Buio
capitolo XIV
ki-chan
( Joël )
Il mio respiro si blocca mentre do un pugno alla porta
chiusa, con rabbia ma non con troppa violenza. Mi
appoggio ad essa mentre la mia fronte si posa alla
superficie di legno. Solo un lamento sfugge dalle mie
labbra mentre mi lascio scivolare sul pavimento senza
forze e con troppe emozioni nel cuore che sembra non aver
intenzione di riprendere un battito regolare.
Mentre fisso il pavimento mi sembra di risentire le sue
parole ... vorrei piangere ma so che se lo facessi mi
odierei, più di quanto non stia già facendo.
L'angoscia, la consapevolezza di aver perso tutto ... di
aver distrutto quello straccio di rapporto che si stava
creando fra di noi ... mi odio perché sto soffrendo per
tutto questo e ...
... lo detesto ... lo detesto con tutto me stesso perché
mi ha ridotto così ... perché ... perché mi ha
lasciato solo!
Mi viene da ridere a questo pensiero, una risata che non
può essere che amara e dolorosa come le lacrime che non
riesco a versare ... io, che ho sempre fatto di tutto per
tenerlo lontano da me, per allontanarlo, ora che non
posso più averlo accanto, mi accorgo di quanto fosse
dolce per il mio cuore la sua presenza.
Ho bisogno di lui.
A questa consapevolezza gli occhi mi si riempiono di
lacrime e con gli occhi annebbiati fisso la mia immagine
riflessa sullo specchio dalla parte opposta della stanza.
Il mio sguardo si ferma sul mio corpo scosso da
vergognosi singhiozzi, quasi abbandonato sul pavimento,
sorretto solo dalla porta contro cui appoggio la schiena,
l'accappatoio ancora slacciato, i cui lembi discosti non
coprono il mio corpo, così come Michele mi ha lasciato.
Il mio cuore batte più doloroso ... lo sguardo risale
fino al viso, rigato da sottili lacrime argentee, gli
occhi rossi, spauriti forse ...
Una vista pietosa ... a questo sono ridotto.
Con rabbia mi asciugo le lacrime con il dorso della mano.
Mi alzo in fretta e vado in bagno a sciacquarmi il viso.
Mi vesto in fretta, come una furia mi spingesse, ed esco
sperando che l'aria fredda dell'inverno mi ridoni un po'
di tranquillità ... o anche torpore ... qualsiasi cosa
perché in questo stato mi sembra di impazzire.
Sento la voce di Maximilian quando sono sulla porta, mi
chiede dove vado, dalla sua voce sembra preoccupato, se
potesse vedermi lo sarebbe ancora di più ... ma almeno a
lui questo spettacolo indegno è risparmiato. Non gli
rispondo, la mia voce sarebbe insicura e arrabbiata. Mi
chiudo la porta alle spalle e me ne vado.
Dovrò scusarmi con lui ... ma sinceramente non so se
davvero lo farò.
( Michele )
Tremo.
È assurdo, per scendere le scale sono obbligato ad
appoggiarmi al muro perché le gambe sembrano non volermi
reggere.
Mi spaventa che una parte di me gioisce di quello che è
successo. Sono felice che è finita, nel bene e nel male.
Non che ci fosse un "bene" nella nostra
relazione, solo illusioni ... le mie, definitivamente
infrante ... fatte crollare come castelli di carte dalle
sue parole e dai suoi gesti.
Mi ero illuso che qualcosa fosse cambiato, quella notte
prima che arrivasse Damiano ... ma era solo uno sbaglio.
Infantile, stupido.
È stato così facile e dolce cedergli ... così
insensato e pericoloso, perché dovevo immaginarmi come
sarebbero finite le cose ... avrei dovuto perché ora sto
da cani anche se fatico ad ammetterlo.
Esito qualche istante davanti alla porta del mio
appartamento, non ne capisco il motivo.
Quando entro nel salone, l'unica cosa che riesco davvero
a vedere è la valigia al centro della stanza.
Il tempo sembra essersi fermato, quasi si rifiutasse di
scorrere o forse è solo la mia mente che non vuole più
percepire ciò che gli sta intorno, offuscata da un
dolore sordo che cresce inesorabile nel mio cuore.
Rimango così immobile a fissare quell'oggetto, senza
capirne il motivo, senza pensare a nulla se non a Joël.
Poi sento dei passi, Damiano si avvicina alla valigia, mi
guarda un istante, un attimo, poi riabbassa velocemente
lo sguardo, quasi avesse paura di me. Lo vedo mettere
dentro la valigia gli ultimi vestiti e richiuderla.
Vorrei chiedergli cosa diavolo sta facendo ... si, vorrei
farlo, ma non ci riesco. Rimango immobile nella mia
strana apatia, mentre la bocca non mi è mai sembrata
così secca.
Non sono nemmeno in grado di dischiudere le labbra
perché ho paura che mi farebbe male solo provare ad
emettere un fiato.
Mi limito a fissarlo. Io stesso stupito del mio
comportamento ma troppo occupato per cercare di
respirare, strozzato quasi, da un dolore che non ha
confini definiti.
Stupidamente spero che mi guardi, si accorga di me, della
mia sofferenza e mi consoli anche solo con un sorriso ...
qualsiasi cosa, basta che mi faccia uscire da questo
stato.
Questa mia preghiera è scritta negli occhi che però lui
ha paura di guardare.
Poi improvvisamente si volta, afferra la valigia e dice:
" Non ti preoccupare, ora me ne vado ... così non
sarai costretto a cacciarmi "
Le ultime parole sono poco più di un sussurro. Io non
faccio nulla e non so nemmeno perché. Lo guardo mentre
si avvicina alla porta con il volto contratto dal
dispiacere e dai sensi di colpa, gli occhi lucidi. Io lo
guardo senza realmente rendermi conto di quello che sta
facendo e soprattutto di quello che io non sto facendo.
Lo sto davvero lasciando andare via così ... rimango
immobile mentre il mio cuore gli grida di fermarsi.
Ha ormai socchiuso la porta quando reagisco.
Non so nemmeno io cosa mi abbia fatto muovere. Ma mi
ritrovo alle sue spalle, con la mano appoggiata sulla
porta che si è chiusa con violenza sotto la mia spinta.
Lui s'irrigidisce, immobile, in piedi a pochi centimetri
da me, intrappolato tra il mio corpo e la porta.
Non si volta.
Stanco, come se improvvisamente tutte le forze mi
avessero abbandonato, mi appoggio a lui. Lo abbraccio da
dietro mentre mi chino appoggiando il viso alla sua
spalla.
Mi fa male parlare, mi sembra sia uno sforzo immane ma
con un filo di voce gli dico:
" Non andartene ora che ho più bisogno di te "
Lui trema, un singhiozzo gli sfugge dalla labbra e di
scatto si volta verso di me, il volto rigato dalle
lacrime. Poi, quasi disperato, mi si rivolge dicendo:
" E' vero quello che ti ho detto prima ... sono
andato con lui perché mi avevi respinto - fa una lunga
pausa, un respiro profondo e ricomincia - volevo
dimostrare che non ti meritava ... ... sono orribile!
"
" Non ha più importanza "
" Ma ... "
" Ti prego ... "
La mia voce è bassa, quasi inudibile, pregna della
stanchezza della sofferenza che provo. Lui se n'accorge e
evita di continuare quel discorso per me doloroso e così
assurdo.
Mi abbraccia dolcemente ... vorrei amarlo ancora ... le
cose sarebbero molto più semplici.
(Joël )
Sono ormai le sette di sera quando raggiungo il locale
dove lavora Francesco. Appena entrato il calore mi
avvolge quasi soffocante. L'odore di fumo non mi è mai
sembrato così insopportabile. Il ragazzo alla porta mi
saluta un po' stupito. Era da molto che non mettevo più
piede qui.
Entro nella grande stanza, il locale è semivuoto, i
ragazzi seduti ai tavoli mi guardano riconoscendomi
immediatamente. Alcuni mi salutano con un lieve sorriso.
Mi sento soffocare ... che buffo, io che per molto tempo
l'ho considerato il mio ambiente naturale dove passavo
quasi tutte le sere.
Conosco la maggior parte dei ragazzi, solo qualche volto
mi è sconosciuto.
Procedo verso il bancone ostentando una sicurezza che in
realtà non ho.
Sento i loro sguardi sulla pelle, gli stessi sguardi di
cui mi nutrivo, ora mi sembrano così ... sporchi ... in
confronto al suo e con crudeltà la mia mente ripensa a
lui ... mi sembra di sentire ancora su di me i suoi
occhi, così caldi e... dolci, le sue mani ...
È buffo vedere quanto dolore siamo in grado di
procurarci da soli, con un pensiero o un semplice
ricordo.
Mi siedo al bancone. Mi guardo in giro cercando
Francesco, tentando tuttavia di evitare lo sguardo delle
altre persone nel locale sperando di trovarlo velocemente
in modo da potercene andare perché mi sembra di
soffocare.
Una mano mi si posa gentile sulla spalla. Mi volto di
scatto, stupito e nervoso.
Claudio, un cameriere, mi regala un sorriso,
illuminandosi quasi in viso, e dice:
" Ciao. È da un casino che non ti fai più vedere
qui al locale "
" Sì - dico poco convinto - ho avuto molto da fare!
"
Lui ride divertito e sfacciato, poi mi dice:
" Certo, certo ... non dirmi che questi impegni sono
un uomo ..."
" ... "
Mi fissa qualche istante cercando nei miei occhi e nel
mio comportamento la risposta che mi ostino a non dargli
ed infine dice:
" Oddio è davvero così?! Non ci posso credere.
Allora esiste davvero qualcuno in grado di domarti!"
Irritato dalle sue parole gli dico:
" Claudio piantala!"
Lui finge di essersi offeso ma sfortunatamente rimane in
silenzio solamente qualche istante poi ricomincia a
parlare:
" Dove hai lasciato il fortunato? Sono curioso di
vedere cos'ha di speciale per riuscire in un'impresa
praticamente impossibile! "
" Non c'è nessuno! Piantala di dire stupidaggini!
"
" Sei di pessimo umore ... peggio del solito! ...
beh comunque meglio così, avresti spezzato il cuore a
troppi ragazzi, me compreso "
Il suo tono di voce si abbassa diventando più suadente
senza tuttavia perdere la sua naturale dolcezza.
Contemporaneamente mi sfiora la guancia in una carezza
leggera.
Avvolgo con la mano la sua che è rimasta titubante e
contemporaneamente sfacciata sulla mia guancia e con
presa sicura la allontano dal mio viso dicendo:
" Sono venuto solamente per vedere Francesco ...non
per rimorchiare "
Non sono arrabbiato, solo a disagio ... non sono davvero
più in grado di farmi toccare da un uomo che non sia
Michele? Non sono più in grado di vedere dolcezza nei
gesti altri ... ma solo ... volgarità?! Anche se Claudio
non se lo merita, non sono in grado di non infastidirmi
al suo gesto.
Mi guarda deluso ma non ribatte nulla, sono convinto di
averlo molto stupito con il mio comportamento. Va dietro
il bancone e riempie due bicchieri di birra e me ne porge
uno dicendomi di bere che Francesco arriva subito. Non
sembra per nulla offeso dal mio rifiuto, solamente
preoccupato.
Bevo solamente qualche sorso prima di perdermi in
pensieri confusi e sensazioni malinconiche che riportano
ad un'unica immagine ... Michele.
Un ricordo mi torna alla mente squarciando improvviso la
nebbia dei mie pensieri confusi. Un ricordo, forse
stupido, una banalità senza troppa importanza ma che in
questo momento assume un valore particolare.
La nostra relazione era cominciata forse da qualche
settimana, quando ero ancora illuso di poter stragli
lontano, di poter dire basta e che se non l'avevo ancora
fatto era solo perché lo volevo, per poter continuare a
farlo soffrire. Era ormai tardi quando tornando dal
locale sono passato di fronte alla sua porta e senza
nemmeno pensarci ho suonato, pensavo stesse dormendo,
anzi lo speravo. Non era così, quando mi ha aperto
indossava ancora i pantaloni e la camicia del completo
che indossava al lavoro. Gli occhiali coprivano degli
occhi velati dalla stanchezza e dal sonno. Teneva la
matita tra i denti quando vedendomi s'irrigidì stupito e
forse scocciato, questo fu quello che io vidi nel suo
sguardo, ora mi chiedo cosa ci fosse in realtà dietro
quelle iridi scure.
Mi fece entrare salutandomi appena e chiedendomi cosa
avevo bisogno mentre si risedeva alla scrivania dove
erano sparsi alcuni fogli e il computer era acceso. Io
non risposi, mi avvicinai a lui cercando la sua
attenzione, senza tuttavia ottenerla. Forse fu proprio
quel gesto a far crescere in me la rabbia.
Lui aveva ricominciato a scrivere o meglio a fare strani
segni sul foglio. Sembrava nervoso. Bevve velocemente un
sorso di caffè e ripose la tazza sulla scrivania.
Lo costrinsi a voltare il viso verso di me e cominciai a
baciarlo con bramosia. Lui si allontanò da me dopo
qualche istante dicendomi :
" Joël, per favore, non vedi che devo lavorare?
"
" Non credo proprio! "
Gli risposi tranquillamente ma con decisione e
ricominciai a baciarlo mentre intrufolavo la mano
all'interno della camicia in modo da potergli toccare la
pelle del torace. Ma non feci in tempo a sfiorare la sua
pelle che mi allontanò arrabbiato dicendomi:
" Ho detto di smetterla! "
La sua voce autoritaria mi spaventò, quasi. Non mi aveva
mai trattato in quel modo e tanto meno mi aveva respinto.
Rimasi immobile per lo stupore ma poi la rabbia annebbiò
la mia mente. Urtai la tazza del caffè facendo in modo
che lui vedesse che l'avevo fatto apposta. Il caffè
macchiò tutti fogli prima di cominciare a colare sul
pavimento. Lui tentò invano di salvare alcuni fogli. Poi
capendo che era inutile li sbatté sulla scrivania e si
voltò verso di me arrabbiato.
Istintivamente feci un passo indietro ma mi obbligai a
non far sparire dalle mie labbra un sorrisetto di
soddisfazione e di sfida.
" Ho passato notti intere dietro a questo progetto!
Lo devo consegnare domani, cosa faccio? Lo presento a tuo
padre ancora bagnato di caffè? "
" Tanto a mio padre va bene qualsiasi cosa gli fai
... neanche fossi suo figlio! ... ma forse gli fai cose
che un figlio non farebbe mai ... "
Un'insinuazione cattiva. Detta volutamente per ferirlo
sebbene non abbia mai creduto minimamente ad una simile
eventualità. Lui non ribatte alla mia insinuazione
limitandosi a dire:
" Non è tuo padre a valutare la validità del mio
progetto ma l'ingegner Rossetti*"
" Stefano fa quello che vuole mio padre, sai che
sono amici. Ma dimmi perché t'interessa tanto il lavoro
e ti ci impegni anima e corpo? "
" Perché non ho altre cose importanti nella mia
vita in questo momento e ... mi impedisce di pensare ad
altre cose "
Rimasi molto deluso dalla sua affermazione constatando di
non essere per lui nulla d'importante ... chissà se è
ancora così.
È la voce di Francesco a scuotermi costringendomi a
tornare alla realtà. Mi saluta con un veloce bacio sulla
guancia ben sapendo quando mi dia fastidio quando lo fa
di fronte ad altra gente. Tuttavia questa volta non
reagisco ed è forse questo a farlo insospettire. Con
tono serio mi chiede:
" Joël, cos'è successo? "
" Devo parlarti "
" D'accordo. Io finisco fra un quarto d'ora.
Potremmo andare a casa mia ... mia madre sarà felice di
vederti, lei crede ancora tu sia un bravo ragazzo "
Sorrido ma non dico nulla. Finisco la birra e mi dirigo
verso l'uscita. Ha cominciato a piovere, il rumore della
pioggia mi tranquillizza mentre aspetto incantato a
fissare le movenze sinuose dell'acqua di una pozzanghera
mossa dalle gocce.
( Maximilian )
Mi lascio scivolare sul letto disgustato da me stesso,
intontito dalla troppa apatia, disperato ... stanco di me
stesso, di sentire il battito regolare del mio cuore,
sperando ogni instante che ad un battito non ne segua un
altro, incapace di sopportare ancora i miei pensieri, le
urla della mia mente troppo a lungo vessata dalla voce di
mio padre che torna dolorosa a farsi strada mescolata a
ricordi confusi ... immagini che sembrano sogni, sogni
che non capisco più se essere la realtà o solo il
frutto marcio della mia mente e così mi avviluppo sempre
più nei pensieri ricercando nelle immagini un
particolare che mi faccia capire se è realtà o fantasia
... in fin dei conti ho tempo ... tempo per pensare ...
per impazzire completamente ... o forse lo sono già ...
e così ho paura di addormentarmi e sognare e ho paura di
rimanere sveglio e pensare e ancor di più temo il
momento prima d'addormentarmi quando i confini del sogno
e della realtà perdono definizione diventando tutt'uno
ed è proprio in questo stato che scivolo contro la mia
volontà.
Mi vedo, poco più che un bambino, il pigiama con gli
orsacchiotti e stretto tra le braccia sottili di bambino
di pochi anni un orsetto di pezza sporco con un taglio
sulla schiena da dove usciva la gomma piuma. Corro per la
piccola roulotte le cui pareti erano incrostate. Mio
padre ... quello vero, che grida di smetterla, uno
schiaffo mi raggiunge. Barcollo prima di cominciare a
piangere. Mio padre si alza e mi afferra per il braccio e
mi trascina all'aria aperta, sotto le stelle, e comincia
a camminare e io lo seguo smettendo di piangere passo
dopo passo fino a che non raggiungiamo un parco ...
Mi sveglio all'improvviso senza fiato, boccheggio qualche
istante poi mi rannicchio contro la testiera del letto
abbracciando il cuscino ... era da molto tempo che non
sognavo quel giorno. Sento il vento soffiare e la pioggia
colpire i vetri della finestra. Una strana paura mi
attanaglia lo stomaco. Un tuono rimbomba nella stanza
facendo tremare i vetri. Stringo ancora più le gambe al
petto cominciando a tremare e a piangere ... e a pensare,
forse la cosa più dolorosa che sono in grado di fare. A
volte vorrei strapparmi il cervello, ma poi penso che non
rimarrebbe nulla di me.
Sono rannicchiato come un bambino spaventato dal
temporale quando sento un fruscio, forse solo il vento,
ma la mia mente lo associa crudele al mio incubo
peggiore. Il ricordo del suo viso e la sensazione delle
sue mani che non mi abbandona un solo istante, che mi
toglie il respiro e mi fa contorcere lo stomaco fino alla
nausea. Mi alzo tremante mentre le gambe mi reggono a
stento e mi trascino fino al bagno dove vomito anche
l'anima, solamente pensando a lui, al suo odore, al
sapore della sua pelle. Accasciato sul pavimento senza
forze le mie lacrime diventano più amare e dolorose
mentre penso alle parole di mio padre quando mi diceva
con disgusto e rabbia che io non ero suo figlio ... no,
non lo ero perché un uomo forse più crudele di lui mi
ha abbandonato in un parco. Ma in cuor mio speravo di
diventare suo figlio, di essere chiamato 'figlio' come io
lo chiamavo padre ... volevo essere come Joël per lui
... ma non poteva ritenermi come un figlio perché a un
figlio non si fanno certe cose e lui non era certo un
tale mostro! ... e forse meglio così, meglio io che
Joël ... meglio ...
Joël ... l'unica persona che mi ha davvero voluto bene
... mi considera suo fratello, mi ha sempre trattato come
tale, ma se sapesse la verità ... odiarmi non sarebbe
abbastanza. Vivo nel terrore che lui lo scopra e allo
stesso tempo aspetto il giorno che accadrà perché
allora finalmente sarò libero ... solo, disperato ma
libero da un peso troppo grande, di un peccato che non
dovrebbe nemmeno essere pensato ...
Ed è proprio lui che cerco, disperatamente, stupidamente
... spero sia tornato a casa ... spero che mi stringa a
se e faccia cessare questi incubi, questa angoscia
penetrante che sembra lacerarmi il cervello e il cuore
fino a farmi grondare sangue.
Ma lui non c'è e la casa mi sembra ancora più grande e
silenziosa e ho paura ... paura dei miei pensieri, paura
di me stesso, paura d'impazzire ... paura di uno
stupidissimo temporale
( Joël )
Quando Francesco esce dalla porta sul retro comincia a
camminare sul marciapiede sotto la pioggia. Dopo un po'
che camminiamo l'uno accanto all'altro Francesco mi
chiede:
" Cosa è successo? Di cosa devi parlarmi? "
Non rispondo e fissando distratto il marciapiede continuo
a camminare. Francesco capisce e non mi dice più niente
limitandosi a camminare e guardandomi ogni tanto.
Camminiamo fin di fronte a casa sua. Sta per entrare nel
portone quando mi fermo, la pioggia continua a cadere
gelata bagnandomi ulteriormente.
Si volta e con gli occhi mi chiede perché mi sono
fermato.
" Non voglio disturbare i tuoi "
" Saranno felici di vederti e poi cosa vorresti
fare? Rimanere qui sotto la pioggia a congelarti?! "
Non rispondo ma non mi muovo. Francesco allora allunga la
mano verso di me, tremante e infreddolita. La stringo e
lo seguo titubante mentre mi trascina fino al suo
appartamento. Mi lascia la mano solamente quando siamo di
fronte alla porta. Ci apre la madre che appena ci vede
sorride e ci fa entrare facendoci notare che siamo
fradici.
Sembra felice di vedermi e io mi sento stranamente
imbarazzato dall'affetto che mi dimostra.
Francesco mi costringe a farmi una bella doccia calda e
togliermi i vestiti bagnati.
Mi siedo sul suo letto coperto solamente da una coperta
al fianco di Francesco. Mi stendo sul letto esausto,
appoggiando la testa sul suo grembo e lasciandomi
coccolare da Francesco che mi accarezza il capo con
movimenti lenti e delicati. Mi lascia rilassare e
riposare senza chiedermi nulla.
Siamo ancora così quando la madre di Francesco bussa
alla porta. Si alza facendo in modo che appoggiassi la
testa sul cuscino e va ad aprire la porta.
Sua madre dice che la cena è pronta e se vogliamo ce la
porta in camera. Ma Francesco gli dice di non
preoccuparsi che ci pensa lui, così scompare in cucina.
Sua madre rimane sulla porta qualche istante, forse
indecisa se entrare, ma alla fine si decide e raggiunge
il letto dove sono rannicchiato stringendo con forza la
coperta contro la pelle, con la guance arrossate e gli
occhi lucidi semisocchiusi.
Mi appoggia la mano sulla fronte, un gesto che si
trasforma presto in una carezza materna.
Preoccupata dice:
" Stai male?! Vuoi un'aspirina? "
Commosso e toccato dalle sue attenzioni, a stento riesco
a non far tremare la voce mentre la rassicuro. In quel
momento entra anche Francesco con due piatti in mano.
Li appoggia sulla scrivania poi, rivolgendosi dolcemente
alla madre, la rassicura e gli dice che avrebbe pensato
lui a me.
La madre ci lascia soli, regalandomi però un sorriso
prima di chiudere la porta alle sue spalle.
Mi sento disorientato, non essendo più abituato alle
attenzioni che solo una madre è capace di avere. Mi
rendo conto solo ora quando la presenza di una madre mi
manchi.
Francesco mi distoglie dai miei pensieri porgendomi il
piatto con all'interno una fetta d'arrosto e delle patate
al forno. Mi metto seduto prendendo il piatto tuttavia
senza cominciare a mangiare. Si siede sul letto accanto a
me e comincia a mangiare in silenzio poi, vedendo che non
tocco cibo dice:
" Spero che le troppe attenzioni di mia madre non ti
abbiano dato fastidio, sai come è fatta ... "
Alzo lo sguardo stupito e dico:
" Anzi, mi fa molto piacere ... mi manca una mamma
"
" Tua madre è morta quando avevi diciotto anni, è
normale che ti manchi "
" Volevo bene a mia madre solo perché un figlio ne
deve volere alla propria madre, ma ... "
" Ma? "
" Non lo so. Non so nemmeno perché ti sto dicendo
tutto questo "
Mi accarezza dolcemente la testa e dice:
" Mangia qualcosa, oppure lo mangio tutto io "
Faccio uno sforzo e mangio un paio di patate quando
Francesco con tono serio mi dice:
" Cosa è successo di così grave per ridurti in
questo stato? "
Rimango in silenzio qualche minuto cercando le parole
più adatte e soprattutto le meno dolorose da dire ma
alla fine dico semplicemente:
" Mi si frantuma tutto fra le dita ... più mi
affanno a tenere insieme la mia vita e più si dissolve
... tutto ciò che tento di tenere accanto a me, che
vorrei poter tenere stretto, si allontana o si rompe
"
" A cosa ti riferisci? "
" Maximilian vuole andarsene e Michele mi ha detto
di stargli lontano "
Francesco rimane in silenzio aspettando che io continui,
ma è così difficile. Troppe emozioni tutte mescolate e
confuse, troppe cose da dire e tutte troppo dolorose.
La voce mi sembra esageratamente rauca e insicura quando
ricomincio a parlare.
" Maximilian ... ... qualche giorno fa mi ha detto
che vuole andare a stare da nostra zia in Francia ... io
gli ho detto di no, ma ... come dargli torto! Non riesco
più a stargli accanto, non faccio che trattarlo male ...
da quando è morto mio padre cerco di fargli da madre, da
padre e da fratello ma con scarsi risultati ... non sono
più in grado nemmeno di fargli da fratello. "
Mi interrompo un istante. Mi passo nervosamente una mano
tra i capelli e faccio un respiro profondo che si
trasforma presto in un singhiozzo strozzato. Quando
riprendo a parlare la voce mi trema ma mi sforzo di
continuare perché mi sembrerebbe di impazzire se tacessi
ancora.
" Quando lo guardo vorrei potergli dare tutte le
felicità di questa terra. Darei tutto per poterlo vedere
felice ... per farlo tornare come prima!
Quando lo vedo così ... così indifeso ... così ...
rimane lì fermo immobile, passa i giorni sul divano in
silenzio e poi continua a dire di voler morire. "
Mi interrompo ancora, coprendomi per qualche istante gli
occhi con una mano. Sollevo lo sguardo e guardo Francesco
dritto negl'occhi e disperato gli dico:
" Non so cosa devo fare! Quando lo guardo mi sento
morire e mi arrabbio con me stesso per non essere in
grado di aiutarlo! Così lo tratto male, ma non vorrei!
"
" E con Michele? "
" L'altro ieri è arrivato il suo ex ragazzo "
" ... "
" Lo ama ancora!! "
" Te l'ha detto lui? "
" No, ma ... "
" Cosa è successo esattamente? "
" Sono andato a casa sua ma era uscito, c'era solo
Damiano e ... e abbiamo fatto sesso "
" Perché? "
" Non lo so! ... in ogni modo lui l'ha saputo e
abbiamo litigato ... mi ha detto di non andare più da
lui "
" Spero tu abbia almeno tentato di scusarti e
spiegare il tuo gesto assolutamente senza senso! "
" No "
" Se solo gli avessi chiesto scusa sono sicuro ti
avrebbe perdonato! "
" No, non questa volta, era così arrabbiato. Non
l'ho mai visto così! "
" Ti rendi conto che una persona normale ti avrebbe
già mandato a quel paese da tempo? Ha sopportato i tuoi
capricci per due anni, ti aspettavi che non dicesse
nulla? "
" Non è il primo uomo con cui vado eppure non ha
mai detto nulla! "
" Hai voluto metterlo alla prova, vero?! "
" No ... non lo so cosa volevo fare ... ma non ha
importanza dato che lui ha fatto la sua scelta ... e non
ha scelto me! "
" Sei uno stupido! "
Lo guardo stupito e offeso ma il suo sguardo dolce mi fa
vergognare in quanto mi rendo conto che ha ragione. La
sua domanda successiva però mi disorienta ulteriormente:
" Cosa provi per lui? "
" Lo odio ... detesto la sua perfezione ... però ho
bisogno di lui, delle sue attenzioni e soprattutto del
suo amore "
Rimango a casa sua fino a notte fonda a parlare e a farmi
coccolare quando torno a casa sono più tranquillo o
forse, semplicemente sono troppo stanco per essere
disperato.
Entro nel nostro appartamento e stanco mi trascino fino
alla camera di Maximilian dove vedo la luce accesa. Mi
fermo sulla porta incapace di pensare o fare qualsiasi
cosa di fronte all'immagine che mi si presenta davanti.
Maximilian dorme rannicchiato sul suo letto tra le
braccia di Luca.
Non so nemmeno quanto rimango immobile, le mani strette a
pugno, tanto strette da conficcare le unghie nella carne.
Mi sembra d'impazzire.
Quando Luca si sveglia e apre gli occhi, mi fissa
assonnato e interrogativo. Comincio a tremare, forse per
la rabbia, forse per la stanchezza. Si alza cercando di
non svegliare Maximilian e mi viene in contro.
" Vattene "
La mia voce è bassa, tremolante per la rabbia, ma il
tono è perentorio. La sua espressione diventa più seria
ma non sembra aver intenzione di andarsene. Comincia a
parlare a voce bassa per non svegliare Maximilian ma lo
interrompo spingendolo contro lo stipite con rabbia e
dicendogli ancora di andarsene. La voce è ancora più
profonda e incrinata dalla rabbia. I lineamenti del viso
si fanno più duri e scacciando la mano con la quale lo
tengo contro la parete e dice:
" E' inutile che tu faccia tutte queste scene! Dove
eri quando tuo fratello aveva bisogno di te? "
" ... "
" Era spaventato, così mi ha chiamato. Non potevo
certo lasciarlo solo! "
" Come ho fatto io?! Giusto?! È questo quello che
vuoi dire? "
" Sì "
" Bene! ... adesso ci sono io, te ne puoi anche
andare! "
" Si può sapere cosa ti ho fatto? "
" Ti sei avvicinato a lui "
Gli rispondo senza nemmeno accorgermi del significato
delle mie parole. A quella frase la rabbia sembra sparire
dal volto e dalla voce di Luca.
" Con il tuo comportamento non lo aiuti di certo!
"
" Credi sia facile questa situazione? ... eh? "
" ... "
" Non ho certo bisogno che il primo venuto mi faccia
la predica di come cazzo devo comportarmi con mio
fratello! "
" Bisogna stare attenti ... Lui non è forte come te
"
Forte?
Scuoto la testa ... certo allora sono obbligato a
sopportare tutto?!
Non rispondo nemmeno e me ne vado.
Raggiungo Maximilian e con la mano ancora tremante gli
accarezzo delicatamente i capelli.
Lo sento singhiozzare nel cuscino. Mi siedo sul letto
accanto a lui continuando ad accarezzarlo. Anche Luca si
avvicina al letto e con voce tranquilla dice:
" Maximilian, io vado, ci sentiamo presto "
Le ultime parole le dice guardandomi fisso negl'occhi,
forse cercando una reazione da parte mia che tuttavia non
avviene. Sono troppo stanco e stufo anche solo per
pensare.
Non lo saluto nemmeno quando esce. Sento la porta
d'entrata chiudersi e mi lascio scivolare sul letto. Mi
corico accanto a Maximilian abbracciandolo da dietro. Lo
attraggo a me avvolgendogli la vita con un braccio e
sprofondando il viso nella sua spalla cercando in lui
tranquillità e sollievo da troppo dolore.
Maximilian continua a piangere e così lo stringo ancora
più stretto.
Maximilian stringe più saldamente le coperte tra le dita
e disperato dice:
" Scusa, ti sei arrabbiato perché ho chiamato lui?
"
" Io non c'ero, almeno non eri solo ... "
Mi sforzo di dire cercando di tranquillizzarlo. Dopo una
piccola pausa gli dico:
" Sono io a dovermi scusare, non sono mai a casa,
nemmeno quando hai bisogno "
Maximilian non risponde ma il suo pianto si fa più
profondo e violento. Alla fine ci addormentiamo
abbracciati, entrambi esausti per motivi differenti.
* Rossetti Stefano è il miglior amico e socio del padre
di Joël. Personaggio già incontrato nel capitolo 9
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