Buio parte
VII
di Ki-chan
(Michele)
domenica mattina -
Milano
Suono il campanello
un po’ titubante. Spero che non stiano ancora dormendo essendo domenica
mattina.
Aspetto per alcuni
minuti di fronte alla loro porta ma alla fine mi convinco che non ci sia
nessuno.
Ho già fatto un
paio di scalini quando sento la porta aprirsi. Mi volto indietro e vedo
Maximilian sulla soglia con indosso ancora il pigiama che cerca di capire
chi abbia suonato.
Con la voce
insicura, forse per l’impossibilità di vedere il suo interlocutore o forse
per il sonno, chiede chi abbia suonato il campanello.
Vedendolo un po’
sperduto mi affretto a rispondergli ritornando da lui.
Appena sente la mia
voce tende una mano verso di me e il suo viso si addolcisce in un pallido
sorriso. Gli prendo la mano e gliela stringo per rassicuralo della mia
presenza. Mi fa entrare in casa e si scusa con me per aver impiegato tanto
tempo ad aprirmi.
Andiamo in cucina
dove mi dice:
« Hai fame? Io devo
ancora fare colazione, vuoi farmi compagnia? »
« Prendo volentieri
un caffè … ma dai siediti ci penso io a preparare! »
Quando la colazione
è pronta ci sediamo al tavolo e approfittando del silenzio gli chiedo:
« Tu come ti senti?
»
Lui appoggia la
tazza di caffè sul tavolo e alza il capo e cercando dentro di se le parole
più adatte e un tono sereno per rispondermi, dice:
« Sto bene! »
Non ribatto sebbene
vedo chiaramente quanto si stia sforzando per sorridermi e come la sua voce
tremi.
« So che sei
preoccupato per me, ieri sera Joël mi ha proposto di andare da uno psicologo
e sono sicuro che glielo abbia detto tu, ma non è necessario … io sto bene!
»
« Perché sei così
sicuro che sia stata una mia idea? »
Chiedo un po’
stupito non so se più per le parole di Maximilian o per il fatto che Joël
abbia seguito un mio consiglio. La risposta, tuttavia, mi lascia ancor più
confuso.
« Joël fa sempre
tutto quello che gli dici anche se non lo ammetterebbe neppure sotto
tortura. »
Dopo un primo
momento di confusione comincio a ridere, una risata bassa me che non riesco
a trattenere pensando all’assurdità di quelle parole.
« È vero! Ci tiene
molto a quello che dici e che pensi di lui! »
L’ilarità è
completamente scomparsa dal mio viso e dalla mia voce lasciando posto solo
all’amarezza di quel rapporto che le parole di Maximilian mi stanno ponendo
con forza davanti agli occhi.
Gli rispondo, ma
forse le mie parole non sono nemmeno rivolte a lui ma sono solo la voce
della mia anima ferita troppo a lungo.
« Allora perché
ogni volta che provo a parlargli mi aggredisce? »
È quasi un sussurro
il mio, tuttavia mi rimbomba nel cervello mentre stringo la tazza tra le
mani. Fisso il liquido scuro che contiene quasi a voler annegare in esso i
miei pensieri o forse solo per il mio atteggiamento sicuro. Mi viene da
sorridere di me stesso, un sorriso amaro. Non faccio che ignorare i veri
problemi, non faccio che nascondere le mie paure e le mie sofferenze dietro
l’aspetto da uomo maturo e sicuro di se … non sono forse simile a Joël per
questo?! Con che coraggio posso giudicarlo? Forse è proprio perché siamo
così simili che non voglio che si comporti come me, perché so quanto fa male
non essere in grado di fidarsi degli altri.
Il silenzio si
rimpossessa della stanza per lunghi istanti poi riprendo a parlare
continuando il discorso lasciato in sospeso
« Scusa se sono
sincero, ma non sono convinto che tu stia davvero bene! »
Lo so che con
queste parole lo faccio soffrire ancora e che forse non è mio diritto essere
così insistente, ma non posso fare altrimenti.
Maximilian rimane
immobile qualche istante forse per cercare ancora le parole più adatte per
rassicurarmi, ma vedo quanta fatica faccia per continuare la sua recita,
così precedo la sua risposta con le mie parole a cui cerco in tutti i modi
di conferire un tono dolce:
« Non c’è bisogno
che tu finga … è normale non riuscire a superare quello che ti è successo! …
»
« No, ti sbagli …
quello l’ho già superato! »
« Allora cosa ti fa
soffrire così tanto? »
« Ti prego non
chiedermi ciò che non posso dire! »
Una preghiera, non
potrei definire altrimenti quelle parole pronunciate con tanta stanchezza e
disperazione. Le parole mi sono morte in gola. Lo fisso senza osare
aggiungere altro, che so potrebbe fargli ancora più male.
Si alza e va verso
il lavandino per riporre la tazza, ormai vuota, per rompere la tensione che
aleggia nella mancanza di parole da dire da parte di entrambi. Solo
emozioni, sensazioni, pensieri violenti e dolorosi percorrono le nostre
menti.
Mi alzo e lo
raggiungo posando a mia volta la tazzina vuota nel lavandino. Si avvicina a
me quel tanto per appoggiare la testa sulla mia spalla. Gli cingo le spalle
con un braccio e rimaniamo immobili uno di fianco all’altro fino a che non
sento la voce di Joël alle nostre spalle. Mi giro verso di lui per guardarlo
mentre dice:
« Allora eri tu che
rompevi! »
Evidentemente
quando ho suonato il campanello l’ho svegliato e si deve essere appena
alzato a giudicare dagl’occhi ancora velati dal sonno e dallo sbadiglio che
mi regala appena finito di parlare.
Si stropiccia un
occhio e mi chiede se posso dare una tazza di caffè anche a lui mentre
raggiunge il tavolo.
Maximilian si siede
accanto al fratello e io faccio una proposta.
« Che cosa ne dite
se andiamo a fare una passeggiata stamattina? »
« Se volete andare,
andate. Io rimango a casa che ho del lavoro da sistemare! »
Io non dico nulla
sebbene non riesco a non chiedermi se sia la verità.
Tuttavia il gesto
di Maximilian mi fa dimenticare ogni cosa. La sua mano scorre sulla
superficie liscia del tavolo fino ad incontrare la mano di Joël. Le loro
dita si sfiorano in una delicata carezza poi s’intrecciano mentre la mano di
Maximilian si serra attorno a quella di Joël.
« Ti prego vieni
con noi »
Joël accetta mentre
sento il cuore contrarsi dolorosamente alla vista di quelle dita unite così
dolcemente.
Gelosia? Si, anche.
Ma soprattutto tristezza perché so che non potrei competere con lui, se solo
volesse potrebbe portarmelo via, senza che io possa solo lontanamente
sperare di impedirglielo … perché infondo per lui non sono nulla!
Le loro mani
rimangono intrecciate a lungo e io non posso evitare a me stesso di
osservare immobile e muto quell’affettuoso intreccio.
Mi fa soffrire
stupidamente, ma non posso evitarlo.
Rimango in silenzio
a lungo fino a che anche Joël non finisce la colazione. Li vedo scomparire
nelle loro camere per vestirsi.
In quell’istante
quando il rumore delle porte chiuse alle loro spalle si diffonde lieve nella
casa mi sento solo … tremendamente solo … un dolore sordo che mi percuote e
mi rende indifeso come se quel dolce gesto avesse ricordato la ferita che
giace latente nel mio petto nutrita dal mio orgoglio.
Non ho mai
disprezzato la mia solitudine. Sono convinto di poter vivere da solo,
dimenticato da tutti. Credo di non aver bisogno di nessuno, ma certamente
non ne sono felice.
Come uno schiaffo
mi colpisce la consapevolezza della mia condizione, l’abbandono di una
famiglia che non rimpiango ma di cui in fondo ho bisogno come ne ha bisogno
qualsiasi uomo. Sapere che qualcuno ti è vicino qualsiasi cosa tu faccia o
dica solo perché sei suo figlio.
Scuoto la testa
deridendo me stesso per la mia stupidità. Tento invano di scacciare
l’angoscia che mi porta a volgere lo sguardo verso la sua camera. Mi rapisce
la tentazione e il desiderio di raggiungerlo, stringerlo tra le mie braccia
e sprofondare a mia volta nelle sue.
Ma me lo
permetterebbe?
Mi concederebbe
davvero il suo abbraccio per chetare il mio cuore?
Ma infondo, io ne
sarei capace? Oppure il mio carattere non me lo permetterebbe, come sono
solito fare?
Il susseguirsi
irruento dei miei pensieri viene bruscamente interrotto dal rumore della
porta che si apre. Ancora immobile in piedi all’inizio del corridoio, alzo
lo sguardo, prima perso sul pavimento, fino ad incontrare il suo che ora mi
guarda stupito.
I nostri sguardi
s’incrociarono, si accarezzarono lievi con un contatto dolce e timido.
Nel momento in cui
sento i suoi occhi scrutarmi e vagare delicati dentro di me sento la mia
volontà vacillare, il mio essere tremare, il mio corpo fremere.
Distolgo lo sguardo
come se mi fossi scottato da colui che così facilmente riesce a ferirmi così
in profondità che io stesso non riesco a scorgere la mia anima sanguinare.
Sta per
parlare quando Maximilian esce dalla sua camera e io lo ringrazio
mentalmente per permettermi di distogliere la mia attenzione da Joël e da me
stesso.
Quando usciamo il
vento invernale che soffia appena ci accarezza accompagnato dal sole caldo e
intenso.
Lentamente
camminiamo per le vie del centro di Milano godendoci questa giornata
insolitamente bella. Assorto cammino qualche passo dopo di loro che mi
precedono uniti dalle loro dita intrecciate tra i guanti.
Joël si volta di
tanto intanto guardandomi un istante, forse stupito per il mio
comportamento.
Senza parlare si
volta di nuovo ricominciando a parlare a Maximilian che un po’ perso si fa
guidare dal fratello.
Non riesco a
stargli accanto sentendomi escluso dalle loro vita. Mi sento così lontano da
loro.
Così come mi sento
inopportuno nella mia famiglia. Posso ancora vedere mio padre che grida,
m’insulta, mi disprezza mentre mia madre seduta sul divano tace senza avere
nemmeno il coraggio di guardarmi. Non sono ancora riuscito ad accettare la
sua totale mancanza di carattere, credo sia stato proprio questo a spingermi
a controbattere alle accuse di mio padre, a discutere, a gridare le mie
ragioni ed infine tacere davanti alle sue ultime parole sprezzanti.
È ormai ora di
pranzo quando ci fermiamo e decidiamo di andare a mangiare in una piccola
pizzeria vicino a piazza Duomo. Ci sediamo al tavolo accanto alla vetrina
dove possiamo vedere la gente camminare sul marciapiede e le guglie di marmo
bianco del Duomo brillare alla luce intensa del sole.
Cominciamo a
mangiare e vedendo Maximilian in difficoltà mi affretto ad aiutarlo a
tagliare la pizza. Lui mi sorride ringraziandomi. Era da molto che non ci
regalava un così dolce sorriso. Poi tornando serio mi dice:
« Cos’hai? È da
quando siamo usciti che non dici una parola »
Sorrido a mia volta
anche se lui non può vederlo e rispondo con voce tranquilla sebbene
l’attenzione di Joël sia puntata su di me
« Non ti
preoccupare. Semplicemente non avevo nulla da dire. Ho il cervello ancora un
po’ addormentato! »
Lascia passare
qualche minuto, riempito solamente dal vociare degli altri clienti, poi
ricomincia a parlare:
« A Natale vieni a
mangiare da noi?! »
Io non so cosa
rispondere, sinceramente non mi aspettavo un simile invito, o forse lo
speravo. Incrocio lo sguardo di Joël e la consapevolezza che quest’invito
non gli faccia piacere mi porta a dire:
« Dubito che a tuo
fratello faccia piacere avermi tra i piedi anche il giorno di Natale! »
Lo dico scherzando
sebbene il mio tono alla fine della frase diventi serio. Voglio sapere come
reagirà a questa provocazione, perché in fondo è solo questo.
Lui stranamente mi
guarda un po’ stupito o forse incerto sulla risposta, poi distoglie lo
sguardo da me e con tono annoiato mi dice:
« Contando che non
ho voglia di mettermi a cucinare avremmo bisogno di un cuoco … se tu sei
disposto a portare da mangiare allora per me va bene! »
Rido. Non mi sarei
mai aspettato una simile risposta.
Sembra offeso dalle
mie risate lievi a cui si aggiungono quelle di Maximilian.
Sto ancora ridendo
quando arriva al nostro tavolo un uomo che allegro ci saluta. Io lo guardo
con attenzione, è davvero un bell’uomo sui trent’anni, alto, capelli lunghi,
ricci, castano chiaro, labbra sottili, muscoloso. Ci metto qualche istante a
ricordarmi a chi appartiene quel viso conosciuto.
Maximilian rimane
in silenzio fino a che l’uomo avvicinatosi gli arruffa affettuosamente i
capelli dicendo:
« Ehi piccolo non
dirmi che non ti ricordi la mia voce! »
« Ma si può sapere
chi cavolo sei? »
Lo interrompe Joël
innervosito dal suo gesto o forse per aver chiamato piccolo Maximilian.
L’uomo allora sorridendo cordiale gli porge la mano dicendo:
« Ciao io sono
Luca, piacere di conoscerti »
« Non m’interessa
come ti chiami … voglio sapere cosa vuoi da Maximilian »
Stupito per il
comportamento di Joël l’uomo rimane in silenzio qualche istante prima di
rispondergli ma la sua risposta viene preceduta da quella di Maximilian che
rivolgendosi al fratello dice:
« Joël calmati! Mi
ha fatto compagnia quella sera che sono uscito da solo. È stato molto
gentile, mi ha anche prestato il suo cappotto! »
« Allora non ti sei
dimenticato di me! Cavoli mi stavo preoccupando! »
Dice riacquistando
il sorriso. Lo invitiamo al tavolo con noi con grande disappunto di Joël
che a un certo punto si alza sbuffando contrariato e va in bagno. Io allora
lo seguo.
°°° °°°
(Joël)
Mi sto
sciacquando le mani sotto il getto fresco del rubinetto quando la porta si
apre e vedo Michele.
Guardo
nuovamente di fronte a me osservando la mia immagine riflessa. Socchiudo
appena gli occhi preparandomi alla discussione inevitabile che avrò con
Michele. Posso ben immaginare per quale motivo mi abbia seguito. Infatti,
appena mi è accanto comincia a parlare e le sue parole sono esattamente
quelle che mi aspettavo anche se il suo tono non è minimamente di rimprovero
« Che cosa ti
prende? Perché lo tratti in quel modo? »
« Cosa dovrei fare?
In fondo non lo conosco nemmeno! »
« Ma dai, non ti
sei mai fatto problemi a riguardo, perché con lui si? »
« Non mi piace come
si comporta con mio fratello! »
« Non credi di
essere esagerato? »
« Non permetto a
nessuno di toccare Maximilian, neppure di sfiorarlo o anche guardarlo … ha
sofferto già abbastanza! Non posso proteggerlo da se stesso ma dagli altri
si! »
Le ultime parole le
dico quasi gridando e non so nemmeno io per quale motivo.
« Lo ami forse? »
Le sue parole mi
zittiscono, prima per lo stupore, poi per la rabbia. Ha forse paura che io
possa portarglielo via? Beh è normale dato che lo ama, ma allora perché
sento la rabbia trasformarsi in parole
« Sei geloso? »
Lui rimane in
silenzio qualche istante poi sorride, mi prende il mento con le dita
costringendomi ad alzare il viso. Mi guarda fisso negl’occhi e con un
sussurro mi risponde semplicemente:
« Sì »
Il suo tono sicuro
mi stupisce e mi stordisce quasi quanto vedere il suo viso avvicinarsi al
mio. Le nostre labbra si sfiorano, unite in una dolce carezza fino a che non
dischiudo appena le labbra permettendogli di baciarmi. Un bacio dolce e
intenso alla stesso tempo.
Le nostre labbra
rimangono unite a lungo ma mi sembra ugualmente un periodo troppo breve.
Rimango immobile al
centro del bagno mentre la porta si richiude alle sue spalle e penso che è
la prima volta che mi bacia.
Porto le dita alle
labbra come una ragazzina e ripenso al suo gesto e mi accorgo di essere
sempre stato io a baciarlo.
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