Boheme

seconda parte

di Snatch

 

14 dicembre 1885

Sono ancora prigioniero in questa stanza.
Avevo dimenticato cosa significava curare qualcuno, non poterti muovere di casa e controllare costantemente le sue condizioni.
Come avrai intuito dall’inizio della lettera questa mattina il ragazzo non si è svegliato, sono ormai due giorni che dorme.
Il mio egoismo mi ha portato al cercare un’utilità in questo.
“Ho in mente due possibilità sul come lo hai sfruttato”, probabilmente diresti ridendo.
Tranquillizzati, è la seconda.
Senza spostarlo da dov’era ho cominciato a disegnarlo, dal viso a tutte le coperte che lo ricoprono. Il suo viso è sempre contratto, me ne sono accorto proprio disegnandolo.
Quando mi sono disteso accanto a lui per dormire o per riposarmi il suo volto non ha avuto pace. Inizialmente ho tentato di coprirlo maggiormente, ma nulla è cambiato, così mi sono arreso.
Sembra avere freddo, ma il suo corpo è caldo, quindi non riesco a immaginare cos’abbia.
Diana, dalla finestra, lo osserva con il mio stesso sguardo preoccupato, ma lei forse non si sente impotente. Forse lei può dargli calore anche senza toccarlo.
Mi chiedo sempre più chi sia, questo ragazzo.
Un borghese parigino, questo lo so quasi per certo, e poi?
In alcuni momenti mi vedo svegliarlo con forza e chiedergli chi è, ma alla fine mi trattengo e, impaziente, continuo a disegnarlo.
La tela è quasi finita, ci crederai?
Solo il viso e le mani sono colorati, il resto è solo abbozzato. Ma in questa tela il resto mi interessa relativamente (trovo poca soddisfazione nel riprodurre mie coperte).
Questo significa che non potrò esporlo, ma anche questo mi interessa relativamente.
Devo smettere di accrescere me e occuparmi di qualcun altro, ricordi? Oramai è più un’esigenza che un desiderio, che cresce ogni volta che guardo la mia ultima tela.



15 dicembre 1885

Oh Giulio, tu non immagini come mi sento!
Bene, bene, ovviamente sto bene, ma non sai quanto!
Il ragazzo è disteso tra le coperte e dorme, nuovamente. Lui è lì, nel mio giaciglio. Mi sento un nuovo Colombo e questo ragazzo è la terra da scoprire.
Sai bene cosa intendo, credo, quando parlo così di una persona. Dopo tutti i nostri discorsi sulle persone comuni e le persone “ricche”, dopo ore e ore di parole speranzose su ideali, dopo tutto questo io ho trovato il perfetto esempio di ciò di cui parlavamo.
Ma devo raccontarti tutto, per quanto prolisso potrò essere.
Ieri sera, mentre lo stavo dipingendo, lui si è svegliato. Al suo primo movimento ho appoggiato tela e colori e mi sono avvicinato.
Lui ha teso gli arti lamentandosi (probabilmente, non muovendosi da troppo, i muscoli gli dolevano), poi ha aperto gli occhi e ha cominciato a fissarmi.
Non ha minimamente cercato di capire in che luogo si trovava, ma anzi non smetteva di fissarmi negli occhi.
Solo dopo qualche minuto ha abbassato lo sguardo e ha assunto un’espressione disorientata.
Dove sono, mi ha chiesto, e io gli ho risposto che era a casa mia, che l’avevo trovato svenuto su un marciapiede e che aveva dormito per quasi due giorni.
Ha annuito e si è guardato attorno, poi ha cercato di mettersi a sedere ma, probabilmente troppo stanco, è ricaduto sui cuscini.
E’ rimasto ancora per molto disteso, poi ha scosso la testa. Non ricordo nulla, ha detto.
Ho cercato del cibo da dargli e ho trovato solo del pane, che ha letteralmente divorato.
Ti assicuro, Giulio, che non avevo mai visto una persona così simile a un cucciolo affamato.
Ha causato in me una tale tenerezza che mi sono avvicinato e gli ho posto una mano sulla nuca, accarezzandolo.
Ridicolo? Posso assicurarti che era il gesto più naturale che in quel momento potessi compiere.
Lui non si è per nulla preoccupato della cosa e ha lasciato che facessi, anche quando la mia mano è passata sul collo.
Finito il pane, si è disteso su un fianco e mi ha tirato a sé affinché continuassi.
A lungo l’ho accarezzato mentre lui tremava dal freddo, benché fosse sotto vari strati di coperte.
Non mi è servito molto coraggio per distendermi con lui, non dopo i numerosi inviti che mi ha fatto.
Così siamo rimasti sotto le coperte, lui ha smesso di tremare e il suo viso si è rilassato.
Egli ha una capacità d’abbandono che mai avevo visto in un ragazzo. E’ più un gatto, forse, come se Dio avesse concentrato in lui una preziosa peculiarità, che ancora non riesco a definire.
Questo dono è stato messo a mia disposizione, sicché io lo protegga.
Ti sembra folle questo mio ragionamento? E’ forse più folle del modo in cui ho ritrovato quel ragazzo?
Un angelo caduto dal cielo. Le ali, simbolo della nobiltà celeste, sono scomparse, ma egli emana ancora la purezza dei cieli.
Perché a me, mi chiedo?
Forse perché è mio compito rappresentarlo. Conoscerlo per poi riportare la sua immagine su una tela.
Quanto poco valgono le parole! Così poche sono uscite dalle sue labbra, e già io sento di conoscerlo. Egli non conosce nessuno oltre me, egli è destinato a me!
Forse la follia sta penetrando la mia mente, ma allora ti chiedo: non è questa una conferma di quanto lui sia inusuale? Di quanto lui possa confondere una mente?



16 Dicembre 1885

Giulio, Giulio, quanto vorrei tu fossi qui per ammirare ciò che sta accadendo!
Come posso scriverti se non in tono giubilante? Vorrei riferirti tutto ciò che accade e così darti l’illusione di essere qui, ma le parole non mi bastano. Sono così misere le parole!
Sono di fronte a un evento, non a una persona.
Nessun temporale sta devastando le pianure, nessuna onda sta annegando una nave, nessuna guerra sta devastando i popoli, ma io mi sento come se tutti questi eventi avvenissero in me. Egli sconvolge tutto, con quel suo sguardo inconsapevole.
Questa mattina si è svegliato con me. Prima che i miei occhi si aprissero ho sentito il calore del suo corpo sul mio, nell’abbandono.
Non ti sto scrivendo dell’abbandono che più volte ho descritto parlandoti di ragazze che ho conosciuto. Quello, ora scopro, non era vero abbandono. Era solo una falsa posa, riempita di vezzeggiamenti, gesti molli e baci languidi, mentre una mano teneva stretto il pugnale, pronta ad accoltellarti alla prima debolezza.
Io qui ti parlo del vero abbandono, in cui tutti i sensi si disperdono e tu puoi chiaramente sentire la sua anima nelle tue mani.
Egli non parla quasi mai, il suo corpo è il suo linguaggio. Egli è il teatro, vuoto di meccanicismi e stridenti parole.
Ancora non so il suo nome, nome che lui non ricorda. Ha poi importanza chi era prima di conoscermi? E’ forse meglio così, è meglio che lui non ricordi nulla, luoghi o persone da cui tornare.
Qualcun altro saprebbe accudirlo meglio di quanto posso io? No, altrimenti non lo avrei ritrovato abbandonato sul ciglio della strada.
Anche Diana lo guarda con muto affetto. Lui la sente, lo so. Lui sa che lei è viva.
A volte lo scopro fissarla, come se aspettasse una conferma. Lei muta sorride, come sempre. Guarda prima lui poi mi fissa negli occhi e sorride, mi sorride.
Ti avevo scritto che non avevo intenzione di creare una famiglia, devo correggermi: ora una famiglia esiste, ed è nata su sguardi d’intesa.
E’ fraternità, non falsi accordi stipulati in una chiesa.
Se tu fossi qui potresti capire, le parole sono così vacue, così insignificanti… L’Arte non è creazione dell’uomo, l’Arte è l’uomo.
Egli è una tela, che si plasma sotto le mie dita. Con le mie mani posso modellare il suo corpo come fosse un quadro. L’olio sempre fresco per essere ritoccato e abbellito, all’infinito. Anche la Musica posso creare con le mie mani! Nei momenti più intimi la sua voce sa atterrire Mozart, i suoi arti annichiliscono l’estasi di Santa Teresa.
Perché mai tento di abbellire la realtà con un quadro quando la realtà si dona a me implorandomi di muoverla a mio piacimento?
Questa è la forza creatrice, è Eros, è amore sublime!



18 dicembre 1885

Creo, creo, e le mie creazioni si donano a me per il mio piacere.
Ormai modello me stesso, poiché so con certezza che senza di lui non vivrei. Tutto ciò è terrificante, è come una forza mille volte più potente di me che mi sovrasta, che non posso controllare!
Passione! Passione!
Sento nelle mie mani il potere che mai ho avuto. Potrei uscire di qui e sovrastare chiunque, senza parola, senza colpi, con la mia sola presenza, ma al contempo so che non posso allontanarmi da lui.
Ho pensato di chiamarlo Giacinto, poi Dioniso, poi Eros, ma non esiste un solo nome che possa racchiudere ciò che è in lui.
Lui è per me l’esistenza intera!
 


19 dicembre 1885

Giulio,
cosa mi accade?
Mi sento come malato, come se un verme strisciasse nel mio corpo, per le mie interiora, per le mie vene, sul cuore, fino alla gola.
Il tempo passa e non me ne rendo conto, mi addormento e subito mi risveglio, o credo si svegliarmi e invece sto dormendo.
Fortunatamente lui è sempre accanto a me. Mi guarda, mai si lamenta, non mi chiede nulla. Semplicemente, mi sta accanto.
Forse egli vede la follia nei miei occhi. Io la vedo, quando mi specchio, vedo che qualcosa è cambiato.
Ho la febbre, me lo ha detto lui, io non me ne sarei accorto. Essere debole mi fa stare così male di fronte a lui?