Disclaimer: Tutti I personaggi della storia sono miei miei mieissimi! Guai a ki li tocca!!! èé
Ringraziamenti: Glassie alla sempai Dragoneyes, che mi ha fatto da beta-rider, glassie a Cristina, alla mia sorellona Lindale e ai cartoni della Disney(una storia lunga, che purtroppo ha a che fare con la ficcy…XD)!!
Note: la mia prima ficcy yaoi XD!!!!!
Note2: oltre ai miei commentini ci sono anche quelli di Dragoneyes!!

Legenda:
tra <<>> il parlato
tra “” il pensato
in corsivo il sognato

 


Bird of Ill Omen

prologo

di Lòmea

 

Osservo la vallata dinanzi a me.
Persino il fiume, parecchi metri sotto di me, sembra essere silenzioso.
La natura non interviene, segno che è d’accordo con la mia decisione.
Ci ho riflettuto a lungo, e l’unica cosa da fare per risolvere la situazione è questa.
Ah, ecco, i ricordi mi tornano alla mente, fluenti e rimbombanti…


<<L’acqua è gelata!>> esclamò Sarah ridendo.
Era il giorno del mio diciannovesimo compleanno. Era un giorno speciale. Io e i miei amici eravamo andati a festeggiare nella mia villa. Dopo poco tempo ci eravamo trasferiti in giardino, nella piscina, visto che era pieno Agosto. Le ragazze erano in acqua e noi “maschietti” stavamo tranquillamente distesi sulle sdraio a prendere il sole.
<<Ehi! Kaith! Kaith!>> una voce mi chiamava….aprii gli occhi. Mi stavo per addormentare!
<<Dimmi>> risposi pigramente.
<<Ci buttiamo in acqua anche noi?>> mi chiese la voce in tono malizioso <<Dai… ci divertiamo con le ragazze!>>
Mi voltai di scatto verso la persona che mi parlava, scoprendo che era Jiro, il mo migliore amico.
<<Accidenti, sei sempre il solito maniaco!>> mormorai sorridendo.
<<Quando si tratta di ragazze, lo sai…>> sorrise ammiccando<<Allora ci buttiamo?>>
Sospirai e mi misi a sedere. <<E va bene…>>
Jiro mi rivolse un sorriso a trentadue denti e si alzò. Io rimasi immobile a guardarlo mentre si toglieva la maglietta e rimaneva coi boxer del costume.
Mentre passavo lo sguardo sui muscoli delle spalle e dei pettorali mi accorsi di non averlo mai visto né senza maglietta né nudo. Pensando questo, non mi accorsi che il mio sguardo stava esplorando posti un po’ equivoci…..
<<Ehi, ci sei?>> esclamò Jiro all’improvviso, accorgendosi che ero rimasto imbambolato a guardarlo.
Sentii il sangue fluirmi al viso e mormorai un<<Stavo solo pensando che devi fare molta palestra, con dei muscoli così…>>
Nuovamente Jiro mi rivolse il suo magnifico -da quando era diventato magnifico? - sorriso <<Già, ci vado ogni giorno. Ma questo lo sapevi già, vero?>>
<<Sì>> affermai io. Poi mi alzai di scatto “Cazzo! Che mi salta in mente di imbambolarmi a guardare il corpo di un ragazzo?” mi tolsi la maglietta con uno strattone, quasi strappandola, arrabbiato con me stesso per quella figura di merda
Mi buttai in acqua un secondo dopo il mio migliore amico, spruzzando acqua tutto intorno a me.
“A me piacciono le ragazze, non i ragazzi, no?” pensai, sorridendo a Sarah che mi si avvicinava.
Il mio sguardo tornò a colpire involontariamente Jiro, a circa un metro da me, che schizzava ridendo le altre ragazze. Sentii un piccolo moto di rabbia a vederlo così felice con altre persone. Mi accorsi subito che la mia rabbia si poteva anche chiamare gelosia.
Tremando appena, tornai con lo sguardo su Sarah, che mi guardava incuriosita. “No?” e con quell ultimo pensiero, presi coraggio e baciai la ragazza di fronte a me.


C’era un prato interminabile. Il vento faceva muovere i fili d’erba e i miei boccoli castani. Faceva freddo. Ma splendeva il sole. C’era una persona davanti a me, ma chi era? Non riuscivo a vederle il viso, né i capelli, perfino il corpo era sfocato, ma ero sicuro fosse un ragazzo. Mi mossi verso di lui, perché era quello che dovevo fare, me lo sentivo. Lo strinsi a me e lo baciai sulle morbide labbra, sentendole aprirsi per me, per la mia lingua, e sentii la sua, calda, che mi cercava disperatamente…


<<Ah!>> mi svegliai di scatto, con gli occhi spalancati e i pantaloni stranamente stretti.
<<Merda! Mi sono pure eccitato…e sono sicuro che era un ragazzo!>> rabbrividii e mi alzai. Guardai la sveglia: le 5 di mattina. “Un ottimo orario per una bella doccia fredda!” pensai cominciando a spogliarmi.
Al fresco sotto l’acqua della doccia ripensai al ragazzo del sogno. Ripensai alla sensazione che mi aveva dato baciare le sue labbra, al calore del suo corpo premuto contro il mio… uno strano calore mi si annidò nel ventre, al che abbassai lo sguardo “Dannazione, di nuovo?” pensai, apprestandomi a far finire ciò che il mio corpo aveva iniziato da solo.

<<Ciao mà, ciao pà>> salutai entrando in cucina.
<<Bensvegliato, tesoro>> esclamò raggiante mia madre dai fornelli.<<Ti ha chiamato Jiro poco prima che arrivassi. Ha detto che viene qui stamattina.>> sorrise <<Ah, quel ragazzo è proprio caro. Ed è pure bello>> mi fece l’occhiolino.
<<E a me non ci pensi, no?>> la voce di mio padre mi arrivò dalle spalle.
<<Ma dai, che scherzavo, caro!>> si abbracciarono baciandosi. Io distolsi lo sguardo, improvvisamente –e stranamente- disgustato da quello scambio d’affetto. <<Che c’è amore?>> chiese mia madre, preoccupata dal mio viso. <<Uh? Nulla mamma….è solo che non ho fame>> mi scusai. <<Vado in camera>> affermai poi alzandomi.
“Oddio, mò mi fanno pure schifo un uomo e una donna che si baciano? No no no, non è possibile, se avevo tendenze gay me ne sarei accorto prima, no? E non così all’improvviso, radicalmente.”
Mentre mi distendevo sul letto sentii qualcuno bussare alla porta.
<<Avanti>> mormorai in modo appena udibile. Come se avesse sentito, colui che stava al di là della porta entrò e chiuse la porta dietro di se. Io non mi mossi, non aprii nemmeno gli occhi per vedere chi era.
<<Stai dormendo?>> una voce calda e roca mi giunse alle orecchie. Aprii gli occhi di scatto. <<Jiro?!>> chiesi allarmato alzandomi a sedere di scatto.
<<In persona!>> esclamò lui, felice che io fossi sveglio. “Dannazione, i miei ormoni si stanno risvegliando!” pensai agitatamente.
Era proprio bello quel giorno. I capelli nerissimi erano fissati indietro col gel, la pelle, abbronzata -stranamente più della mia, che è sempre stata più scura-, era imperlata di piccole gocce di sudore. Indossava una maglietta bianca che, bagnata dal sudore, gli aderiva al petto, mettendo in mostra i muscoli perfetti del torace e gli addominali. I pantaloni erano dei bermuda, che lasciavano scoperte le gambe che, pur essendo piuttosto pelose, attiravano la mia attenzione.
<< Kaith?>> Jiro mi risvegliò dal mio nuovo stordimento.<<Ma che hai? È da ieri che sei strano. Non è che ti sta venendo la sindrome di Stendhal?>> la sua risata mi fece rabbrividire. Rabbrividire di cosa? Certo non di paura. “Desiderio?” cancellai quella parola dalla mia mente appena mi accorsi di averla pensata.
<<Allora dimmi… cosa sei venuto a fare qui?>> chiesi abbracciandomi come se avessi freddo. <<Ah, sì. Sono venuto qui per chiederti…>> si avvicinò al mio viso con fare sensuale e malizioso<<Se mi vuoi sposare!>> sorridendo tirò fuori una scatoletta di velluto e l’aprì, rivelando al suo interno uno splendido anello con diamante.
La mia mente si svuotò di colpo, il mondo intorno a me scomparì. “E ora che faccio?” fu l’unico pensiero coerente che riuscii a formulare. Un suono rauco mi riportò alla realtà. Jiro era piegato in due dalle risate. <<Oddio, oddio….>> mormorava riprendendo fiato.
<<Eh?>> chiesi io, senza capire cosa stesse accadendo. <<Ci hai creduto! Ci hai creduto veramente!>> esclamò lui, per poi tornare a ridere come un pazzo. Dopo qualche secondo mi resi conto delle sue parole e della strana delusione che mi avevano procurato.
<<Vaffanculo!>> urlai, e corsi fuori dalla stanza, spingendolo via quando tentò di bloccarmi la strada.


Quando tornai a casa era buio. Mia madre, quando mi vide, mi abbracciò come se non mi vedesse da mesi. <<Ma dove sei stato tutto il giorno?>> mi chiese facendomi entrare.<<Guarda, hai gli occhi tutti rossi, hai pianto?>>
Non risposi, sapendo che se avessi aperto la bocca solo due parole ne sarebbero uscite, le stesse parole che mi ero ripetuto per ore, piangendo e singhiozzando in solitudine.
<<Ma che è successo? Jiro mi ha detto che era venuto qui per dirti che si era deciso a sposare Vanessa, ma prima ti ha fatto uno scherzo e tu sei scappato…>> riprovò mia madre. Io nuovamente tenni la bocca serrata.
Mio padre ci raggiunse. <<Kaith! Era ora! Tua madre era preoccupatissima, lo sai? E anche io.>> il suo viso severo si addolcì nel vedere i miei occhi gonfi <<Cosa è successo?>> chiese anche lui, senza avere però nessun risultato.
Mi accompagnarono sul divano, con gli sguardi preoccupati e stanchi per avermi aspettato svegli fino a quell’ora. Io mi sedetti docilmente, lasciando che i miei genitori si sedessero ai miei lati.
<<Ora vuoi dirci che è successo?>> ripeté mio padre, prendendomi la mano. Mia madre lo segui a ruota e mi afferrò l’altra mano.
Sapevo che quello che stavo per dire non gli sarebbe piaciuto. Ma dovevo dirglielo. Non potevo tenermi tutto dentro. Non potevo nasconderlo a loro, che mi avevano fatto nascere, mi avevano cresciuto e nutrito tutto quel tempo, amandomi al di sopra di ogni altra cosa.
<<Sono….>> sussurai, la voce tremolante <<Sono…>>
<<Cosa? Non sento, parla più forte!>> disse mio padre. Mia madre gli lanciò un’occhiataccia. <<Lascialo parlare come desidera>> disse severamente.
Presi aria dai polmoni e mi accinsi a parlare un po’ più forte. Raccolsi tutto il coraggio che avevo e affermai:
<<Sono gay>>.
La reazione fu immediata.
Mio padre mi lasciò la mano di scatto, come se si fosse bruciato e fece una smorfia d’incredulità. Mia madre ritirò lentamente la mano dalla mia e mi guardò. Il suo viso non mostrava nessuna sensazione. Mi sentii perso. Mi aspettavo una reazione negativa da mio padre, ma mia madre… <<Dite qualcosa. Vi prego, dite qualcosa.>> implorai, gli occhi nuovamente colmi di lacrime. <<Vi prego… dite…>>
<<ZITTO!!>> urlò improvvisamente mio padre. <<Cosa ti abbiamo insegnato in questi anni, Kaith? Ti abbiamo nutrito, ti abbiamo cresciuto, ti abbiamo voluto bene. E tu…>> fece una pausa <<TU CI RIPAGHI IN QUESTO MODO? DICENDOCI CHE SEI FROCIO, CHE AMI GLI UOMINI E TI PIACE PRENDERLO IN CULO!?!?>> si mosse verso di me e io mi allontanai, spaventato. Le lacrime scendevano come fiumi dai miei occhi, e il mio respiro era irregolare come quello di un malato. <<Papà…papà, non…>> cercai di dire.
<<NO! NON OSARE PARLARE! VAI VIA E BASTA!>>
<<Pa…sigh….pà…sigh…io…>> i singhiozzi mi bloccavano la gola. Mi voltai verso mia madre, che aveva lo sguardo fisso negli occhi di mio padre, quasi non capisse perché tutto ciò stesse accadendo a lei <<Mamma. Ma… mamma…>> la implorai tremando.
<<No… tu… non sei più nostro figlio. Vai via. VAI VIA!>> urlò improvvisamente mia madre.
Mia madre, che era sempre dolce e posata.
Mia madre, che mi aveva fatto nascere che mi aveva sempre consolato, amato, creduto, come solo lei poteva fare, non mi riconosceva più come figlio.
Sentii le gambe cedermi e una mano afferarmi per il colletto e trascinarmi verso la porta.
<<Papà…papà, aspet…>> ma prima di poter finire di parlare, mi ritrovai scaraventato a terra, nel giardino, e sentii la porta chiudersi sbattendo.
Rimasi immobile, la faccia premuta contro l’erba del giardino, il corpo dolorante per la caduta.
<<Oddio… oddio…>> potei solo mormorare tra i singhiozzi <<Papà… mamma…>>
Da sfocato dalle lacrime che era, il mondo diventò nero. <<Mamma, papà…perché…>>
Era tutto così improvviso, e così esagerato…

Il mondo intorno a me non esisteva.

Era arrivato il momento di fare i conti con la mia coscienza.

Persi i sensi.


Quando mi svegliai sentii gli uccelli cantare intorno a me. Avevo il corpo a pezzi e il respiro smorzato. Mi alzai a sedere. Ero ancora nel giardino di casa.
Improvvisamente sentii un rumore alle mie spalle. Mi voltai e vidi Jiro in piedi, che mi guardava disgustato <<Che schifo>> disse.
Per capire quale fosse la causa del suo disgusto, mi portai una mano al viso. Era umido e sporco di terriccio. Mi pulii velocemente con le mani e riportai lo sguardo sul mio migliore amico.
<<Non quello che schifo.>> disse lui <<Il fatto che sei gay>>.
Lo guardai con gli occhi sgranati.<<Come…come fai a saperlo?>>
<<Me lo hanno detto i tuoi. Stamattina ero venuto per vedere se eri tornato… allora eri arrabbiato perché non volevo sposarti sul serio, eh? Che schifo, checca!>> fece una faccia idiota e scoppiò in un’aspra risata.
<<Pensavo di conoscerti bene, Jiro>> lo guardai, con lo sguardo colmo di rancore <<A quanto pare mi sbagliavo.>> mi alzai in piedi e corsi, corsi, corsi, fino a qui, alla vallata dove giocavo da bambino, piena di bei ricordi per tutti, ma che ora racchiuderà una tremenda memoria, di quello che sto per fare.
Mi avvicino al ciglio della scarpata. Il fiume scorre impetuoso, là sotto. Saranno sì e no cento metri. Vanno benissimo per quello che devo fare.
È arrivato il momento.
Chiudo gli occhi e faccio un passo avanti. Li riapro.
L’acqua del fiume mi si avvicina sempre di più, sempre di più, sempre di più.
E in un attimo tutto è blu, per sempre.
 


FINE PROLOGO