Buio parte
IV
di Ki-chan
( Joël )
Lentamente mi sveglio, riaffioro dal buio del mio sonno. Quando apro gli
occhi il piacevole calore della trapunta mi coccola e mi accorgo di essere
nel mio letto, nella mia stanza, da solo!
Mi
metto lentamente a sedere scoprendo dall’abbraccio della trapunta il petto
nudo e, mentre con le mani mi stropiccio gli occhi come un bambino, penso
alla sera precedente.
Mi ricordo di essermi addormentato sul divano
… tra le braccia di Michele … oh quella sì che è stata una bella figura,
proprio l’immagine che voglio dare di me … una femminuccia tremante tra le
braccia del suo uomo … lui non deve pensare questo… certo lui, è proprio
questo il problema! Di cosa pensano di me le altre persone m’interessa
relativamente, ma lui no! Devo essere più sicuro di lui, più forte di lui,
più bravo di lui … dannatamente migliore di lui, sempre e comunque! Perché?
Orgoglio? … o sì quello tanto! Non ho bisogno che me lo dica qualcuno, io
sono stramaledettamente orgoglioso. Quasi quanto Michele! Semplicemente
siamo orgogliosi in modo diverso … io critico, litigo, disprezzo tutto e
tutti e soprattutto lui … Michele invece assume la sua solita aria
superiore, raramente alza la voce o è scortese con qualcuno! Certo, questo
trattamento lo riserva per me e solo per me! A volte penso che lo faccia in
reazione al mio comportamento, non mi stupirei, anch’io in fondo do il
peggio di me quando sono con lui!
Stanco di questi pensieri inconcludenti, mi
alzo dal letto innervosito, ma rimango in piedi solo qualche istante prima
che la testa mi cominci a girare vorticosamente. Mi siedo sul letto e
aspetto che passi. Poi ci riprovo, questa volta con più calma. Esco dalla
mia camera e vado in salotto curioso di sapere se Michele è ancora lì.
Sul divano trovo solo una coperta un po’
arruffata e la stanza è deserta.
Vado in
cucina ormai convinto che se ne sia già tornato a casa.
Sono sulla soglia quando, alzando lo sguardo
dal pavimento, lo vedo seduto al tavolo, tra le mani una tazza di caffè
fumante e lo sguardo perso nel liquido scuro.
Distratto mi fissa un istante in cui riesco a
scorgere nei suoi occhi un insieme di tristezza e angoscia che mi fanno
mancare per qualche attimo il terreno
sotto i piedi.
Poi improvvisamente cambia espressione, il suo
sguardo torna quello di sempre.
Io ancora un po’ scosso mi avvicino al tavolo
cercando di non cadere per i giramenti di testa.
Mi siedo e sono stanco come se avessi
camminato per ore. Scelgo la sedia di fronte alla sua e rimango qualche
istante ad osservarlo prima che dica
« Ben svegliato! Vuoi un cappuccino? »
Io apro la bocca per rispondere ma la gola mi
fa troppo male così mi accontento di annuire col capo. Lo vedo alzarsi e
preparare la macchina del caffè, ultimo modello che ti fa anche il
cappuccino come al bar.
« In congelatore ci sono anche le brioche da
cuocere al microonde! »
Faccio uno sforzo per parlare ma il risultato
è davvero pietoso. La voce, già leggermente bassa, diventa irriconoscibile
tanto che mi chiedo se sia stato davvero io a parlare.
Michele, stupito, si volta verso di me e con
un sorriso mi dice:
« Che voce! Sembri un travone! »
( non
so se esista nel resto del mondo questa termine o se lo usano cinque persone
in croce, me compresa … in ogni caso non ho voglia di discutere sul
significato del termine, se lo conoscete bene, altrimenti vi basti sapere
che non è esattamente quello che si dice un complimento! Ndk)
Abbastanza incavolato mi limito a emettere uno
strano mugugno di disapprovazione ma quando lo vedo mettersi a ridere non
resisto e a mia volta rido piano mentre lo vedo preparare le brioches.
Mentre lui prepara la colazione io ripenso
allo sguardo triste che mi ha rivolto qualche minuto fa. Mi sento quasi in
colpa e a disagio per avergli rubato quelle sensazioni così profonde e
private che ha sempre tenuto gelosamente nascoste nel suo essere.
Eppure non posso fare a meno di chiedermi il
perché di tanta tristezza. Ma non ci metto molto a rispondere. Maximilian!
L’unica ragione plausibile. Lo ama davvero
fino a questo punto? Da ridursi ad uno straccetto?
È un idiota …
I miei pensieri sono interrotti dalla sua mano
sulla mia fronte. Non mi ero accorto neppure che si fosse avvicinato.
« Hai la febbre! … »
Non fa in tempo a terminare la frase che
allontano con forza la sua
mano.
Sono arrabbiato!
Perché?
Per i pensieri che mi offuscavano la mente
fino a che il calore della sua mano non ha squarciato quella nebbia.
Lui si allontana di qualche passo prima
stupito, poi scocciato, come non capirlo anch’io mi scoccerei se quando sono
gentile con una persona questa mi caccia in malo modo.
M’indica la tazza e un piattino con due
brioche dall’aspetto molto invitante e mi dice :
« mangia
che poi devi prendere qualcosa per la febbre e devi avere lo stomaco pieno!
»
« Io sto benissimo! »
Mi risponde semplicemente alzando un
sopracciglio e fissandomi così intensamente da farmi abbassare lo sguardo.
Poi si alza e mi dice che si va a fare una
doccia e mi chiede se posso controllare io se Maximilian si sente bene.
Finisco con calma di mangiare poi mi dirigo
verso la camera di mio fratello. Dischiudo leggermente la porta cercando di
non fare troppo rumore. Una luce soffusa invade la stanza e mi permette di
scorgere solamente la figura distesa sul letto. Entro nella stanza e
lentamente mi avvicino al letto in punta di piedi per quanto i miei capogiri
me lo permettano. Sono a qualche passo dal letto e ormai i miei occhi si
stanno abituando all’oscurità. Ora posso chiaramente vedere il suo viso
rilassato, gli occhi chiusi, qualche ciocca di capelli che gli ricade
leggera sul viso addormentato.
Il respiro è tranquillo e le labbra rosse per
la febbre sono leggermente dischiuse. Allungo lentamente una mano e gli
sfioro la fronte e mi accorgo che scotta ancora. Lentamente lascio scivolare
le dita fino a raggiungere la sua guancia, anch’essa arrossata. La accarezzo
lentamente e penso a cosa avrei fatto se Michele non lo avesse trovato.
Tutto ciò che mi resta della famiglia a parte quei parenti che da che ho
memoria non si sono mai fatti vivi ed ora che nostro padre è morto vengono
da me a dirmi quanto gli fossero legati, come se io fossi tanto stupido da
non capire che il loro unico interesse è l’eredità.
Sembra così piccolo e indifeso in questo letto
enorme.
Posso capire perché Michele lo ami tanto,
anche se mi da fastidio.
Allontano la mano un po’ scosso dal mio ultimo
pensiero. Non capisco perché lui debba sempre essere nei miei pensieri.
Esco con la stessa cautela con cui sono
entrato e chiudo la porta alle mie spalle e mi dirigo verso il bagno.
Apro la porta e la nuvola di vapore mi avvolge
impedendomi quasi di respirare. L’acqua della doccia scorre ancora.
Avrei potuto aspettare che finisse ma mi dà
fastidio avere in bocca il sapore di caffè o forse non è nemmeno per questo,
in ogni modo non ho nessuna intenzione di pensarci ora.
Prendo lo spazzolino e comincio a lavarmi i
denti con movimenti sempre più lenti fino a fermarmi completamente, senza
nemmeno accorgermi di fissare imbambolato lo specchio. Cerco di darmi un
contegno ma non riesco tuttavia a non guardare, o meglio divorare
letteralmente l’immagine riflessa dei vetri smerigliati della doccia che
lasciano intuire chiaramente le linee sinuose e perfette del suo corpo.
Come sono ridotto!
Mi sciacquo velocemente la bocca ma invece che
uscire comincio a togliermi i vestiti lasciandoli cadere senza ordine sul
pavimento e lentamente mi avvicino al box doccia e senza il minimo rumore
faccio scorrere il vetro.
( Michele )
Si ferma dietro di me, posso sentire i nostri
corpi sfiorarsi quasi. Non mi volto, lascio che l’acqua mi scorra sul viso e
poi giù per tutto il corpo come la carezza delicata di un amante.
Rimane immobile con il respiro leggermente
accelerato.
Sottraggo il viso dal getto d’acqua e voltando
appena il capo verso di lui dico:
« Ho quasi finito poi ti lascio la doccia
tutta per te! »
Sinceramente dubito che sia entrato solo per
farsi la doccia ed, infatti, appena ho terminato di parlare,
elimina la distanza che ci divide e mi cinge la
vita con le braccia. Mi spinge con impeto contro la parete e le sue
mani cominciano a vagare ansiose sul mio torace. Una scende fino al fianco e
mi spinge verso il suo bacino che si spinge dentro di me.
A stento trattengo un grido, credo non mi
abituerò mai ai suoi modi.
Mi appoggio con le mani alla parete
piastrellata della doccia mentre inarco la schiena e istintivamente mi
spingo contro di lui ignorando il dolore che, tuttavia, diminuisce
lentamente.
Soffoca un grido liberatorio contro la mia
spalla che morde fino a farmi male.
Io non mi lamento, come sempre, e attendo fino
a che esausto non allenta la morsa dei denti e si appoggia con il corpo
contro la mia schiena.
Con le ultime forze rimastegli mi libera dal
sul membro e si accascia sul pavimento con la schiena appoggiata al vetro
gelato.
Mi volto verso di lui e mi stupisco che non
riesca nemmeno a stare in piedi, ma ad essere sinceri sembra che anche
tenere gli occhi aperti gli costi fatica.
Gli lascio qualche minuto per riprendersi e
gli tendo la mano per aiutarlo ad alzarmi ma una volta in piedi, solo perché
l’ho praticamente tirato su di peso, barcolla e si appoggia alla parete.
Io mi avvicino e gli appoggio la mano sulla
fronte e sento che è bollente, mi chiedo come abbia fatto a stare in piedi
fino adesso. Con sguardo severo gli dico:
« Sei un incosciente, fare certe cose con la
febbre che hai! »
Sta per dire qualcosa, so benissimo cosa,
infatti lo interrompo dicendo:
« E non venirmi a dire che non hai niente,
perché scotti! … Ce la fai almeno a uscire dalla doccia senza cadere? »
Lui mi guarda decisamente arrabbiato, immagino
cosa vorrebbe dirmi ‘Per chi mi hai preso? Ci riesco benissimo ’.
Cerca di staccarsi dalla parete dove è
appoggiato ma barcolla e se non lo avessi afferrato per un braccio a quest’ora
sarebbe steso sul pavimento.
Dato che tanto il mio aiuto non lo chiederà
mai, neppure sotto tortura, decido di agire ugualmente e cingendogli la vita
con un braccio e costringendolo ad appoggiarsi a me l’aiuto ad uscire.
Lo avvolgo in un enorme asciugamano e lo
faccio sedere sul bordo della vasca mentre mi avvolgo un asciugamano attorno
alla vita.
Lo osservo per qualche istante e lo trovo
incantevole tutto bagnato, i capelli spettinati, il viso rosso e non so se
per la febbre o se per l’orgasmo avuto.
Si stringe nell’asciugamano mentre tenta in
tutti i modi di non abbandonarsi alla stanchezza. Prendo un altro
asciugamano e gli asciugo un po’ i capelli. Gli passo i vestiti che indossa
da solo e con il phon finisco di asciugargli i capelli nerissimi e così
morbidi.
Lo faccio stendere sul letto e gli porto
un’aspirina e gli faccio misurare la febbre.
Trentanove, ma è un incosciente, fare certe
cose con una febbre simile!
Si
addormenta quasi subito e io lo lascio riposare mentre vado a telefonare ad
un dottore. Prima però mi concedo anch’io cinque minuti di riposo coricato
sul divano.
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions |
|