DISCLAIMER: i personaggi sono miei e ci faccio
quello che voglio per loro sfortuna^^
NOTE: è cortissima stranissima e forse, spero non troppo, incomprensibile ...
per favore non mi cacciate o rincorrete con oggetti pericolosi per la mia salute
dopo averla letta ... ma vi prego ditemi cosa ne pensate ... accetto critiche e
consigli ... e se siete particolarmente gentili anche complimenti^^
Blade di
Ki-chan
La lama, inconsapevole della sua colpa, trema, serrata spasmodicamente da
quelle mani ubriache ancora colme di violenza. La luce flebile di un sole
che si rifiuta di brillare, la colpisce violenta, troppo violenta per i
miei occhi feriti dalla realtà. Serro lentamente le palpebre quasi a
farmi scudo della realtà di fronte a me.
Nel buio sento il rumore metallico del coltello che cade sul pavimento
freddo. Passi lontani, sempre più lontani e sempre più veloci mi
rimbombano nella mente mescolati all'odore acre del sangue.
Sento, impercettibili, i tuoi lamenti, il tuo respiro flebile e faticoso .
e ho paura.
Ti guardo.
Adesso ho ancora più paura.
Mi avvicino a te, incredulo, senza parole, senza pensieri, senza
sentimenti, scivolati via insieme al tuo sangue vermiglio, ancore caldo,
mentre mi perdo nel colore scuro dei tuoi occhi, fissi nei miei, ormai
annebbiati dalle lacrime e dai sensi di colpa.
Immobile, soffocato dal tuo sguardo, non ho la forza che per guardarti e
sussurrarti di perdonarmi.
Sento la mia voce tremare. Insicura ti raggiunge e tu, al suono delle mie
parole, spalanchi gli occhi, vuoi parlare ma, stanco, ti limiti a
sorridermi.
Io capisco cosa vuoi dirmi ma continuo a maledire me stesso e la mia colpa
sciocca, anche quando mi privi della profondità dei tuoi occhi scuri,
quando, ormai stanco, ti abbandoni tra le mie braccia, tremando, unico
segno della vita ancora presente nel tuo corpo, adesso così indifeso e
freddo.
Mi sento svuotato, perso, a mia volta indifeso.
Le immagini si susseguono veloci e crudeli, rammentandomi la mia colpa. Mi
sembra di rivivere ogni secondo.
Scesi le scale distrattamente per raggiungerti in cucina dove eri andato
per prendere qualcosa da bere.
Sentii qualcosa cadere, la voce di tuo padre, impastata dall'alcool,
gridare.
Disperatamente corsi fino a raggiungerti. La cucina mi sembrò così
lontana.
Finalmente arrivai a te e ti vidi, dolorante, appoggiato al muro mentre ti
colpiva ancora.
Lividi si aggiunsero a lividi, dolore ad altro dolore.
Rassegnato, non opponevi più nemmeno resistenza, dopo anni non ne hai più
la forza.
Ma io non ero né rassegnato né stanco.
Non potei vederti ancora soffrire per mano di un uomo che avrebbe dovuto
amarti e proteggerti.
Non volevo più vedere i segni delle sue percosse sul tuo viso.
Mi avventai su di lui, guidato solo dall'ira. Era forte, ma io non avevo
paura di lui, forse fu questa la mia colpa.
Prese il coltello abbandonato sul tagliere e si diresse verso di me,
troppo veloce.
Guardai fisso i suoi occhi, così simili ai tuoi e insieme così diversi.
Non riuscii a scansarmi, ormai con la schiena contro il muro freddo.
Aspettai che il coltello affondasse nella mia carne.
Attesi quasi tremando, sconfitto, che la lama si macchiasse di sangue e,
rossa, brillasse alla luce del sole, come ora, abbandonata sul pavimento,
brilla, ma non è il mio sangue.
Vidi il tuo corpo esile frapporsi tra me e il dolore del mio corpo. ti
vidi accasciarti al suolo per colpa mia, per me.
Anche ora mentre ti stringo tra le braccia non posso evitare d'incolparmi.
Sento il rumore delle sirene. Mi allontanano da te mentre prego perché la
mia colpa, averti voluto bene, averti voluto proteggere, non ti uccida.
fine
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