CIAO A TUTTI, SPERO CHE LE MIE STORIE VI
PIACCIANO. QUESTO E' IL SECONDO CAPITOLO DI "CALORE", BREVE, IN ATTESA
DEI PROSSIMI. PERO' E' SIGNIFICATIVO. UN BACIO E COMMENTATE VI PREGO.
GRAZIE, DALLA VOSTRA VIKY!!
Calore
parte II - Il ragazzo dal cappotto rosso
di Vikysweetgirl
Aperta la porta di casa trovò un silenzio abissale, interrotto solo dalla tastiera del computer. Come sempre. Suo padre possedeva delle aziende di software. Stava sempre fuori e quando era a casa stava sempre su quel dannato schermo del computer. Non cenavano mai insieme, parlavano poco e si vedevano poco. Ma suo padre non era cattivo…solo non si interessava molto a lui o ai suoi risultati scolastici o a chi frequentava. Gli importava solo che non fosse un codardo o un vigliacco, solo questo. “Un uomo non piange mai, non scappa e non fa una tragedia per sentimenti e disincanti”. Questo era il suo motto preferito e non mancava mai di ripeterglielo. Quando da bambino piangeva perché l’avevano picchiato, quando non l’avevano premiato per le sue fotografie alle medie o quando faceva sogni romantici per il futuro. Suo padre era freddo e determinato, convinto che un giorno suo figlio avrebbe ereditato il suo posto in azienda e che avrebbe sposato una donna raffinata e avrebbe avuto almeno due figli da educare esattamente come lui. Mark non sopportava questo destino già prestabilito e avrebbe fatto di tutto per cambiarlo. Ma al momento era inutile alzare polveroni per niente. Fosse stata in vita sua madre sarebbe stato tutto diverso…se lo ripeteva spesso. Si diresse in soggiorno dove trovò suo padre incollato al suo fedele computer che nemmeno si era accorto della sua presenza. _Ciao papà sono rientrato. _Ciao figliolo. Il tono freddo, inusuale per un padre.
_Hai gia mangiato? Nessun “vuoi che ti prepari qualcosa?” o “hai fame?”. Niente. Mark prese dalla cucina un po' di formaggio e di pane e si chiuse nella sua stanza, mangiando e guardando la sua stanza. Diceva molto di lui, se solo qualcuno si fosse soffermato a capirlo. Le scarpe in ordine, i libri di scuola sparsi sulla scrivania scritta, al muro le fotografie più belle che aveva fatto e quelle di vari fotografi che ammirava. Si mise a testa in giù. In un angolo, sotto il letto, tutte le immagini dei posti che avrebbe voluto visitare, delle cose più belle che avrebbe voluto vedere e sogni che difficilmente avrebbe realizzato, ma a cui comunque non rinunciava. Aveva 18 anni e frequentava l’ultimo anno delle superiori. Non era libero come voleva. Non aveva né soldi né amici fidati. Parlava semplicemente coi suoi compagni di classe, nulla di più. A scuola lo consideravano uno sfigato, un tipo strano che invece di pensare tutto il giorno al sesso e a divertirsi, sognava un futuro migliore e non si era mai innamorato seriamente ma convergeva tuta la sua passione nella fotografia. Questa sua forma di solitudine l’aveva portato ad essere abbastanza timido e riservato, ma sempre generoso, sincero, suscettibile. Non aveva mai sentito l’affetto di nessuno su di sé e questo non sapeva se dovesse dispiacergli o no. Dopotutto non aveva mai avuto esperienza di un abbraccio, di una pacca gentile, di una carezza, di un bacio e non sapeva fare paragoni. Pur essendo un bel ragazzo non godeva di ottima fama tra le ragazze, che preferivano ignorarlo. Il dolce sensibile non è il tipo di ragazzo in voga oggigiorno. Ma lui era quello che era e nessuno l’avrebbe cambiato. Dopo essersi preparato si mise a letto e si tirò le coperte fino al naso. In quel tepore, simile a un caldo abbraccio, si sentiva più protetto e immaginava, stupidamente che fosse un abbraccio. L’abbraccio di un amico, di una ragazza, di sua madre, non aveva molta importanza di chi…o forse ce l’aveva?
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