Bisogno primario di luce

di 8°elevazione


 

Sei… un aria candida, che si spande come aceto sulla pelle, corrodendo parole e sussurri.

Sono forse troppo veloci le mie dita? Troppo veloci. Mi chiami amante, implori che ti faccia come carezza o preghiera, vuoi che io possa essere la tua effusione personale mentre il viso si strofina sulla mia schiena. Sei debole, ora e mi fai male. Torturi un’anima in pena, degenerato figlio della bellezza. Così, mi uccido senza echi, tra pareti di un azzurro che mendica uno sgurdo, un tocco.

Più osservo, più diminuisco l’odio, acutizzo l’urlo strozzato che ho nelle vene, rimango qui, Kaede, a sorseggiare la tua immagine. Perché sei così.

Ti ascolto. Ti ascolto mentre calpesti la mia ossessione per te e non comprendi… non comprendi forse? Qual è la forza disumana che mi lega ai tuoi arti di vetro… non lo capisci. Magari è un sogno. A te sono sempre piaciuti i sogni visionari e le concezioni veritiere dei bambini.

Ho mangiato senza sorrisi le tue gesta passate, non le ho potute vedere. Lo credi?

Lo credi.

-Mi piace, questo- Va bene. Ti sorrido. Non voglio guardare il metallo, il sapore longilineo che morde la mia lingua ogni volta che mi ricordo… di te. Allora continuo… per colpa tua, a molestare, maltrattare e violentare le mie tempie. Perché sei così sottile, avvolto da un panno di vita che trasuda eleganza, dimestichezza nel disprezzare ed un’ acuta freddezza nel giudicare chiunque ti si muova attorno. E mi fa impazzire. Sì, come se fosse la cosa scritta che mi fa pensare “giusto! È proprio questo” ed immagino l’organismo dannarsi perché sei finzione… non ancora.

Lo diresti, lo diresti al mondo intero, ma senza consumare quelle belle ginocchia bianche, sporcate di latte e purezza. Perché da piccolo mangiavi i lamponi. Nell’estate, ti sei rinnovato di colori e nei giorni precedenti ho avuto bisogno di coccolare la mia testa. Dolore.

Io non c’ero e non ci sarò, colpa tua, non è vero? Lo diresti, già mi immergo in un liquido dipinto di parole e momenti, le fotografie di una sofferenza che ti pervade.

Ora soffri… non vorrei, allora suono. –Davvero tanto… continua-

Non devi nemmeno dirlo. No. Sembra che tu abbia un bisogno primario di luce, ma è la mia volontà a stringere e ad avere attacchi di convulsione spontanea, quando ti allontani fisicamente.

È ora. Prima, dopo, durante l’amplesso più magro e conciso. Le guance scavate, le ossa che emergono senza chiamata.

-Perché mi fai questo?-

Casa al mare. Tua madre prepara il pranzo. Ho una camicia chiara, tu… respiri.

La mia fronte, accuratamente raffreddata dai tasti bianchi del pianoforte.

-Continua- sai solo sospirare con una voce bassa e melodicamente nostalgica, le fessure scure si impossessano di un pezzo di dimora. Ma cosa puoi avere, in cosa puoi agonizzare… follia? Pazzia?

Memoria.

Memoria.

È questo, Kaede, è questo. Nulla più.

Ci sono le tue dita, temporaneamente morbide, che si inoltrano, come spaventate, tra queste foreste rosse e nere, alla ricerca di una bocca da riempire d’ossigeno e mandibole. Cenere al posto della carne. Le mie costole si contraggono, si dilata un po’ di stomaco… d’accordo.

Sono forse troppo veloci le mie dita? Troppo veloci. Mi chiami amante, ma non ce la faccio a non distruggermi sotto ad ogni nota… dedicata, voracemente leccata dalla disperazione.

Sei odio, sei nulla, sei ombra, sei il vetro e l’avorio. L’unghia senza l’estremità. Il sangue senza il calore o la voce senza la lingua per cui parlare. Urlare.

Vorrei così tanto, poter essere dolce. Vorrei non essere più impazzito di uno stelo d’erba, ma è la vista e sono la memoria, l’idiozia e l’intelligenza… la consapevolezza. Io so.

Ora nascondi il viso.

-Le dita… arrivano ovunque, Hana- E mi rendi carta. Sono solo una piega del tempo mentre mi inserisco nel tuo corpo. Inspirando la tua pelle, muoio per il contatto e per la severità dei miei atti. Le parole cadono fuori dalle labbra, dopo aver giocato con le guance, il loro interno come pareti. Gemi. Gemi e strozzi questi secondi in una morsa improvvisamente premeditata.

Perché ti voglio. È colpa mia. Stavolta lo sapremo.

Stretta, i genitori, i figli, la spiaggia del confine.

-Vedi l’orizzonte?-

-Sì, certo-

-Oltre… è la salvezza-

-Di che salvezza parli? Lo sai che non esiste salvezza-

-Esistono diversi tipi di salvezza personale. La nostra, è oltre la fine…-

-Devo essere felice?-

Loro sanno guardarti con occhi diversi, e li invidio. Non possono concernere l’astratto rinchiuso nella danza sfocata che mi imprimi ora… qui… nel limite del petto… il perimetro dell’anima si espande e decade.

Devo congiungere i palmi, perché le mie dita vanno troppo velocemente, brucio… vampate di senno si fanno beffe del mio incubo, nonostante la prudenza, nonostante le terribili precauzioni.

-Qualsiasi cosa debba succedere…- dicono loro a noi -… devi stargli accanto-

Un lamento si perde, alzo la schiena, l’avambraccio è sugli occhi. Come te, ho un bisogno primario di luce ed il pianto non riesce a fermarmi.

C’è solo l’ospedale e un rosso lampeggiante, fradicio di no.

-Non così, Kaede. È della luce, che ho bisogno-

 

Videotape 098

 

-Perché mi guardi così? Cosa c’entro io, scusa?

-Lo sai, non amo parlare smisuratamente, includere cose inutili,

rimanere silenzioso è la priorità.

-Sì, va beh!

-Hana, lo sai?

-Hn?

-Sto morendo

 

 

I personaggi sono stati creati ed appartengono a Takeiko Inoue.




 

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