BUIO
capitolo XV
ki-chan
( Michele
)
Da quanto
non vedo Joël? Una settimana, eppure mi sembra di essergli
stato lontano un’eternità. È buffo, una settimana
in fin dei conti è davvero poco e in questi due anni ho passato
periodi molto più lunghi lontano. Eppure, quello che mi lascia
un senso di vuoto immenso nel cuore non è la lontananza ma
il sapere che quando c’incontreremo non mi guarderà
nemmeno e probabilmente io farò lo stesso.
A volte credo di essere completamente folle … forse è
vero che c’è qualcosa di sbagliato in me. Ma non sopportavo
come mi trattava e per questo ho cercato di allontanarlo da me ma
allo stesso tempo desidero stargli accanto ed è per questo
che disperatamente mi sono ostinato a sopportare il suo comportamento.
In questi giorni ho pensato a lungo a quello che mi ha chiesto Damiano,
se l’amo. Mi sono sempre ostinato a non pensarci, forse per
paura della risposta, ma paradossalmente ho trovato una risposta
solo ora che tutto è finito.
C’è una parte di lui che amo alla follia, un amore
dolce, quasi protettivo ma allo stesso tempo odio l’altro
suo essere arrogante, infantile, egoista.
Paradossalmente ha sempre cercato di mostrarmi solamente questo
suo lato e senza nemmeno accorgersene giorno dopo giorno il suo
lato più bello e dolce veniva a galla.
Lo amo? Non lo so, forse no, perché se si ama una persona,
bisogna amare ogni aspetto di questa persona eppure non posso nemmeno
dire di non amarlo. Certamente, però, non mi sono pentito
della mia decisione, forse presa in un momento di rabbia, ma sicuramente
la cosa migliore. Non ero più in grado di sopportare tutto
l’odio e il disprezzo che mi rivolgeva per brevi momenti di
felicità.
«
Michele »
Sollevo
stupito lo sguardo sull’uomo, fermo sulla porta del mio ufficio.
L’ingegner Rossetti fa qualche passo all’interno dell’ufficio
fino a fermarsi di fronte alla scrivania.
«
Ho bussato ma non hai risposto, dato che la porta era aperta sono
entrato.»
«
Non si preoccupi, ero soprapensiero »
«
Me ne sono accorto. È ormai qualche giorno che sembri un
po’ distratto »
«
Mi dispiace »
«
E’ la prima volta dopo anni che ti conosco che ti dimentichi
di portare a termine un lavoro »
«
Entro stasera le assicuro che avrò finito »
«
Non era un rimprovero, semplicemente ero preoccupato che avessi
qualche problema »
«
Grazie, ma non è nulla di grave »
«
Meglio così. – s’interrompe un istante, forse
pensieroso, prima di ricominciare a parlare – c’è
un’altra cosa che mi preoccupa. Joël è una settimana
che non viene al lavoro e non si fa trovare. Tu sai qualcosa? »
«
No, è da un po’ che non ci vediamo »
Dico
titubante, stupito dalle sue parole. Mi ero accorto che non veniva
al lavoro ma credevo che almeno a lui avesse detto qualcosa.
«
Stasera pensavo di andare da lui. Potresti accompagnarmi »
«
Non credo sia il caso, abbiamo, per così dire, avuto uno
scambio di idee un po’ acceso »
«
Avete litigato?! In questo caso mi sembra un’ottima occasione
per chiarirvi. »
«
Le cose sono più complicate »
«
Joël ha un caratteraccio come suo padre ma è un bravo
ragazzo, bisogna solo saperlo prendere »
«
Se ne sarà accorto anche lei, Joël non è molto
propenso ad avere un rapporto civile con me »
«
In effetti, con te è particolarmente duro. Ne sai la ragione?
»
«
No »
*** ***
( Maximilian
)
Sono
raggomitolato sul divano, avvolto in una coperta quando suona il
citofono. La mia prima reazione è di ignorarlo ma alla fine
mi decido ad alzarmi. Quando sento la voce di Stefano mi sento raggelare.
Era da molto che non veniva più a casa nostra. Non vorrei
vederlo ma allo stesso tempo sono felice.
Rimane
qualche istante in silenzio davanti a me sulla porta. Infine mi
saluta dolcemente e mi da un bacio sulla fronte, proprio come faceva
tutte le volte che veniva a casa nostra. Fin da quando sono stato
adottato, questo era il suo saluto, poi sono cresciuto e lui non
ha mai cambiato questa abitudine e io non gli ho mai chiesto di
farlo.
Quando le sue labbra si posano sulla mia fronte quasi d’istinto
gli avvolgo la vita con le braccia, aggrappandomi a lui e cercando
il suo petto in un abbraccio disperato.
Mi accarezza dolce la testa.
Ma così come l’ho abbracciato, velocemente mi allontano,
questa volta spinto dalla ragione e dai sensi di colpa.
Stefano sembra stupito, così almeno mi sembra dal suo tono
di voce quando dice:
«
Mi dispiace non essere venuto spesso a trovarti »
«
Non ha importanza. Come mai sei qui? »
«
Devo parlare con Joël »
«
E’ nella sua stanza »
Gli rispondo
quasi seccato mentre mi vado a sedere nuovamente sul divano. Mi
dispiace essere così freddo ma non posso permettermi di farmi
travolgere dall’affetto che provo per lui. Rimane immobile
qualche istante poi sento i suoi passi dirigersi verso la camera
di mio fratello.
Stupidamente penso a quel giorno di anni fa.
* Rimango
immobile al centro della stanza. Tremo mentre faccio scorrere velocemente
lo sguardo sul corpo di mio padre seduto sulla poltrona di fronte
a me, gli occhi scuri fissi su di me, sul mio corpo, quasi famelici
… mi sento sporco.
Ricaccio lontano il senso di nausea che mi assale violenta.
La sua mano scivola sulla stoffa dei pantaloni fino a fermarsi tra
le gambe divaricate. Si muove lenta massaggiando il sesso che intravedo
eretto sotto la stoffa tesa.
Rabbrividisco inconsciamente.
La paura si fa velocemente largo dentro di me quando sento la voce
bassa, arrochita dal desiderio, insopportabile e volgare alle mie
orecchie.
«
Spogliati … forza »
Il suo
è un ordine e io lo eseguo, senza dir nulla. La mia dignità
ormai è stata troppe volte calpestata per potersi ancora
opporre. Non ho più la forza per farlo, dopo anni ho imparato
a tacere e a piangere quando lui non può vedermi. Tuttavia
questo non vuol dire che mi piaccia o semplicemente mi sia abituato.
Mi spoglio lentamente perché le mani tremano, perché
non voglio e perché mi viene da vomitare solo a sentire il
suo sguardo su di me.
Ma alla fine tutti i vestiti sono sparsi sul pavimento attorno ai
miei piedi. Stupidamente tento di coprirmi il sesso con le mani,
per quello che può servire.
«
Toccati »
«
Cosa? »
Dico
senza nemmeno accorgermene, con voce insicura e stridula. Lui ride
appena, divertito e poi dice:
«
Non fare quella faccia! Non ti sei mai masturbato? Beh voglio guardarti
mentre lo fai! »
«
Papà, io … »
«
Ti ho detto di non chiamarmi così! »
Sussulto
spaventato dal fatto che ha alzato la voce.
Lo fisso sperando che … che … non so nemmeno io cosa.
Vorrei che mi trattasse come un figlio, ma so che è impossibile,
vorrei che almeno mi risparmiasse tutto questo.
Però non fa nulla, limitandosi a fissarmi con insistenza.
Avvolgo il sesso con la mano. Volto il viso da un lato incapace
di guardarlo. Le gambe sembrano non reggermi. Cado in ginocchio,
il capo chino, i capelli lunghi mi ricadono sul viso celandolo.
Mi mordo un labbro impedendomi di gemere. Sorride divertito per
questo mio gesto, forse stupido e inutile. Quando il mio seme bagna
il pavimento colando dalla mano e sporcandomi le cosce, ride divertito
e dice:
«
Visto, non era così difficile! »
Subito
dopo si alza e in pochi passi è di fronte a me. Vedo solamente
le sue scarpe poiché mi ostino a tenere il capo chino. Mi
appoggia la mano tra i capelli. Serro gli occhi sapendo bene cosa
vuole e ho paura, stupidamente una paura folle. Lui forse se ne
accorge perché la sua mano si sposta sulla mia guancia, regalandomi
una carezza titubante, dolce forse. Un gesto che mi disorienta e
che accresce il dolore per quello che fra poco mi farà.
Ben presto la sua mano raggiunge il mio mento costringendomi a sollevare
il viso. Si slaccia i pantaloni mentre prego che qualcuno lo faccia
smettere ma presto il suo sesso eretto si fa strada nella mia bocca
e io non posso fare altro che aspettare … aspettare che le
sue urla roche si diffondano nella stanza … solo aspettare
perché finirà e io aspetto solamente quell’istante,
quando esce dalla stanza e mi lascia nudo, umiliato, dolorante ma
finalmente solo, libero di piangere la mia sofferenza.
Mi costringe ad alzarmi e stendermi sul letto. Si mette cavalcioni
su di me, mi lega le mani alla testiera. Comincia a toccarmi, le
sue mani sono leggere sul mio corpo ma ugualmente mi tolgono il
respiro.
Mi sembra di soffocare, apro la bocca alla vana ricerca di aria.
Le sue mani si fermano. Prende la bottiglia di votka che ha lasciato
sul comodino. Ne prende un abbondante sorso. Poi rivolge la bottiglia
verso di me. Mi fa aprire la bocca e lascia che il liquido mi scivoli
in gola bruciando. Mi basta qualche sorso per sentirne l’effetto.
Mi gira la testa mentre mi giunge tutto ovattato, anche il suono
del campanello.
Seccato mio padre si alza e si dirige in salotto per aprire la porta.
Le voci mi giungono lontane. Chiudo gli occhi, stanchi e feriti
dalla troppa luce. Li riapro solo quando sento dei passi. Mio padre
è fermo accanto al letto, rivolto verso il nostro ospite,
che è rimasto sulla porta. Rivolgendosi a Stefano dice:
«
Stai solo a guardare oppure vuoi partecipare anche tu? »
Stefano mi guarda un istante, forse stupito, non so con precisione
perché distolgo immediatamente lo sguardo vergognandomi.
Stefano risponde dopo un istante, la voce è bassa, stranamente
sembra arrabbiato. Mi fa tremare tanto la sua voce è bassa
e il tono perentorio.
«
Cosa cavolo stai facendo? »
Mio padre
si limita a sorridere quasi in tono di sfida. Stefano allora viene
verso il letto e si china su di me. Terrorizzato cerco d’allontanarmi
ma ho le mani legate. Posso cercare di sopportare mio padre, ma
questo No. Non voglio!
Mi cheto solo quando mi sorride dolce, un sorriso dolcissimo e rassicurante,
quasi paterno. Sembra più tranquillo ora, non vi è
più traccia di rabbia quando mi dice:
«
Non preoccuparti non voglio farti nulla »
Slaccia
il fular che mi tiene legati i polsi. Appena sono libero mi rannicchio
in posizione fetale e comincio a piangere lacrime amare e doloroso
che non sono più in grado di trattenere.
Inutilmente cerco di soffocare i singhiozzi nel cuscino tuttavia
il mio corpo continua a tremare. Mi copre con il lenzuolo mentre
si rivolge a mio padre che nel frattempo è rimasto immobile
e zitto ad osservarlo.
«
Aspettami in salotto! »
Sembra
contrariato ma tuttavia lascia la stanza. Quando rimaniamo soli,
Stefano si siede sul letto accanto a me e inizia una carezza lenta,
dolce, quasi ipnotica. Aspetta che io mi calmi. Quanto mi volto
verso di lui il suo viso è sereno, un lieve sorriso gli piega
le labbra. Con voce dolce mi dice:
«
Stai tranquillo ora è tutto finito »
Spalanco
gli occhi stupito dalla sua dolcezza, forse affetto. Mi tranquillizzo,
rimane solo il dolore, un dolore sordo che mi attanagli il cuore
e la mente, un dolore che l’affetto di Stefano non può
alleviare, anche se è l’affetto che ho sempre cercato
in mio padre.
Mi fissa qualche istante con una tale profondità da costringermi
a distogliere lo sguardo.
Il silenzio è nuovamente rotto dalla sua voce:
«
Ti ha fatto male? »
Scuoto
la testa semplicemente, mento, come sempre, perché tutta
la mia vita ormai è una menzogna e forse non sono più
in grado di dire la verità, mio padre mi ha tolto anche questo.
Stefano non mi fa altre domande e di questo gliene sono grato. Mi
regala un’ultima carezze poi si alza e si dirige anche lui
in salotto. Ma quando è sulla porta si volta e mi dice:
«
Vuoi che faccia qualcosa per te? »
«
No, grazie »
La mia
voce trema vergognosamente per due semplici parole. Eppure vorrei
solamente chiedergli di non andarsene, di starmi accanto, di asciugare
le mie lacrime, di farmi da padre. Ma non ci riesco.
«
Se dovesse succedere ancora dimmelo! … E ora cerca di dormire
»
Si chiude
la porta alle spalle ma posso chiaramente sentire le loro voci.
Quella di mio padre, tranquilla quasi strafottente e quella di Stefano
incrinata dalla rabbia. È quest’ultimo a cominciare
a parlare.
«
Hai perso completamente la ragione? »
«
Perché? »
«
Maximilian è tuo figlio, come puoi fargli una cosa del genere?
»
«
Ti sbagli, lui non è mio figlio! »
«
Sì, invece! Lo è diventato quando l’avete adottato!
»
«
E’ lei che l’ha voluto! Cristina l’ha portato
a casa, Cristina l’ha voluto adottare. Come ha voluto il matrimonio,
come ha voluto Joël. Io non volevo nulla di tutto ciò!
»
«
E’ orribile quello che stai dicendo »
«
Spesso la verità è orribile »
«
Maximilian non ha colpa »
«
Lo so »
«
Perché allora ti vendichi su di lui se non hai avuto abbastanza
fegato da decidere tu della tua vita? »
«
Non è così … »
La voce
di mio padre si incrina. Ne segue qualche secondo di silenzio durante
il quale mi alzo dal letto, il corpo nudo avvolto nel lenzuolo,
rabbrividisco quando tocco il pavimento con i piedi nudi. Con passo
incerto mi dirigo silenziosamente alla porta lasciata socchiusa.
Li osservo dalla fessura sperando che non mi scorgano.
Vedo Stefano costringere mio padre a voltarsi, poiché gli
dava le spalle, e dire:
«
Devi smetterla! … promettimelo! »
«
… »
«
Pietro, non devi più toccarlo! »
Mio padre
non risponde. Gli appoggia una mano sul petto e alzandosi sulle
punte posa le labbra su quelle di Stefano che si allontana e prendendogli
il mento con la mano dice:
«
Promettimelo! »
«
D’accordo »
Stefano
lo fissa un istante poi allenta la stretta e lascia che mio padre
lo baci. *
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