpo di tosse…doveva esserci un’epidemia. “…un illuminato come me! Lo so bene che questa è una cena…afroche?”Certe volte avrei fatto bene a mordermi la lingua, non ricordavo più la definizione, anche se avevo capito benissimo di cosa si trattasse.
Fortunatamente la maschera copriva il rossore del mio viso, ma qualcosa mi fece intendere che Hypnos avesse intuito l’imbarazzo. “Sì, un illuminato come te che non sa dire afrodisiaco? Oppure ti imbarazza pronunciarlo?” Mi prese in giro la mia nemesi. In un’altra situazione avrei continuato il battibecco sino all’infinito, sbraitando ed agitandomi.
Se c’era Rukawa, ci saremmo presi a pugni.
“Mmm, magari mi imbarazza pronunciarlo, ma di sicuro non metterlo in atto…” Gli risposi audacemente, sporgendomi verso il suo orecchio.
Ma c’era Hypnos con me e io con lui ero finalmente me stesso. Dentro la maschera di Thanatos potevo essere il vero Hanamichi Sakuragi.
Hypnos non fu per nulla infastidito dalle mie parole, anzi, allungò la mano per sfiorarmi la gola col dito medio, con una sensualità tale da cancellare la sensazione di quel guanto pesante e portarmi ad immaginare le sue mani nude a contatto con la mia pelle. Rabbrividii.
“Bene…allora vedi di velocizzarti con quei vassoi, così finiamo prima per l’appunto…” Sogghignò lui. Io cercai di nascondere la sorpresa per quel suo gesto. Ogni qualvolta facevo un passo in più, Hypnos si muoveva allo stesso modo per raggiungermi. In fondo non c’erano ruoli fra noi e questo suo reagire alle provocazioni non faceva che accrescere il mio desiderio di lui. “Uff, e va bene, hai vinto! Entriamo, altrimenti tardiamo per davvero…” Precisai.
Era stato tutto studiato, fin dal principio; ne avevo già avuto l’impressione, ma quella sera ne ebbi la certezza. L’atmosfera, le cene, le maschere, gli argomenti che si susseguirono, facevano tutte parte di un disegno prestabilito, un copione fin troppo elaborato e studiato nei minimi dettagli dalla mente diabolica di Kojiro Shibata. Li aveva illusi, tutti. Li aveva intrisi del suo anticonformismo, convincendoli delle menzogne della vita quotidiana, annichilendoli nell’idea d’essere se stessi, del bisogno di esprimere le proprie passioni. Li aveva fatti crogiolare nell’illusione di quella maschera, nel piacere dato da quella stuzzichevole idea di proibito che aleggiava durante ogni serata.
Dovevano capirlo che ogni gioco ha una fine e quella scelta da mio zio era davvero la più amara. Eppure l’unica dannatamente logica. Il razionale epilogo di quell’apparente assurda situazione.
Il padrone di casa, dopo la cena, aveva guidato gli ospiti nel salone delle danze, invitandoli a prendere ognuno una sedia e a sedersi in cerchio, proprio al centro della stanza. Finalmente erano gli uni di fronte agli altri, nessuno poteva sfuggire alcuno sguardo. Visti dalla porta ai lati della quale stavamo io e Hypnos, sembravano uno sciame d’api intorno alla Regina, nell' attesa di un suo cenno che arrivò diretto e mirato alle orecchie degli interessati e per un istante anche io sperai di aver capito male.
Lussuria e amore. L’argomento della serata. La spina velenosa dentro quel labirinto di rovi.
Quando mio zio pronunciò quelle parole, il silenzio incupii tutti gli ospiti. Sembrava che i loro cuori si fossero fermati e così i loro respiri; probabilmente, nella loro testa, desiderarono non essere mai stati lì, forse si maledirono per la loro presenza. Ma era troppo tardi. Il prezzo di quel gioco era stato finalmente esposto. Ed esigeva di essere pagato.
“Lussuria e amore, miei cari ospiti!” Cominciò mio zio con un tono serio e autorevole, rivolgendosi a tutto il suo pubblico. “Quale binomio migliore di questo ci accomuna tutti, in questo istante, nella mia umile dimora…” Il suo tono si affievolì provocatorio durante le ultime parole, come se volesse che gli ospiti si sforzassero di ascoltarlo, senza perdere alcun suono di quel discorso. Ed intanto mi sembrò di vederle le sue labbra ironiche; o forse era l’inclinazione della luce sopra di lui che allungava la bocca di quella bauta pesante, regalando l’illusione di un ghigno trionfante.
“L’amore…aaah, che meraviglioso sentimento, l’amore!” Continuò sarcastico. “Noi tutti lo abbiamo provato almeno una volta nella vita, o ancora lo proviamo. A volte lo abbiamo abbandonato, altre lo abbiamo perso, altre volte lo abbiamo rincorso all’infinito, senza alcun risultato. Ogni volta che l’abbiamo provato ne siamo stati travolti. Il nostro cervello, il nostro cuore, le nostre carni; dal più piccolo neurone alla punta dei capelli. Ogni pensiero era rivolto a lui…”
Deglutii, muovendo nervosamente le dita delle mani incrociate dietro la schiena. Volevo far circolare quel sangue che sentivo gelare nelle mie vene. Era vero, dannatamente vero. Da quando mi ero scoperto innamorato di lui ogni parte del mio corpo e della mia mente, ogni momento della giornata, viveva in funzione sua. Di Kaede Rukawa, non potevo negarlo.
Intanto mio zio si era alzato ed aveva cominciato a camminare intorno agli ospiti, trascinando nel suo cammino il pesante mantello di lana scura che sibilava a contatto col pavimento. Era un continuo vagare, ruotare intorno a quel cerchio di maschere, quasi come una guardia, un boia che attende il passo falso della sua prima vittima.
“L’amore, quel sentimento totalizzante ed intenso che ci proietta verso una persona. Quel sentimento abbagliante che spesso ci rende ciechi verso tutto ciò che non è l’oggetto del nostro amore. Un oggetto per il quale noi vogliamo il maggior bene possibile, con il quale vorremmo condividere tutto, anima e corpo. L’amore è la paura di perdere la persona amata e per questo siamo spinti a proteggerla, ad esserne gelosi…”
I passi di mio zio si facevano man mano più pesanti, più ritmici; avevo l’impressione stessero scandendo il tempo in sintonia con il pendolo appeso sulla parete opposta.
“L’amore è passione...un turbine, una tempesta d’emozioni che ci invade e che ci porta a desiderare di fonderci con l’altra persona, per condividere tutto. Il corpo e l’anima. Vogliamo sentirci completi, perché l’amore si alimenta di passione, la passione è amore…”
In verità non ero molto convinto che mio zio la pensasse davvero così. Il suo era un discorso forse vero nel complesso, ma talmente plastico ed impeccabile, da dare immediatamente la sensazione d’essere artificioso, condito di luoghi comuni. Ma in quell’ambiente altrettanto falso, dominato da maschere anonime aveva giustamente il suo effetto.
“Non così invece la lussuria…l’abbandono al piacere sensuale, quello della carne. L’abbandono agli istinti e la perdita del controllo di sé. Non c’è più amore, né affetto, né tutte quelle belle cose di cui abbiamo parlato poco fa. La lussuria, anch’essa uno dei sette peccati capitali come ben saprete. Uno dei tabù più seducenti ed allettanti, quello che più adoriamo infrangere…”
Fin troppo mirato tutto il discorso. Fin troppo finto e voluto, continuavo a pensare fra me.
“Ma sapete da cosa deriva la parola ‘lussuria’? Significa lusso, miei cari ospiti! Ma anche divisione e deformazione. Già…il lussurioso si concentra particolarmente sul corpo, sul culmine dell’attrazione dei suoi sensi; ed esclude tutto il resto…”
Strinsi i pugni ancora più forte, cercando di respirare l’aria filtrata dalla maschera; i nervi cominciavano a scoppiettare, ma cercavo di metterli a tacere. Tentavo di convincermi, anzi sapevo che io non era dentro il suo gioco, io ne stavo fuori. Io non…
“Il lussurioso oggettiva il corpo e spersonalizza la persona, rinunciando alla sua totalità. Il corpo, le vesti, la superficie assumono una grande importanza, poiché devono fare da surrogato ad un altro tipo di sessualità, che include oltre alla fisicità, quella cosa che noi chiamiamo affetto. O amore.”
Mio zio si fermò davanti al tavolino di legno con sopra i calici di cristallo e la brocca di vino.
“Nella lussuria non si ama la persona, bensì il piacere che si ottiene da essa!”Continuò, versandosi elegantemente del vino.
La densità di quel nettare copioso che oscillava dentro il suo calice sembrava entrare in risonanza con il sangue che premeva le mie tempie, procurandomi una sensazione di confusione e rabbia.
“Allora sapete qual è la mia spiegazione, amati ospiti?” Mio zio alzò il calice sopra la sua testa, mentre tutti gli invitanti, reclusi nel loro silenzio, si voltavano nella sua direzione.
“La lussuria è paura. Paura del confronto con la persona nella quale vogliamo rispecchiarci. Il lussurioso non vuole rispecchiarsi, non vuole vedersi, non vuole confrontarsi. E per questo indossa una maschera e ricerca nuove esperienze, nuove emozioni che lo facciano sentire vivo…e con questo salute a tutti!”
Terminò, bevendo d’un sorso il vino fra le sue mani.
Volevo ridere. Volevo far scoppiare i miei polmoni e ridere fino a sfinire il fiato. Avrei voluto farmi sentire da tutti gli ospiti, fare vibrare i vetri, far echeggiare la mia voce fra le pareti. Perché era tutto troppo assurdo, un controsenso studiato con lucida follia, un gioco che aveva svelato le sue trame. Eppure rimasi in silenzio, così come gli invitati che non furono in grado di emettere alcun suono. Toccati e umiliati nel profondo. Messi a nudo nella loro vera essenza.
E questo mi compiaceva. Perché per me era diverso, io non ero come loro, no. Per me non era lussuria, ma era…
Mi voltai verso la mia nemesi che stava lì in piedi, a poca distanza. E mi accorsi che mi stava osservando. Sentii una fitta al cuore nello scorgere i suoi occhi fissi sulla mia figura. Non conoscevo i suoi pensieri, eppure avevo la sensazione che li condividessimo. Ne ero certo, fra noi c’era qualcosa di più. E quella sera stessa ne avrei dato una conferma. A mio zio, a Hypnos e a me stesso.
***************************************************
“Non è vero! Non è vero nulla! Non devi credere a quello che ha detto, sono solo un mucchio di fesserie!”
‘La paura si era impadronita di me…’
Gridavo nevrotico, esagitato, svuotando i miei polmoni senza accumulare aria di scorta, vomitando tutta quella residua. “Thanatos, smettila, mi fai male!” All’improvviso la voce metallica e confusa di Hypnos riportò la mia mente alla lucidità.
Eravamo nella sua stanza da pochi minuti, perchè ormai nella sala non c'era più lavoro per noi. Tutti gli ospiti dopo il discorso di mio zio si erano silenziosamente dileguati, da soli, senza guardare in faccia nessuno. Non so, forse qualcuno aveva anche abbandonato la villa. Intanto io avevo seguito Hypnos nella sua camera chiudendomi la porta alle spalle e poi ero subito impazzito. Avventandomi su di lui l’avevo sbattuto contro il muro, bloccandone ogni movimento. Non me n’ero accorto, ma il pungiglione dell’ape regina era riuscito a farsi assorbire dalla mia carne.
‘Non volevo che lui sfuggisse…’
“Hypnos, io…” Balbettai, allentando la presa. Mi resi conto che avevo stretto i polsi della mia nemesi con forza, con presa ferrea, mentre i miei occhi avevano saettato contro i suoi. “Non so cosa…scusami…”Dissi infine francamente, scorrendo sul suo corpo fino a far scivolare le ginocchia per terra. Con la testa poggiata sul suo bacino, cominciai a riflettere sul mio assurdo comportamento; non era vero che le parole di mio zio non mi avessero colpito, tutt’altro. Con maestria si erano sapute infiltrare dentro la mia carne, nascondendosi fra le cellule cerebrali ed infine erano esplose nella mia testa.
‘…perchè lui mi aveva conosciuto veramente…’
Temevo che Hypnos le avesse prese come assolute, che potesse considerare la nostra relazione alla luce di quell’assurdo discorso.
‘…aveva visto la mia essenza…’
Sentii improvvisamente le mani di Hypnos appoggiarsi sulla mia testa, farsi strada fra il velo nero che nascondeva i miei capelli rossi, accarezzare infine le ciocche stringendole fra le dita. Potevo sentire il calore di quelle mani che premevano ancora di più la testa sul suo corpo, mettendomi in contatto con il suo respiro ritmato che echeggiava nel mio orecchio.
Dentro di me mi diedi mille volte dello stupido per aver dubitato di lui.
‘…ed io avevo visto dentro di lui.’
Lentamente mi sollevai, costringendo Hypnos ad allontanare le mani dalla mia testa e ad appoggiarle sui miei fianchi. Eravamo l’uno di fronte all’altro, lui con la schiena appoggiata sul muro, io a pochi centimetri dal suo corpo.
‘Noi due insieme eravamo veramente noi stessi.’
La flebile luce delle lampade ad olio e quella pallida della luna che attraversava la finestra completamente aperta, facevano scintillare le nostre maschere, risaltando gli occhi che si scorgevano aldilà di esse. Ci osservammo e scrutammo per lunghi istanti con sguardi carichi d’attesa.
‘Per questo volevo togliere quella maschera una volta per tutte…’
“Hypnos…” La mia voce ruppe quel silenzio di cera, sciogliendolo lentamente. Non c’era più tempo e io volevo sapere. Sapere tutto di lui. Dove viveva, cosa facesse, quali fossero i suoi hobby, conoscere la persona la cui invidia gli faceva rabbia…volevo sapere chi fosse. E volevo che mi conoscesse. “…io volevo parlarti, perché vedi io…” Le parole mi morirono in gola.
Hypnos si gettò su di me, stingendomi in un abbraccio deciso e dolce nello stesso tempo. “Voglio fare l’amore con te…” Sussurrò al mio orecchio, lasciandomi senza parole e con il cuore che batteva delirante. “…voglio farlo senza maschere, nel buio più completo…” Aggiunse con un filo di voce atona che nascondeva un qualcosa di disperato.
Non riuscii a rispondere, stordito dalle sue parole, confuso dal mio discorso. Le braccia di Hypnos si strinsero ancora di più sul mio corpo, facendolo aderire al suo, come per poterne sentire la vera presenza.
“Dopo potrai dirmi tutto quello che vorrai…” Terminò, accarezzandomi la schiena.
Non filtrava più alcuna luce nella stanza, non una fiamma, non un tiepido raggio di luna, l’oscurità era diventata l’unica regina incontrastata. Le persiane erano state chiuse con cura, le pesanti tende ormai nascondevano completamente la finestra. Mi sembrò per un attimo di essermi perso in una dimensione priva di spazio e di profondità, finché non udii il respiro caldo di Hypnos farsi più vicino e il letto cigolare non appena il mio corpo si adagiò su di esso. Allungai le mani in quelle tenebre vuote e vi trovai la fredda ed inanimata maschera che copriva il volto della mia nemesi; un brivido percorse la mia schiena nel toccare l’unica certezza percepibile. Anche le sue mani erano appoggiate sul mio volto e, ancora una volta, scandendo gli stessi istanti, il rito si ripeté.
“Thanatos…” La voce di Hypnos sfiorò il mio udito, mentre sollevavamo quegli involucri dai nostri visi.
“…promettimi che sarai sempre te stesso…”
Pronunciò queste parole un attimo prima che lo liberassi dalla maschera, mentre le sue mani erano ancora ferme sul mio volto, nell’attesa di una risposta.
Forse non afferrai totalmente il senso di quelle parole, forse m’illusi che fossero riferite al nostro futuro…insieme. E così non risposi, poiché volli custodire le mie parole per ciò che gli avrei detto alla fine.
La maschera terminò il suo compito, liberando il mio volto pulsante, caldo e vivo, come le labbra di Hypnos sulle quali mi gettai avido, desideroso di divorarle nuovamente. Afferrai il viso della mia nemesi, stringendo la sua pelle fra le dita, andando ad accarezzare le guance, la fronte, i capelli; intanto sentivo i polpastrelli di Hypnos segnarmi il contorno degli occhi, seguire le linee del collo. Avvertii un leggero tremore sulle sue mani e sulle mie: entrambi cercavamo un disperato contatto con l’altro, il vero ‘altro’ e per questo ci gettammo convulsamente alla ricerca di quel viso ancora ignoto. D’un tratto afferrai con decisione la testa di Hypnos, stringendo i suoi capelli, premendola ancora di più verso la mia. Volevo sentire le sue labbra, gustare la profondità di quel bacio, il sapore umido della sua lingua impazzita. Mi gettai all’indietro, trascinando Hypnos sopra di me, mentre la mia schiena veniva accolta fra le onde fresche delle lenzuola il cui contatto mi fece tremare la pelle.
Quel bacio continuò ancora per infiniti minuti, senza tregua, portando i nostri respiri a farsi sempre più intensi ed affannati; sentivo mancare il fiato, era come se stessimo per soffocare da un momento all’altro, ma non c’importava. Anzi, i nostri corpi erano sempre più annodati, le mie gambe intrecciate alle sue, il suo petto che sfregava violento il mio, come se fossero due corde strette l’una all’altra in cui ogni tentativo di slegarle non faceva altro che annodarle ancora di più.
Sentivo le mani di Hypnos cominciare a percorrere linee del mio corpo con carezze dapprima lente e leggere, poi sempre più decise e numerose, andando ad esplorare il torace, i fianchi, le braccia; percepivo i palmi accaldati premere su alcuni punti del mio petto, soffermarsi sui capezzoli che sentii avvitarsi leggermente fra le sue dita, facendomi gemere di piacere. Improvvisamente Hypnos allontanò le mani dal mio corpo, mandandomi pochi istanti in confusione per la sensazione d’abbandono provata, ma nell’istante successivo i miei polsi furono afferrati da una presa forte e decisa che li guidò sopra la mia testa. I miei occhi non vedevano nulla, eppure la percezione di quel corpo così vicino al mio, il suo tepore, la sua pelle scivolosa per le prime vampate di calore, i respiri pesanti che si udivano nell’aria, non facevano altro che eccitarmi sempre di più.
Potevamo respirare, finalmente. Liberi da quelle maschere che avevano sempre rappresentato una sorta di filo spinato fra noi, ora potevamo godere dell’aria che ci circondava, dell’autentico odore dei nostri corpi, non più mescolato a quello amaro del metallo fino ad allora respirato.
Mi intrigava quella situazione dove il mio corpo bloccato era in balia delle tenebre. Tenebre oscure che si concretizzavano in quella mano che percorreva il mio torace, mentre l’altra si assicurava la prigionia delle mie braccia; tenebre che assumevano la consistenza di quella lingua che sentii assaporare il mio collo, inumidire la pelle e proseguire lungo il petto, portando la mia schiena ad inarcarsi di più ad ogni centimetro arso da quel muscolo bollente. La bocca di Hypnos mi stava divorando e le sue mani tornate ad agire insieme sembrava volessero consumare la mia carne, tanto premevano su di essa con possesso. La travolgente ed irrefrenabile passione di Hypnos veniva assorbita dalle mie cellule, da ogni neurone, fino a sciogliersi nel mio sangue che cominciò a pulsare come impazzito non appena sentii il mio sesso teso stretto fra le sue mani. Il mio corpo si contrasse a quell’improvviso contatto, mentre la mia bocca emetteva ansimi di puro piacere di fronte a quel ritmico massaggio in cui le dita di Hypnos scivolavano bramose lungo l’asta gonfia.
Stavo impazzendo di piacere, ma riuscivo ancora a pensare, c’erano ancora dei piccoli flash nella mia mente che emergevano ad intermittenza nel cervello. Infine l’oscurità esterna e quella della mia testa si fusero in un unico istante, diventando un’unica dimensione dove ad esistere erano solo le sensazioni più intense e violente, quelle che travolsero il mio corpo non appena mi sentii avvolto dalle labbra della mia nemesi. Il mio pene godeva, accolto in quel caldo involucro, dove scivolava fino in fondo agevolato dalla saliva che lo bagnava in tutta la sua lunghezza, compresso fra quelle labbra che cominciarono a succhiarlo, a vezzeggiarlo e leccarlo. Le mie mani, dapprima inchiodate sopra la testa si liberarono, andando ad afferrare il viso del mio amante per spingerlo di più verso il bacino. Hypnos non si ribellò alle mie richieste ed anzi, cominciò a serpeggiare con la lingua fra le mie cosce, ruotandola sui testicoli, spingendola fra le mie natiche, mentre posizionava il viso sotto di esse. Io intanto avevo sollevato il bacino per permettere al mio amante di proseguire nel suo lavoro; sentivo una delle sue mani stringere e massaggiare il mio sedere, l’altra masturbare il mio sesso ed infine la sua lingua spingersi dentro il mio corpo.
Non avevo più pensieri, ero stato privato di ogni barlume di ragione e l’unica meta che desideravo in quel momento era la ricerca del piacere più assoluto, dell’estasi più intensa che solo Hypnos poteva regalarmi. Lo volevo chiamare, gridare il suo nome, quando il mio corpo entrò in fibrillazione, tremando ed irrigidendosi, mentre il mio seme zampillava sopra il suo corpo, ma non potevo, così morsi le mie labbra con forza e con una scheggia di rabbia, travolto da un potente orgasmo.
Respiravo a fatica, mentre osservavo il soffitto indistinguibile dal resto della stanza. Era davvero come stare in uno spazio privo di dimensioni, all’interno di una sfera in continua rotazione dove alto e basso, destra o sinistra avevano smesso di esistere. Il fruscio delle lenzuola smosse mi fece tornare alla realtà; Hypnos si era sollevato e disteso al mio fianco. Appoggiandomi su di un lato, allungai la mano per raggiungere il suo viso che accarezzai delicatamente per ringraziarlo non a parole, ma con un semplice gesto. Rimanemmo così per alcuni istanti, avvolti dall’aria tiepida mescolata all’odore di pelle sudata confusa con quello del legno che regnava in tutta la stanza. Eravamo vicini, l’uno di fianco all’altro. Potevo sentire il suo respiro raggiungere le mie labbra, i suoi capelli accarezzare la mia mano poggiata su di loro, il calore propagarsi dalla sua pelle, i suoi occhi fissarmi.
D’improvviso, come saette, inchiodati su di me. Mi spaventai facendo uno scatto nel letto, trattenendo il respiro, mentre il mio cuore sembrava fermarsi. Un boato, una luce intensa, occhi color ghiaccio.
Poi più nulla, nuovamente tutto avvolto nell’oscurità.
Quando il mio cuore riprese a battere mi accorsi dei ticchettii che battevano sulla finestra: aveva cominciato a piovere. E quelli erano stati un lampo ed un tuono. Una frazione di secondo in cui avevo intravisto…il viso di Hypnos? Non ne ero tanto sicuro. Avevo visto quegli occhi allungati fissi su di me ed un viso magro e diafano. Era tutto confuso e sfuocato nella mia mente, non c’era stato il tempo di concretizzare quell’immagine.
Hypnos si era spaventato quanto me, me n’ero accorto, ma lui…cosa aveva visto? Me lo chiesi più volte durante quei lunghi istanti in cui avevo perso la cognizione del tempo, in cui lui aveva iniziato ad accarezzarmi i capelli. A tratti i suoi movimenti mi sembravano incerti, era la mia impressione o si era accorto del loro colore? Me lo domandai ancora, fino a che le sue labbra, chiuse sulle mie non oscurarono ancora una volta i pensieri dalla mia mente.
Un altro bacio, stavolta meno irrequieto del primo, più dolce e lento, ma non per questo meno passionale. Hypnos quella sera era capace di travolgermi, coinvolgermi dentro quel vortice di desiderio in cui pullulavano tutte le nostre passioni più nascoste. Fra noi c’era sempre stata attrazione, trasporto, eccitazione, eppure quella sera era diversa. Sentivo che Hypnos mi desiderava, a volte avevo l’impressione che volesse inglobarmi dentro di lui o che volesse fondersi nel mio corpo per diventare una cosa sola, un’unica materia animata dalla nostra energia e dal nostro calore.
Era come se non volesse separarsi da me. Ed io non volevo separarmi da lui. Mi rendevo conto che dalla pura passione il nostro rapporto si era evoluto. Non c’era più solo l’attrazione della carne, il cieco desiderio del corpo, ma era nato qualcosa di nuovo, qualcosa che le ultime sensazioni descritte avevano confermato.
“La lussuria è paura. Paura del confronto con la persona nella quale vogliamo rispecchiarci. Il lussurioso non vuole rispecchiarsi, non vuole vedersi, non vuole confrontarsi...per questo indossa una maschera…”
Provai un moto di trionfo nel ricordare le parole di mio zio. Per me e Hypnos era diverso, lo sentivo. Noi non avremmo più indossato una maschera. Non era più necessario.
Non appena fu sotto di me, Hypnos aprì le sue gambe, pronto ad accogliere il mio corpo nell’unico modo in cui avremmo potuto sentirci davvero una cosa sola. Avvertivo il suo desiderio e, mentre continuavo a baciare e leccargli labbra e collo preparavo il suo corpo a ricevermi e poterlo così soddisfare. Nello stesso istante in cui la mia lingua penetrava la sua bocca, due delle mie dita affondavano dentro il suo ano rovente.
La lingua slittava in profondità, le dita scivolavano sempre di più, seguendo tutte lo stesso ritmo, come se stessero ascoltando un’unica musica scandita da gemiti soffocati e rapidi respiri, dove cigolii del letto e sibilo delle lenzuola si univano a quell’insolito concerto.
Infine mi disposi fra le gambe di Hypnos, sollevandone una per agevolare i movimenti. Le mie mani scivolavano sulla pelle sudata della sua gamba e per questo dovetti saldare ancora di più la presa, mentre mi spingevo dentro di lui, lasciandomi accogliere dal suo corpo. Hypnos in un primo momento s’irrigidì, stringendo le lenzuola con le mani e io allora mi bloccai, arrestando il movimento. Cercai di tranquillizzarlo baciandogli la gamba, accarezzando la sua pelle. Lo sentii respirare profondamente ed infine mi spinse verso di lui, intrecciando le gambe sulla mia schiena, cingendomi in un abbraccio che ricambiai, stringendolo sempre più verso di me. Cominciai a oscillare dentro il suo corpo che lentamente si rilassava assecondando i miei movimenti ed intanto gli baciavo il viso, le palpebre, le labbra.
Ed intanto affondavo ancora, sempre più in profondità.
Il mio petto sudato sfregava sul suo, le nostre mani si erano inconsapevolmente intrecciate e i movimenti del mio bacino aumentavano d’intensità. Un soffocante calore cominciava ad invadere la mia carne, pulsando nelle mie tempie. Potevo sentire le gambe di Hypnos schiudersi per facilitare le mie spinte e le sue labbra leccare la mia spalla. Strinsi ancora più forte le sue mani, quando all'improvviso sentii il piacere formicolare nel mio basso ventre ed il corpo di Hypnos contrarsi insieme con il mio. Raggiungemmo l’apice del piacere nello stesso istante, io esplodendo nel suo corpo e lui riversandosi sul mio petto. Nessun grido, solo gemiti annegati nell’aria e lo scroscio della pioggia aldilà della finestra.
Aspettai che gli ultimi spasmi si dissolvessero prima di lasciarmi andare sul corpo di Hypnos, stremato.
Entrambi respiravamo a fatica, ma ebbi la forza per posare un leggero bacio sulla fronte della mia nemesi per poi lasciarmi avvolgere dal calore del suo corpo, dai battiti intensi del suo cuore che si trasmettevano ai miei. Lui mi accarezzò leggermente la testa, portando indietro le ciocche di capelli che erano finite sul mio viso e poi la spinse verso il suo petto.
Era davvero una bella sensazione di pienezza e totalità. Sentire la presenza di Hypnos fra le mie braccia, l’essere avvolto dalle sue, mi faceva sentire completo, appagato. E felice.
Lentamente il sonno ci avvolse, cogliendoci ancora con le mani intrecciate, una presa decisa, unica testimonianza della nostra presenza in quella notte priva di luce.
C’era qualcosa che mi infastidiva, solleticando la mia pelle. Mi accucciai ancora di più in posizione fetale, inseguendo una sensazione di benessere che non riuscivo a raggiungere. Infine mi svegliai a fatica, scosso dai tremori: ero intorpidito dal freddo e finalmente me ne accorsi. Allungai così il braccio alla ricerca del calore, ma esso vagò solitario per le lenzuola afferrando solamente il vuoto. Spalancai di colpo gli occhi, turbato: la stanza era ancora buia e gli oggetti indistinguibili. Solo davanti alla finestra filtravano dei deboli raggi di luce che si erano impadroniti del pavimento sottostante, ma incapaci da soli di illuminare l’intera camera. Mossi ancora le mie mani fra i cuscini, incerto, quando all’improvviso trovai qualcosa di gelido e inflessibile; l’afferrai, era sicuramente la mia maschera. La portai timorosamente sul viso, concentrandomi su quell’eccessivo silenzio che mi angosciava profondamente.
Nel mio cuore le più oscure e negative sensazioni.
“Hypnos…” Sussurrai con voce metallica. “Hypnos…” Ripetei alla mancanza di risposta.
Le sensazioni divennero d’un tratto più violente; travolto dal panico e dall’agitazione mi alzai dal letto, gettandomi sul muro alla ricerca di un interruttore, di qualcosa che desse consistenza alla mia vista. Quel silenzio mi stava divorando con le sue fauci. Seguendo la poca luce visibile raggiunsi la finestra ed aprii le tende, spalancando poi di colpo le persiane di legno.
Il sole mi accecò e mi coprii il viso con le mani. Aveva smesso di piovere. Aspettai alcuni interminabili istanti finché i miei occhi si abituarono alla luce. Avevo paura, temevo di volgermi verso la stanza e scoprire la verità di quel dubbio che mi stava consumando. Mi voltai lentamente, deglutendo per sforzarmi di respirare.
Nella stanza irrorata da quella pioggia di raggi solari lo riconobbi. Quella maschera argentata con le sinuose ali di farfalla intorno agli occhi, ornate da minuscole perle lucenti e scheggiata su una guancia era in piedi, di fronte a me e mi osservava. Immobile e silenziosa non distoglieva i suoi occhi, come se mi stesse studiando, pronta ad assorbire la mia anima. Ero ancora stordito da quella luce e agitato per le paure appena provate, inoltre l’inquietudine non accennava ad andarsene. Lentamente avanzai verso Hypnos, come se fossi in trance. Lui si mosse con me, avvicinandosi alla mia figura. Nessuno proferiva parola, ma entrambi ci avvicinavamo l’uno all’altro. Sollevai il mio braccio destro e lo tesi verso di lui, vedendo che la mia nemesi faceva altrettanto con quello opposto. Volevamo toccarci, afferrarci, sentire ancora una volta la presenza l’uno dell’altro. Finalmente lo raggiunsi.
Ed Hypnos raggiunse me.
Poggiai le mie dita sulle sue che mi trasmisero una feroce sensazione di freddo inanimato. Tremai, ma non percepii il mio tremore fra le sue dita. Strinsi gli occhi e le labbra fra i denti, sconfitto. Lasciai così scivolare la mia mano su quella lastra gelida, stringendo i pugni e sbattendoli sopra con forza. Lo specchio tentennò alcuni istanti, come se dovesse sfaldarsi, ma presto ritrovò la sua immobilità e rimase intatto.
Ero sconvolto e ancora in stato confusionale. Rivolsi il mio sguardo indietro, sul letto, dove riconobbi la mia maschera dorata ai suoi piedi.
Di nuovo mi voltai verso lo specchio, concentrandomi sulla maschera di Hypnos, quella che stavo indossando. Con un po’ d’incertezza portai le mani sul viso fermandomi sulle guance. Le accarezzai, constatandone la freddezza.
Hypnos in quel momento ero io. Hypnos era una maschera.
“Le maschere sono viste solo da chi non vuole andare oltre…”
Quelle sue parole si inchiodarono nella mia mente, trasformando le emozioni del mio cuore. Feci un respiro profondo e la tristezza, la delusione e l’amarezza svanirono.
Le mie mani si fecero d’improvviso decise e andarono ad insinuarsi sotto il mento; sentii la pelle scollarsi dal metallo e il rumore della maschera che tintinnava sul pavimento. Davanti a me, riflesso nello specchio stava lui.
Potevo indossare qualsiasi maschera, essere Hypnos o Thanatos, questo non importava.
Qualsiasi maschera indossavo io rimanevo sempre Hanamichi Sakuragi.
“Thanatos…promettimi che sarai sempre te stesso…”
Alzai gli occhi verso lo specchio e scrutai il mio sguardo in profondità.
“Te lo prometto, Hypnos…”
Fine…?
|