Titolo: Buio
Autore: ki_chan
Parte: 22
Pairing: MichelexJoel
Raiting: nc-17 (per l'argomento trattato)
Buio
Capitolo XXII
(Joël)
Mi fermo qualche minuto di fronte al portone dell'ufficio. Il
freddo è pungente mentre placidamente cadono grossi fiocchi di neve,
avvolgendo la città in un'atmosfera ovattata. Quasi irreale. Per me
cominciano ora le vacanze di Natale. Ma non ho certo motivo per essere felice.
Se in ufficio mi sembra di soffocare sommerso dalle mille responsabilità
e decisioni da prendere, a casa è anche peggio. Dover
guardare mio fratello che si chiude sempre più in se stesso, giorno dopo
giorno, dover sopportare il peso di un destino troppo crudele, è più
doloroso e lacerante.
E poi c'è lui.
Sono solamente due giorni che è partito e già mi sembra che sia
passata un'eternità. Saperlo lontano, irraggiungibile, m'inquieta. Un'inquietudine
che non mi abbandona un istante, che a
volte mi toglie il respiro e che mi fa impazzire. Lo rivoglio accanto a me,
anche se non ci parliamo, se
litighiamo solamente, ma così mi sembra di non riuscire più a
vivere, di non essere più in grado
nemmeno di respirare. È con questi pensieri che mi dirigo verso casa.
L'unico rumore è lo scricchiolio della neve sotto le scarpe.
Quando entro in casa Maximilian è seduto sul divano,
raggomitolato in una coperta, mentre ascolta un
programma alla radio. Appena lo saluto il suo viso si rabbuia. Chissà
forse pensava fossi Stefano ed è
rimasto deluso. Cerco di cacciar via quella sensazione d'inettitudine che mi
assale a quel gesto. Mi sfilo il cappotto e vado a sedermi accanto a lui.
«Com'è andata oggi?» chiedo un po' agitato ma volenteroso di cominciare una discorsi dopo tanti silenzi.
«Come al solito»
«Che cosa hai fatto?»
«Niente, sono rimasto qui seduto come un povero cieco!»
Rimango lì seduto, immobile e in silenzio. Non so proprio
cosa fare. Poi vedo che sta tremando, senza
nemmeno rendermene conto gli circondo le spalle con un braccio e dico:
«Senti freddo?»
Non appena lo tocco però s'irrigidisce e fa per allontanarsi
quasi impaurito. Io non so davvero cosa
gli stia succedendo. Ritraggo il braccio immediatamente e mi alzo dal divano
«Vado in pizzeria a prendere le pizze per cena»
Maximilian non dice nulla, sembra turbato, forse spaventato,
o dispiaciuto, non ho davvero idea.
Pensare che qualche anno fa riuscivo a capire cosa stesse pensando anche solo
da uno sguardo... ora invece è poco più di uno sconosciuto.
Prendo il cesto natalizio da regalare alla nostra vicina ed
esco. Appena mi chiudo la porta alle spalle
mi sento subito molto meglio. Ogni volta che sono a casa mi sembra di impazzire.
Faccio qualche passo fino alla porta della nostra vicina e suono il campanello.
È una persona molto dolce e molto gentile che ci aiuta spesso e soprattutto
fa un po' di compagnia a Maximilian e gli prepara il pranzo. È una signora
ormai in pensione che vive da sola e che è tanto affezionata a me e mio
fratello. Potremmo come considerarla una nonna. Tanto che è l'unica persona
che Maximilian è disposto ad avere in casa. Ho provato a prendere qualcuno
che si occupasse di lui mentre io ero al lavoro, ma non c'era verso che gli
andasse. Dopo qualche giorno veniva da me a supplicarmi di mandarla via. Appena
la signora mi vede mi regala un sorriso, dolce e rassicurante. M'invita ad entrare
ma gli dico che sono solo passato per portargli un piccolo pensiero per natale
per ringraziarla di quello che fa per Maximilian. Le sue parole però
mi lasciano terribilmente scioccato e arrabbiato. Cerco di non darlo a vedere
e la saluto con cortesia.
Quando torno a casa con le pizze non ho che le sue parole in
mente. Non saluto nemmeno Stefano che deve essere arrivato mentre io ero fuori.
Maximilian sembra sereno mentre parlano. Mi ha preso in giro per così
tanto tempo che... mi sembra di non conoscerlo più. Non avrebbe mai fatto
una cosa simile qualche anno fa. Ci mettiamo subito a tavola. Stefano si deve
essere accorto del mio nervosismo e
della mia rabbia e soprattutto del fatto che non ho detto una parola da quando
sono entrato. Dopo un po'
che mangiamo dice:
«Cosa ti è successo? Non hai detto una parola da quando sei tornato»
«La signora Beatrice mi ha detto una cosa interessante»
Il mio tono è duro, quasi sarcastico. Vedo Maximilian
irrigidirsi appena sulla sedia. Chissà se ha già
capito.
«Dimmi Maximilian, come hai pranzato oggi?»
Ora è visibilmente agitato. Non mi risponde allora lo incalzo:
«O forse dovrei chiederti con chi?!»
Stefano, forse vedendo Maximilian sempre più agitato, mi dice:
«Smettila di trattarlo così. E potresti spiegare cosa è successo?»
Io lo ignoro, sono davvero furioso. Sempre rivolgendomi a mio fratello dico:
« Non c'è bisogno che rispondi. Sai cosa mi ha
raccontato. Che da un mese a questa parte c'è un
ragazzo che viene qui a casa all'ora di pranzo e che ti fa compagnia. Io mi
sono fatto un idea di chi sia
questo ragazzo. È Luca vero? »
Maximilian rimane in silenzio, gli occhi lucidi. Io perdo la testa, do un pugno sul tavolo facendo tramare tutte le stoviglie e facendo sobbalzare vistosamente Maximilian.
«Rispondimi! Mi sbaglio forse?»
Ho alzato la voce. Maximilian sembra spaventato, ma con un filo di voce mi dice:
«No, non ti sbagli»
«Quante volte ti ho detto che non volevo lo vedessi? Ma tu no, l'hai anche fatto venire a casa tenendomi all’oscuro di tutto»
«Non puoi tenermi rinchiuso qui dentro impedendomi di vedere altre persone»
La sua voce è flebile ma il suo tono è sicuro.
Mi stupisco, ma presto gli rispondo con altrettanta
sicurezza:
«Non t'impedisco di vedere altre persone, solo non voglio che tu veda lui!!»
«Ti sbagli, faresti le stesse scene con chiunque altro!»
«Forse perché sono preoccupato per te e tu non fai altro che allontanarti da me»
Maximilian non risponde, sembra stupito. Stefano allora dice:
«Smettetela di litigare. Non mi sembra così grave anche se passa un po' di tempo con lui.»
«Perché dai sempre ragione a lui, mai una volta che stai dalla mia parte »
«Sai bene che non è vero»
Mi alzo e faccio per andare in camera mia quando Stefano dice:
«Siediti, non abbiamo ancora finito»
« Non dirmi cosa devo fare! Tu non centri nulla in questa
discussione, non sei tu a dover decidere, non
sei nostro padre!!»
Il mio tono è cattivo. Stefano mi guarda per un istante
molto stupito poi il su sguardo si rattrista e
io mi sento davvero un verme. Mi volto e mi vado a chiudere in camera mia.
Mi lascio cadere sul letto. Per quanto ancora riuscirò
a sopportare tutto questo? A volte penso che sia tutta colpa mia, di aver sbagliato
tutto nella vita e di pagarne ora le conseguenze. Vorrei che Michele fosse qui,
una sua carezza leggera mi basterebbe. Un suo sguardo, qualsiasi cosa. Sembra
così assurdo pensarlo eppure proprio ora che lui non c'è e che
non posso andare da lui mi rendo conto di come mi sia sempre rifugiato da lui
quando ero disperato. Mi presentavo a casa sua con una scusa
oppure semplicemente andavo da lui senza spiegazioni, senza parole e sapevo
mi avrebbe accolto.
Seccato dai miei stessi pensieri mi volto e vado ad abbracciare il cuscino.
Chiudo gli occhi
disperatamente tentando di reprimere quella voglia quasi soffocante di piangere.
Quando riapro gli occhi, il mio sguardo si posa distrattamente sul cellulare
appoggiato sulla scrivania. È un idea assurda quella che mi passa per
la mente. Un istante prima di cacciarla lontano, ma solamente per poco, infatti,
ben presto ho la tentazione di alzarmi, prendere il cellulare e digitare il
suo numero. Sprofondo il viso nel cuscino cercando di smetterla di pensare cose
così assurde. Infine mi volto dando le spalle al cellulare sperando in
questo modo d'avere pace. Ma alla fine capitolo e stizzito mi alzo dal
letto e afferro il cellulare. Il rumore dei tasti mentre scorro la rubrica sembra
ancora più insopportabile in quel silenzio carico d'agitazione. Sta facendo
una delle azioni più comuni al mondo e insieme la cosa più stupida
che potesse passarmi per la testa. Rimango incerto a fissare il suo numero selezionato.
Un semplice tasto ci divide. Un unico semplicissimo tasto che ho tanta paura
di schiacciare perché poi non ci saranno più scuse. Tremo e sento
il cuore pompare tanto forte da sentirlo rimbombare nelle orecchie. Solo un
semplicissimo tasto d'okay e tutto potrebbe cambiare. Faccio un respiro profondo,
chiudo gli occhi e sento il piccolo tasto cedere sotto la forza del mio dito.
Il tu-tu del telefono sembra durare all'infinito, ma forse è solo qualche
secondo e ho bisogno di una scusa per riattaccare al più presto perché
mi sono immediatamente pentito del mio gesto. Sto per riagganciare quando risponde.
Mentre dice pronto il suo tono è un po' stupito. Apro la bocca tentando
di dire qualcosa ma le parole mi muoiono in gola. Che cosa dovrei dirgli? Un
po' stupido farsi una simile domanda ora, ma non riesco a pensare a nulla che
non sia che ho fatto un'enorme cretinata.
«Pronto»
Un brivido mi corre lungo la schiena al suono della sua voce.
Il mio istinto è di riattaccare subito ma la
sua voce mi blocca:
«Joël? Sei tu vero?»
Deglutisco anche se non ho la gola completamente secca. Ho paura che la voce mi tremi.
«Si, sono io»
E’ una situazione assurda ed è ancora più assurdo che continui questa farsa. Sono stato davvero uno stupido. Mi affretto a dire:
«Scusa d'averti disturbato, è stata una pessima idea quella di chiamarti!»
«Aspetta! Non riagganciare. È successo qualcosa?»
«No, non preoccuparti»
La mia voce è poco più che un sussurro ma Michele la sente ugualmente e, infatti, si affretta a dire:
«Meglio così. Quando ho visto il tuo numero sul
dispaly mi sono preoccupato perché non mi avevi mai
chiamato»
La sua voce è dolce, sembra quasi scivolarmi sulla pelle come una carezza. Mi chiedo se sia sempre stata così e me n'accorgo solamente ora. Prima ero troppo concentrato a tenerlo lontano dal mio cuore per notare quanto la sua persona, in ogni suo gesto, riesca ad infondermi una strana tranquillità, una sorta di sicurezza. Credo sia questo che mi ha sempre spaventato di lui e che quindi mi ha sempre spinto ad allontanarlo senza però essere in grado di separarmi davvero. La paura di aver bisogno di lui per sentirmi felice mi attanaglia ancor più di prima ma infondo sono come una mosca attirata dalla luce.
«Come sei silenzioso…»
La sua voce mi scuote dai miei pensieri e senza seguire il filo del discorso dico:
«Ti ho chiamato, ma non ho un motivo»
«Non hai bisogno di un motivo per chiamarmi. Mi fa piacere sentirti»
Non so davvero cosa rispondergli. Forse un semplice "anche a me" sarebbe stato al verità ma non voglio. Non so nemmeno io cosa non voglio, perché mi ostino a comportarmi con freddezza. Forse è solo l'abitudine o forse è paura di chissà cosa. Dopo qualche secondo di silenzio gli chiedo:
«Come vanno le vacanze?»
«Bene, qui mi coccolano tutti, non ero più abituato. Tu invece come stai?»
Nel pronunciare quella domanda il suo tono si è fatto improvvisamente triste, quasi sapesse perfettamente che non posso rispondergli che va tutto bene senza mentirgli. Ed è quello che faccio, mi sforzo di avere un tono sereno:
«Bene»
Sono più che convinto che si è reso conto dello sforzo che ho dovuto fare per rispondere. Forse per questo non insiste e mi chiede:
«E Maximilian come sta?»
Mi sento gelare a quel nome. Non so cosa voglio rispondergli,
non so se voglio rispondergli. Rimango
in silenzio e interpretando il mio silenzio chiede:
«Avete litigato?»
M'irrigidisco a quell'insinuazione che probabilmente non ha detto con cattiveria, probabilmente è solo una semplice domanda, una constatazione dati i precedenti. Io però proprio non lo sopporto, forse sono troppo nervoso.
«Si, di che te l'aspettavi!! Che è tutta colpa mia e che sono un mostro!!!»
Mi tremano le mani e anche la voce.
«Come posso dirlo se non so nemmeno cosa sia successo!»
«Non trattarmi come un deficiente!! Lo so che pensi che sbaglio tutto con lui e l'hai sempre pensato!!»
«Non cercare nelle mie parole e nei miei gesti sempre cose che non ci sono. Non ti accuso di nulla. Non so come fare per farti capire che non voglio sempre darti contro»
«Però mi detesti, vero?! Per tutto quello che ti ho fatto»
Credo sia rimasto molto stupito per la mia domanda o per il
tono triste e stanco che ho usato involontariamente. Rimane in silenzio per
qualche istante, sono sicuro non si aspettasse una simile
domanda da parte mia.
«No, non ti detesto... solo... è stato tutto troppo doloroso»
«E' per questo che mi hai lasciato?»
«Mi sembrava d'impazzire ogni volta che litigavamo. È meglio così per entrambi»
«E' vero quello che mi hai detto, prima di partire? Che eri innamorato di me?»
«Lo sono ancora, e vorrei sapere tu cosa provi e cosa è stato per te»
«Ti sembrano discorsi da fare al telefono?»
Ride, l'atmosfera tra noi si è un po' ammorbidita e non
posso che esserne felice. Solo che proprio non
posso rispondergli ora, non saprei nemmeno cosa dirgli.
«Sei tu che hai cominciato il discorso. Comunque spero me lo dirai appena ci vediamo di persona»
«Quando torni?»
«Non lo so ancora, credo dopo natale»
«Lo passi con tuo fratello il Natale?»
«Si»
Mentre sto per chiedergli se vuole passare il capodanno con
noi una voce femminile alle sue spalle
gli dice che è pronta la cena.
«E' meglio che vada ora»
«Si, certo. Buon appetito»
«Ciao»
Rimango immobile con il cellulare appoggiato all'orecchio anche
dopo che la comunicazione è finita.
Non so come spiegare le sensazioni che provo in questo momento. Posso dire di
essere contento, come non mi succedeva da tanto.
*** ***
(Stefano)
Ormai è tarda sera. Maximilian è andato a dormire e Joël non è più uscito da camera sua. Io sono in piedi davanti alla porta a vetro che da sulla terrazza a guardare la neve cadere mentre la televisione accesa alle mie spalle riempie la stanza di voci e parole che nessuno ascolta. Mi torna alla mente un ricordo di alcuni anni fa. Avevo accompagnato Joël a comprare il pianoforte, quello per cui aveva bramato per tanto tempo, quello che per averlo aveva fatto di tutto. Quando l'avevamo visto in quel negozio i suoi occhi si erano illuminati, se ne era innamorato subito. Aveva speso tutti i suoi risparmi. La sera l'ha detto a Pietro, il quale gli aveva detto che non voleva un simile affare in casa sua. Joël credo se l'aspettasse ma non riuscì ugualmente a nascondere sotto il cipiglio battagliero quello sguardo triste e disperato. Mi aveva guardato come a cercare il mio aiuto. Ho cercato di convincerlo ma poi dopo cena quando fummo da soli, come mi spettavo, Pietro mi disse:
«Perché gliel'hai comprato??»
«Io l'ho solo accompagnato. L'ha preso con i suoi soldi, ha lavorato per averlo»
«Non me ne frega niente di quanto si è spaccato la schiena! Non voglio abbia un pianoforte»
«Non puoi impedirgli di suonare»
«Perché? Quello stupido coso lo distrae da quelle che sono le cose importanti!! È una perdita di tempo»
«A lui piace suonare, se glielo impedisci ti odierà per sempre»
«Perché ti interessi tanto a loro? Per te non sono niente eppure faresti di tutto per loro; perché?»
«Perché gli voglio bene e ci tengo a loro. Vorrei
che fossero felici, a differenza di qualcuno, a quanto
pare»
«La verità è che vorresti fossero figli tuoi. Sei geloso marcio e fai di tutto per metterli contro di me!»
«Sei tanto accecato dall'odio e l'insofferenza nei miei
confronti che non riesci nemmeno a vedere come
stanno le cose. Comunque non avrei bisogno di aizzare proprio nessuno, bastano
le tue azioni»
«E con questo cosa vorresti dire?»
«Che sei egoista, possessivo, violento, alcolizzato, non
provi amore o rispetto per nulla e nessuno. Ti
piace veder soffrire la gente e... e stai perdendo la ragione!!»
«Perché allora stai sempre qui? Perché sei sempre con noi?!»
«Non certo per te»
«Per loro, vero?? Gli vuoi talmente bene da rovinarti
la vita? Per chi poi, il frutto del mio tradimento.
Dovevamo stare insieme per sempre, me lo premettesti e io ti ho lasciato per
seguire la volontà dei miei
genitori eppure li ami come fossero tuoi figli, perché? Dovresti odiare
me e tutto ciò che mi circonda!»
«Sono l'unica cosa buona che hai fatto nella tua vita»
«Odi me ma non loro. Cosa dovrei fare per farmi amare da te? Cosa? Sparire dalla tua vita? Magari con un bel taglio sui polsi»
«Piantala di dire stupidaggini! La tua morte è
l'ultima cosa che voglio! Vorrei solo che tornassi
quello di una volta»
«Allora riavrei il tuo amore?»
«Quello non l'hai mai perso»
«Anche se lo vorrei, non posso più tornare quello di una volta»
Sono i passi alle mie spalle a destarmi dai miei pensieri. Mi volto e vedo Joël venire verso di me. Spero non veda gli occhi lucidi. Si ferma accanto a me e mi dice:
«Mi dispiace davvero tanto per quello che ho detto a tavola»
«Non preoccuparti. Infondo è solo la verità»
«No, è solo una cattiveria. Tu ci hai sempre fatto da padre e anche da madre dopo che lei è morta. Non so cosa mi succede a volte, tendo a ferire le persone a cui voglio bene»
Rimango in silenzio qualche secondo, forse per trovare la forza di dire qualcosa che da tanto tempo continua a tormentarmi
«E... a volte non riesco a non pensare a te come l'amante
di mio padre, ed è un'idea che non sopporto.
Mi dispiace»
«Vuoi che me ne vada?»
«No, volevo solo che lo sapessi. E non pensare che io
non ti voglia bene, solo ho bisogno di tempo per
farmene una ragione»
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